Videogiochi > Far Cry 3
Segui la storia  |       
Autore: i luv rainbow    16/04/2017    2 recensioni
La grotta finalmente si fa più affollata con l'aggiunta di Oliver al gruppo, anche se il giorno in cui saranno tutti riuniti è ancora lontano. Jason però, dopo essersi assicurato che tutti quanti stanno bene, cerca come sempre andarsene e sparire nella giungla. Le cose però andranno diversamente, visto che stavolta i suoi nemici sono stati più bravi del solito a cercare di ucciderlo...
FanFic incentrata sul rapporto d'amicizia tra Ollie e J, con contorno di Bromance tra fratelli Brody e quel pizzico di Vaas/Jason che ovviamente non guasta mai. Pubblicazione settimanale (possibilmente, altrimenti slitta a quella dopo...o a quella dopo ancora).
Max lunghezza tra i 5 o 6 capitoli (Forse anche 8 o 9).
[2° Parte The Warrior Inside Me - Tutti i missing moment del gioco parte 3]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Jason Brody, Oliver Carswell, Vaas Montenegro
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Warrior Inside Me'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I Got You

Author - I luv Rainbow
(I_luv_Rainbow_000)
EFP | AO3

The Memory Lane (parte 2)

Il vicolo era buio e il quartiere piuttosto degradato e sinistro, per questo nessuno a quell'ora della sera non osava mettere piede in un posto simile. Nessuno che per lo meno, non avesse un interesse particolare che lo spingeva ad arrivare fin lì in solitaria e con circospezione; qualcuno che desiderava solo lasciarsi andare e dimenticare tutto quanto. Volteggiare in un oceano di pace privo di preoccupazioni, privo di un domani, privo di una qualsiasi responsabilità o di conseguente negative.

Anche solo per una notte.

Anche solo se avesse potuto significare di rimanerci secco.

Il ragazzino scheletrico e più bianco di un fantasma che tremava nella penombra del vicolo decise di avvicinarsi agli uomini davanti alla porta di metallo. Da quel vicolo stretto e spaventoso si potevano sentire i rumori del locale all’interno, il suono della musica così alta fino a stordirti il cervello. Era un club, una discoteca, un luogo dove ubriacarti, farti e perdere ogni inibizione con la gente sbagliata.

Non era importante, il ragazzino biondo, dalla pelle un po’ rovinata e con le occhiate così marcate da sembrare uno zombie si avvicinò al gruppo di uomini che ne stanziava sempre l’esterno, in quel preciso punto.

Capirono subito che si trattava di un tossico ed uno di loro lo riconobbe persino come cliente abituale.

Così lo salutarono e nonostante volesse solo la roba, cercarono subito di convincerlo ad entrare. Era noto per la quantità di soldi che spendeva se gli sventolavi qualcosa di nuovo e molto forte davanti al viso e per questo, insistettero a non lasciarlo andare. Il ragazzino dall’aspetto malaticcio non ci mise molto a lasciarsi convincere, era già sull’orlo dell’astinenza e l’uso abituale di droghe non gli avevano ormai lasciato chissà quale difesa.

Accettò e per questo si lasciò trascinare in una stanza piena di gente ridotta esattamente come lui, già collassata o sul punto di assumere la propria “dose”. Una stanza disordinata, sporca, schifosa in tutti sensi possibili; ma non importava, la vista dei cristalli e della cocaina tolsero completamente l’importanza all’ambiente e a tutto il contesto che lo circondava.

Il ragazzo, che assomigliava più ad un cadavere che camminava che a un essere umano vivo, si ritrovò al settimo cielo; felice solo di spendere i propri soldi per averla e usarla.

Non ci volle molto prima che anche lui, come tutti gli altri, si ritrovò disteso e del tutto stordito in un angolo, mentre la sensazione più bella del mondo lo invadeva, mentre ogni dolore e preoccupazione se ne volava via con una leggera brezza. Mentre ogni cosa terrena perdeva tutta quanta la sua importanza e mentre tutto ciò accadeva, l’unica cosa che il ragazzino riusciva a pensare, era che nelle proprie tasche aveva un mucchio di soldi e che lì, c’era tantissima droga.

Chissà quando sarebbe ritornato a casa…

.... .... .... ....

Da quel gazebo l’isola era ancora più bella.

Appoggiato sul corrimano avevo spostato lo sguardo dalla via latta, che si rifletteva magnificamente nell’oscurità dell’oceano sottostante, ai fuochi sparsi dei pirati per tutta la baia del sole. Potevo vedere le montagne, l’antenna radio del luogo e come la spiaggia si curvava a formare quel piccolo lembo di terra quasi a sé stante. Sembrava quasi uno spettacolo romantico, peccato che fosse il paradiso degli assassini e dei ladri, degli stupratori e dei folli sadici – che fosse il paradiso delle bestie selvagge.

«Tieni!» mi sorprese per un attimo Oliver, arrivandomi incontro tutto sorridente e con un paio di birre già aperte in mano.

Io mi voltai non reagendo violentemente stavolta; forse perché ero armato, forse perché di sicuro ero molto più rilassato di quando ero appena uscito dalla grotta. Forse perché semplicemente mi aveva già contagiato con la sua energia positiva. Così stavolta in risposta sorrisi accettando la birra che mi porse.

«Grazie Oliver»

In realtà non credo esistessero parole per descrivere quanto fossi grato ad averlo come amico.

Lui continuò a sorridermi per poi affiancarmi, appoggiandosi su quel parapetto ed osservare distrattamente davanti a sé mentre iniziavamo a sorseggiare dalla bottiglia di vetro; sinceramente non andavo chissà quanto matto per la birra e nonostante cercassi di rimanere in forma, quando c’era l’occasione giusta mi gettavo su degli alcolici decisamente più pesanti e con un immediato effetto stordente. Non sapevo neanche che marca dovesse essere quella che avevo tra le mani, ma l’avevo vista anche a Bangkok quindi presumo dovesse essere famosa da queste parti.

Il sapore non era nemmeno male, ma per quanto fosse piacevole, l’alcol non doveva essere una scappatoia dai miei problemi…o dai miei doveri.

«Ti hanno fatto del male?» mi venne improvvisamente da chiedergli, intercettando per un attimo il suo iniziare a parlare di chissà che cosa ancora e stroncandolo sul nascere senza farlo apposta - almeno credo.

Oliver per un attimo mi guardo preoccupato e dispiaciuto per via di come quella domanda era uscita dalla mia bocca, attraverso un suono rauco e debole, pregno dello spettro del dolore e della paura di tutto quello che quei maledetti criminali senza principi e senza una briciola d’onore potessero avergli fatto durante la sua prigionia; durante tutto quel tempo che era stato costretto a passare nelle loro mani - solo perché io ero ancora così maledettamente lento nel recuperali e salvarli tutti.

«Loro non…loro non ci sono andati giù pesanti con te, vero?» provai a chiedergli di nuovo e dover dire quelle parole fu come cercare di farlo mentre un macigno mi pressava orribilmente lo stomaco.

Ne avevo viste così tante, decisamente troppe, da avere persino gli incubi la notte per come potessero venire trattati i prigionieri su questa maledetta isola. Dei danni e soprattutto dei traumi che sarebbero potuti nascere per colpa di quei maledetti animali. Della rabbia e del dolore, della continua umiliazione e dalla degradante impotenza di fronte a qualcosa di profondamente orribile che non potevi in alcun modo fermare o dimenticare. Di qualcosa che ti avrebbe perseguitato per sempre rischiando di rovinare il resto della tua vita – se eri abbastanza fortunato (o no) da poterne avere ancora una.

Queste cose le sapevo bene; perché infondo, non ero forse anch’io una vittima di tutto questo?

«In realtà Jason…» incominciò a rispondermi e per un attimo io sentii il cuore mancarmi un battito per quello che avrei potuto sentire nel seguito: «…no. Sono stato abbastanza bene» aggiunse poi e di colpo tutta la pressione che sentivo, tutta l’angoscia, così com’era venuto riuscì anche a volatilizzarsi in un breve attimo.

«Davvero?» gli dissi, sorridendo e passandomi una mano tra i capelli, confortato, nonostante gli occhi lucidi per lo spavento.

Oliver tornò a sorridermi con tutto il suo calore: «Certamente J! E fidati, non è un’esagerazione se ti dico che forse mi hanno trattato di lusso, meglio di chiunque altro nelle loro vite!» affermò senza esitazione e con un sorriso così solare e rassicurante che non riuscii a fare a meno di credergli. Ma non era solo questo…

Conoscevo Oliver fin da quando ero bambino e una delle tante cose che avevo notato di lui era come fosse piuttosto fortunato quando si trattava di essere in situazioni parecchio pericolose; ma finire su quest’isola e sapere che razza di mostri fossero gli uomini di Vaas, mi aveva fatto vacillare e credere che persino la sua buona sorte potesse avere una falla.

«Ah sì? Come diavolo hai fatto?» gli chiese scherzosamente, molto più rilassato ora e lui in risposta mi sorrise divertito.

Era stato casuale, una situazione da sembrare davvero comica e suscitare ilarità nella propria assurdità, eppure così erano andate le cose: Oliver era stato catturato mentre si trovava con Daisy e Liza, perché da migliore amico qual era, durante la nostra separazione il primo giorno sulle Rook aveva parlato con lei e cercato di convincerla che alla fine non ero così idiota come delle volte davo a credere con i miei comportamenti a perlopiù irresponsabili e a volte persino distaccati.

Non ero mai stato un uomo facile con cui avere una relazione fissa.

Lui era presente alla loro cattura, ma il giorno dopo li divisero e con la mia ragazza (la mia ex, quando finalmente avrò il coraggio di parlarle) finì in tutt’altro avamposto.

«Il Blu Steel1, sei stato lì per tutto questo tempo quindi?» commentai abbastanza sconsolato.

L’avessi saputo prima, di sicuro non ci avrei messo così tanto per liberarlo; rischiando pure che finisse sull’isola sud insieme ai mercenari e che lì lo perdessi per sempre. Era stato solo per un pelo se Oliver era salvo. Ancora qualche giorno di più e chissà dove diavolo nel modo sarebbe stato spedito.

«Sì. Anche se non sapevo che avesse un nome» mi rispose sincero Ollie.

Io sorrisi divertito, forse perché da un lato adoravo essere consapevole di conoscere questo posto meglio di quel dannato figlio di puttana, che ci aveva vissuto per tutta la vita e che attraverso violenza e disumane crudeltà, se n’era pure autoproclamato il sovrano.

«Sai, all’inizio non mi trattavano né peggio e né meglio di chiunque altro lì. Ma poco dopo che hanno scoperto il mio talento, sono diventato quasi una celebrità» mi disse e come iniziò a raccontare la sua storia, passai per diversi stati emotivi.

La prima fu preoccupazione.

Nell’apprendere che i pirati avessero scoperto in cosa fosse così bravo Oliver, mi creò un nodo alla gola e di nuovo sentii lo stomaco darmi problemi. La mia amicizia, con lui, era delle più lungimiranti ma questo non voleva dire che era stata anche tra le più facili; avevamo vissuto un periodo, o meglio, il mio migliore amico aveva vissuto un certo periodo, che sincerante non avrei mai augurato proprio a nessuno di sperimentare nella propria vita.

Era stato un tossico, molto tempo fa e aveva usato la droga per colmare un vuoto che si portava dentro fin dall’infanzia. Aveva passato l’inferno, caduto in baratro e toccato persino il fondo per questo, ma i pirati tutto ciò non lo sapevano; l’unica cosa che loro avevano scoperto era come l’americano ricco e biondo sapeva riconoscere, tagliare e lavorare la droga meglio di tutti loro messi insieme. Di come avrebbe saputo dirigere certi lavori con più efficienza e qualità di ognuno di loro.

Per questo, prima di farlo prendere dai mercenari e portarlo fino al molo dove l’avrei salvato, l’avevano tolto dalle gabbie dei prigionieri e messo “al lavoro”.

Di come stava diventando una celebrità; perché come la faceva ottima lui, nessun forse era mai stato in grado di farla e i pirati erano sempre ben contenti di prenderne qualche assaggio, o di riceverne un pacchetto insieme alla solita bustarella di denaro.

Per quanto fossi felice per lui, non ero sicuro di essere contento nel sentire questa storia, ma Oliver intercettò subito il mio umore.

«So a cosa stai pensando» mi disse abbastanza serio stavolta, abbandonando per un attimo tutto quel suo atteggiamento di sdrammatizzazione: «Sì, era una bella tentazione. Avere il libero accesso a tutta quella droga pesante, poterla persino assaggiare…sarebbe stato facile ricascarci» ammise ed entrambi bevemmo l’ennesimo sorso di birra dalle nostre bottiglie guardando poi dritti davanti a noi, fingendo di perderci nel panorama.

Tra me e me presi un profondo respiro.

«Ma non l’ho fatto J. Non l’ho fatto» mi disse sfoderando un’enorme sorriso solare ed io decisi di credergli. Entrambi sorridemmo, poi proposi brindisi con le nostre due bottiglie di birre ormai mezze vuote, per festeggiare forse l’unica cosa veramente positiva di tutto questo schifo.

Così sospirai: «Fanculo i pirati. Fanculo quest’isola» gli dissi avvicinando la mia bottiglia.

«Fanculo tutti!» mi disse divertito seguendomi a ruota prima di scontrare la sua bottiglia con la mia, mettendoci a ridere l’attimo dopo prima di tornare a sorseggiare le nostre birre.

Prima di tornare a ridere a ed a scherzare quasi spensieratamente…

.... .... .... ....

Nella baia pirata tutto sembrava abbastanza tranquillo; i pirati presidiavano i loro avamposti e quelle zone sensibili che avevano bisogno di costante sorveglianza. I più fortunati erano radunati intorno a qualche fuoco a non far niente a parte bere, fare battute e fare qualche conversazione abbastanza rozza e sessista. Oppure avevano la notte libera da usare per dare qualche party insieme alle prostitute più facilmente reperibili nei dintorni; sempre se non avevano voglia di rapire momentaneamente qualche giovane ragazza del luogo con cui “divertirsi” od usare qualche nuova prigioniera o prigioniero occidentale che avevano le mani – ovviamente tra quelli che non era tassativamente vietato usare perché ancora “inviolati”, visto che certa merce valeva davvero cifre astronomiche nel mercato degli schiavi.

Insomma, nulla di diverso dal solito. Così come l’invidia di quelli che dovevano sgobbare invece di poter cazzeggiare come tutti gli altri.

Felipe era tra loro.

La tecnica che guidava aveva avuto un gusto ed ora si dannava sotto il cofano di quella stupida vecchia macchina per cercare di farla ripartire; tra gli altri tre pirati che erano assegnati alla ronda con uno si era appoggiato contro la portiera si limitava a pulire la propria arma, un altro fumava accucciato a terra mentre l’ultimo aveva messo su una fiacca sorveglianza.

Di solito la baia pirata non era terreno di scontro con il popolo Rakyat, o almeno lo era stato per anni, prima dell’arrivo di Jason e prima che quest’ultimo liberasse l’avamposto di Amanaki.

«Huh?» fece solo in tempo a dire il pirata che si era volontariamente messo a fare la guardia dopo che intravedendo un piccolo luccichio tra la vegetazione, si ritrovò giusto un momento dopo conficcato da un coltello volante, prima di lanciare un verso strozzato e stramazzare già morto.

1 questo avamposto in realtà non esiste nel gioco, me lo sono inventata di sana pianta.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Far Cry 3 / Vai alla pagina dell'autore: i luv rainbow