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Autore: Val__    14/04/2017    2 recensioni
Russel è un "Super", dotato di abilità aggiuntive che lo distinguono dai normali esseri umani.
Riservato e... diversamente coraggioso a seguito di un imprevisto che fa saltare la sua copertura da ragazzo comune, viene intercettato da due bizzarri figuri in nero e dal viso indistinto. Come reagirà quando dovrà imparare a gestire i suoi poteri a fin di bene, affrontando le sue più grandi paure?
Ad aiutarlo lungo il tragitto saranno una ragazza-bambola dal poco tatto, una tipa dal fisico e carattere duro come una roccia, ma con un lato colmo di dolcezza, un insopportabile e diffidente amante della velocità e... delle mezze verità ed il ragazzo più fortunato del pianeta.
Riuscirà il nostro SuperZero a trasformarsi in un SuperHero?
E se a tutto questo si dovesse aggiungere un tetro ed inatteso pericolo che porterà i nostri apprendisti eroi ad un'impresa molto più grande di loro?
_
Una storia su SuperMarmocchi non propriamente etero che imparano ad usare i loro poteri senza cavare un'occhio a nessuno, a socializzare, si innamorano e nel frattempo cercano di evitare l'apocalisse... niente di troppo serio insomma!
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Super: Zero to Hero

3. SuperFuga


Era un problema.
Un enorme, immenso problema.
Seguendo Bones per l'istituto era riuscito a convincersi a non mollare.
Certo, l'istituto era il triplo della sua scuola, ma confidava nelle sue capacità di orientamento. Poteva trovare una strada fuori da lì.
L'unica incognita ora era... come accidenti liberarsi ed uscire da quella stanza folle?

La situazione era stressante.
Cinque minuti dopo l'uscita di scena della ragazza in nero, Russel sentiva ancora una volta le lacrime pungergli gli occhi.
Sentiva il suo cuore battere incredibilmente forte ed il respiro mutare in un affannoso ansimare.

“Non adesso, ti prego non adesso”

Cercò di deglutire, ma la gola secca e lo stomaco attorcigliato non lo aiutarono nell'impresa.
Cercò di respirare lentamente, ma il ritmo dolorosamente rapido dei suoi battiti aumentavano la sua ansia ad ogni pulsazione.

“Non ci riesco. Non ce la faccio da solo”

Voleva calmarsi. Voleva disperatamente calmarsi, ma ogni suo tentativo sembrava vano.
Sentì quella familiare sensazione di arrendevolezza impadronirsi nuovamente di lui, senza che potesse fare nulla per evitarlo. Poteva solo lasciarsi andare al pianto ed aspettare che finisse. E così fece.
Chiuse gli occhi, mentre un forte brivido lo scosse.
La scrivania e la sedia davanti a lui, come anche quella su cui era seduto, volarono in aria senza che lui potesse trattenere un grido, soffocato solo da un singhiozzo che non fece altro che trasformare le poche lacrime in un pianto disperato.
Gli sembrò di andare avanti per ore, quando un rumore inatteso stroncò la crisi, lasciandolo confuso e sospeso a mezz'aria, prima che la gravità tornasse alla sua normale funzione.
Atterrò violentemente sullo schienale della sedia, restando a testa in giù, con il tavolo ribaltato a pochi centimetri da lui. Aprì gli occhi trovandoselo davanti, con le gambe dell'oggetto rivolte verso di lui.
Tra un singhiozzo e l'altro, sentiva le orecchie fischiargli in modo assordante ed il panico sembrò aumentare... poi notò il bottone.
Rosso e lampeggiante, proprio sotto i suoi occhi.
Fino a quel momento nascosto sotto il tavolo, dalla parte opposta alla sua, ora era lì, a portata di mano... o meglio, di piede.
Sollevò la parte inferiore del corpo e buttando il peso in avanti, portò le gambe il più avanti possibile, finché non riuscì a premere il pulsante con la punta del piede destro.
Sentì uno scatto. Era libero!
Un sorriso affiorò d'istinto. Finì in una capriola per poi raddrizzarsi, asciugandosi il volto con la manica della felpa.
Da bambino era sempre stato molto elastico e, anche se con il tempo una sconfortante rigidezza si era impossessata dei suoi legamenti, era grato di non essere diventato una tavolozza di legno in tutto e per tutto.
Si guardò intorno cercando una qualunque via d'uscita, come un condotto di areazione. Strano a dirsi, ma non era la prima volta che si ritrovava a sgattaiolare in una di essi.
Portò lo sguardo a sinistra e quello che vide lo fece saltare per la sorpresa. La seconda sedia era rimasta conficcata nella finestra oscurata, due delle gambe avevano completamente sfondato il vetro, mentre dell'imbottitura fuoriusciva da uno dei cuscini.
Russel rabbrividì. Quella in cui si trovava sembrava tanto una di quelle stanze degli interrogatori rappresentate nei polizieschi che Zia Rose adorava guardare il sabato sera, impossibile che quel vetro fosse così fragile da essere sfondato da una semplice sedia. Quanto forte l'aveva lanciata esattamente?

“Non pensarci Russel... è ok, non lo farai più”

Incrociò le braccia al petto come in un abbraccio rassicurante prima di proseguire.
Non poteva perdere altro tempo. Bones sarebbe potuta tornare in qualsiasi momento.
Estrasse la sedia dallo strano vetro con molta fatica, facendo cadere piccoli pezzi trasparenti ai suoi piedi con un tintinnio, per poi sbirciare attraverso i varchi che si erano formati.
Inutile dire che ciò che vide dall'altra parte era un casino.
La crisi di Russel aveva raggiunto anche quella sorta di ufficio: la scrivania era capovolta su un lato, con tutti i fogli sparsi negli angoli più remoti, mentre le due sedie non erano nemmeno nella sua visuale... ma dove diamine le aveva spedite?
Esplorò con gli occhi la stanza attentamente finché un oggetto dalla forma bizzarra non attirò la sua attenzione: la chiave. Atterrata per grazia divina sana e salva proprio sul fianco della scrivania rovesciata. Ovviamente però... Non c'era modo di raggiungerla.
Tirò un sospiro, seguito da un respiro profondo e concentrato. Le sue orecchie ancora in preda ad un fischio acuto di certo non ne sarebbero state contente, ma per una volta sentì la necessità di non dare ascolto a quel chiassoso limite.
Non aveva problemi nell'usare quel suo potere per le piccole cose come quella di aprire una porta, portare a se un oggetto o trascinarne un altro, ma il solo atto di adoperarli, per qualsivoglia motivo, gli metteva addosso un'ansia non da poco.
Ferire qualcuno con la sua strana abilità era la sua più grande paura (a gara per il primo posto con la paura dei serpenti che non si era certo attenuata durante quella spiacevole visita).
Fissò l'oggetto, dedicandovi tutta la sua attenzione. Puntò il dito nella sua direzione per strascinarlo verso la serratura, appena visibile dalla su angolazione, finché un rumore deciso non confermò l'imbocco nella toppa.
A quel punto si scostò dalla finestra, posizionandosi dietro la porta, per poi visualizzare nella sua mente la chiave girare. La porta si aprì con uno scatto.
Saltò fuori dalla stanza con urgenza e cominciò a correre il più lontano possibile.
Aveva bellamente mandato a quel paese il suo piano per uscire di lì con calma ed orientandosi graziosamente ed abilmente. Era passato al piano B: correre disperato finché non riacquistava un minimo di sicurezza. Sembrò funzionare quando si ritrovò in un dedicatissimo sprint lungo un corridoio parecchio esteso. i suoi nervi sembrarono sciogliersi ed il bruciore che il respiro affannoso gli stava provocando lo fece sentire vivo, salvo, ma a due passi della fine del corridoio, una figura in nero sbucò da dietro l'angolo, scattando sorpresa alla sua vista.
Russel cercò di inchiodare ed invertire la direzione, ma ne risultò una scivolata epocale, che sarebbe finita rovinosamente se non fosse stato per un gesto inaspettato del figuro in nero che lo afferrò con prontezza prima che si sfracellasse a terra.
Si guardarono per qualche istante che sembrò un eternità, immobili in quel casqué improvvisato. Il ragazzo che lo reggeva perplesso era piuttosto alto e, come da norma, il suo viso appariva confuso, eppure Russel si sentì di riconoscerlo come il tizio che aveva chiamato Sand all'entrata, facendolo allontanare da lui e Bones.
Impallidì vistosamente, prima di cercare di divincolarsi dalla presa, con il risultato opposto.
< Woah! Calmo! Che succede? > fece ancora più confuso il ragazzo in nero, rimettendolo sui suoi piedi e stringendolo più a sé.
Russel sollevò lo sguardo, in panico < Voglio andare a casa... per favore fammi andare a casa > pregò con voce tremolante.
Esisteva un limite per quante crisi di pianto una persona poteva permettersi in un solo giorno... doveva esserci, ma in ogni caso... Russel di sicuro non ne era a conoscenza.
Il ragazzo davanti a lui allentò la presa, posando gentilmente le mani sulle sue spalle, ed inclinando la testa per riuscire a guardarlo negli occhi < Non sei in pericolo qui, questo lo sai? > provò gentilmente, ma per quanto suonasse rassicurante, Russel non voleva convincersi a dare fiducia a nessuna di quelle persone. Quel posto era strano, moderno e somigliava troppo all'immagine che il suo cervello associava ad una facoltà di ricerca, e diventare una cavia o un soggetto d'esame non era di sicuro in cima alla sua bucket list.
Scosse la testa vigorosamente < Per favore lasciami andare a casa > ripeté affranto.
Il ragazzo continuava a guardarlo, con lo sguardo sempre più afflitto e colpevole.
< Io non avrei l'autorità per darti il permesso... > cominciò < ma... > un rumore di passi spediti dietro di loro lo interruppe e Russel non fece in tempo a reagire, che l'altro, prendendolo per il polso, aveva iniziato a trascinarlo spedito verso una porta piuttosto anonima a metà corridoio.
La aprì con fermezza, evitando con grazia di fare alcun rumore, per poi farlo entrare.
Russel si guardò intorno in quello che pareva essere uno sgabuzzino, per poi tornare a guardare il ragazzo in nero, quando avvertì un tocco gentile sulla guancia.
< Buona Fortuna > sorrise furbo, in un'espressione ammiccante. Gli tirò su il cappuccio della felpa, nascondendo il suo viso il più possibile, per poi chiudendosi la porta alle spalle, sparendo dalla sua vista.
Russel si trovò per qualche secondo solo, in uno sgabuzzino, circondato da scope, ad arrossire come le protagoniste degli young adult che si ritrovava a leggere con le amiche di Brody.
D'improvviso delle voci interruppero quel momento di confusione.
< Fortuna! > chiamò quella che riconobbe come la voce di Bones < Mi sono persa il biondino... l'hai visto in giro? > chiese con una notevole nota di ansia.
Seguì un momento di silenzio, nel quale il ragazzo in nero doveva aver negato, perché Bones proseguì sospirando < Dove diavolo è finito... aiutami a cercarlo per favore. Controlla nei laboratori, io vado verso le aule >.
Senti entrambi allontanarsi in direzioni diverse e senza rendersi conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, inspirò profondamente per poi buttare tutto fuori.
Aprì la porta e, questa volta con più calma, cercò di uscire da quel pasticcio.

Bones si aggirava per l'istituto, stressata come mai prima.
Prima volta in assoluto in tre anni di servizio che se ne lasciava scappare uno. Queste erano cose che faceva Sandy, non lei!
Lei era quella meticolosa, che metteva una pezza ai disastri degli altri, non quella che si allontanava dieci minuti e si ritrovava con l'ufficio in uno stato immondo ed un fuggitivo chissà dove a spasso per l'edificio!
Cercò per tutto l'istituto, ma del biondino neanche l'ombra. A quanto pare era un ninja provetto.
Ormai con i nervi a fior di pelle si fermò in mezzo al corridoio, le mani tra i capelli in un gesto disperato. Chiuse gli occhi e si concentrò sul silenzio che la circondava per raffreddarsi.
Non poteva essere sparito. Quel posto era un mezzo labirinto, doveva essere ancora lì.
Riaprì gli occhi in uno scatto, riprendendo il passo spedito. Prima o poi doveva succedere. Non era perfetta e doveva accettarlo, anche lei sbagliava e doveva assumersene le responsabilità.
Fece marcia indietro, dirigendosi verso la presidenza, convinta nel farsi aiutare a risolvere il problema, ma un rumore la sorprese alle spalle.
Si girò fulminea, identificando la fonte del trambusto. La biblioteca.
Giunta davanti alla porta si guardò intorno, notando immediatamente uno dei libri a terra, intorno a lei il silenzio assoluto. Non si udiva nemmeno un respiro e le parve istintivamente innaturale.
Raccolse il libro da terra e non appena portò lo sguardo al libro, avvertì, con la coda dell'occhio, una sagoma alle sue spalle correre verso l'ingresso. Si girò così in fretta da colpire lo scaffale alle sue spalle, avvertendone la caduta, solo quando il peso la costrinse a terra. Sussultò preparandosi ad un impatto brutale, che però non arrivò. Solo un paio di libri precipitarono, rimbalzandole contro.
L'intera libreria e molti dei libri erano immobili, sospesi nella caduta.
Riportò lo sguardo verso la entrata della libreria, dove il biondino, munito di cappuccio a coprirgli gran parte del volto, stava indicando con una mano tremante nella sua direzione.
Aveva letto troppe volte il fascicolo del ragazzo per non cogliere la situazione.
Russel Foster, sedici anni, nessun precedente che fosse noto, figlio unico, sotto la custodia di Rose Foster... niente di degno di nota in lui, non fosse per la sua abilità, il suo dono.
Al contrario di molti casi precedenti al suo, sembrava saper usare il suo potere come un'estensione del proprio corpo.
Vederlo all'opera la meravigliò più di qualsiasi filmato gli scout o le altre fonti avessero potuto fornire.
Il biondino sollevò la mano senza smettere di tremare, non seppe dire se per il continuo stato di ansia da cui pareva essere preda o se per lo sforzo di sollevare qualcosa di tanto pesante.
La libreria tornò in piedi, oscillando. I libri tornarono precisi al loro posto su di essa.
Bones rimase immobile, aspettando la prossima mossa del ragazzo, che dopo averle riservato una veloce occhiata, scattò lungo il corridoio.
Bones non si mosse di un millimetro, un lieve, ma spontaneo sorriso si fece spazio sul suo volto. Per una volta, poteva permettersi uno sbaglio.

Russel continuò a correre, dannandosi per aver ascoltato la sua coscienza ed aver salvato il suo aguzzino dal peso della conoscenza, o per meglio dire dall'essere quasi stata sepolta tra pesanti libri che di sicuro gli avrebbero fatto guadagnare più tempo.
“Sia maledetta la mia stupida coscienza” continuò a ripetersi fino a quando non fu sicuro di non aver più nessuno alle calcagna.
Si massaggiò le tempie, tentando di raccapezzarsi nonostante il tremendo pulsare del suo cervello. Quel posto era il labirinto più elaboratamente irritante di sempre.
Pensava di potersi orientare, ma in quel momento la voce della disperazione cominciava a suggerirgli di arrendersi e, proprio quando stava per cedere, la speranza gli si presentò sotto forma di enorme rampicante verde.
Si affacciò alla finestra dalla quale aveva avvistato la pianta, speranzoso, per poi avvistare proprio quello che stava cercando. La scala antincendio.
Non aveva la minima idea di come tornare alla serpentesca entrata principale, ma ricordava di aver notato come gli spessi rampicanti fioriti fossero posizionati alla perfezione per prestarsi ad una comoda, nonché pericolosissima ascesa sino alle scale metalliche ai lati dell'edificio.
Ignorando il suo buonsenso, che in quel momento gli stava urlando di non fare cavolate, aprì la finestra e si calò con successo sulle scale, atterrando forse troppo rudemente sulle ginocchia.
Scese in fretta scalino dopo scalino, sperando di non essere colto sul fatto da nessuno e chiedendosi, in un moto di lucidità come mai avesse visto così poche persone in un istituto di quel genere. Come poteva essere così scarsa la sicurezza?
Decise di non pensarci.
Arrivò al cancello, tentando di aprirlo con fatica e rinunciando, in favore di un'arrampicata alla meno peggio, balzando dall'altro lato per poi correre in direzione del rumore familiare e dal ritmo costante che aveva riconosciuto prima arrivato in quell'inferno di posto.
Era sicurissimo. Quello che aveva sentito era senza alcun dubbio il rumore di un treno che si muoveva dolcemente sulle rotaie, come in una partenza.
Doveva esserci una stazione nelle vicinanze.
Non fece tempo a domandarsi come arrivarci che un autobus si fermò davanti a lui per pura coincidenza.
Russel batté gli occhi un paio di volte, prima di salire e rivolgersi all'autista.
< C'è una stazione nelle vicinanze? > domandò con il cuore in gola.
L'autista, un uomo di mezz'età con un cappello di un arancione sgargiante che falliva nel coprirgli la prominente calvizie, annuì, facendogli segno di sedersi.
< Resta davanti, quando arriviamo ti faccio segno di scendere! > propose.
Russel obbedì, di nuovo sul punto di piangere, questa volta per il sollievo.

Arrivò in stazione che non poteva credere ai suoi occhi.
L'unico treno in partenza, dall'unico binario in quella misera fermata, arrivava non troppo lontano da casa sua. Se fosse riuscito a chiamare Brody, sarebbe riuscito a farsi portare a casa, al sicuro, peccato che il suo cellulare fosse rimasto nella borsa che non aveva avuto la prontezza di afferrare durante quel mezzo rapimento.
Decise che ci avrebbe pensato in un altro momento. Fece il biglietto con i soldi che grazie al cielo non aveva usato in caffetteria quello stesso giorno e in fretta salì sul treno, incredulo su come la giornata più nera di sempre fosse stata in un certo senso tra le più fortunate in vita sua.
Tutte quelle coincidenze non potevano essere un caso.
Si sedette all'interno di uno dei vagoni, del tutto disabitato, lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino, sovrappensiero.
Il panico lo sorprese con una fitta allo stomaco, quando avvistò due figuri neri proprio fuori dalla carrozza, parlare con il controllore con urgenza. Il loro volto era confuso e l'uniforme la stessa vista in precedenza, ma era sicuro non si trattasse di Bones e Sand, poiché non riusciva a collegare le poche fattezze che era in grado di distinguere in loro, ai due che si ritrovava davanti.
Fece per guardarsi intorno ansioso, trovandosi davanti un viso gentile, che lo colse di sorpresa.
< Qualche problema, giovane? > domandò l'anziana signora che silenziosamente aveva preso posto di fianco a lui, nonostante i posti liberi fossero tutt'altro che rarefatti.
Russel non seppe come rispondere, passando lo sguardo in modo frenetico tra lei e i due fuori dal finestrino.
< Eh sì, sembra una bella grana > constatò lei, tirando fuori dalla graziosa e spaziosa borsa un'enorme coperta di pile, di un verde discutibile.
Lui non rispose e troppo impegnato a seguire qualche ragionamento astruso per tirarsi fuori dall'ennesima situazione, non si rese conto all'ultimo momento di come la signora lo avesse avvolto stretto nella coperta, nascondendolo del tutto.
< Bada di non muoverti troppo, non vorrai far finire nei pasticci una vecchia signora come me >.
Russel non si mosse, nemmeno quando avvertì dei passi pesanti percorrere il vagone e riprese a respirare regolarmente solo quando, avvertito l'inizio della corsa, si sentì finalmente salvo.
Un altro colpo di fortuna.
< La ringrazio > iniziò il ragazzo, prendendosi solo in quel momento il tempo per osservarla attentamente. Gli occhi gentili erano di un nocciola particolarmente chiaro ed i capelli ingrigiti erano aggraziatamente raccolti un uno chignon, senza nemmeno un ciuffo fuori posto. La sua fragile figura era avvolta in uno scialle di lana, come quelli che nonna Alya portava in giro per casa, da questo, un vestito di un rosa sgargiante faceva capolino.
< Sembravi aver avuto una giornataccia > spiegò. Dal suo sguardo pareva ne sapesse più di quanto non sembrasse, ma decise di non approfondire, più per codardia che altro.
< Non immagina nemmeno... > mormorò tra sé e sé.
< Mi dispiace sentirlo > annuì lei. < Ho un regalo per te, per illuminarti la giornata > fece gentile.
Russel si girò, incuriosito < Un regalo? >.
La signora annuì ancora. Estrasse dalla borsa una piccola scatola di legno dall'aspetto raffinato e l'aprì con attenzione, porgendola a Russel che la prese tra le mani, scoprendola piena di caramelle all'arancia. Ne prese una, restituendo quella sorta di scrigno all'anziana, che però lo fermò con un gesto della mano.
< Puoi tenerla... consideralo un porta fortuna > strizzò l'occhio la donna, raccogliendo le sue cose con ordine ed avviandosi verso l'uscita, poco prima che la voce automatizzata chiamasse la fermata successiva.
Russel le sorrise ringraziandola nuovamente e salutandola con garbo.
Quell'incontro particolare lo aveva rasserenato e per il resto delle fermate restò a fissare il paesaggio, rigirandosi la scatolina dall'aspetto prezioso tra le mani.

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Siparietto di Val

Ehilà!
Dopo mille anni ho aggiornato! Allelujaaa!
Mi sono super concentrata su una mini-long per un contest e accidentalmente ho deciso di farne una long e mi sono distratta tutta la vita! èAé
Questo capitolo mi ha avuto. Ho fatto una fatica a correggerlo inimmaginabile, ultimamente ho un po' di crisi e faccio fatica a scrivere, quindi per il prossimo capitolo potrei non essere molto tempestiva...
Sapere cosa ne pensate sarebbe molto carino, quindi se la storia vi spiaciucchia per favore fatemelo sapere con una recensione, a volte motiva molto sapere che c'è effettivamente qualcuno che legge e apprezza! :3
Vi auguro una mmmmmeravigliosa giornata/serata/notte e visto che ci sono anche una buonissima Pasqua sperando di sopravvivere ai parenti vari!
Ci si “vede” alla prossima! Kisses <3

Val__

  
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