8.
Eeeeeeeh I’m back, Bitches!
Quanto tempo, lo
so. Vi sono mancata?
Vi chiedo
perdono per essere sparita in questi mesi a causa di problemi di varia natura,
ma grazie al cielo sono riuscita a recuperare un po’ di materia grigia per
continuare a scrivere.
Spero che,
nonostante tutto, il capitolo vi piaccia.
Buona lettura.
A |
nsante,
Ren indietreggiò di qualche passo. Emozioni contrastanti turbinavano nel suo
corpo, lasciandolo intontito e sconcertato. Destabilizzato dagli ultimi avvenimenti,
rimase a osservare sconfitto la porta che lo separava dalla sua preda. Le
spalle e le braccia gli dolevano a causa dei colpi con cui aveva provato a sfondarla
ma, nonostante i suoi sforzi, questa non aveva ceduto di un millimetro,
rallentandolo. Ormai erano passati diversi minuti, troppi, da quando si era
interposta tra loro. Malgrado la palese ostinazione, sapeva in cuor suo di
essere del tutto impotente e ciò lo faceva profondamente incazzare. Stringendo
i pugni fino a far scricchiolare i mezzi guanti di cuoio consunto che gli avvolgevano
le mani, digrignò i denti prima di accanirsi nuovamente contro la maniglia
arrugginita e inceppata. «Non provarci nemmeno Alex! Osa muovere il tuo culo da
lì e vedrai che cosa ti farò se ti prendo! Mi hai sentito?» inveì, sperando che
le sue minacce trapassassero il legno consunto.
«Ren…» Il lamento di Emily gli giunse alle orecchie
ovattato, flebile. Lo ignorò.
«Preparati, perché…»
«Ren, ora basta. Se n’è andata» sbottò Keiran,
abbastanza forte da oltrepassare la nebbia che gli offuscava la mente e fargli
capire che stava offrendo ai presenti uno spettacolo ben più che pietoso.
Con un brontolio sommesso, Ren si arrese.
Controvoglia, fece per allontanarsi dalla porta, quando un lieve cigolio
proveniente dalla serratura lo distrasse. Arrabbiato e allo stesso tempo
stupito, allungò una mano e la maniglia si abbassò docile sotto la sua presa.
La porta si aprì, rivelando un silenzioso e vuoto corridoio. La richiuse con un
moto di stizza, facendola tremare violentemente. «Non ci credo…»
«Wow, è bello scoprire quali siano le tue priorità.»
La voce di Mark risuonò così carica di risentimento che non poté fare a meno di
rivolgergli un’occhiata sprezzante. Appoggiato accanto al caminetto, il ragazzo
l’osservava cupo, gli occhi che brillavano dalla rabbia mal celata.
«Disse colui che aveva il semplice compito di tenere
d’occhio una ragazzina ubriaca.» Ren si allontanò dall’uscio per fronteggiare
il compagno, ignorando la preoccupazione esibita sui volti degli altri. «E poi,
scusami se non voglio entrare nelle mutande di tua sorella, ma non è questo il
punto.»
«Ah, sì? Prego, illuminaci Fauster.»
Ren ricambiò lo sguardo di sfida del ragazzo e fu
allora che, con sua sorpresa, se ne accorse. Si frequentavano da quasi tre anni
ormai, eppure non erano mai entrati in sintonia. Diamine, era già tanto se in
quel lasso di tempo erano diventati compagni di sbronze. Per dirla tutta, Ren non
era mai stato un tipo da amici; tuttavia, se qualcuno voleva unirsi a lui per
portare un po' di caos in quella pacifica città, era più che il benvenuto. Ecco
perché non aveva avuto nulla in contrario nel sopportare la presenza di Mark e
quella di John, seguite poi da quella seccatura che rappresentava la sua cara
sorellina. Sviluppare legami ed entrare in confidenza con qualcun altro che non
fosse se stesso era tutto un altro paio di maniche, per cui non si era mai
preoccupato di poter ferire qualcuno con il suo atteggiamento. Benché meno se
l’ostilità era reciproca. Malgrado ciò, osservando quel viso così famigliare,
si rese conto che la fiducia e la leadership che aveva conquistato senza alcuno
sforzo si stavano incrinando pericolosamente. E ciò non avrebbe portato a nulla
di buono.
«Pensaci un attimo» ribatté Ren con un sospiro,
cercando di farlo ragionare. «Dakota è al sicuro, dato che persino lo spirito
l’ha ignorata. E lo stesso vale per Leyla. Ciò non si può dire di Alex o hai
dimenticato che cosa è accaduto nelle ultime ore? Non stava nemmeno partecipando
alla seduta; il fantasma avrebbe dovuto cercare di possedere uno di noi, non
lei. Perché attaccarla?»
Mark scosse il capo con irritazione. «Forse perché ha
una predilezione per le sociopatiche con manie di protagonismo e un istinto di
sopravvivenza pari a zero? Lasciamola fare quello che vuole, noi abbiamo altri
problemi!»
Ren strinse i pugni, pronto a rispondere a tono,
quando una voce s’intromise nella loro conversazione.
«Alla luce dei fatti, non posso che essere d’accordo con
Mark.»
«Gregory!» squillò Emily con la voce acuita dalla
sorpresa. Guardò l’amico accanto a lei con un’espressione basita stampata in
volto; gli occhi stralunati e la bocca spalancata le conferivano un’aria quasi
comica.
«In parte» si corresse subito dopo il giovane. Nervoso,
si passò una mano tra i riccioli neri. «Anche se questa situazione non mi
piace, Alex è in grado di badare a se stessa. Lo sai com’è fatta e hai visto
come ha reagito poco fa. Per quanto sia preoccupato per lei è inutile negare
l’evidenza: lavorare in gruppo non è mai stato il suo forte e obbligarla a
rimanere con noi non farà altro che peggiorare le cose. Per il momento
lasciamole il suo spazio e concentriamoci sulla realizzazione del nostro piano.
Abbiamo ben altro a cui pensare.» Il suo sguardo s’ombrò e si voltò a osservare
Ren.
«Oh, quindi ora sarebbe colpa mia?» sentenziò lui,
rivolgendogli un gestaccio.
«Appoggio Gregory» intervenne Sarah, ignorando
l’occhiata colma di rammarico dell’amica. Subito dopo, John la imitò, facendo
un cenno col capo.
Nella stanza discese un silenzio opprimente. I ragazzi
si osservarono per qualche momento; alcuni in cagnesco, altri dubbiosi e altri
ancora semplicemente stanchi e abbattuti. Fu Emily a riprendere esitante la
parola. «Quindi nessuno andrà a cercarla?»
«Credimi, Emily. Sarà lei a non farsi trovare»
commentò Gregory con un sospiro.
«Molto bene allora.» Ren digrignò i denti, sconfitto. «Emily,
Sarah e Keiran andranno a cercare il sale e, nel mentre, terranno gli occhi
aperti per Leyla; dubito che sia andata lontano. John e Gregory, a voi il
compito di recuperare qualsiasi cosa fatta di ferro. Mark proverà a far
ragionare sua sorella e…»
«No, mia sorella è compito tuo. Io ho ben altro in
mente.» Nel scorgere il suo sguardo dubbioso, Mark continuò, staccandosi dal
muro e camminando verso di lui. «Hai presente quel vecchio fucile che abbiamo
trovato mentre setacciavamo lo sgabuzzino?»
«Sì, e non capisco come una vecchia ferraglia possa
esserci d’aiuto in questo momento.»
«Beh, con un po' di lavoro potrei riuscire a ripararlo
e d’altronde dove c’è un’arma ci sono anche delle munizioni. Ricordati che
lavoro part-time nell’armeria del vecchio Frankie» aggiunse in fine,
accorgendosi del suo sguardo scettico.
«E dimmi, che cosa te ne farai di un fucile? Dubito
che i fantasmi risentano del piombo.» Al
contrario delle persone. Concluse mentalmente Ren.
«Non sono così stupido da sprecare pallottole, ma sono
dell’idea che sia sempre meglio avere un’alternativa.» Dalla durezza dello
sguardo con cui il giovane lo ricambiò, era probabile che avrebbe crivellato
lui di colpi se avesse osato ferire di nuovo la sua cara sorellina e non solo.
Anche se non gli dispiaceva l’idea di avere un’arma in più a disposizione, Ren
non si sentiva tranquillo; qualcosa aveva fatto scattare in lui una sgradevole
sensazione. Perché era una certezza che un’arma da fuoco funzionale prima o poi
avrebbe sparato un colpo, indipendentemente dal bersaglio prestabilito. E un
fucile nelle mani della persona sbagliata…
Si ritrovò a sbuffare. «E immagino che l’ingrato
compito di trovare tua sorella spetti a me.»
Mark gli rivolse un sorriso privo d’allegria. «Esatto.
E Ren… spero per te che stia bene.»
Dopo
aver ultimato i preparativi e aver racimolato il coraggio necessario, i ragazzi
lasciarono il salotto come concordato. Si avventurarono in silenzio nel
corridoio, procedendo in fila indiana. Visibilmente tesi, i loro occhi sondarono
ciò che li circondava con ansia crescente, presi dalla convinzione che un
fantasma avrebbe fatto capolino da dietro una porta per spaventarli come in uno
sketch dei vecchi film. Sprezzante del pericolo e incurante degli altri, Mark
s’incamminò con passo deciso verso la sua meta, separandosi ben presto dal
resto del gruppo senza soffermarsi a dire alcunché. Ren tenne gli occhi puntati
contro la schiena del ragazzo fin quando la sua chioma bicolore non svoltò
l’angolo, incerto su come procedere. Una parte di lui fremeva dal desiderio di
raggiungere Alexander, mentre l’altra, la più seccante, lo spronava per una
volta a fare la cosa giusta, rendendolo insofferente. Dopotutto, era Dakota la “damigella
in pericolo”, non lo sgorbio. Sospirò amareggiato, ma i suoi dubbi ebbero vita
breve.
Erano quasi arrivati all’androne quando si trovò a
fermarsi, il viso rivolto verso un corridoio laterale. Non fu la luce
intermittente emessa da una lampada difettosa a catturare il suo interesse, né
il lieve spostamento d’aria che aveva mulinato la polvere. Ciò che lo bloccò
sul posto fu invece il lieve riflesso che colse con la coda dell’occhio. Una
traccia minima, quasi invisibile per una persona inesperta. Per sicurezza, Ren riportò
lo sguardo sugli altri, scrutandoli mentre continuavano ad avanzare ignari della
sua assenza. Senza alcun ripensamento, voltò loro le spalle e procedette a
indagare. Dopotutto, cosa poteva mai accadergli di male?
Non dovette compiere più di qualche passo per scoprire
l’origine della sua curiosità. Alcune schegge di vetro scricchiolarono sotto il
peso dei suoi anfibi quando fronteggiò lo specchio rotto agganciato al muro.
Ignorò la pacchiana cornice di metallo ossidato ed esaminò con attenzione il
modo in cui la lastra si era incrinata. Il colpo era stato deciso, forte, al
punto da sprigionare una ragnatela di crepe sulla superficie opaca e da far cadere
a terra i frammenti situati all’epicentro. Il chiaro segno di un pugno.
Spostando lo sguardo sul pavimento, si accorse delle gocce di sangue ormai rappreso
che decoravano i pezzi caduti.
«Mary Sue… Perché non poteva essere una Mary Sue?»
mormorò tra sé e sé con rassegnazione, inchinandosi a osservare le prove del
passaggio di Alexander. Non volle nemmeno scoprire il motivo per cui aveva
deciso di affibbiarsi sette anni di sfiga e una lettera di protesta da parte di
Bloody Mary, santa protettrice degli specchi.
D’altronde, preferiva di gran lunga che quello sgorbio sfogasse le sue turbe
psichiche contro gli oggetti inanimati piuttosto che con la sua splendida
faccia. Il suo viso si contrasse in un sorriso, ma quella scoperta non lo
rincuorò come credeva. Qualcosa doveva averla turbata.
Con un sospiro si raddrizzò, pronto ad andare fino in
fondo a quella faccenda. Stette per inoltrarsi ancora di più in quella
direzione, quando alle spalle percepì qualcuno che stava accorrendo verso di
lui, costringendolo a fermarsi. Dopo qualche istante di tensione, Keiran fece la
sua apparizione. I suoi occhi sembravano stralunati nella penombra.
«Eccoti, finalmente! Ti stavo cercando.»
«Non dovresti essere con Emily e Sarah in questo
momento?» sbottò Ren, visibilmente irritato da quel contrattempo non richiesto.
Keiran gli si avvicinò di corsa. «Loro sono in cucina,
al sicuro. Avevo bisogno di parlarti in privato.»
Ren incrociò le braccia, in attesa. «Ebbene? Ora siamo
soli, quindi dì quello che devi e poi tornatene da quelle due, prima che
decidano di evocare Crowley per un tè. Quello sgorbio
non si troverà da solo…»
«Intendi Dakota» puntualizzò l’irlandese.
«Quello che ti pare» lo liquidò con un gesto della
mano. «Avanti, non ho tutta la notte.»
Keiran aprì la bocca per parlare, tuttavia la sua
attenzione fu calamitata dallo specchio rotto al suo fianco. A quella vista,
sussultò lievemente per la sorpresa. Quando riportò il suo sguardo su Ren, il
ragazzo notò il cambiamento nel suo colorito: era impallidito. Keiran fece per
riprendere il discorso ma, non appena le prime sillabe gli solleticarono le
corde vocali, richiuse immediatamente le labbra. Se dapprima sembrava morire
dalla voglia di condividere con lui chissà quale segreto –e in cuor suo sperava
non fosse la ricetta del Coddle di sua nonna- in quel
momento parve titubante, come se avesse dei ripensamenti. Se a frenarlo era la
preoccupazione per come avrebbe reagito nell’udire la sua rivelazione, in
realtà era sulla buona strada per farlo incazzare.
«Si tratta di Alex» riuscì infine a mormorare il rosso
tutto d’un fiato.
A farlo incazzare di brutto.
«Lei è…» Il ragazzo si bloccò di nuovo, mordendosi il
labbro come una ragazzina mentre cercava di trovare le parole giuste. Il suo
sguardo continuava a cadere sullo specchio. «Insomma, lei…»
«Per l’amore di Darth Vader, che c’è?» sbraitò Ren, facendolo sussultare.
«Quando la troverai… cerca di non dire nulla che possa
offenderla. Abbiamo bisogno di lei, lo sai, e i vostri continui battibecchi non
ci sono utili. Quindi… non aizzarla, non flirtare, limitati solo a riportarla
da noi e a tenere la bocca chiusa.»
Ren l’osservò in silenzio con un’espressione greve,
ragionando sulle sue parole con finto interesse. Dopodiché inarcò un
sopracciglio con fare scettico, mettendo a dura prova la sua forza di volontà
nel tentativo di non rispondergli in malo modo o peggio. «Tutto qui? Volevi
dirmi solo questo?» sibilò.
Keiran lo guardò stizzito, ma attraverso i suoi occhi,
Ren capì che c’era un pensiero costante che lo inquietava. Ancora una volta il
ragazzo ponderò bene le sue parole prima di esprimerle. «No, io… Sì.
Nient’altro. Probabilmente mi sono sbagliato.»
E poi continuavano a ripetergli che picchiare qualcuno
non era affatto civile. «Non mi stupisco. E ora, se vuoi scusarmi, ho di meglio
da fare…» sentenziò, ritornando sui suoi passi con la speranza di chiudere lì
quella inutile conversazione.
«In effetti c’era un’altra cosa» sentenziò
all’improvviso Keiran. Ren fu sul punto di saltargli addosso quando il ragazzo
continuò. «Mentre venivo a cercarti, ho sentito Mark inveire come uno
scaricatore di porto. Da quel che sembrava, deve essergli caduto addosso mezzo
sgabuzzino.»
A suo malgrado, Ren non poté trattenere un sorriso
divertito.
Dakota
arrancava senza meta nelle tenebre. Teneva il cellulare puntato davanti a sé
nonostante la sua luce si stesse affievolendo a poco a poco, rendendo sempre
più difficile distinguere i dintorni. Abbandonata la sicurezza del pianterreno,
si era avventurata in quello superiore per evitare di essere trovata da quei
falliti, in particolar modo da suo fratello. Non voleva che la vedessero in
quello stato, né che la costringessero a tornare da… lui. A quel pensiero
gemette senza controllo. Gli occhi arrossati le bruciavano sia per la polvere
sia per le lacrime nere che ancora le scivolavano silenziose lungo le guance,
sciogliendo con il loro passaggio il trucco a cui aveva dedicato tanta cura.
Era un disastro! L’intera serata era un disastro! E la
colpa era solo di quella ragazzina! Fece un respiro profondo. No, non era del
tutto esatto. Anche Ren aveva una grossa fetta di responsabilità. Così cieco,
così perso nell’inseguire i suoi irrealizzabili desideri da non accorgersi
della verità, era arrivato al punto di riversare su di lei la sua frustrazione.
Se solo le avesse dato una possibilità…
Trattenendo un singhiozzo, si fermò per asciugarsi gli
occhi umidi con il dorso della mano, incurante di espandere le chiazze di
eyeliner che le macchiavano la pelle. Era stanca di sentirsi la ruota di scorta
di qualcuno. Quando Ren era entrato nella sua vita, aveva creduto che fosse la
sua possibilità di aspirare a qualcosa di meglio. Era così sicuro di sé, magnifico,
oscuro… Molte ragazze la invidiavano per quel poco tempo che riusciva a
trascorrere con lui a causa di suo fratello, e quando Ren non si era tirato
indietro ai suoi flirt aveva pensato che tra loro fosse scattato qualcosa. Ma
ora non aveva più importanza. Aveva capito il suo sbaglio. Avrebbe dovuto
essere chiara fin dal principio su cosa voleva da lui.
Persa in quell’autocommiserazione che mal si addiceva
alla situazione, Dakota non si accorse dell’ombra rossa comparsa alle sue
spalle. La stava seguendo già da qualche tempo, rimanendo celata con il favore
delle tenebre. La ragazza avrebbe potuto notare la sua presenza in qualsiasi
momento, se solo avesse avuto il coraggio di voltarsi, ma la presenza contava proprio
su questa mancanza di coraggio per agire indisturbata.
Alex la stava scrutando in silenzio, gli occhi fissi
sulla sua schiena ossuta piegata dal peso di un dolore che non comprendeva e
l’annoiava. Non provò ad avvicinarla nemmeno quando ricominciò a piangere, né a
consolarla. Si limitò semplicemente a inclinare il capo, protraendo una mano
verso di lei. Stava quasi per raggiungerla quando si fermò, il calore emanato
dal suo corpo che le solleticava le punte delle dita protratte. Alex abbassò il
braccio e le rivolse un lieve sorriso. Poi scomparve di nuovo nelle tenebre.
Dakota si voltò di scatto, avvertendo uno spostamento
d’aria dietro di lei. Improvvisamente in allerta e spaventata, scrutò con
attenzione ciò che la circondava, ma i suoi occhi carpirono solo il vuoto.
Deglutì sonoramente e senza perdere altro tempo si diresse verso l’ultimo
piano, certa di poter trovare un attimo di pace. E lo stesso pensava il bambino
che la seguiva poco distante. Almeno finché non si rese conto che un altro dei
loro ospiti era giunto per giocare con lui.
Nonostante
il turbamento iniziale, Ren appariva piuttosto tranquillo. Con una mano
infilata nella tasca dei jeans consunti e l’altra che reggeva il cellulare per
illuminare i possibili ostacoli sul suo percorso, procedeva con passo lento e
regolare per i corridoi disabitati del primo piano. Se il suo istinto non
sbagliava, Alex si trovava lì per evitare di avere compagnie indesiderate. O
meglio, così affermavano le prove; le impronte impresse nella polvere accumulata
negli anni erano meglio delle briciole di pane lasciate da Hansel e Gretel. E
per un rapace vorace come lui consistevano in un lauto banchetto. Inoltre, era stato
un gioco da ragazzi riconoscere la sagoma dei suoi stivali in mezzo alle altre,
fin troppo grandi per poterle appartenere. Non gli rimaneva altro da fare che
seguirle fino a lei, per poi prenderla a sculacciate fin quando non gli fosse stancato
il braccio.
Fece per sorridere malizioso a quel pensiero, quando un
lieve scalpitio alle sue spalle lo fece sussultare. Colto alla sprovvista, si
voltò appena in tempo per scorgere la figura di un bambino scomparire in
lontananza. Sbatté le palpebre e… capì di essere nella merda. Ebbe un attimo
d’esitazione e scosse il capo; doveva essere un brutto scherzo della sua mente,
tutto qui. Ritornò sui suoi passi, questa volta con i sensi in allerta. Ci
voleva ben altro per spaventarlo, questo era certo. Finché aveva una luce a
guidarlo non aveva nulla di cui temere. E, con crudele ironia, il suo cellulare
scelse proprio quel momento per spegnersi. Una risata infantile echeggiò nel
corridoio.
Porco diavolo.
Nelle tenebre, Ren rimase immobile. Controllò il suo
respiro, mantenendo una calma glaciale, sapendo che concedersi al panico
l’avrebbe fatto cadere dalla padella alla brace. Chiuse gli occhi una, due
volte, aspettando che si abituassero all’oscurità quel tanto che bastava per
distinguere i dintorni. Una volta ripreso il controllo, si voltò lentamente,
conscio di essere osservato.
Il fiato gli si bloccò in gola, ma si trattenne dal
compiere qualsiasi movimento, persino il più lieve. Alle sue spalle, un bambino
era fermo al centro del passaggio. Il suo aspetto era quanto più infantile: un
po' in carne, con le guance paffute e i grandi occhi privi di vita. Avrà avuto
poco più di otto anni ed era pallido, quasi traslucido, come se fosse uscito da
una foto in bianco e nero. Ren s’irrigidì,
ma il piccolo si limitò a osservarlo in silenzio con la tipica espressione
innocente degli infanti.
Poi accadde.
A poco a poco, una strana sensazione gli scivolò lungo
il corpo, rendendolo frastornato. Senza rendersene conto, Ren si ritrovò ad
avanzare verso il bambino, incurante del motivo che l’aveva spinto fin lì,
dimenticando la sua ricerca. Quando fu abbastanza vicino, il piccolo alzò una
mano protraendola nello spazio che li divideva, in attesa. Esitò. Fece per stringergliela,
ma all’ultimo momento si ritrasse, inchinandosi verso di lui. Il bambino
l’osservò stupito, quasi spaventato dalla sua reazione non prevista. Ren
dovette sforzarsi di rimanere impassibile finché i loro volti non furono allo
stesso livello. Solo allora si concesse di espellere un sonoro “Bo!” dalla
bocca. Il piccolo sussultò violentemente, colto alla sprovvista. I suoi occhi vuoti
divennero ancora più grandi dalla paura e, senza pensarci due volte, gli diede
le spalle incominciando a correre come una furia lontano da lui, fino a
scomparire in un muro.
Ren si rialzò soddisfatto, spolverandosi la polvere
dai jeans. «Stupidi fantasmi» esclamò con un sorriso ironico dipinto sul viso.
Se erano questi gli spiriti con cui avevano a che fare allora… Non concluse
quel pensiero. Era stato così stupido da credere di essere la causa di quella
fuga affrettata.
Una mano fredda come il ghiaccio lo ghermì per un
polso, facendolo letteralmente saltare sul posto. Ren abbassò lo sguardo e la
bambina comparsa al suo fianco si portò un dito davanti alle labbra, intimandogli
di tacere. Subito dopo e senza aspettare una sua reazione, lo sollevò in alto
sopra la testa. In quel preciso istante, un rumore sospetto catturò la sua
attenzione, facendogli alzare gli occhi fino al soffitto. Il legno sovrastante
scricchiolò sotto il peso dei passi che gravavano su di lui, riempiendo l’aria
di polvere. Mentalmente Ren imprecò. Qualcuno era stato così stupido
d’avventurarsi fin lì nonostante le precedenti raccomandazioni e,
sfortunatamente per lui, sapeva bene chi poteva essere così incosciente da
sfidare un simile pericolo per un po' di attenzioni. Fece per riportare la sua
attenzione sulla piccola, ma questa si era già dileguata nel nulla, come se non
fosse mai stata con lui. L’unica prova della sua apparizione, svettava sul suo
polso sotto forma di un’impronta arrossata. Trattenendo un moto di stizza, Ren
non indugiò oltre. Aumentando il passo, si diresse verso le scale di servizio
più vicine.
Come
previsto, trovare la causa delle sue pene non risultò difficile: fu lei a saltargli
addosso per stringerlo in un abbraccio umido e irritante. Non aveva dovuto
compiere più di qualche passo, pregando che il legno marcio sotto i suoi piedi non
gli giocasse brutti scherzi, quando Dakota comparve da un angolo per
abbracciarlo. Una volta tra le sue braccia, la giovane perse ogni ritegno. Si
strusciò contro di lui, mormorando frasi senza senso sul fatto che era sicura
che l’avrebbe trovata, fino a interrompere quegli striduli miagolii sulle sue
labbra. Preso alla sprovvista da quella massima espressione di felicità, Ren
non reagì subito. Lasciò che la calda pressione della sua bocca gli rubasse il
respiro. Fu solo quando la ragazza tentò di approfondire il bacio che l’afferrò
per le spalle, scostandola da lui.
«Dakota, fermati…»
«Sapevo che saresti venuto. Lo sapevo. Ci tieni a me
nonostante…»
«Ora basta!»
Dakota sussultò, impallidendo tra le sue mani. Ren
sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa per il suo comportamento, ma in
quel momento desiderava solo riportarla dal fratello per lo cessare delle
ostilità; anche a calci se necessario. Dovevano andarsene da lì il prima
possibile e non solo a causa dei fantasmi.
«Ascoltami, dobbiamo tornare subito dagli altri. Qui
non è sicuro.»
«Certo… e io dovrei seguirti come un cagnolino solo
per vederti filtrare con quella lì? Nemmeno per sogno» esclamò impettita, incrociando
le braccia al petto.
Nell’udire quella frase, Ren si passò una mano sul
volto, esasperato. «Sul serio? Con tutto quello che sta accadendo ti preoccupi
di queste stronzate? Maledizione, bambina. Se non fosse per tuo fratello ti
lascerei qui a marcire nella tua gelosia!»
Dakota sgranò gli occhi e spalancò la bocca, sorpresa
da quell’uscita. Almeno finché la sua parte offesa non tornò allo sbaraglio. «Oh,
sarei io la gelosa? Ma se non hai fatto altro che fulminare con lo guardo
chiunque le si avvicinasse per tutta la sera? Sul serio, Ren. Sei patetico! E
un illuso!»
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio. «Vogliamo
parlarne?»
Dakota strinse i pugni e sbatté i piedi per terra,
facendolo sbiancare quando il pavimento sotto di loro scricchiolò in risposta
di tale capriccio. «Lei non ti guarderà mai come faccio io! Perché non lo vuoi
capire? Non ti ho mai mentito su quali fossero i miei sentimenti, mentre tu non
hai fatto altro che illudermi! Io… io… ti amo! È solo grazie a te se ho
finalmente trovato la forza di rialzarmi. È solo grazie a te se ho capito di
poter aspirare a qualcosa di meglio, di reale e…»
Mentre parlava, Ren si era limitato a osservarla con
un’espressione indecifrabile, facendole interrompere a poco a poco il suo
monologo in un mormorio senza senso.
«Proprio non ci arrivi?» le chiese, riprendendo la
parola quando si azzittì. «Non cerco qualcuno da sostenere perché si sente
perso in questa vita e nemmeno un santo che mi prenda per mano per consolarmi
nei miei fallimenti. Sono circondato da persone che scodinzolano come cagnolini
in attesa di un mio cenno di approvazione e non me ne serve un altro! Io
desidero qualcuno che cammini al mio fianco come mio pari. Nulla di più. E
quella persona non sei tu.»
Nell’udire quella constatazione, le lacrime
ricominciarono a scivolarle lungo le guance, bruciando di vergogna. Dakota gli
rivolse un sorriso tirato, allontanandosi da lui incerta, come se l’avesse
appena colpita. «Dunque è così… Credi davvero che quella mocciosa sia la
persona che cerchi? Come minimo ti scaverà la fossa e ti ci butterà dentro a
calci!»
A calci? Nah, era più
probabile che lo tramortisse con un colpo in testa e lo seppellisse vivo giusto
per avere la soddisfazione di saperlo agonizzare. Ren le rivolse un sorriso
mefistofelico. «Non vedo l’ora.»
«Tu… tu…» Dakota balbettò, il labbro inferiore che le
tremolò privo di controllo. A quella vista, Ren non poté fare a meno di
sospirare con rammarico. Ancora non capiva perché avesse deciso di seguire
l’indicazione di quella bambina defunta. Avrebbe dovuto prevedere che la
fregatura sarebbe stata dietro l’angolo.
«Ascolta, Dakota…» mormorò lui, cercando di addolcire
il suo tono nonostante la palese irritazione. «Mi sento generoso: ti concedo
cinque minuti per riprenderti; dopo di che, se non vedrò il tuo culo scendere
di sotto, verrò a prenderti con la forza. Se non vuoi farlo per me, almeno
fallo per tuo fratello.» Affermato ciò, non le lasciò il tempo di replicare.
Fece dietrofront e si diresse verso le scale, lasciandola in piedi in mezzo
alle cianfrusaglie e alla sua distrutta autostima. Sempre se ne avesse avuta
una. Non poteva negarlo; era uno stronzo di prima categoria, ma uno stronzo con
dei principi, per quanto la gente non lo credesse impossibile.
Appena scese l’ultimo scalino, incominciò a cercare nelle
tasche della giacca il suo portasigarette con impazienza. Ne sentiva un
impellente bisogno. Malgrado ciò, invece di trovare la scatola di metallo, le
sue dita incontrarono qualcosa di morbido che lo lasciò interdetto. Si era
dimenticato di avere ancora l’orsetto di pezza. Lo estrasse, rigirandoselo tra
le mani con un’espressione distratta, scordando persino la voglia di fumare che
l’aveva colto poco prima. Senza rendersene conto, sul suo viso comparve un
lieve sorriso. L’aveva tenuto con sé con l’idea di consegnarlo a quello
sgorbio, sapendo che, sotto quell’espressione da sfinge, adorava certe
stronzate. Ma ovviamente, una volta insieme, non avevano perso tempo con i
convenevoli ed erano passati subito all’urlarsi contro. Sospirò. Era sempre
stato così, fin dal loro primo incontro: Alex era capace di stupirlo e di farlo
incazzare nel giro di pochi secondi. Come ci riusciva era ancora un mistero per
lui, ma doveva ammettere che si divertiva parecchio a causa dei loro
battibecchi.
Appoggiandosi al muro, Ren inclinò il capo all’indietro
e incominciò a vagare con la mente rivolta al passato, nonostante sapesse che
il tempo concesso a Dakota era ormai agli sgoccioli.
Fece
un respiro profondo. Si stropicciò il viso con le mani e cercò di aggiustarsi
come meglio poteva l’abito impolverato e dimesso. Se doveva affrontare il
plotone di esecuzione pretendeva di farlo con almeno un po' di amor proprio. Con
un gemito, Dakota si preparò mentalmente al ricongiungimento con gli altri,
trattenendo a stento un gemito insicuro. Senza indugiare oltre, giusto per non
cambiare idea all’ultimo, si diresse verso le scale. Ren aveva ragione: non era
il momento di lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento. Fu
quando le sue dita sfiorarono il vecchio corrimano che l’udì.
Qualcuno stava piangendo nell’oscurità.
Dakota si bloccò inorridita. Le si rizzarono i peli
della nuca e, in preda alla paranoia, incominciò a guardarsi attorno
freneticamente. Non potendo contare sulla torcia del suo cellulare, ormai
scarico, si limitò a scrutare i dintorni con gli occhi ridotti a due fessure.
Mentalmente, incominciò a recitare tutte le preghiere che da piccola le avevano
inculcato con la forza.
I singhiozzi continuarono, questa volta più vicini a
lei. Echeggiavano nel vuoto, propagandosi in diverse direzioni e redendole così
difficile capirne la provenienza. Tuttavia, girandosi verso un angolo, notò la
sagoma di un bambino. Avrà avuto poco più di otto anni. Quando si rese conto di
essere osservato, il piccolo alzò il capo verso di lei e la guardò con i suoi
grandi occhioni. Nonostante avesse emesso suoni riconducibili al pianto, sul
suo viso non vi era alcun segno di tale espressione emotiva, a eccezione della
curva delle sue labbra e delle sopracciglia fini.
Rimasero in silenzio, scrutandosi a vicenda per
qualche istante, incerti sul da farsi. Dakota era paralizzata dalla paura, ma
quando il bambino le si avvicinò, incominciò a sentirsi strana… intorpidita. Non
durò a lungo.
All’improvviso, il piccolo sgranò gli occhi, osservando
la bambina comparsa dietro la ragazza. Il suo sguardo era fisso, concentrato, e
le sue labbra si socchiudevano rapide mentre scandiva una litania silenziosa.
Quando il bambino alzò lo sguardo, sembrò divenire ancora più cereo nonostante
la sua figura fosse già eterea. Senza perdere altro tempo, girò sui tacchi e
corse via, diventando tutt’uno con l’oscurità.
Dakota era rimasta immobile per tutto il tempo, incapace
di contrarre i muscoli. Non capiva bene che cosa fosse appena accaduto, eppure,
in cuor suo, sapeva di non essere lei la causa di quella sparizione. Lo
avvertiva. Nitidamente. Qualcosa era alle sue spalle. Sentì una specie di
carezza impalpabile sul collo, come un lieve respiro. Con il cuore in gola, si
voltò e tutto ciò che i suoi occhi poterono scorgere fu un agglomerato di
tenebra che la osservava.
Aprì la bocca…
Un
urlo proveniente dallo scalone lo strappò dai suoi pensieri. Echeggiò nei
corridoi vuoti con una forza tale che Ren si trovò a sussultare per la sorpresa.
Rimise l’orsacchiotto dentro la tasca interna della giacca e sollevò lo sguardo
verso le scale, fremente. Ebbe un attimo di esitazione, nel quale considerò
l’ipotesi di correre a recuperare Dakota, ma non avvertendo alcun rumore
sospetto, si precipitò a verificare l’origine di quelle esclamazioni sorprese,
promettendosi di non metterci molto.
Non si accorse dei due gemelli che correvano nella
direzione opposta; il maschio che strattonava la sorella, distratta nell’osservarsi
alle spalle con gli occhi puntati verso l’oscurità che stava inondando come una
violenta marea l’ultimo piano.
E, con esso, il corpo della ragazza.
E ben trovati alla fine.
Allora, è da cestinare?
Scherzo, devo un attimo riprendere l’ordine d’idee a causa dell’assenza
prolungata. Ovviamente so quello che devo scrivere, tranquilli, il problema è
il come.
Ad ogni modo vi ringrazio per
la pazienza e chiunque abbia votato, commentato o inserito questa storia nelle
proprie liste. Ah, dimenticavo.
Alex dovrà aspettare.
Come pegno di scuse, tra non
molto dovrei riuscire a pubblicare un piccolo bonus sempre dal punto di vista
di Ren. Il tema di tale obbrobrio probabilmente l’avrete già intuito dal
capitolo, per cui mi limito a dirvi che ci sarà da divertirsi. Sì, lo ammetto.
Vado avanti a fatica perché rido come una cogliona.
Detto questo, vi ringrazio
ancora per essere rimasti sintonizzati con questo canale di disagio e vi auguro
una felice Pasqua ^^
Alla prossima :3