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Autore: Juken    14/04/2017    3 recensioni
«Ricapitoliamo»
Il sole era tramontato ad Ovest, l’afa intensa del pomeriggio stava dissipandosi un poco e nelle strade già silenziose della zona più periferica di Sunagakure la voce di Naruto sembrava essere l’unica ancora udibile.
«Ho tre desideri a mia disposizione» sussurrò fra sé e sé ancora incredulo.
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Rivisitazione di Aladdin (Disney,1992)
Soulmate AU | Naruhina - Accenni ShikaTema
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Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kurama, Naruto Uzumaki, Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Hinata/Naruto, Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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SOULMATE AU: 
Universo Alternativo in cui si presume che due (o più) personaggi siano destinati a stare insieme - a volte anche attraverso molteplici vite o nell’ aldilà. Le anime gemelle (soulmate per l’appunto) hanno una o più caratteristiche che li aiutano a trovarsi. Le più popolari e usate nei fanworks sono: un marchio\voglia\tatuaggio\cicatrice (detto anche soulmark) sulla pelle, la reincarnazione e l’alterazione dei sensi (attraverso il tatto, il profumo, un letterale cambiamento nella visione del mondo, ecc.). Sul web, comunque, circolano centinaia di idee, ispirazioni e varianti diverse.

 

 

 


 

BRILLA IL SOLE DA EST

 

 

 


Regardless of time, place or circumstances,
We will always be together.

 

 


«Ricapitoliamo»
Il sole era tramontato ad Ovest, l’afa intensa del pomeriggio stava dissipandosi un poco e nelle strade già silenziose della zona più periferica di Sunagakure la voce di Naruto sembrava essere l’unica ancora udibile.
«Ho tre desideri a mia disposizione» sussurrò fra sé e sé ancora incredulo.
«Esatto» gli confermò una voce stanca al suo fianco. 
Il Genio della Lampada, l’entità sovrannaturale con i più grandi poteri che l’uomo riuscisse ad immaginare, se ne stava afflosciato come un palloncino sgonfio su un gradino di pietra dell’antro sporco e malandato che Naruto chiamava casa, in attesa che il suo nuovo Padrone si decidesse a esprimere i suoi desideri. 
«Non mi sembra un concetto così difficile!» 
Nella sua lunghissima esperienza da Genio, non gli era mai capitato un Padrone così lento e tonto. Era passata più di una settimana da quando Naruto l’aveva risvegliato nella Caverna delle Meraviglie strofinando la Lampada d’oro, il più prezioso dei tesori custoditi al suo interno, eppure non aveva dato il minimo accenno di voler esprimere almeno uno dei desideri. Il Genio aveva finito col pensare che semplicemente non si rendesse conto della fortuna in cui era incappato o della portata dei suoi poteri. 
«Sono solo tre!» Naruto gli mostrò corrucciato tre dita della sua mano, ricordandosi la clausola secondo la quale non poteva esprimere un desiderio per avere più desideri. 
«Ci sono così tante cose che desidero che non so nemmeno da dove cominciare!» si lamentò.
«Beh, prima ne avevi zero» Il Genio sottolineò con ovvietà, non capendo dove fosse il problema. 
Dando una rapida occhiata alle scarpe bucate di Naruto, ai suoi sirwal malamente rattoppati, al tozzo di pane che proprio quella mattina aveva rubato al mercato o semplicemente alle assi di legno pericolanti unite per miracolo a mo’ di tetto, gli venivano già in mente uno o due desideri, senza dover ricorrere a tanta creatività.
«Il mio vecchio Padrone in una sola notte ha conquistato un Impero intero!» 
Lui voleva tornarsene nella sua Lampada il prima possibile e magari dormire per altri diecimila anni. 
«Voglio azzeccare quelli giusti, Kurama» 
Il Genio, anziché alzare gli occhi al cielo per l’ennesima volta di fronte alla sua indecisione, sussultò. Non si era ancora abituato a sentir pronunciare il suo vero nome. Di solito i suoi Padroni si riferivano a lui come “Genio”, “schiavo” o addirittura “demone”, ma mai nessuno aveva chiesto come davvero si chiamasse. Alla domanda di Naruto era rimasto così spiazzato che non era riuscito a rispondergli subito, come se neanche lo ricordasse il suo nome. 
«Padrone» incominciò ma fu subito interrotto da Naruto.
«Quante volte ti devo ripetere che non mi piace essere chiamato in quel modo lì!?» Sbottò arricciando il naso. «“Naruto”» disse poi indicando col pollice se stesso «e “Kurama”» puntualizzò facendo un cenno al Genio rossiccio dai tratti simili a quelli di un’enorme volpe un po’ burbera che aveva di fronte, mettendo fine con semplicità alla faccenda. 
Ai suoi occhi brillanti e blu le cose apparivano davvero così semplici e quello che si considerava un potente mostro era già diventato per lui un amico.
«Tu cosa chiederesti?» Kurama osservò con curiosità quel minuscolo essere umano, il più strano che avesse mai incontrato. Ecco un’altra di quelle domande che mai nessuno si era immaginato di porgli. Lui, a differenza di Naruto però, non aveva bisogno di pensarci su. Aveva scoperto che gli esseri umani non hanno bisogno di molto, eppure desiderano sempre così tanto. Al Genio sarebbe bastata una cosa soltanto.
«La libertà! Non dover più dire “Comanda Padrone – Comanda Padrone – Comanda Padrone”. Essere padrone di me stesso!Sarebbe una cosa più preziosa di tutte le magie, di tutti i tesori di tutto il mondo!» un luccichio attraversò gli occhi di Kurama solo per un breve istante «ma torniamo alla realtà. Il mio non è di certo un desiderio realizzabile»
«Perché?» Chiese Naruto dubbioso.
«Io sono un prigioniero, sono legato alla Lampada e la Lampada è legata a me. Solo un Padrone potrebbe liberarmi sacrificando un suo desiderio. Indovina quante volte è successo!» Disse sarcasticamente Kurama.
«Lo faccio io, te lo prometto!» Naruto esclamò immediatamente. Aveva sempre pensato che essere povero fosse orribile, ma essere intrappolato doveva esserlo ancor di più «quando avrai esaudito i miei primi due desideri, userò il terzo per liberarti»
Kurama stentava a credere alle proprie orecchie ma il sorriso di Naruto sembrava sincero.
«Affare fatto. Allora questi due desideri?» chiese ancora un po’scettico.
«Ma come faccio a sceglierli se non sono nemmeno sicuro dei fenomenali poteri cosmici di cui ti vanti tanto?» Naruto lo osservò alzando un sopracciglio. 
«Ti ho salvato dal crollo della Caverna delle Meraviglie, non devo dimostrarti nulla!» Kurama non sarebbe ricascato nello stesso tranello che aveva escogitato Naruto per uscire illeso dalla Caverna senza esprimere il desiderio.
«Allora perché non mi sai dire cos’è che ho sul dito?» instette lui.
«Magari perché sul tuo dito non c’è un bel NIENTE, come ti ho detto chiaramente la prima volta che me l’hai chiesto!» Kurama sbuffò alzandola voce. 
Naruto sapeva benissimo che cosa aveva sul mignolo ed era qualcosa che nessun altro riusciva a vedere. Aveva sperato almeno che un genio dai poteri mirabolanti come Kurama potesse aiutarlo a risolvere il mistero ma a quanto pare era destinato a rimanere irrisolto. Si rigirò la mano avvicinandola al viso come aveva fatto centinaia di volte da che ne aveva memoria. Ed eccola lì: una macchia rossa e indelebile, sottile come una piccola striscia avvolta al suo mignolo. Non si era mai spostata né sbiadita. Non era quella macchia in sé ad incuriosirlo – in fondo non era niente di eccezionale – e in altre circostanze avrebbe anche dimenticato di avere quel piccolo segno ma ogni volta che il suo sguardo si posava lì non poteva fare a meno di chiedersi perché mai riuscisse a vederla solo lui. 
Sospirò e come ogni volta lasciò perdere, cercando di concentrarsi sui desideri che davvero poteva esprimere.
«Ovviamente non voglio essere più uno straccione che rubacchia per sopravvivere ma non voglio semplicemente essere una persona ricca. Io voglio essere il Sultano!» affermò con fierezza. 
Kurama sospirò afflitto «Sunagakure ha già un Sultano! Questo significa che per farti prendere il suo posto dovrei ucciderlo e io non posso farlo! Perciò ti ripeto le regole fondamentali: Uno. Non posso uccidere le persone. Due. Non posso far innamorare nessuno di te. Tre. Non posso resuscitare i morti. Mi sembrava abbastanza chiaro anche questo. Però posso rendere te in grado di uccidere» 
Non sarebbe stata la prima volta che un umano gli avesse chiesto qualcosa del genere.
Ma Naruto negò con la testa. Non era nelle sue intenzioni diventare un assassino. Quello di diventare Sultano, tuttavia, era qualcosa che aveva profondamente desiderato sin da piccolo: essere un regnate capace di cambiare le sorti di un popolo intero. Che senso aveva diventare ricco per poi non essere capace di cambiare la realtà che l’aveva accompagnato per tutta la vita? Una realtà dura, ingiusta che vedeva come protagonisti tutti i più poveri di Sunagakure relegati ai margini della città. Orfani e senzatetto che - come lui - cercavano di sfuggire agli occhi delle guardie che punivano severamente anche chi rubava solo una semplice mela. 
Si fece pensieroso avvicinandosi all’apertura nel muro che gli permetteva di vedere la notte stellata, mentre Kurama tornava al suo gradino.
Quella in cui viveva Naruto era una vera e propria catapecchia, ma della vista non si era mai lamentato. Passava ore intere con lo sguardo fisso al di là di quella finestra improvvisata, gli occhi sognanti non abbandonavano mai il Palazzo del Sultano che, nella sua scintillante sfarzosità, era l’edificio più grande della città. Le sue enormi cupole dorate potevano essere viste da ogni angolo. 
Lì, c’era chi poteva fare qualcosa ed invece non muoveva un dito. 
Doveva cercare assolutamente di sfruttare al meglio che poteva i suoi desideri.
Proprio mentre era perso ad immagine le comodità e le ricchezze del Sultano con il naso all’insù verso il cielo, con la coda dell’occhio vide uno scintillio rosso nella strada sottostante. Si sporse di più verso il basso e affilò lo sguardo cercando di capire cosa fosse ma era già passato. Cos’era stato? Un lampo? Un’ombra? Quando alla fine pensò fosse stata la sua immaginazione ecco che lo vide di nuovo.
«Kurama! Kurama vieni qui presto!»
Il Genio che aveva preso a sonnecchiare gli si affiancò con un cipiglio.
«Che c’è?!»
«Che cos’è quello?» Naruto indicò la scia rossa che aveva catturato la sua attenzione.
«Quello cosa? Io non vedo niente!»
Intanto quel rosso acceso iniziava ad allontanarsi. Senza pensarci due volte, Naruto uscì di fretta e furia seguito da un Kurama perplesso.
«Forse hai visto un insetto?» suppose.
«No, no era… »
Una volta in strada Naruto non prestò molto attenzione al Genio, tutto intento a non perdere quella scia. Scivolò lungo i vicoli polverosi cercando di essere silenzioso. Saltò su un tetto basso per avere una visuale migliore. Da lì, come un gatto, proseguì attraverso i tetti più alti, fino a quando la scia non condusse i suoi occhi verso una fiaccola. Era l’unica fonte di luce in quelle strade deserte e illuminava una figura incappucciata. La seguì notando come quella strana scia rossa conducesse proprio verso di lei. Gli dava le spalle e lo spesso dupatta che gli copriva il capo non gli forniva nessun indizio su chi fosse. Impaziente azzardò un salto verso un tetto più basso, ma il rumore che provocò il suo atterraggio spaventò la figura che si voltò di scatto sorpresa facendo cadere la fiaccola già fioca. Naruto si maledì mentalmente mentre la figura riprese la fiaccola che per fortuna non si era spenta. Quando quella debole luce la illuminò di nuovo Naruto rimase senza fiato, credendo di avere un’allucinazione.
Era una ragazza. Aveva la pelle più chiara che avesse mai visto, un ciuffo di lunghi capelli scuri sfuggiva dalla stoffa che le lasciava libera solo il viso. I suoi occhi risplendevano chiari nel buio. Avrebbe volentieri continuato a scrutare il suo viso bellissimo, ma un particolare che per un attimo aveva dimenticato, gli fece spalancare gli occhi dalla sorpresa. Anche lei stava osservando la scia rossa, che non solo conduceva a lei ma terminava sulla sua mano, con esattezza sulla stessa macchia che circondava anche il mignolo di Naruto. «Ehi!» lui parlò ancor prima di riordinare i pensieri. 
Balzò giù dal tetto emozionato. Il cuore gli batteva forte senza motivo. 
La ragazza si immobilizzò così tanto che sembrava non respirasse nemmeno.
«Ehi! Lo vedi anche tu, vero?» le chiese ansante. 
Non ricevette nessuna risposta da parte sua, ma fece un piccolo passo timido verso di lui.

 

 * 

 

Come molte notti prima di quelle, la Principessa Hinata mise da parte tutti i suoi gioielli lasciando in testa solo il diadema che era appartenuto a sua madre, indossò il suo dupatta più pesante e logoro che avesse e si preparò a sgattaiolare fuori dal Palazzo del Sultano con quello che era riuscita a racimolare dalle cucine. Direzione: i quartieri più poveri che sapeva abitati dagli orfani più piccoli.  
Aiutata dalla sua complice segreta, la Principessa Temari, scavalcò il punto più basso delle mura che circondavano il Palazzo.
«Non essere in pensiero per me» le sussurrò.
«Torna presto» le intimò invece Temari, il sorriso piatto e gli occhi sempre così pieni di preoccupazione quando la vedeva scomparire nel buio della notte. 
Hinata, fiaccola alla mano, si addentrò cauta nelle stradine che ormai aveva percorso tante volte, respirando quello che illusoriamente gli sembrava profumo di libertà. 
Lei era l’ultima discendente della nobile dinastia Hyuga. Una dinastia spezzata, di cui ormai si era quasi perso il ricordo. All’età di cinque anni, quando il suo Palazzo era stata attaccato, sua madre era riuscita a metterla in salvo affidandola alla sua amica più fedele, la madre di Temari, che nel periodo in cui i ciliegi fiorivano veniva sempre in visita presso la sua famiglia. Stretta tra le sue braccia, circondata dalla sua piccola scorta, aveva attraversato l’immenso deserto che circonda Sunagakure e da allora risiedeva lì. La notizia dell’annientamento della sua dinastia era arrivata tanto veloce quanto dolorosa. Dopo la morte della madre, Temari era stata l’unica a restarle vicino diventando la sua unica amica. Pensava a lei mentre attraversava i vicoli bui e stretti. Ricordava ancora la prima volta che aveva varcato la soglia del Palazzo di Sunagakure - così diverso da quello a cui lei era abituata-  e Rasa, il Sultano, che nonostante il suo sguardo duro e severo l’aveva accolta e trattata come una dei suoi figli. Ma, mentre Kankuro e Gaara erano stati spediti a dirigere la protezione dei confini dell’Impero, lei – come Temari – non aveva il permesso di lasciare il Palazzo, in nessuna occasione. Per questo motivo manteneva segrete le sue passeggiate notturne. Anche se erano rischiose, non ne poteva fare a meno. Appena calava l’oscurità percepiva sulla punta dei polpastrelli come un fremito e il suo istinto naturale di aiutare gli altri aveva sempre la meglio. 
Qualche anno prima aveva sentito le sue guardie parlare dei bassifondi della città e di tutto il loro gran da fare per acciuffare gli straccioni che rubavano al mercato. Vedendo tutto il cibo che veniva sprecato a palazzo, aveva subito pensato ad una soluzione. Mentre lei cercava di aiutare chi poteva all’esterno, dietro quelle mura tanto sontuose, Temari si adoperava per scoprire perché il Sultano avesse iniziato a trascurare così tanto il suo popolo. Pensava fosse tutta colpa del nuovo Gran Visir, il viscido Orochimaru, che senza capire come o quando, si era insinuato a Palazzo e aveva iniziato a seguire Rasa come un’ombra tetra. Ma non aveva ancora capito in che modo avesse annebbiato la sua testa, così tanto che Rasa lasciava a lui anche le decisioni più importanti.
Distratta da quei pensieri Hinata non si accorse, in un primo momento, di aver sbagliato strada. Ma, quando vide di fronte a sé diramarsi nuovi viottoli - quando invece doveva essere già arrivata­ - fu presa da un pizzico di panico. Cercò di tornare sui suoi passi, ma più che avvicinarsi al Palazzo sembrava allontanarsi sempre di più. Un rumore alle sue spalle la fece spaventare tanto da farle allentare la presa che aveva sulla sua fiaccola. Si voltò e strabuzzò gli occhi. Nel buio pesto, proprio dinanzi a sé, come sospeso nel vento, c’era il filo rosso del destino
Raccolse la fiaccola senza neanche rendersene conto. C’era uno sconosciuto nell’oscurità che le stava parlando, ma le parole gli giunsero come un ronzio indistinto. Osservò il proprio mignolo dove partiva il filo che conduceva proprio verso lo sconosciuto. Dovette utilizzare tutto il coraggio di cui era capace per farsi avanti e cercare di ricordare, contemporaneamente, di respirare.
Quando la sua fiaccola illuminò entrambi, sussultò.
Di fronte a sé, c’era un ragazzo sorridente. Aveva i capelli biondi sparati in tutte le direzioni e con su un fez rosso tutto stropicciato. I suoi occhi erano blu e limpidi in netto contrasto con la sua pelle bronzea. 
Gli sorrise di rimando. 
Da quando per la prima volta sua madre gli raccontò la leggenda del Filo Rosso, aveva immaginato molte volte quel momento. Nella sua testa si erano susseguiti tanti scenari diversi, ma nulla eguagliava quello che sentiva in quel momento. 
«Ehm, dicevo… anche tu lo vedi?» 
Oh! Ma lui non ne sapeva niente! Il sorriso di Hinata si affievolì un poco, ma annuì.
Gli occhi dello sconosciuto si illuminarono e si voltò alla sua destra.
«Hai visto Genio! Lei lo vede! Non sono un bugiardo io!»
Hinata si incuriosì. Con chi stava parlando? C’erano solo loro due lì!
«Ma dove è andato a finire!» sussurrò lui confuso. 
Si riprese ben presto afferrando la sua mano «Devi dirmi tutto! Ti prego!» la Implorò.
«Io… non so se» Hinata era davvero indecisa. Come avrebbe reagito una volta messo di fronte alla verità nascosta dietro quel filo? Lei aveva avuto anni per abituarsi all’idea.
«Vieni con me e raccontami tutto!»  la voce di lui tradiva una certa impazienza.
Hinata esitò di nuovo, accorgendosi solo in quel momento di avere la mano ancora stretta nella sua. 
«Fidati di me» disse con una voce calda.

Quando giunsero alla casetta di Naruto, Hinata cercò di nascondere uno sguardo triste. 
«Si, lo so non è proprio degno di un Sultano, ma la vista è bellissima» disse indicando il paesaggio alle sue spalle. 
«Non sei di queste parti, vero?» continuò poi.
«Ehm…»
«Questo non è esattamente un posto sicuro per girovagare di notte» disse lui prima ancora che lei potesse elaborare una risposta verosimile.
«Ah! Che stupido! Io sono Naruto!» 
Hinata gli disse solo il suo nome e per il momento decise di mantenere la sua vera identità segreta e di rivelargli almeno la leggenda di cui a quanto pare Naruto era all’oscuro. 
«Sai che cos’è il filo rosso del destino?» gli chiese sedendosi al suo fianco.
Naruto negò col capo.
«Si racconta una leggenda secondo la quale due persone che sono unite da un filo rosso sono…»
«Sono?» la incoraggiò lui.
Lei prese un respiro profondo.
«Sono destinate a stare insieme. Non importa quanto venga allungato o attorcigliato, il filo non si spezzerà mai. Indipendentemente dal tempo, dal luogo o dalle circostanze, gli amanti sono destinati a trovarsi»
Hinata arrossì fino alla punta dei capelli e abbassò gli occhi. Ora di sicuro l’avrebbe presa per pazza.
Ma quello che gli disse poi Naruto la lasciò spiazzata.
«E tu hai trovato me!»
Hinata alzò gli occhi e vide il suo sorriso smagliante ed entusiasta. 
Si era sempre chiesta, una volta trovata la sua anima gemella, come fosse possibile innamorarsi di qualcuno così velocemente, qualcuno che non aveva mai incontrato prima e che la sorte le poteva mettere di fronte nei modi più strani possibili, solo perché legati da un filo. 
Quando Naruto fece scontrare il mignolo con il suo, il suo cuore perse un battito e la sensazione che la attraversò come una scossa le suggerì che non c’erano risposte logiche alle sue domande. 
«Perché lo vediamo solo noi? » riprese Naruto.
« Solo dalle persone che il filo collega può essere visto. Inoltre più sono vicine, più il filo appare evidente e definito come il loro amore, più sono lontane più il filo si allunga, si assottiglia e sbiadisce, questo perché l’amore è sempre un atto di fede» sussurrò ricordando a memoria le parole della madre. 
Restarono lì, vicini quasi tutta la notte, parlando come se si conoscessero da sempre.  
Alla luce dell’alba Hinata era già di ritorno nelle sue stanze, dove l’attendeva una Temari agitatissima.
«Perché sei tornata solo adesso? Non sei mai tronata dopo tutto questo tempo! Cosa è successo?»
«L’ho trovato!» disse Hinata tutta sorridente, indicando il suo mignolo.
La sua amica strabuzzò gli occhi. La Hyuga le aveva raccontato la leggenda dopo tutte le insistenze di Temari per sapere come mai osservasse così ossessivamente la sua mano. Ma la figlia del Sultano aveva sempre creduto che non fosse altro che un’invenzione, solo una leggenda per l’appunto.
Hinata gli raccontò tutto della notte appena passata, mentre Temari - stranamente silenziosa - ascoltava attenta.
«Non gli hai detto che sei la Principessa?» le chiese infine.
«No, ma lo vedrò di nuovo e-» 
«Non è una buona idea rivelarglielo. Stai attenta»
Hinata annuì. Il suo modo di essere protettiva verso di lei le scaldava il cuore.
Temari stava per uscire dalle sue stanze, quando si fermò per darle una notizia davvero sconfortante.
«Riposati per qualche ora, più tardi arriveranno i pavoni»
Quella prospettiva spense tutto l’entusiasmo di Hinata. I “pavoni” come li chiamava la sua amica, non erano altro che i pretendenti che giungevano a Palazzo per chiedere la mano di una delle due Principesse, da quando Rasa aveva deciso che le due avevano raggiunto l’età per sposarsi.

Quando il sole era alto nel cielo e la calura a cui Hinata non si era mai abituata aveva raggiunto la massima intensità, lei e Temari ricevettero nella sala principale tre pretendenti.
Quegli incontri finivano sempre male e tutti ritornavano da dove erano venuti offesi o arrabbiati dai loro rifiuti. 
Hinata aveva sempre saputo come riconoscere la persona a cui era destinata, mentre Temari era contraria fino al midollo a quella sceneggiata. Non aveva affatto intenzione di sposarsi. Da primogenita, voleva succedere al padre autonomamente ed avere il potere di cambiare quelle leggi ridicole.
«Quei pavoni arroganti e presuntuosi… mi viene voglia di trucidarli»
Quel giorno era ancora più arrabbiata del solito e Hinata cercò come sempre di placarla.
«Vengono anche da molto lontano…»
«Vengono qui come se fossimo un trofeo da vincere, avanzando le loro assurde pretese» la rimbeccò.
«potremmo almeno farli riposare qui prima del loro viaggio di ritorno»
«Per me possono riposare all’inferno!» detto ciò, Temari se ne andò e si chiuse nelle sue stanze.
Hinata scoprì solo più tardi che il Sultano aveva imposto a sua figlia di scegliere uno qualunque dei Principi, altrimenti avrebbe scelto lui per lei e la sua scelta sarebbe ricaduta su Orochimaru. 
La decisione di Rasa gli sembrò molto sospetta e assurda. Non c’era nessuna legge che imponesse il matrimonio con il Gran Visir, l’unico che ridacchiava fra sé e sé ad ogni rifiuto delle Principesse.
Orochimaru era un uomo alto, dalla pelle quasi grigia e dagli occhi inquietanti e neri. Gironzolava per il Palazzo come se gli appartenesse, senza mai separarsi dal lungo bastone a forma di serpente. Le aveva sempre provocato un gran timore e la sensazione costante che fosse l’ultima persona di cui potersi fidare. Non riusciva a togliersi dalla testa che stesse complottando qualcosa ma per fortuna le notti in cui sgattaiolava dal Palazzo per incontrare Naruto riuscivano sempre a risollevarle l’umore. 
Passò più di una settimana così: tra la ricerca assidua insieme a Temari per scoprire i piani di Orochimaru e trovare una scappatoia a quell’assurda unione e le notti in compagnia di Naruto.
Prima di scavalcare il solito muretto, una notte, Hinata si prese del tempo per parlare con Temari. Non era stata così distratta dai recenti avvenimenti da non notare come anche lei di tanto in tanto sfiorava il suo mignolo quando pensava che nessuno la guardasse. 
Le aveva sempre detto che non aveva nessun segno sul dito ma ultimamente Hinata aveva iniziato a dubitarne. 
«Tutto bene?» le chiese anche se sapeva benissimo che avrebbe evitato il suo sguardo e cercato di cambiare argomento.
«Devi uscire adesso e ricordati di non tornare troppo tardi» le rispose, per l’appunto. 
Ma continuò, sorprendendola «Hinata, come fai a credere così ciecamente a quella stupida leggenda? Cosa ti garantisce che le due persone siano davvero legate per sempre e che niente può davvero intromettersi tra loro?»
«Nulla lo garantisce! Ma in qualcosa bisogna pur credere, no? Perché non in quella leggenda?» le disse serena.
«Perché è solo una favola che si racconta ai bambini prima di farli addormentare!» le rispose schiettamente l’altra, rendendosi conto troppo tardi dello sguardo triste di Hinata.
«Non volevo dire questo…»
«Tu in cosa credi Temari? Non credi nell’amore? Che ci sia una persona destinata a te e te soltanto?»
«Credo che non sia un lusso che capiti a tutti quanti, che sposarsi per amore non è per le Principesse e che se anche esiste un filo, lo si può lasciare semplicemente cadere se dall’altra parte c’è qualcuno con cui non si può stare»
Hinata aggrottò le sopracciglia. Cosa voleva dire?
«ma questo non è il tuo caso, perciò vai!»
Non fece in tempo a replicare che Temari l’aveva già spinta dall’altra parte delle mura ed era corsa all’interno del palazzo.

 


«Ma dico l’hai vista? I suoi occhi! Oh i suoi occhi!» Naruto abbracciò Kurama in un impeto d’affetto. 
Da quando aveva incontrato Hinata aveva perso la testa ed era diventato ancora più tonto di prima, pensò il Genio sbuffando.
«Questa volta però non ti trasformare in una mosca e non nasconderti nel mio fez. Una settimana fa mi è preso un colpo!» lo rimproverò Naruto.
«Si Padrone!» gli disse sarcasticamente Kurama trasformandosi nel piccolissimo insetto.
«Ehi!» protestò, ma lasciò perdere quando da lontano vide arrivare finalmente la sua Hinata. Tutto il giorno non faceva che aspettare quel momento. Era così dolce, così bella! Gli aveva raccontato perfino di quello che faceva per gli orfanelli, di tutte le cibarie che distribuiva in gran segreto, come se avesse bisogno di qualcos’altro per farlo innamorare di lei! 
Non sapeva esattamente come avrebbe dovuto reagire alla notizia di essere legato a qualcuno dal destino. Quel che provava, però, era una sorta di calma.
Come se quello fosse il percorso naturale della sua vita.
Come se non aspettasse altro che una notte, una ragazza bellissima si sedesse vicino a lui e gli raccontasse la leggenda del Filo Rosso.
A volte gli sembrava un sogno troppo bello per essere vero, reale solo col favore del buio e che si dissipava sempre alle prime luci del sole. Non si soffermava mai a pensare perché non poteva mai incontrala di giorno o perché non lasciasse mai che lui l’accompagnasse a casa. L’importante per Naruto era che potesse vederla, tutto il resto passava in secondo piano. 
Quella notte passò più in fretta del solito. Lei era preoccupata per una sua amica e lui non sapeva proprio in che modo aiutarla! Le prese una mano fra le sue accarezzandone il dorso e cercò almeno di distrarla facendola ridere. 
Alle prime luci dell’alba lei, stranamente, era ancora lì con lui, il capo appoggiato sulla sua spalla. Li circondava una beatitudine così pura che sembrava un sacrilegio dover ricordare ad Hinata che doveva tornare a casa. Il suo profumo era così inebriante tanto da attirarlo come una calamita. Si avvicinò come non aveva mai osato prima d’allora. Lei arrossì ma non si mosse.
Sentì un piccolo pizzico sulla testa che lo fece sobbalzare in avanti, facendo combaciare così le sue labbra con quelle di lei. Non ebbe il tempo di maledire Kurama che già si era perso nel sapore di lei, dolce, esattamente come l’aveva immaginato. La assaporò avido, consapevole che l’avrebbe rivista solo la notte successiva.
Hinata abbandonò a malincuore la sua bocca troppo presto.
«Lascia che ti accompagni almeno fino al mercato» voleva rimandare il più possibile il distacco da lei. 
Quando giunsero lì, il sole era già sorto e i commercianti iniziavano ad allestire la loro merce. 
Naruto sperò che fosse ancora troppo presto per la prima ronda mattutina. Prese così, una mela da uno dei banchi di frutto cercando di non farsi beccare, ma quasi contemporaneamente sentì urlare alle sue spalle.
«TU! TOPO DI FOGNA» risuonò l’amorevole epiteto con cui si riferivano a lui le guardie della città. Le vide avvicinarsi nei loro turbanti bianchi inconfondibili e con le scimitarre già sguainate. Al suo fianco Hinata sbiancò. Non sarebbe mai riuscito a scappare insieme a lei, il terrore l’aveva immobilizzato sul posto. Di tutte le volte che era riuscito a farla franca, proprio in quel momento perfetto doveva rischiare di perdere una mano? 
A soccorrerlo però, con suo sommo stupore, fu proprio Hinata. Il suo corpicino esile si era interposto tra lui e le guardie. Lei lasciò scivolare il dupatta dalla testa, mostrando una cascata di lunghi capelli scuri tra i quali faceva bella mostra di sé un sottile diadema dorato.
«Fermatevi! È la Principessa che ve lo ordina! Aveva urlato con un tono fermo facendo voltare tutte le teste dei presenti verso di sé e inchinare le guardie che la riconobbero immediatamente.
La Principessa?
In un battito di ciglia Hinata era scomparsa dalla sua vista scortata dalle guardie e lui era rimasto come un allocco a bocca aperta tra la piccola folla che si era radunata.

 

 

Naruto non rimase lì a lungo. Più determinato che mai si avviò verso il Palazzo del Sultano, dove sapeva esserci qualcuno che avrebbe potuto chiarirgli le idee. L’entrata ovest dell’edificio – come tutte le altre entrate – era sempre sorvegliata da almeno una guardia. Quella ad ovest era sorvegliata tutte le mattine dalla guardia Shikamaru, uno dei pochi che non volesse farlo a fette ma che, anzi, l’aveva aiutato a scampare dai guai più di una volta.
«Ehi… Shikamaru» lo chiamò quando arrivò tutto trafelato.
Di solito lo sorprendeva sempre a sonnecchiare, ma questa volta sembrava agitato.
«Naruto! Non è un buon momento questo» gli sussurrò guardandosi intorno e assicurandosi che nessuno li vedesse.
«Hanno sorpreso la Principessa fuori dal Palazzo e sono tutti impazziti!»
«Allora Hinata è davvero la Principessa!»
Shikamaru si voltò di scatto verso di lui.
«Tu che ne sai di questa storia?» lo scrutò guardingo.
«Perché io ero con lei e diamine! Non lo sapevo mica che è la Principessa!» 
Sentì un profondo senso di colpa. Hinata era finita nei pasticci per colpa sua.
«Perché quando succede qualcosa ci sei sempre tu in mezzo?» Sospirò l’altro.
Naruto scrollò le spalle. Il suo era un talento naturale. 
Prese poi a raccontargli il loro primo incontro fino ad arrivare a quell’infausta mattina.
«Naruto tu lo sai che le Principesse non sposano gli straccioni, vero? Le Principesse sposano i Principi!»
gli disse la guardia seria, ma il biondo non sembrava per niente demoralizzato.
«Shikamaru tu non credi nelle Anime Gemelle? Nella persona destinata ad amarti?»
La guardia lo studiò a lungo e alla fine decise di rispondergli sinceramente.
«Certo che ci credo! Ma di solito è sempre dall’altra parte del mondo, dell’impero o del muro» sussurrò lanciando una rapida occhiata alle stanze più alte dell’edificio «chi ti dice il contrario ti sta solo raccontando una bella favola».
«I muri sono fatti per essere abbattuti e il mondo è fatto per essere attraversato. Dovresti dare più credito alle favole, lo sai? Hinata una volta mi ha detto che gli amanti sono destinati a trovarsi. E Io non mi faccio mica fermare da un muro!» affermò Naruto sorridente.
«E da un titolo nobiliare che non hai, invece?»
Prima che Naruto iniziasse a raccontargli di Kurama, sentirono un rumore di passi provenire dall’interno delle mura. Lui si nascose velocemente lasciando Shikamaru ritto sull’attenti.
Dalle enormi porte di legno, uscì un uomo avvolto in un mantello nero e rosso e retto da un bastone d’oro fin troppo familiare per Naruto. Diede una rapida occhiata di sufficienza a Shikamaru e si allontanò velocemente.
Naruto si affiancò di nuovo alla guardia.
«Io quello lì lo conosco!» disse indicando quell’uomo grigio, che gli sembrava molto più morto che vivo.
«Conosci Orochimaru?» domandò Shikamaru sbigottito.
«Non conosco il suo nome, ma conosco quell’orrendo bastone» 
Era stato lui a farlo introdurre con l’inganno nella Caverna delle Meraviglie, ma quando era riuscito a sopravvivere grazie a Kurama al suo crollo, di Orochimaru aveva perso ogni traccia.
«Stai lontano da lui, Naruto, è pericoloso»
«Lo so! È un serpente viscido e infido. Ricorrere alla stregoneria per trovare -»
«Stregoneria?» lo interruppe Shikamaru.
«Si, grazie a quel suo bastone inquietante»
«Ecco come fa!» Esclamò arrabbiato l’amico.
«Mi spieghi che vuoi dire? Come fa a fare cosa?» chiese il biondo.
Shikamaru si avvicinò di più a lui, abbassando ancora di più il tono di voce.
«Orochimaru da un giorno all’altro è divenuto Gran Visir senza che nessuno riuscisse a spiegarsi come avesse fatto. Ha fatto retrocedere mio padre, il precedente Visir e ha messo sotto scacco il Sultano che lascia fare tutto a lui. I suoi piani sono molto semplici da capire: vuole raggiungere il massimo potere e vuole prendere il posto di Rasa. Per farlo ha fatto in modo che il Sultano gli donasse sua figlia in sposa e ha minacciato Tem-» Shikamaru si schiarì la voce «la Principessa Temari di uccidere suo padre nel caso di un suo rifiuto!» 
«Ma non è giusto! Bisogna fare qualcosa!» Naruto si era subito infervorato «e io so anche a chi chiedere aiuto» disse sfiorando il suo fez dove – ancora nascosto e trasformato in mosca- c’era Kurama. 
«Hai detto che vuole raggiungere il massimo del potere, eh? Magari potrebbero fargli comodi dei fenomenali poteri cosmici! » continuò rimuginando.
«Sai una cosa Naruto?» lo chiamò Shikamaru, ricordando tutte le volte che il biondo lo aveva ossessionato con le sue sciocchezze.
«Cosa?» Naruto si voltò verso di lui mentre nella sua testa già prendevano forma i desideri che avrebbe chiesto.
«In fondo, saresti un buon Sultano»
Naruto sorrise all’uomo più intelligente e in gamba che conoscesse.
«Tu, invece, saresti un ottimo Gran Visir»

 

 *


Kurama riprese la sua forma naturale a braccia conserte e in attesa. 
Naruto ci aveva rimuginato su un bel po’ ma alla fine aveva p
reso la sua decisione. 
Avrebbe desiderato di diventare un Principe in modo tale da restare vicino ad Hinata, avrebbe reso prigioniero Orochimaru in una Lampada facendolo diventare un Genio e infine avrebbe liberato Kurama. Non sarebbe diventato immediatamente lui il Sultano, ma con molta fortuna avrebbe risolto così più di un problema. 
Non più sotto l’influenza di Orochimaru, ben presto Rasa avrebbe abdicato in favore della figlia, molto più assennata di lui e la Principessa Temari sarebbe stata libera di abolire le leggi obsolete, tra le quali anche quella che regolava chi dovesse sposare.
Quando le sorti di Sunagakure cambiarono, ad est il sole già brillava alto nel cielo.
«Kurama, sono pronto ad esprimere i miei tre desideri».

 

 

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Nda

 [Questa OS è stata scritta per il contest "Raccontami una favola!" indetto da supersara sul forum di EFP. Purtroppo è fuori dal contest a causa di un mio problema tecnico.]

Prendere le cose alla lettera. Troppo alla lettera.
Non so se essermi persa nel vortice delle SoulMate AU sia stato un bene o un male (decidete voi), ma scrivendo questa OS non riuscivo a togliermelo dalla testa. Ho deciso di trattare qui (si, perché ho altre idee che non so se vedranno mai la luce) la leggenda asiatica del filo rosso 姻缘红线 e di prenderla alla lettera. *sarcasmo mode: on* la mia originalità non ha confini! *sarcasmo mode: off*
Ho inserito una piccola spiegazione all’inizio per chi è meno pratico del mondo delle SoulMate AU. 
Sono stata in dubbio fino alla fine se realizzare la storia in questo modo ma quando l’OTP chiama le scrittrici pazze rispondono.

Alcune precisazioni.
- L’ambientazione geografica e cronologica usata dalla Disney è molto vaga, ovviamente. Ma io sono letteralmente impazzita nella ricerca dei termini esatti del vestiario non avendo riferimenti precisi. Ho usato:
sirwal: per i pantaloni che oggi chiamiamo Harem Pants (credo?) e che mi sembravano i più simili a quelli disegnati dalla Disney.
dupatta: per il velo\sciarpa\mantello che usa Jasmine\Hinata per coprirsi.
fez: invece è proprio il cappellino che usano Aladdin e la sua scimmietta nel cartone animato. (Sono stata davvero tentata di far diventare Abu, Sasuke. Ma solo per un attimo)
Se in qualche modo questi termini sono stati usati erroneamente, fatemelo sapere!

- Tutte le frasi in corsivo sono citazioni da Aladdin (Disney, 1992)

- La città immaginaria di Agrabah è stata sostituita da Suna, per ovvie ragioni.

- La tigre Raja ha ispirato un pelino il personaggio di Temari.

- Kurama che diventa il Genio è stata la mia parte preferita da scrivere. La condizione del Genio mi ricordava tantissimo la condizione da Cercoterio intrappolato nel suo jinchūriki.

- Non ricordavo per niente che il padre di Gaara, Temari e Kankuro si chiamasse Rasa >.<

- Ho pasticciato un po’ con l’età dei personaggi, che non corrisponde né a quella del manga né a quella dei personaggi Disney.

- E, ovviamente, ho pasticciato anche un po’ a livello storico.

- Principale fonte di ispirazione: “Le Notti d’Oriente” sia nella versione italiana che nella versione originale, ascoltate circa un triliardo di volte nel work-in-progress di questa OS. 


Parole: 5511

 


Ringrazio chiunque sia preso del tempo per leggere la mia ennesima cosa (?), roba (?), storia (?)

   Jūken

   
 
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