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Autore: AlenGarou    15/04/2017    0 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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8.

 

Eeeeeeeh I’m back, Bitches!

Quanto tempo, lo so. Vi sono mancata?

Vi chiedo perdono per essere sparita in questi mesi a causa di problemi di varia natura, ma grazie al cielo sono riuscita a recuperare un po’ di materia grigia per continuare a scrivere.

Spero che, nonostante tutto, il capitolo vi piaccia.

Buona lettura.

 

 

A

nsante, Ren indietreggiò di qualche passo. Emozioni contrastanti turbinavano nel suo corpo, lasciandolo intontito e sconcertato. Destabilizzato dagli ultimi avvenimenti, rimase a osservare sconfitto la porta che lo separava dalla sua preda. Le spalle e le braccia gli dolevano a causa dei colpi con cui aveva provato a sfondarla ma, nonostante i suoi sforzi, questa non aveva ceduto di un millimetro, rallentandolo. Ormai erano passati diversi minuti, troppi, da quando si era interposta tra loro. Malgrado la palese ostinazione, sapeva in cuor suo di essere del tutto impotente e ciò lo faceva profondamente incazzare. Stringendo i pugni fino a far scricchiolare i mezzi guanti di cuoio consunto che gli avvolgevano le mani, digrignò i denti prima di accanirsi nuovamente contro la maniglia arrugginita e inceppata. «Non provarci nemmeno Alex! Osa muovere il tuo culo da lì e vedrai che cosa ti farò se ti prendo! Mi hai sentito?» inveì, sperando che le sue minacce trapassassero il legno consunto.

«Ren…» Il lamento di Emily gli giunse alle orecchie ovattato, flebile. Lo ignorò.

«Preparati, perché…»

«Ren, ora basta. Se n’è andata» sbottò Keiran, abbastanza forte da oltrepassare la nebbia che gli offuscava la mente e fargli capire che stava offrendo ai presenti uno spettacolo ben più che pietoso.

Con un brontolio sommesso, Ren si arrese. Controvoglia, fece per allontanarsi dalla porta, quando un lieve cigolio proveniente dalla serratura lo distrasse. Arrabbiato e allo stesso tempo stupito, allungò una mano e la maniglia si abbassò docile sotto la sua presa. La porta si aprì, rivelando un silenzioso e vuoto corridoio. La richiuse con un moto di stizza, facendola tremare violentemente. «Non ci credo…»

«Wow, è bello scoprire quali siano le tue priorità.» La voce di Mark risuonò così carica di risentimento che non poté fare a meno di rivolgergli un’occhiata sprezzante. Appoggiato accanto al caminetto, il ragazzo l’osservava cupo, gli occhi che brillavano dalla rabbia mal celata.

«Disse colui che aveva il semplice compito di tenere d’occhio una ragazzina ubriaca.» Ren si allontanò dall’uscio per fronteggiare il compagno, ignorando la preoccupazione esibita sui volti degli altri. «E poi, scusami se non voglio entrare nelle mutande di tua sorella, ma non è questo il punto.»

«Ah, sì? Prego, illuminaci Fauster

Ren ricambiò lo sguardo di sfida del ragazzo e fu allora che, con sua sorpresa, se ne accorse. Si frequentavano da quasi tre anni ormai, eppure non erano mai entrati in sintonia. Diamine, era già tanto se in quel lasso di tempo erano diventati compagni di sbronze. Per dirla tutta, Ren non era mai stato un tipo da amici; tuttavia, se qualcuno voleva unirsi a lui per portare un po' di caos in quella pacifica città, era più che il benvenuto. Ecco perché non aveva avuto nulla in contrario nel sopportare la presenza di Mark e quella di John, seguite poi da quella seccatura che rappresentava la sua cara sorellina. Sviluppare legami ed entrare in confidenza con qualcun altro che non fosse se stesso era tutto un altro paio di maniche, per cui non si era mai preoccupato di poter ferire qualcuno con il suo atteggiamento. Benché meno se l’ostilità era reciproca. Malgrado ciò, osservando quel viso così famigliare, si rese conto che la fiducia e la leadership che aveva conquistato senza alcuno sforzo si stavano incrinando pericolosamente. E ciò non avrebbe portato a nulla di buono.

«Pensaci un attimo» ribatté Ren con un sospiro, cercando di farlo ragionare. «Dakota è al sicuro, dato che persino lo spirito l’ha ignorata. E lo stesso vale per Leyla. Ciò non si può dire di Alex o hai dimenticato che cosa è accaduto nelle ultime ore? Non stava nemmeno partecipando alla seduta; il fantasma avrebbe dovuto cercare di possedere uno di noi, non lei. Perché attaccarla?»

Mark scosse il capo con irritazione. «Forse perché ha una predilezione per le sociopatiche con manie di protagonismo e un istinto di sopravvivenza pari a zero? Lasciamola fare quello che vuole, noi abbiamo altri problemi!»

Ren strinse i pugni, pronto a rispondere a tono, quando una voce s’intromise nella loro conversazione.

«Alla luce dei fatti, non posso che essere d’accordo con Mark.»

«Gregory!» squillò Emily con la voce acuita dalla sorpresa. Guardò l’amico accanto a lei con un’espressione basita stampata in volto; gli occhi stralunati e la bocca spalancata le conferivano un’aria quasi comica.

«In parte» si corresse subito dopo il giovane. Nervoso, si passò una mano tra i riccioli neri. «Anche se questa situazione non mi piace, Alex è in grado di badare a se stessa. Lo sai com’è fatta e hai visto come ha reagito poco fa. Per quanto sia preoccupato per lei è inutile negare l’evidenza: lavorare in gruppo non è mai stato il suo forte e obbligarla a rimanere con noi non farà altro che peggiorare le cose. Per il momento lasciamole il suo spazio e concentriamoci sulla realizzazione del nostro piano. Abbiamo ben altro a cui pensare.» Il suo sguardo s’ombrò e si voltò a osservare Ren.

«Oh, quindi ora sarebbe colpa mia?» sentenziò lui, rivolgendogli un gestaccio.

«Appoggio Gregory» intervenne Sarah, ignorando l’occhiata colma di rammarico dell’amica. Subito dopo, John la imitò, facendo un cenno col capo.

Nella stanza discese un silenzio opprimente. I ragazzi si osservarono per qualche momento; alcuni in cagnesco, altri dubbiosi e altri ancora semplicemente stanchi e abbattuti. Fu Emily a riprendere esitante la parola. «Quindi nessuno andrà a cercarla?»

«Credimi, Emily. Sarà lei a non farsi trovare» commentò Gregory con un sospiro.

«Molto bene allora.» Ren digrignò i denti, sconfitto. «Emily, Sarah e Keiran andranno a cercare il sale e, nel mentre, terranno gli occhi aperti per Leyla; dubito che sia andata lontano. John e Gregory, a voi il compito di recuperare qualsiasi cosa fatta di ferro. Mark proverà a far ragionare sua sorella e…»

«No, mia sorella è compito tuo. Io ho ben altro in mente.» Nel scorgere il suo sguardo dubbioso, Mark continuò, staccandosi dal muro e camminando verso di lui. «Hai presente quel vecchio fucile che abbiamo trovato mentre setacciavamo lo sgabuzzino?»

«Sì, e non capisco come una vecchia ferraglia possa esserci d’aiuto in questo momento.»

«Beh, con un po' di lavoro potrei riuscire a ripararlo e d’altronde dove c’è un’arma ci sono anche delle munizioni. Ricordati che lavoro part-time nell’armeria del vecchio Frankie» aggiunse in fine, accorgendosi del suo sguardo scettico.

«E dimmi, che cosa te ne farai di un fucile? Dubito che i fantasmi risentano del piombo.» Al contrario delle persone. Concluse mentalmente Ren.

«Non sono così stupido da sprecare pallottole, ma sono dell’idea che sia sempre meglio avere un’alternativa.» Dalla durezza dello sguardo con cui il giovane lo ricambiò, era probabile che avrebbe crivellato lui di colpi se avesse osato ferire di nuovo la sua cara sorellina e non solo. Anche se non gli dispiaceva l’idea di avere un’arma in più a disposizione, Ren non si sentiva tranquillo; qualcosa aveva fatto scattare in lui una sgradevole sensazione. Perché era una certezza che un’arma da fuoco funzionale prima o poi avrebbe sparato un colpo, indipendentemente dal bersaglio prestabilito. E un fucile nelle mani della persona sbagliata…

Si ritrovò a sbuffare. «E immagino che l’ingrato compito di trovare tua sorella spetti a me.»

Mark gli rivolse un sorriso privo d’allegria. «Esatto. E Ren… spero per te che stia bene.»

 

 

 

Dopo aver ultimato i preparativi e aver racimolato il coraggio necessario, i ragazzi lasciarono il salotto come concordato. Si avventurarono in silenzio nel corridoio, procedendo in fila indiana. Visibilmente tesi, i loro occhi sondarono ciò che li circondava con ansia crescente, presi dalla convinzione che un fantasma avrebbe fatto capolino da dietro una porta per spaventarli come in uno sketch dei vecchi film. Sprezzante del pericolo e incurante degli altri, Mark s’incamminò con passo deciso verso la sua meta, separandosi ben presto dal resto del gruppo senza soffermarsi a dire alcunché. Ren tenne gli occhi puntati contro la schiena del ragazzo fin quando la sua chioma bicolore non svoltò l’angolo, incerto su come procedere. Una parte di lui fremeva dal desiderio di raggiungere Alexander, mentre l’altra, la più seccante, lo spronava per una volta a fare la cosa giusta, rendendolo insofferente. Dopotutto, era Dakota la “damigella in pericolo”, non lo sgorbio. Sospirò amareggiato, ma i suoi dubbi ebbero vita breve.  

Erano quasi arrivati all’androne quando si trovò a fermarsi, il viso rivolto verso un corridoio laterale. Non fu la luce intermittente emessa da una lampada difettosa a catturare il suo interesse, né il lieve spostamento d’aria che aveva mulinato la polvere. Ciò che lo bloccò sul posto fu invece il lieve riflesso che colse con la coda dell’occhio. Una traccia minima, quasi invisibile per una persona inesperta. Per sicurezza, Ren riportò lo sguardo sugli altri, scrutandoli mentre continuavano ad avanzare ignari della sua assenza. Senza alcun ripensamento, voltò loro le spalle e procedette a indagare. Dopotutto, cosa poteva mai accadergli di male?

Non dovette compiere più di qualche passo per scoprire l’origine della sua curiosità. Alcune schegge di vetro scricchiolarono sotto il peso dei suoi anfibi quando fronteggiò lo specchio rotto agganciato al muro. Ignorò la pacchiana cornice di metallo ossidato ed esaminò con attenzione il modo in cui la lastra si era incrinata. Il colpo era stato deciso, forte, al punto da sprigionare una ragnatela di crepe sulla superficie opaca e da far cadere a terra i frammenti situati all’epicentro. Il chiaro segno di un pugno. Spostando lo sguardo sul pavimento, si accorse delle gocce di sangue ormai rappreso che decoravano i pezzi caduti.

«Mary Sue… Perché non poteva essere una Mary Sue?» mormorò tra sé e sé con rassegnazione, inchinandosi a osservare le prove del passaggio di Alexander. Non volle nemmeno scoprire il motivo per cui aveva deciso di affibbiarsi sette anni di sfiga e una lettera di protesta da parte di Bloody Mary, santa protettrice degli specchi. D’altronde, preferiva di gran lunga che quello sgorbio sfogasse le sue turbe psichiche contro gli oggetti inanimati piuttosto che con la sua splendida faccia. Il suo viso si contrasse in un sorriso, ma quella scoperta non lo rincuorò come credeva. Qualcosa doveva averla turbata.

Con un sospiro si raddrizzò, pronto ad andare fino in fondo a quella faccenda. Stette per inoltrarsi ancora di più in quella direzione, quando alle spalle percepì qualcuno che stava accorrendo verso di lui, costringendolo a fermarsi. Dopo qualche istante di tensione, Keiran fece la sua apparizione. I suoi occhi sembravano stralunati nella penombra.

«Eccoti, finalmente! Ti stavo cercando.»

«Non dovresti essere con Emily e Sarah in questo momento?» sbottò Ren, visibilmente irritato da quel contrattempo non richiesto.

Keiran gli si avvicinò di corsa. «Loro sono in cucina, al sicuro. Avevo bisogno di parlarti in privato.»

Ren incrociò le braccia, in attesa. «Ebbene? Ora siamo soli, quindi dì quello che devi e poi tornatene da quelle due, prima che decidano di evocare Crowley per un tè. Quello sgorbio non si troverà da solo…»

«Intendi Dakota» puntualizzò l’irlandese.

«Quello che ti pare» lo liquidò con un gesto della mano. «Avanti, non ho tutta la notte.»

Keiran aprì la bocca per parlare, tuttavia la sua attenzione fu calamitata dallo specchio rotto al suo fianco. A quella vista, sussultò lievemente per la sorpresa. Quando riportò il suo sguardo su Ren, il ragazzo notò il cambiamento nel suo colorito: era impallidito. Keiran fece per riprendere il discorso ma, non appena le prime sillabe gli solleticarono le corde vocali, richiuse immediatamente le labbra. Se dapprima sembrava morire dalla voglia di condividere con lui chissà quale segreto –e in cuor suo sperava non fosse la ricetta del Coddle di sua nonna- in quel momento parve titubante, come se avesse dei ripensamenti. Se a frenarlo era la preoccupazione per come avrebbe reagito nell’udire la sua rivelazione, in realtà era sulla buona strada per farlo incazzare.

«Si tratta di Alex» riuscì infine a mormorare il rosso tutto d’un fiato.

A farlo incazzare di brutto.

«Lei è…» Il ragazzo si bloccò di nuovo, mordendosi il labbro come una ragazzina mentre cercava di trovare le parole giuste. Il suo sguardo continuava a cadere sullo specchio. «Insomma, lei…»

«Per l’amore di Darth Vader, che c’è?» sbraitò Ren, facendolo sussultare.

«Quando la troverai… cerca di non dire nulla che possa offenderla. Abbiamo bisogno di lei, lo sai, e i vostri continui battibecchi non ci sono utili. Quindi… non aizzarla, non flirtare, limitati solo a riportarla da noi e a tenere la bocca chiusa.»

Ren l’osservò in silenzio con un’espressione greve, ragionando sulle sue parole con finto interesse. Dopodiché inarcò un sopracciglio con fare scettico, mettendo a dura prova la sua forza di volontà nel tentativo di non rispondergli in malo modo o peggio. «Tutto qui? Volevi dirmi solo questo?» sibilò.

Keiran lo guardò stizzito, ma attraverso i suoi occhi, Ren capì che c’era un pensiero costante che lo inquietava. Ancora una volta il ragazzo ponderò bene le sue parole prima di esprimerle. «No, io… Sì. Nient’altro. Probabilmente mi sono sbagliato.»

E poi continuavano a ripetergli che picchiare qualcuno non era affatto civile. «Non mi stupisco. E ora, se vuoi scusarmi, ho di meglio da fare…» sentenziò, ritornando sui suoi passi con la speranza di chiudere lì quella inutile conversazione.

«In effetti c’era un’altra cosa» sentenziò all’improvviso Keiran. Ren fu sul punto di saltargli addosso quando il ragazzo continuò. «Mentre venivo a cercarti, ho sentito Mark inveire come uno scaricatore di porto. Da quel che sembrava, deve essergli caduto addosso mezzo sgabuzzino.»

A suo malgrado, Ren non poté trattenere un sorriso divertito.

 

 

Dakota arrancava senza meta nelle tenebre. Teneva il cellulare puntato davanti a sé nonostante la sua luce si stesse affievolendo a poco a poco, rendendo sempre più difficile distinguere i dintorni. Abbandonata la sicurezza del pianterreno, si era avventurata in quello superiore per evitare di essere trovata da quei falliti, in particolar modo da suo fratello. Non voleva che la vedessero in quello stato, né che la costringessero a tornare da… lui. A quel pensiero gemette senza controllo. Gli occhi arrossati le bruciavano sia per la polvere sia per le lacrime nere che ancora le scivolavano silenziose lungo le guance, sciogliendo con il loro passaggio il trucco a cui aveva dedicato tanta cura.

Era un disastro! L’intera serata era un disastro! E la colpa era solo di quella ragazzina! Fece un respiro profondo. No, non era del tutto esatto. Anche Ren aveva una grossa fetta di responsabilità. Così cieco, così perso nell’inseguire i suoi irrealizzabili desideri da non accorgersi della verità, era arrivato al punto di riversare su di lei la sua frustrazione. Se solo le avesse dato una possibilità…

Trattenendo un singhiozzo, si fermò per asciugarsi gli occhi umidi con il dorso della mano, incurante di espandere le chiazze di eyeliner che le macchiavano la pelle. Era stanca di sentirsi la ruota di scorta di qualcuno. Quando Ren era entrato nella sua vita, aveva creduto che fosse la sua possibilità di aspirare a qualcosa di meglio. Era così sicuro di sé, magnifico, oscuro… Molte ragazze la invidiavano per quel poco tempo che riusciva a trascorrere con lui a causa di suo fratello, e quando Ren non si era tirato indietro ai suoi flirt aveva pensato che tra loro fosse scattato qualcosa. Ma ora non aveva più importanza. Aveva capito il suo sbaglio. Avrebbe dovuto essere chiara fin dal principio su cosa voleva da lui.

Persa in quell’autocommiserazione che mal si addiceva alla situazione, Dakota non si accorse dell’ombra rossa comparsa alle sue spalle. La stava seguendo già da qualche tempo, rimanendo celata con il favore delle tenebre. La ragazza avrebbe potuto notare la sua presenza in qualsiasi momento, se solo avesse avuto il coraggio di voltarsi, ma la presenza contava proprio su questa mancanza di coraggio per agire indisturbata.

Alex la stava scrutando in silenzio, gli occhi fissi sulla sua schiena ossuta piegata dal peso di un dolore che non comprendeva e l’annoiava. Non provò ad avvicinarla nemmeno quando ricominciò a piangere, né a consolarla. Si limitò semplicemente a inclinare il capo, protraendo una mano verso di lei. Stava quasi per raggiungerla quando si fermò, il calore emanato dal suo corpo che le solleticava le punte delle dita protratte. Alex abbassò il braccio e le rivolse un lieve sorriso. Poi scomparve di nuovo nelle tenebre.

Dakota si voltò di scatto, avvertendo uno spostamento d’aria dietro di lei. Improvvisamente in allerta e spaventata, scrutò con attenzione ciò che la circondava, ma i suoi occhi carpirono solo il vuoto. Deglutì sonoramente e senza perdere altro tempo si diresse verso l’ultimo piano, certa di poter trovare un attimo di pace. E lo stesso pensava il bambino che la seguiva poco distante. Almeno finché non si rese conto che un altro dei loro ospiti era giunto per giocare con lui.

 

 

Nonostante il turbamento iniziale, Ren appariva piuttosto tranquillo. Con una mano infilata nella tasca dei jeans consunti e l’altra che reggeva il cellulare per illuminare i possibili ostacoli sul suo percorso, procedeva con passo lento e regolare per i corridoi disabitati del primo piano. Se il suo istinto non sbagliava, Alex si trovava lì per evitare di avere compagnie indesiderate. O meglio, così affermavano le prove; le impronte impresse nella polvere accumulata negli anni erano meglio delle briciole di pane lasciate da Hansel e Gretel. E per un rapace vorace come lui consistevano in un lauto banchetto. Inoltre, era stato un gioco da ragazzi riconoscere la sagoma dei suoi stivali in mezzo alle altre, fin troppo grandi per poterle appartenere. Non gli rimaneva altro da fare che seguirle fino a lei, per poi prenderla a sculacciate fin quando non gli fosse stancato il braccio.

Fece per sorridere malizioso a quel pensiero, quando un lieve scalpitio alle sue spalle lo fece sussultare. Colto alla sprovvista, si voltò appena in tempo per scorgere la figura di un bambino scomparire in lontananza. Sbatté le palpebre e… capì di essere nella merda. Ebbe un attimo d’esitazione e scosse il capo; doveva essere un brutto scherzo della sua mente, tutto qui. Ritornò sui suoi passi, questa volta con i sensi in allerta. Ci voleva ben altro per spaventarlo, questo era certo. Finché aveva una luce a guidarlo non aveva nulla di cui temere. E, con crudele ironia, il suo cellulare scelse proprio quel momento per spegnersi. Una risata infantile echeggiò nel corridoio.

Porco diavolo.  

Nelle tenebre, Ren rimase immobile. Controllò il suo respiro, mantenendo una calma glaciale, sapendo che concedersi al panico l’avrebbe fatto cadere dalla padella alla brace. Chiuse gli occhi una, due volte, aspettando che si abituassero all’oscurità quel tanto che bastava per distinguere i dintorni. Una volta ripreso il controllo, si voltò lentamente, conscio di essere osservato.

Il fiato gli si bloccò in gola, ma si trattenne dal compiere qualsiasi movimento, persino il più lieve. Alle sue spalle, un bambino era fermo al centro del passaggio. Il suo aspetto era quanto più infantile: un po' in carne, con le guance paffute e i grandi occhi privi di vita. Avrà avuto poco più di otto anni ed era pallido, quasi traslucido, come se fosse uscito da una foto in bianco e nero.  Ren s’irrigidì, ma il piccolo si limitò a osservarlo in silenzio con la tipica espressione innocente degli infanti.

Poi accadde.

A poco a poco, una strana sensazione gli scivolò lungo il corpo, rendendolo frastornato. Senza rendersene conto, Ren si ritrovò ad avanzare verso il bambino, incurante del motivo che l’aveva spinto fin lì, dimenticando la sua ricerca. Quando fu abbastanza vicino, il piccolo alzò una mano protraendola nello spazio che li divideva, in attesa. Esitò. Fece per stringergliela, ma all’ultimo momento si ritrasse, inchinandosi verso di lui. Il bambino l’osservò stupito, quasi spaventato dalla sua reazione non prevista. Ren dovette sforzarsi di rimanere impassibile finché i loro volti non furono allo stesso livello. Solo allora si concesse di espellere un sonoro “Bo!” dalla bocca. Il piccolo sussultò violentemente, colto alla sprovvista. I suoi occhi vuoti divennero ancora più grandi dalla paura e, senza pensarci due volte, gli diede le spalle incominciando a correre come una furia lontano da lui, fino a scomparire in un muro.

Ren si rialzò soddisfatto, spolverandosi la polvere dai jeans. «Stupidi fantasmi» esclamò con un sorriso ironico dipinto sul viso. Se erano questi gli spiriti con cui avevano a che fare allora… Non concluse quel pensiero. Era stato così stupido da credere di essere la causa di quella fuga affrettata.

Una mano fredda come il ghiaccio lo ghermì per un polso, facendolo letteralmente saltare sul posto. Ren abbassò lo sguardo e la bambina comparsa al suo fianco si portò un dito davanti alle labbra, intimandogli di tacere. Subito dopo e senza aspettare una sua reazione, lo sollevò in alto sopra la testa. In quel preciso istante, un rumore sospetto catturò la sua attenzione, facendogli alzare gli occhi fino al soffitto. Il legno sovrastante scricchiolò sotto il peso dei passi che gravavano su di lui, riempiendo l’aria di polvere. Mentalmente Ren imprecò. Qualcuno era stato così stupido d’avventurarsi fin lì nonostante le precedenti raccomandazioni e, sfortunatamente per lui, sapeva bene chi poteva essere così incosciente da sfidare un simile pericolo per un po' di attenzioni. Fece per riportare la sua attenzione sulla piccola, ma questa si era già dileguata nel nulla, come se non fosse mai stata con lui. L’unica prova della sua apparizione, svettava sul suo polso sotto forma di un’impronta arrossata. Trattenendo un moto di stizza, Ren non indugiò oltre. Aumentando il passo, si diresse verso le scale di servizio più vicine.

 

Come previsto, trovare la causa delle sue pene non risultò difficile: fu lei a saltargli addosso per stringerlo in un abbraccio umido e irritante. Non aveva dovuto compiere più di qualche passo, pregando che il legno marcio sotto i suoi piedi non gli giocasse brutti scherzi, quando Dakota comparve da un angolo per abbracciarlo. Una volta tra le sue braccia, la giovane perse ogni ritegno. Si strusciò contro di lui, mormorando frasi senza senso sul fatto che era sicura che l’avrebbe trovata, fino a interrompere quegli striduli miagolii sulle sue labbra. Preso alla sprovvista da quella massima espressione di felicità, Ren non reagì subito. Lasciò che la calda pressione della sua bocca gli rubasse il respiro. Fu solo quando la ragazza tentò di approfondire il bacio che l’afferrò per le spalle, scostandola da lui.

«Dakota, fermati…»

«Sapevo che saresti venuto. Lo sapevo. Ci tieni a me nonostante…»

«Ora basta!»

Dakota sussultò, impallidendo tra le sue mani. Ren sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa per il suo comportamento, ma in quel momento desiderava solo riportarla dal fratello per lo cessare delle ostilità; anche a calci se necessario. Dovevano andarsene da lì il prima possibile e non solo a causa dei fantasmi.

«Ascoltami, dobbiamo tornare subito dagli altri. Qui non è sicuro.»

«Certo… e io dovrei seguirti come un cagnolino solo per vederti filtrare con quella lì? Nemmeno per sogno» esclamò impettita, incrociando le braccia al petto.

Nell’udire quella frase, Ren si passò una mano sul volto, esasperato. «Sul serio? Con tutto quello che sta accadendo ti preoccupi di queste stronzate? Maledizione, bambina. Se non fosse per tuo fratello ti lascerei qui a marcire nella tua gelosia!»

Dakota sgranò gli occhi e spalancò la bocca, sorpresa da quell’uscita. Almeno finché la sua parte offesa non tornò allo sbaraglio. «Oh, sarei io la gelosa? Ma se non hai fatto altro che fulminare con lo guardo chiunque le si avvicinasse per tutta la sera? Sul serio, Ren. Sei patetico! E un illuso!»

Lui si limitò ad alzare un sopracciglio. «Vogliamo parlarne?»

Dakota strinse i pugni e sbatté i piedi per terra, facendolo sbiancare quando il pavimento sotto di loro scricchiolò in risposta di tale capriccio. «Lei non ti guarderà mai come faccio io! Perché non lo vuoi capire? Non ti ho mai mentito su quali fossero i miei sentimenti, mentre tu non hai fatto altro che illudermi! Io… io… ti amo! È solo grazie a te se ho finalmente trovato la forza di rialzarmi. È solo grazie a te se ho capito di poter aspirare a qualcosa di meglio, di reale e…»

Mentre parlava, Ren si era limitato a osservarla con un’espressione indecifrabile, facendole interrompere a poco a poco il suo monologo in un mormorio senza senso.

«Proprio non ci arrivi?» le chiese, riprendendo la parola quando si azzittì. «Non cerco qualcuno da sostenere perché si sente perso in questa vita e nemmeno un santo che mi prenda per mano per consolarmi nei miei fallimenti. Sono circondato da persone che scodinzolano come cagnolini in attesa di un mio cenno di approvazione e non me ne serve un altro! Io desidero qualcuno che cammini al mio fianco come mio pari. Nulla di più. E quella persona non sei tu.»

Nell’udire quella constatazione, le lacrime ricominciarono a scivolarle lungo le guance, bruciando di vergogna. Dakota gli rivolse un sorriso tirato, allontanandosi da lui incerta, come se l’avesse appena colpita. «Dunque è così… Credi davvero che quella mocciosa sia la persona che cerchi? Come minimo ti scaverà la fossa e ti ci butterà dentro a calci!»

A calci? Nah, era più probabile che lo tramortisse con un colpo in testa e lo seppellisse vivo giusto per avere la soddisfazione di saperlo agonizzare. Ren le rivolse un sorriso mefistofelico. «Non vedo l’ora.»

«Tu… tu…» Dakota balbettò, il labbro inferiore che le tremolò privo di controllo. A quella vista, Ren non poté fare a meno di sospirare con rammarico. Ancora non capiva perché avesse deciso di seguire l’indicazione di quella bambina defunta. Avrebbe dovuto prevedere che la fregatura sarebbe stata dietro l’angolo.

«Ascolta, Dakota…» mormorò lui, cercando di addolcire il suo tono nonostante la palese irritazione. «Mi sento generoso: ti concedo cinque minuti per riprenderti; dopo di che, se non vedrò il tuo culo scendere di sotto, verrò a prenderti con la forza. Se non vuoi farlo per me, almeno fallo per tuo fratello.» Affermato ciò, non le lasciò il tempo di replicare. Fece dietrofront e si diresse verso le scale, lasciandola in piedi in mezzo alle cianfrusaglie e alla sua distrutta autostima. Sempre se ne avesse avuta una. Non poteva negarlo; era uno stronzo di prima categoria, ma uno stronzo con dei principi, per quanto la gente non lo credesse impossibile.

Appena scese l’ultimo scalino, incominciò a cercare nelle tasche della giacca il suo portasigarette con impazienza. Ne sentiva un impellente bisogno. Malgrado ciò, invece di trovare la scatola di metallo, le sue dita incontrarono qualcosa di morbido che lo lasciò interdetto. Si era dimenticato di avere ancora l’orsetto di pezza. Lo estrasse, rigirandoselo tra le mani con un’espressione distratta, scordando persino la voglia di fumare che l’aveva colto poco prima. Senza rendersene conto, sul suo viso comparve un lieve sorriso. L’aveva tenuto con sé con l’idea di consegnarlo a quello sgorbio, sapendo che, sotto quell’espressione da sfinge, adorava certe stronzate. Ma ovviamente, una volta insieme, non avevano perso tempo con i convenevoli ed erano passati subito all’urlarsi contro. Sospirò. Era sempre stato così, fin dal loro primo incontro: Alex era capace di stupirlo e di farlo incazzare nel giro di pochi secondi. Come ci riusciva era ancora un mistero per lui, ma doveva ammettere che si divertiva parecchio a causa dei loro battibecchi.

Appoggiandosi al muro, Ren inclinò il capo all’indietro e incominciò a vagare con la mente rivolta al passato, nonostante sapesse che il tempo concesso a Dakota era ormai agli sgoccioli.

 

 

Fece un respiro profondo. Si stropicciò il viso con le mani e cercò di aggiustarsi come meglio poteva l’abito impolverato e dimesso. Se doveva affrontare il plotone di esecuzione pretendeva di farlo con almeno un po' di amor proprio. Con un gemito, Dakota si preparò mentalmente al ricongiungimento con gli altri, trattenendo a stento un gemito insicuro. Senza indugiare oltre, giusto per non cambiare idea all’ultimo, si diresse verso le scale. Ren aveva ragione: non era il momento di lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento. Fu quando le sue dita sfiorarono il vecchio corrimano che l’udì.

Qualcuno stava piangendo nell’oscurità.

Dakota si bloccò inorridita. Le si rizzarono i peli della nuca e, in preda alla paranoia, incominciò a guardarsi attorno freneticamente. Non potendo contare sulla torcia del suo cellulare, ormai scarico, si limitò a scrutare i dintorni con gli occhi ridotti a due fessure. Mentalmente, incominciò a recitare tutte le preghiere che da piccola le avevano inculcato con la forza.

I singhiozzi continuarono, questa volta più vicini a lei. Echeggiavano nel vuoto, propagandosi in diverse direzioni e redendole così difficile capirne la provenienza. Tuttavia, girandosi verso un angolo, notò la sagoma di un bambino. Avrà avuto poco più di otto anni. Quando si rese conto di essere osservato, il piccolo alzò il capo verso di lei e la guardò con i suoi grandi occhioni. Nonostante avesse emesso suoni riconducibili al pianto, sul suo viso non vi era alcun segno di tale espressione emotiva, a eccezione della curva delle sue labbra e delle sopracciglia fini.

Rimasero in silenzio, scrutandosi a vicenda per qualche istante, incerti sul da farsi. Dakota era paralizzata dalla paura, ma quando il bambino le si avvicinò, incominciò a sentirsi strana… intorpidita. Non durò a lungo.

All’improvviso, il piccolo sgranò gli occhi, osservando la bambina comparsa dietro la ragazza. Il suo sguardo era fisso, concentrato, e le sue labbra si socchiudevano rapide mentre scandiva una litania silenziosa. Quando il bambino alzò lo sguardo, sembrò divenire ancora più cereo nonostante la sua figura fosse già eterea. Senza perdere altro tempo, girò sui tacchi e corse via, diventando tutt’uno con l’oscurità.

Dakota era rimasta immobile per tutto il tempo, incapace di contrarre i muscoli. Non capiva bene che cosa fosse appena accaduto, eppure, in cuor suo, sapeva di non essere lei la causa di quella sparizione. Lo avvertiva. Nitidamente. Qualcosa era alle sue spalle. Sentì una specie di carezza impalpabile sul collo, come un lieve respiro. Con il cuore in gola, si voltò e tutto ciò che i suoi occhi poterono scorgere fu un agglomerato di tenebra che la osservava.

Aprì la bocca…

 

 

Un urlo proveniente dallo scalone lo strappò dai suoi pensieri. Echeggiò nei corridoi vuoti con una forza tale che Ren si trovò a sussultare per la sorpresa. Rimise l’orsacchiotto dentro la tasca interna della giacca e sollevò lo sguardo verso le scale, fremente. Ebbe un attimo di esitazione, nel quale considerò l’ipotesi di correre a recuperare Dakota, ma non avvertendo alcun rumore sospetto, si precipitò a verificare l’origine di quelle esclamazioni sorprese, promettendosi di non metterci molto.

Non si accorse dei due gemelli che correvano nella direzione opposta; il maschio che strattonava la sorella, distratta nell’osservarsi alle spalle con gli occhi puntati verso l’oscurità che stava inondando come una violenta marea l’ultimo piano.

E, con esso, il corpo della ragazza.

 

 

 

 

E ben trovati alla fine.

Allora, è da cestinare? Scherzo, devo un attimo riprendere l’ordine d’idee a causa dell’assenza prolungata. Ovviamente so quello che devo scrivere, tranquilli, il problema è il come.

Ad ogni modo vi ringrazio per la pazienza e chiunque abbia votato, commentato o inserito questa storia nelle proprie liste. Ah, dimenticavo.

Alex dovrà aspettare.

Come pegno di scuse, tra non molto dovrei riuscire a pubblicare un piccolo bonus sempre dal punto di vista di Ren. Il tema di tale obbrobrio probabilmente l’avrete già intuito dal capitolo, per cui mi limito a dirvi che ci sarà da divertirsi. Sì, lo ammetto. Vado avanti a fatica perché rido come una cogliona.

Detto questo, vi ringrazio ancora per essere rimasti sintonizzati con questo canale di disagio e vi auguro una felice Pasqua ^^

Alla prossima :3

  
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