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Autore: Petricor75    13/04/2017    3 recensioni
Questa fanfiction è una serie di oneshot, non seguono uno stile rigido e si muove tra missing moments, intermezzi tra episodi, scene particolari viste negli episodi, Xena e Gabs POV, sono narrati in diverse forme, l'intento è esplorare a modo mio i pensieri, le emozioni e l'evoluzione sia dei due personaggi che della loro storia d'amore. Ringrazio le mie beta, AwkwardArtist e GirlWithChakram. Sono graditi i feedbaks, di qualsiasi tipo, grazie. Disclaimer: ma ce n'è ancora bisogno?
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Gabrielle, Xena
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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CAPITOLO SEDICI - IS THERE A DOCTOR IN THE HOUSE? Pt.2
 

"Sicura di non voler passare un po' di tempo con noi? Hai bisogno di riposo."

"Xena si prenderà cura di me, grazie Ephiny. Sai che non è perfettamente a suo agio al villaggio e che non potrebbe muoversi liberamente come me."

"Capisco..."

"Anche lei ha bisogno di cure..."
 

Sono passati cinque giorni, da quando abbiamo lasciato il tempio nella zona di guerra. Il fatto che Marmax si sia offerto di scortare Ephiny e il piccolo Xenon fino al confine col territorio amazzone, ci ha permesso di poterci separare da lei. Non avrei mai accettato di passare la mia convalescenza al villaggio, sapendo che la mia guerriera non si sarebbe sentita pienamente libera. Io devo guarire il mio fisico. Il suo trauma è ben più profondo ed io non so bene cosa fare. Al tempio le ho chiesto cosa fosse successo, lei ha evitato la risposta sforzandosi di sorridere, ma l'angoscia che ho visto nei suoi occhi è presente ora, come allora. È stata la mia sorella amazzone che mi ha raccontato tutto. Non so se davvero sono morta, per un po', o se, in qualche modo, ero in una specie di posto tra la vita e la morte, come quando Xena fu colpita dal dardo di Callisto. Non sono sicura di aver sognato o se quelli fossero davvero i Campi Elisi, ma, sogno o realtà, sono contenta di essere qui, vorrei solo sapermi prendere cura di lei, come lei sta facendo con me.

Mi ha portata in questa piccola valle, mi ha raccontato che passava spesso di qui, con la sua armata, ma che non ci ha mai fatto accampamento, perché odiava che fosse troppo piacevole. Mi sfugge un sorriso, a questo pensiero, insolitamente romantico, per la vecchia Xena che non ho mai conosciuto, e che si addice di più a quella Xena che vivo ogni giorno. Un vivace ruscello del colore dei suoi occhi scorre serpeggiando tra le rocce. Poco più a valle del nostro umile campo, allestito in una radura ombreggiata dagli alberi, un verde pascolo accoglie Argo, che con il muso chino bruca tranquilla, affondando ogni tanto uno zoccolo nella terra ancora umida di rugiada, per scacciare qualche insetto. Nonostante non sia alla portata delle mie orecchie, mi sembra quasi di udire il tonfo sordo che produce. L'aria è ancora fresca ed è piacevole stare sotto le pelli. Gli uccellini cinguettano e svolazzano vivaci tra gli alberi. Una brezza gentile alimenta il fruscio delle foglie. Mi volto con cautela, il dolore al torace è diminuito, ma non del tutto. Dall'altra parte del focolare, il giaciglio di Xena è vuoto, come mi aspettavo.

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Mi ha caricata delicatamente su Argo ed è salita dietro di me, lasciando che mi appoggiassi al suo busto per non fare sforzi, manteneva un'andatura più lenta del solito, per evitare il più possibile gli scossoni dovuti alla marcia. Un paio di volte ci siamo fermate, mi ha fatto scendere, ha insistito perché bevessi, anche se non ne avevo alcuna voglia. Ha sistemato le nostre pelli dietro la mia schiena e mi ha adagiata lì, allontanandosi per raccogliere delle erbe medicinali da applicarmi sul torace. Ha tagliato una mela per me, aspettando pazientemente, boccone dopo boccone, porgendomene un pezzo alla volta.

Non ha voluto che alzassi un dito neanche arrivate qui. Preparato il campo che era ancora pomeriggio inoltrato, si è occupata di procurarmi un pasto caldo, "Scusa... non è buono come quando lo prepari tu...", mi ha detto con un sorriso timido, come se non sapessi che cucinare non è una delle sue tante doti. Ha pestato le erbe e mi ha applicato la poltiglia sul torace con una delicatezza inusuale, scusandosi di nuovo, per avermi provocato il grosso livido che risaltava già rosso sulla mia pelle. "Xena... questa roba puzza.", mi sono lamentata al solo scopo di strapparle, finalmente, una risatina. Mi ha fatto bere uno dei suoi intrugli che mi aiutasse a riposare bene, mi ha fatta stendere sul mio giaciglio, mi ha coperta fin sotto il mento e mi ha assicurato che mi avrebbe raggiunta a breve, quando le ho chiesto di farmi compagnia. Mi sono addormentata quasi subito, guardandola affilare la sua spada, al di là del focolare. La mattina dopo, il suo giaciglio vuoto non era più accanto al mio. "Xena...", in un attimo era inginocchiata vicino a me, mi ha posato delicatamente una mano sulla fronte, "Gabrielle... come ti senti?", le ho toccato il braccio, per tranquillizzarla, e anche se mi sentivo come se un carro carico di merci mi fosse passato addosso non una, ma almeno una dozzina di volte, le ho detto che stavo un po' meglio. "Hai dormito laggiù?", le ho domandato occhieggiando le sue pelli oltre le braci. "Avevo paura di toccarti inavvertitamente nel sonno, rischiando di farti male.", si è giustificata evitando il mio sguardo... Forse è stato un peccato avere iniziato la giornata con una bugia a testa... Avrei voluto insistere, ma è come se avessi percepito che aveva bisogno di un po' di spazio. E per un attimo, solo per un attimo, mi ha fatto male. Ma le voglio bene, ricordo come è stato per me, quando ho creduto che non ci fosse più, e so che per lei è stata anche più dura... io ero incosciente, in fondo. Ricordo quanto dolore mi dava il pensiero che, quando se n'era andata, non ci fosse nessuno lì con lei, ma, anche assistere, per lei, non deve essere stata una bella esperienza.

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Cinque giorni sono passati, il livido sul mio torace è passato dal rosso, al blu, al viola, al verde, fino al giallo. Le sue occhiaie sono sempre più scure, e il suo giaciglio è ancora steso dall'altra parte del focolare. Per i primi due giorni ha insistito per darmi qualcosa per dormire, ma la terza sera le ho detto decisa che non ne avevo più bisogno, ha provato a convincermi, offrendomi la tazza, l'ho presa dalle sue mani e con aria di sfida, ho gettato il suo contenuto a terra. "Xena, non ne ho bisogno, sto meglio, e se di notte succede qualcosa, non voglio essere totalmente fuori combattimento. Ora, se non vuoi perdere tutte le tue care erbe che hai raccolto in giro con tanta fatica, ti consiglio di piantarla con questa storia, perché finiranno tutte col concimare questa radura... sempre che si possa concimare qualcosa con questa schifezza... Ad ogni modo, fine della discussione.", le sue spalle si sono afflosciate in una postura arrendevole, "Xena, sei tu che hai bisogno di dormire qui...", ho aggiunto addolcendo il tono ed avvicinandomi in un gesto di conforto, le ho sfiorato il braccio e solo allora mi sono resa conto che negli ultimi giorni i nostri contatti fisici si erano ridotti solo al mio bisogno di essere accudita. Sembrava avere i nervi a fior di pelle, ma non si è sottratta alle mie dita, "Grazie, per prenderti cura di me.", "Sempre, Gabrielle.", mi ha interrotta in tono dolce. 

Perché il fatto è che si prende cura di me in maniera maniacale, è sempre premurosa e attenta a tutti i miei bisogni, neanche fossi un neonato, devo quasi lottare per riprendermi un po' di autosufficienza. Però poi... è distante, silenziosa, persa nei suoi pensieri. È in grado di prendere un pesce a mani nude, ma si è costruita una canna da pesca e passa ore ed ore al ruscello. A volte le faccio compagnia, in silenzio, perché dice che se ci mettiamo a parlare spaventiamo i pesci... come se fosse la prima volta che usa una canna da pesca... bah, saranno i pesci di questo ruscello che sono particolarmente sensibili ai rumori... ad ogni modo... il silenzio non è mai stato pesante tra di noi, ma adesso si fa sentire. Quando non pesca, dedica più tempo del solito a curare Argo, oppure va a caccia. Ha costruito una specie di affumicatoio, e se continua di questo passo, avremo scorte per tutto l'inverno, ma ci mancherà un carro per portarcele dietro, che farà allora? Ne costruirà uno? Gabrielle, tieni chiusa questa boccaccia o lo farà sul serio! 

La prima notte che ho dormito senza l'aiuto dei suoi intrugli, l'ho sentita agitarsi e lamentarsi nel sonno, stavo per chiamarla quando si è svegliata di soprassalto, ha subito rivolto lo sguardo verso di me, "Xena...", mi sono preoccupata, "Solo un brutto sogno, scusa se ti ho svegliata, torna a dormire.", ha tagliato corto, dopodiché si è allontanata in direzione dell'acqua, l'ho vista darmi le spalle e accucciarsi, ha affondato una mano nel ruscello e si è rinfrescata il viso, poi si è seduta ed è rimasta lì per lungo tempo. Mi è sembrato chiaro che avesse bisogno di stare sola, così non l'ho seguita, l'ho guardata con rammarico, finché le mie palpebre si sono fatte pesanti e mi sono addormentata di nuovo. È successo anche la sera dopo, e quella dopo ancora, insomma... se ha bisogno di spazio, va bene, mi dispiace, ma me lo faccio andare bene, ma mi è anche chiaro che non stia riposando come al solito, ed io sto seriamente cominciando a preoccuparmi, perché non mi permette di capire che succede o se posso fare qualcosa per sistemare le cose.

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Posso sentire i tuoi occhi su di me, anche se ti volto le spalle. So che ti ferisce, questo mio comportamento, ma non riesco a trovare un equilibrio per fare di meglio, in questo momento. Nella mia testa c'è una gran confusione. Quello che hai visto, le persone che hai incontrato, Gabrielle, quello non era un sogno, tu eri morta ed eri nei Campi Elisi, eri al sicuro, serena, la tua anima pura era salva. Ma io non ho voluto arrendermi, sono stata egoista. Penso davvero che il mondo abbia più bisogno di gente come te, che di gente come me, ma sono stata comunque egoista. Non era al mondo e al suo bisogno di persone come te che pensavo, quando eri esanime tra e mie braccia ed io mi rifiutavo di lasciarti andare in pace. Pensavo solo al gran smarrimento che sentivo ad averti persa. Pensavo solo a com'è starti vicino. Pensavo solo che non avrei più sentito la tua voce riempire il silenzio per l'intera giornata, e a come pian piano, da quando ci siamo conosciute, la mia voce si sia aggiunta alla tua, sempre più partecipe, mentre vaghiamo per la Grecia. Pensavo al silenzio che sarebbe seguito. Pensavo che non avrei più udito il familiare suono del tuo calamaio sulla pergamena, che si aggiunge a quello della pietra sulla mia spada, alla sera, quando facciamo campo. Pensavo che senza di te io non posso più essere la persona migliore che sono, grazie a te. Pensavo che la luce dentro di te è l'unica cosa che mi tiene lontana dalla mia oscurità ed io non potevo rinunciarvi. Non ancora... Pensavo che ti ho portata via alla tua famiglia e che era mia responsabilità tenerti al sicuro, e che avevo fallito. Pensavo che prima di te, io non avevo speranza, di rimediare a tutto il male che ho fatto. Ma poi sei arrivata. Prima di te in tanti ci hanno provato, persone a cui sono stata legata, anche profondamente, ma nessuna è mai riuscita a fare il miracolo che invece tu hai compiuto. Era questo, il miracolo di cui parlavo a Galeno. Tu sei il mio miracolo. Ti sei mostrata per come sei, mi hai mostrato come sono adesso, mi hai mostrato come mi vedi tu, nonostante il mio passato, mi hai dimostrato la tua fiducia e il tuo affetto solo per il nostro presente. Mi hai accettata, nonostante il mio passato, mi hai accettata, nonostante l'oscurità spesso si riaffacci, e ogni volta che capita, mi ancori al nostro presente, nonostante ti spaventi il mio lato oscuro, nonostante i rischi che chiunque valuterebbe possibili, la tua fiducia in ciò che sono adesso vince sempre. Ma io sono stata egoista ed ho voluto riportarti indietro. Per me. Non per il mondo. Ma l'amore non può essere tanto egoista, giusto? Tu ti meriti di meglio, adesso l'ho capito e devo accettarlo. Non voglio che tu passi la tua vita accanto a me. Non è giusto per te. So che un giorno, presto o tardi, qualcuno conquisterà il tuo cuore ed io ti lascerò andare, perché ti meriti un'esistenza migliore di quella che posso offrirti io. Forse non ne eravamo ancora consapevoli, ma ho capito adesso che tra di noi stava cambiando qualcosa, non serve negare a sé stessi sentimenti di cui si è ben consapevoli. Ma ti conosco, ormai, tu segui le tue sensazioni, senza stare troppo ad interrogarti su cosa siano, non posso più alimentare queste emozioni, non è giusto legarti a me in questo modo e privarti del futuro sereno che un'anima come la tua si merita.

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Le sue spalle s'irrigidiscono quando avverte i rumori vicino al fuoco, ma non si volta, ed io non la chiamo. Solo quando il thè è pronto mi avvicino con la tazza fumante. Distoglie un attimo lo sguardo dal torrente e mi accoglie con un sorriso tirato. "Per me?", mi domanda mentre le porgo la bevanda calda. Le rispondo con un sorriso, sfiorandole la spalla e mi siedo accanto a lei, abbastanza vicino perché le nostre braccia si tocchino. "Grazie.", aggiunge, prima di ripiombare nel suo silenzio. "Comunque sto meglio, grazie.", esclamo dopo un po' ridacchiando, "Zeus! Io...", alza gli occhi al cielo, risentita con sé stessa, "Va tutto bene...", la tranquillizzo appoggiandomi più decisamente a lei. "È solo che...", prosegue, "Xena, è tutto ok!", insisto prendendole la mano e intrecciando le dita con le sue. Cede al mio contatto, ma non partecipa, me lo aspettavo, anche se non so il perché. "Sei esausta, non dormi bene... lo so...", attendo paziente, nella vana speranza che mi aiuti in questo dialogo. "Xena, per favore, lo so che qualcosa non va... per favore, parla con me...", un respiro pesante e niente di più, il suo sguardo si perde nei vortici del torrente davanti a noi. "Senti... lo so che non è stata una bella esperienza, ok? Ci sono passata prima di te, ricordi?", il mio pollice si muove accarezzandole il dorso della mano che tengo stretta. "È stato orribile...", confessa voltando la testa per impedirmi di vedere le lacrime che si manifestano comunque nel tremolio della sua voce. Senza mai lasciare la sua mano, mi muovo inginocchiandomi di fronte a lei, "Ma la cosa che mi ferisce di più è sapere che per la seconda volta ti ho strappata al tuo futuro.", mi confessa chiudendo gli occhi e liberando due enormi gocce salate giù per le guance. "Cosa?", per un attimo sono confusa, ma poi capisco cosa vuole dirmi. "No! Guardami...", le asciugo le lacrime, "Non sei tu che mi hai portata via da Potideia, è stata una mia scelta e lo rifarei anche adesso! Come è stata una mia scelta tornare da te in quel tempio, e lo rifarei anche adesso! Tu hai fatto la tua parte, ma l'ho scelto io! C'è come una forza che non so spiegare e che mi spinge verso di te, ed io ho scelto di assecondarla, non di combatterla, e mi sembra che fin'ora abbia funzionato, no?", mi torna in mente la storia dell'unica anima in due corpi separati e sto per raccontargliela di nuovo, ma poi mi sembra troppo stupido, in questo momento, e così lascio perdere. "So che rivivi quell'esperienza ogni notte, ma io sono qui, e voglio essere qui... non agire come se me ne fossi andata.", la guardo annuire alle mie parole, "Siamo in due a dover guarire qui..", aggiungo comprensiva. "Ho solo bisogno di un po' di spazio, e di tempo.", si giustifica, "E lo hai, mi pare...", ribatto con un po' di tristezza. "Possiamo fare solo una piccolissima tregua, giusto il tempo per un abbraccio?", il mio tono è insicuro, ma ho davvero bisogno di sentirla adesso, e credo che in fondo, anche se non lo ammette... o forse lo rifiuta, ne abbia bisogno anche lei. Prima che possa rispondere, le allaccio le braccia al collo e la stringo, esalando un sospiro pesante, che si porta via un po' della tensione accumulata in questi giorni così strani, la stringo forte come se non volessi più lasciarla andare, la stringo finché sento che le sue braccia si congiungono sulla mia schiena, la stringo fin quando ho l'impressione che anche lei non voglia più lasciarmi andare. 

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Nota dell'autore: Le trame del Fato sono spesso intricate e bizzarre, ma ci portano sempre dove siamo adesso, in questo preciso istante, se noi glie lo permettiamo. È sempre un connubio di Fato e Libero Arbitrio. Lo è per le anime gemelle, sempre che esistano davvero, lo è anche per le persone speciali che fanno o hanno fatto parte della nostra vita. Ad una in particolare dedico questo capitolo. E lo dedico anche al Fato.

   
 
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