«Trova uno spogliatoio vuoto. Ora».
«Yuri, ci mettiamo dieci minuti a tornare in...»
Il russo lo afferrò per il colletto della giacca e lo trascinò in un angolo cieco, al sicuro dalle telecamere. Lo spinse su un divanetto color panna, e iniziò a baciarlo come se volesse rubargli ogni particella di ossigeno dai polmoni. Come se Otabek ne avesse ancora, di ossigeno in corpo, dopo quel concentrato di eros e pazzia che Yuri gli aveva servito sul ghiaccio.
La voce dello speaker, che dava indicazioni al pubblico che ancora si attardava sugli spalti su come abbandonare lo stadio del CCIB, diventò un ronzio lontanissimo. C’erano solo Yuri, la sua lingua, le sue labbra e il suo volgare odore di sudore misto alla raffinatezza del suo Amouage Interlude.
«Ho detto che ti voglio ora. Non fra dieci minuti».