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Autore: usotsuki_pierrot    16/04/2017    1 recensioni
Ho deciso di scrivere la prima vera ff incentrata sull'infanzia di Yami, storia in cui finalmente fa la sua comparsa l'altro mio pg, Hikari! Se volete conoscere cosa sia successo nei primi anni di vita della bambina dai capelli azzurri, come abbia vissuto quando ancora tutto era "rosa e fiori" (all'incirca), o se invece siete qui per l'angst e volete sapere cosa sia accaduto di preciso al padre, beh, siete nel posto giusto!
Spero che la ff vi piaccia, e... buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kankuro, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara, Temari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'Sabaku no Yami'
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PREMESSA
Eeeee ce l'ho fatta! Dunque, questa ff si incentra interamente sull'infanzia di Yami, e finalmente fa la sua comparsa anche la sorellina Hikari!
Ci tenevo molto ad inserire questa storia nella serie "Sabaku no Yami", in quanto i primi anni dell'azzurrina sono probabilmente i più importanti, e quelli che meglio fanno capire come mai la sua vita possa aver preso una piega del genere.
L'ho intitolata "memories", ovvero "ricordi", in quanto più che un vero e proprio racconto unico è un insieme di piccoli momenti da lei vissuti, che poi sono quelli tra i più importanti. Si parte da uno dei giorni passati insieme al padre, alla nascita e crescita di Hikari - o perlomeno per i primi due anni -, fino ad arrivare all'evento tragico che ha visto la morte dell'uomo che più ha ammirato e stimato in tutta la sua esistenza.
Non me ne intendo di rating, per questo ho messo il giallo, in quanto è presente la scena della morte del padre "nei dettagli" (circa) e non sapevo se il verde sarebbe più risultato adatto.
Prima di terminare quest'infinita premessa, vi rimando alla mia pagina fb, a cui per qualche strano motivo non vi ho mai indirizzati: usotsuki_pierrot.
Per il resto, mi auguro che questa ff vi piaccia, che vi aiuti a conoscere meglio quantomeno l'infanzia di questa mia oc, e che sia riuscita - com'era mio intento - ad esprimere al meglio i suoi sentimenti e le sue emozioni.
Detto questo, buona lettura!






“Yami, mi passeresti l'attrezzo alla tua destra?”.
“Mh? Intendi questo, papà?”.
La bambina si abbassò quel tanto che le permise di raccogliere il cacciavite che giaceva a terra, poco distante, per poi allungare la mano verso l'uomo dai capelli arancioni intento a lavorare sulla marionetta avanti a sé. Quest'ultimo rivolse un caldo sorriso alla figlia che, nonostante preferisse mantenere una certa distanza quando il padre modificava le sue creazioni, non perdeva occasione di buttare l'occhio sulla parte del corpo che veniva sottoposta ai movimenti lenti e precisi degli strumenti utilizzati.
Dopo un piccolo sospiro, a seguito del lavoro terminato, il marionettista si passò il dorso della mano che reggeva il cacciavite sulla fronte, chiudendo gli occhi verdi, per poi lasciarsi andare ad un altro tenero e ampio sorriso diretto alla più piccola.
“Yami?”. L'azzurrina si era fermata ad osservare, come ogni volta, la marionetta modificata dal padre, con gli occhi che brillavano, la bocca spalancata per la sorpresa e l'ammirazione, e il viso che man mano si illuminava sotto lo sguardo soddisfatto dell'uomo che si lasciava sempre sfuggire una piccola risata.
“Il villaggio della Sabbia chiama Yami! Ci sente?”.
La bambina scosse la testa chiudendo gli occhi, verdi come quelli del padre, come per risvegliarsi, e strinse i pugni tornando a posare lo sguardo su di lui.
“Bellissima come sempre, papà!!”.
L'adulto sorrise lievemente all'espressione emozionata della figlia, riprendendo a parlare solo dopo qualche attimo.
“Perché non segniamo quello che hai imparato oggi sul quadernetto?”.
“Ma certo!!”. La futura kunoichi batté una volta le mani, quasi come se quella semplice frase del padre le avesse permesso di ricordare un qualcosa di essenziale, e corse fuori dalla stanza ritornando qualche istante dopo con il suddetto quaderno tra le mani. Lo stesso su cui da qualche mese il più grande aveva iniziato a scrivere e ad abbozzare piccoli disegni illustrativi correlandovi tutto ciò che sapeva sulle marionette, sulla loro costruzione e manutenzione, sulle riparazioni, sui metodi migliori per utilizzarle. E ad ogni nuova dimostrazione pratica, la figlia era sempre pronta a sfogliare le pagine in cerca di una vuota per poter poi porgere il tutto al padre ed osservare quelle dita abili e delicate tenere saldamente la penna, per poi posare gli occhi verdi illuminati dall'emozione sui caratteri appena nati sul foglio bianco. Sebbene non conoscesse ancora ogni parola scritta dall'uomo, avendo da poco compiuto cinque anni, le illustrazioni presenti le permettevano di comprendere ogni frase, o di coglierne quantomeno il significato a grandi linee. Con il tempo, ripeteva a se stessa, avrebbe imparato.
Una volta che l'uomo dai capelli arancioni ebbe finito di inserire la spiegazione di quel giorno sul foglio, porse il quaderno alla bambina che osservò per qualche istante tutti i passaggi descritti dal padre, aggrottando di tanto in tanto la piccola fronte e avvicinando di più le pagine al viso, come per convincersi che in quel modo sarebbe stato meno complicato comprendere il tutto. La mano dell'adulto si posò delicatamente sui capelli azzurri di Yami, che chiuse istintivamente un occhio, sorridendo non appena sentì le carezze a lei offerte proprio dalle dita che si preoccupavano ogni singolo giorno di procurarle dettagli e consigli sul lavoro dei marionettisti, proprio a lei che aspirava a diventarlo, a diventare come suo padre.


"Non è uno scherzo, vero?".
Le risate della donna dai capelli blu rimbombarono nella stanza.
"Ma certo che no!".
"Vuoi dire che... aspetti un bambino..?!". Yami l'aveva sentito, nascosta in un angolo del corridoio. Aveva sentito il tono più che felice del padre a quella frase. L'azzurrina si era quasi pentita di essersi preoccupata così tanto quando si era svegliata nella sua cameretta a causa delle voci dei suoi genitori, che si espandevano nella cucina al piano di sotto così animatamente. Un grande sorriso comparve sul suo volto quando, dopo aver trovato un ottimo nascondiglio nel corridoio (non troppo vicino per non essere scoperta ma nemmeno troppo lontano per poter origliare), quelle parole giunsero alle sue orecchie; gli occhi verdi si illuminarono, quegli occhi da bambina di cinque anni in cui in un attimo si riversò un fiume di felicità, gioia e speranza.

Avrebbe avuto un fratellino o una sorellina! In cuor suo sperava che fosse la prima opzione, ma nella sua mente comparve in un istante l'immagine di Gaara. Scosse la testa, sorridendo ancora. Non avrebbe mai potuto sopportare il dover decidere tra il rosso e un ipotetico fratellino; serrò gli occhi, desiderando con tutta se stessa che fosse una lei.
"Pare sarà un'altra femmina...", disse la donna con un tono intenerito, passandosi le mani sulla pancia e rivolgendo lo sguardo proprio alla suddetta parte del corpo.
Il marito sorrise, baciandole la fronte, per poi posare le dita sulle braccia dell'amata.
Yami riaprì all'istante gli occhi a quell'affermazione della madre, occhi che presero a brillare ancora, adornando un'espressione sorpresa. Rivolse lo sguardo alla porta della cucina, con un sorriso ancora più ampio dipinto sul volto. Sentì un piacevole calore all'altezza del petto, vi posò la mano, e abbassò ancora le palpebre. Era come se ci fosse già un potente collegamento con il futuro nuovo membro della famiglia.


"Eeeh?! Vuoi dire che ci sarà un'altra come te?!". La voce incredula e sconvolta di Kankuro si espanse per il piccolo parco giochi in cui si erano recati da qualche ora lui, Yami e Temari, che si limitò a guardare la più piccola con un'espressione a metà tra lo stupito e l'emozionato.
L'azzurrina gonfiò le guance osservando il viso del coetaneo, prendendo la frase da lui appena pronunciata con così tanta confusione come una lieve offesa.
"Esatto! Anzi, le insegnerò tutto quello che so per farla diventare sempre sempre più brava!!", annunciò lei, con una punta di vendetta nella voce e lo sguardo di sfida rivolto al bambino. Quest'ultimo in tutta risposta mise il broncio, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo dal piccolo castello di sabbia che proprio l'amica stava costruendo.
Il lieve sorriso stampato sul viso della biondina si tramutò pian piano fino a donare alla sua espressione una punta di preoccupazione.
"L'hai già detto a Gaara?".
"Mh?". La più piccola alzò gli occhi verdi verso quelli di Temari, che continuò a guardarla quasi impaurita, in attesa della sua risposta.
"A dir la verità no, non l'ho visto in giro!" disse l'interpellata, che non capiva o forse non percepiva il leggero terrore che si era impadronito del viso e del corpo della bionda. Quest'ultima incrociò lo sguardo del fratello minore prima di lasciarsi andare ad un lieve sospiro, sotto gli occhi confusi della terza presente.


"Gaara, ti presento Hikari!!". Il rosso, che si trovava girato di spalle rispetto alla bambina dai capelli chiari che aveva pronunciato quella frase, si voltò, curioso di sapere cosa Yami intendesse dire. Quando si ritrovò davanti agli occhi la piccola Hikari, avvolta in una coperta e tenuta in braccio dalla sorella maggiore, non riuscì a trattenere un grande sorriso seguito da una lieve esclamazione di sorpresa. L'azzurrina rise alla reazione del più piccolo, che tuttavia dopo il primo passo verso le due si era bloccato con il braccio a mezz'aria, raggiunto dall'altra mano che lo aveva riportato al suo posto. Lo sguardo era ricaduto a terra, l'espressione contenta era svanita lasciando il posto ad uno sguardo preoccupato e sconsolato, gli occhi chiari fissavano la terra; si stava trattenendo per non piangere, e Yami aveva capito il motivo. Con un lieve sorriso sul volto, la bambina si avvicinò a passi lenti e decisi verso il più piccolo, che posò nuovamente lo sguardo agitato e impaurito su di lei.
"Non avvicinarti!!". Yami si fermò, inclinando la testa senza distogliere lo sguardo dal suo viso.
"Non voglio farle del male...". Il rosso si morse il labbro tremante e prese ad osservare i suoi stessi piedi per non essere costretto a sopportare gli occhi verdi dell'amica puntati direttamente nei suoi.
Seguirono minuti interi di silenzio, un silenzio pensante e interminabile, che gravava sulle spalle del bambino e non faceva che aumentare la pressione e l'agitazione che lo stavano tormentando e distruggendo. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi, guardare Hikari da vicino, accarezzarla e osservare il suo viso candido - che, ne era sicuro, assomigliava per certo a quello di Yami - mentre dormiva. Era curioso, curioso di vedere come fosse fatta la bambina che molti stavano aspettando, soprattutto l'azzurrina, che non aveva fatto altro che parlargliene negli ultimi mesi. Lui stesso aveva atteso con ansia quel momento, da quando settimane e settimane prima l'amica gli aveva comunicato la grande notizia, lasciandolo a bocca aperta. Ma al contempo, aveva paura. Di ferirla, di creare danni irreparabili, che l'avrebbero di sicuro allontanato dalla maggiore, l'ultima persona che avrebbe voluto distante da lui.
Ma, all'improvviso, come per risvegliarlo da quei pensieri che lo divoravano e che l'avevano bloccato sul posto, quasi come se si fosse trasformato in una statua di ghiaccio, una piccola risata accennata da parte della bambina nata da qualche mese si librò nell'aria, seguita da alcuni versetti tipici dei neonati.
"Vedi, Gaara? Vuole conoscerti anche lei!!". Un grande sorriso da parte della maggiore, e il rosso fu completamente e finalmente convinto quantomeno ad avvicinarsi.
Gli occhi curiosi del bambino si posarono cauti sulla figura della piccina, prudentemente retta dalle braccia della sorella, che la sporse lievemente verso di lui. Gaara poté finalmente osservare il viso tranquillo e pacato, i capelli che avevano cominciato a fare la loro comparsa, il corpo così piccolo che non sembrava nemmeno appartenere ad un essere vivente.
"Ero anch'io così..?". Yami si soffermò qualche istante ad osservare il viso curioso del più giovane, e sorrise intenerita.
"Credo proprio di si! Non è minuscola??".
Il jinchuuriki annuì lasciandosi sfuggire un lieve sorriso, dopodiché alzò un braccio fino ad accarezzare e afferrare con delicatezza le sottili dita della neonata, che poco dopo strinse per quanto poté quella mano decisamente più grande. Il sorriso sul viso di Gaara si trasformò in un'espressione sorpresa, il viso si illuminò e gli occhi chiari presero a brillare sotto lo sguardo attento e felice dell'azzurrina.
Quando poi la piccola Hikari si portò la mano del più grande alla bocca, iniziando a succhiare piano il suo pollice, il rosso scoppiò in una lieve risata e gli occhi chiari si chiusero quasi come per imprimere nella mente quel momento e quei ricordi così sereni.


“Hikari-chan, avanti, vieni qui!”. La voce dell'uomo dai capelli arancioni si espanse per ogni angolo della casa, mentre, in piedi e con le mani sulle ginocchia leggermente piegate, attendeva l'arrivo della bambina dai capelli blu. Intanto la madre, ridendo, le teneva le mani ancora così piccole, osservando attentamente i movimenti goffi della bambina. Erano passati un anno e qualche mese ormai, e Hikari aveva dato i primi cenni di voler finalmente camminare. Con la testa abbassata, gli occhi azzurri dalla forma così particolare – come quelli della donna e della sorella – fissi a terra sui propri piedi, la piccina iniziò lentamente a muovere i primi passi, aiutata non solo dal genitore ma anche da Yami. Quest'ultima, affascinata, era infatti seduta sul pavimento della stanza, accanto al padre, e batteva le mani cercando di attirare l'attenzione della minore, che ogni tanto rivolgeva lo sguardo verso di lei.
“Pronta, Hikari-chan??”. La voce dal tono intenerito della donna fu seguita dal gesto delicato e cauto delle mani, che si staccarono molto lentamente dai pugni chiusi della bambina. Quest'ultima, con qualche leggero tremore accompagnato da silenziosi versetti di auto-incoraggiamento, aveva fatto il primo vero passo verso la figura paterna e la sorella maggiore.
“Yami, tieniti pronta!”, disse con un sorriso l'uomo, rivolgendo lo sguardo sereno alla figlia più grande; con un cenno del capo e un'espressione determinata dipinta sul volto da bambina di sei anni, l'azzurrina annuì, posando gli occhi verdi su Hikari.
Lentamente, la piccina iniziò a porre un piede avanti all'altro, goffamente, con le braccia distese di fronte a sé, rivolte non tanto al padre quanto alla più grande, con la testa dapprima abbassata che man mano si alzò; gli occhi azzurri iniziarono a brillare decorando quel volto già di per sé estremamente luminoso in quel momento così felice. Quando fu abbastanza vicino ai due, la più piccola inciampò, ma Yami era già pronta ad ogni evenienza, perciò fu facile per lei alzarsi di scatto e allungarsi verso di lei, afferrandola e tenendola tra le braccia; il tutto seguito da un lungo sospiro sollevato da parte di entrambi i genitori.
“Sei stata bravissima, Hikari-chan!”, esclamò tutta contenta la maggiore, abbassandosi su di lei e posandole le labbra sulla guancia per poi imprimere una piccola pernacchia sulla pelle delicata e sensibile della bambina, che iniziò a ridere abbracciandola.


Sembrava un giorno come tanti altri, quello in cui la tragedia che segnò profondamente l'animo di Yami prese forma e si concretizzò davanti ai suoi occhi. L'azzurrina si trovava al piano di sopra insieme alla sorellina e al padre, con cui stava continuando la costruzione di quella che sarebbe diventata – o meglio, sarebbe dovuta diventare – la sua prima marionetta.
L'uomo era inginocchiato accanto a lei e le spiegava accuratamente tutti i passaggi, riportandole alla mente di tanto in tanto le frasi presenti sul quaderno aperto di fronte ai suoi occhi, e Hikari – che ormai aveva due anni - stava ad osservare la scena, con un peluche a forma di tigre in braccio, in piedi e poco distante dai due, incuriosita ma ancora troppo piccola per poter capire esattamente cosa la sorella maggiore stesse facendo.
Ad un tratto, qualcuno bussò alla porta, facendo alzare lo sguardo non solo al genitore, ma anche alle due figlie. Yami si voltò istintivamente verso la porta della stanza per poi osservare il padre con un'espressione interrogativa dipinta sul viso, mentre Hikari inclinava la testa fissando la sorella maggiore come se avesse voluto una risposta proprio da lei.
L'uomo sorrise calorosamente alla figlia più vicina, posandole una mano sui capelli e accarezzandoglieli con delicatezza; dopodiché si alzò e si diresse verso l'uscita, non prima di aver tirato leggermente il naso alla più piccola, che chiuse istintivamente gli occhi stringendo a sé il pupazzo.
Uscito dalla stanza, percorse il corridoio fino alle scale, e scese al piano di sotto. La donna dai capelli blu aveva le mani strette al petto e non appena giunse il marito, lo guardò con un'aria estremamente preoccupata dipinta negli occhi dello stesso colore, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo e sussurrando un “ho dato solo un'occhiata dalla finestra, sembra siano shinobi”. Lui le rivolse un ampio sorriso, cercando di tranquillizzarla. Arrivò accanto alla madre delle sue figlie e le accarezzò i capelli donandole un piccolo bacio sulle labbra. Il contatto fu breve ma intenso, mentre le dita attraversavano il collo di lei risalendo e portandole una ciocca dietro l'orecchio.
La moglie lo guardò con gli occhi blu lucidi dalle lacrime che avrebbero voluto uscire ma che stava trattenendo a stento. Le tremavano le mani, aveva un orribile presentimento, ma si costrinse a non andare nel panico prima del previsto. L'uomo separò lentamente la mano dalla pelle di lei, fermando di malavoglia quel contatto che li univa timidamente, e si volse verso la porta, avvicinandosi a passo deciso.
La donna posò lo sguardo sulla rampa delle scale e si accorse che due paia di occhi furbetti e curiosi, uno verde e l'altro azzurro, stavano osservando la scena, pseudo-nascosti nell'ombra. Un lieve sorriso comparve non molto convinto sul suo viso teso, mentre si voltava nuovamente verso il marito e la porta d'ingresso, mantenendo una certa distanza dall'uno e dall'altra.
La mano di lui si posò sulla maniglia, e qualche istante più tardi l'uscio fu completamente spalancato; due figure fecero la loro apparizione. Indossavano il tipico copricapo degli shinobi di Suna, ma anche i loro visi erano quasi interamente nascosti al di sotto del velo, che non faceva intravedere nulla se non gli occhi.
"Dobbiamo scambiare due parole con lei", proferì il primo, il più alto.
"Siete stati mandati dal Kazekage, non è così?". La donna e la figlia maggiore rimasero turbate dall'improvviso cambio di tonalità nella voce dell'uomo dai capelli arancioni, che non accennava minimamente a voler distogliere lo sguardo fermo dai due shinobi incappucciati avanti a lui.
"Sono sollevato, che sappia già tutto", iniziò il più basso tra i due. "Ci risparmieremo la fatica".

"Siete qui per parlare di Gaara-sama, dopotutto. O mi sbaglio?".
"Tsk". Lo shinobi che per primo aveva proferito parola sembrò quasi scocciato dall'affermazione e dal tono sfrontato del marionettista.
"Vostra figlia deve stare lontana da lui", continuò, per poi rivolgere una rapida occhiata alla donna. "A quanto vedo perlomeno sua moglie è perfettamente cosciente dei pericoli che la sua vicinanza potrebbe comportare sulla mente di Gaara-sama".
“Esatto”, rispose prontamente. “Potrebbe, come ha detto lei. Non sappiamo se sarà veramente così. E se invece Gaara-sama avesse solo bisogno di una persona con cui passare il tempo, di un amico, per potersi stabilizzare? Lo volete costringere a vivere una solitudine forzata fino alla fine dei suoi giorni, solo per la paura?”.
Il silenzio regnò sovrano per i pochi istanti che seguirono quella domanda così azzardata. La donna presente nella stanza, terrorizzata, si era dimenticata delle figlie al piano di sopra, e si sarebbe avvicinata di sicuro al marito, per tentare di persuaderlo a non continuare quel discorso che sicuramente gli avrebbe procurato non pochi problemi. La madre di Yami e Hikari sapeva, come lo shinobi aveva detto pochi attimi prima, che non solo la figlia più grande sarebbe stata in pericolo a passare così tanto tempo insieme al jinchuuriki, al portatore dei poteri del demone ad una coda; l'intero Villaggio avrebbe rischiato di venire distrutto dalla violenza aggressiva e smisurata dello Shukaku, e dall'instabilità del figlio del Kazekage, instabilità aumentata a causa dell'emotività scatenata proprio dall'azzurrina.
Più e più volte aveva cercato invano di convincere il marionettista a fare qualcosa, a prendere provvedimenti, a far capire alla figlia che lo stimava e ammirava così tanto cosa stesse rischiando e a quali immensi pericoli stesse esponendo il Villaggio.
Sì, si sarebbe avvicinata nuovamente a lui, posandogli una mano sulla spalla, gli avrebbe detto di calmarsi con il solito tono calmo e pacato che nascondeva tutta la preoccupazione che l'attanagliava insistente, avrebbe convinto gli shinobi che ci avrebbe pensato lei, che non sarebbe più accaduto e che avrebbero fatto il possibile per impartire la lezione a Yami e per farla allontanare dal bambino.
Lo avrebbe fatto, se proprio gli shinobi non avessero ripreso quasi immediatamente il discorso. In particolare, il più alto fece spallucce, in segno di indifferenza. "Io mi limito ad eseguire gli ordini. Il Kazekage in persona è il padre di Gaara-sama, nonché il protettore del Villaggio, e se crede che quella bambina sia un pericolo per suo figlio e per gli abitanti di Suna, non pensa che dovrebbe dargli ascolto? Oppure non ha a cuore nemmeno la sua stessa famiglia?".
Con un tono di sfida pieno di amara malizia, lo shinobi lanciò una brusca occhiata all'uomo, il quale in tutta risposta gli rivolse uno sguardo colmo di disprezzo, un disprezzo che non era solito provare.
A quel punto, lo shinobi più basso tra i due sferrò un pugno ben assestato che colpì il marionettista in pieno viso, costringendolo ad indietreggiare. La donna cacciò un urlo, raggiungendolo e posandogli una mano sulla spalla e l'altra sulla guancia. Il marito riaprì un occhio, dolorante, mentre un piccolo rivolo di sangue cominciò a bagnargli il mento, fuoriuscendo dall'angolo della bocca.
Dall'alto della rampa delle scale, Yami e Hikari avevano assistito alla scena, ma la più grande aveva avuto la prontezza per coprire gli occhi della sorella in tempo. Intanto, i suoi osservavano increduli la scena, inumidendosi. Cercò di stringere la più piccola a sé per quanto poté, rannicchiate com'erano in un angolo buio. Tremava, ma si costrinse a non emettere nessun suono e a rassicurare Hikari stringendola tra le braccia.
Non passò neanche un paio di minuti; i due si avvicinarono minacciosamente alla coppia, ignorando completamente le grida di terrore di lei, lei che li intimava ad allontanarsi. Il più basso riuscì a separarla dal marito, distaccandola quanto bastava per permettere all'altro di avvicinarsi notevolmente all'uomo. Iniziò ad infliggergli colpi sempre più forti e violenti, alternando pugni a calci e ginocchiate. Il corpo del malcapitato veniva man mano martoriato dalle percosse interminabili dello shinobi, sotto agli sguardi terrorizzati della moglie, accanto a lui, e della figlia più grande.
I grandi occhi verdi di quest'ultima non riuscirono più ad imprigionare le lacrime, che scesero copiosamente, mentre le mani si posavano delicatamente sulle orecchie della più piccola, il cui viso era affondato nella maglia indossata dalla maggiore e che ancora stringeva tra le braccia il pupazzo.
Passarono minuti che a tutta la famiglia parvero ore. Immobili, rigide, impossibilitate a spostarsi di un solo millimetro per lo shock e la paura che molto presto si era trasformata in vero e proprio, raggelante terrore. Terrore che raggiunse il suo culmine nel momento in cui lo shinobi strattonò con aggressività il corpo della sua vittima, che crollò a terra in una pozza di sangue, ormai priva di vita.
Il liquido denso color rosso scuro giunse ai piedi della donna dai capelli blu che, con un potente grido, pose fine a quella forza strana e estremamente potente che aveva tenuto lei e Yami bloccate per non avrebbero saputo definire quanto tempo.
Il più basso allentò la presa al braccio di lei, ed entrambi la osservarono buttarsi in ginocchio accanto al corpo esanime dell'uomo, piangendo e continuando a gridare, con le mani sporche di sangue che passavano prima sul suo petto, poi sul collo e infine sul viso praticamente irriconoscibile. Dopodiché si scambiarono un'occhiata complice, e il più basso uscì dall'abitazione seguito dal compagno, che poco prima di varcare la soglia della porta scoccò uno sguardo alla rampa delle scale e alla bambina dai lunghi capelli azzurri, fissando le pupille in quegli occhi verdi che ancora non si davano tregua dall'osservare quello scenario raccapricciante.
Con un piccolo ghigno stampato sul viso, lo shinobi mise piede fuori dall'edificio, richiudendosi la porta alle spalle non troppo elegantemente.


Fu molto difficile far addormentare Hikari quella notte. Nonostante non avesse visto pressoché nulla, sembrava fosse cosciente di tutto ciò che era successo, e non riusciva a smettere di piangere. Yami ebbe non poca difficoltà a guardare in faccia sua madre, che dopo l'accaduto era rimasta al fianco del corpo esanime del marito per ore e ore.
L'azzurrina, dal canto suo, non aveva la minima voglia di mettersi a letto; le immagini dello shinobi e dei ganci sferrati così violentemente sul padre continuavano a ritornare davanti ai suoi occhi, e poco importava il fatto che non li chiudesse affatto. Il ricordo del fattaccio di quel pomeriggio era vivido e forte e ogniqualvolta si fermava a pensare a qualsiasi cosa il cadavere dell'uomo le sembrava disteso a pochi centimetri da lei.
Per quel motivo, in quell'istante, nonostante fosse tarda notte, si era ritrovata al parco giochi di Suna, seduta a terra in un angolo completamente buio. Aveva bisogno di allontanarsi da quell'edificio, di starvi il meno vicino possibile, e quel parco fu il primo pensiero che le solcò la mente.
Non sapeva che, poco lontano, Gaara stava camminando e che bastò uno sguardo del rosso per permettergli di vederla. Gli occhi chiari del bambino si illuminarono alla vista dell'amica, sorpreso non solo di trovarla sveglia, ma anche di incontrarla in quel luogo così inusuale in cui passava numerose delle sue notti insonni. Dopotutto, non riusciva a giocare alla luce del giorno con le attrazioni presenti, quando erano occupate dagli altri bambini.
"Yami...chan?". Il rosso si avvicinò alla più grande, dapprima a passo spedito, poi sempre più lentamente; lo sguardo felice mutò in un'espressione confusa e spaventata, alla vista ravvicinata dell'azzurrina raggomitolata su se stessa, con la fronte sulle ginocchia.
"Yami-chan?!". Il tono di voce del bambino si fece ancora più preoccupato nel momento in cui fu abbastanza vicino all'amica da poter sentire distintamente il suo respiro affannoso e irregolare.
Il jinchuuriki deglutì rumorosamente e allungò un braccio per poter posare la mano sulla spalla della bambina, ma non riuscì a raggiungerla nemmeno con un dito; Yami si mosse di scatto, improvvisamente, prendendo alla sprovvista il rosso, e tenò di colpire - seppur non molto forte - il polso del più piccolo ma venne prontamente bloccata dalla sabbia.
Ci fu qualche istante di silenzio, in cui Gaara riportò lentamente la mano al petto, osservando impaurito il viso sconvolto della più grande, mentre la sabbia si ritirava.
Qualche momento più tardi, l'azzurrina sembrò risvegliarsi da un profondo sonno, e scosse violentemente la testa, chiudendo gli occhi verdi, che successivamente si posarono su quelli chiari del bambino di fronte a lei.
"Gaara...". Il tono di voce della piccola marionettista era rotto dalla tensione e dal pianto che di lì a poco - ne era certa - avrebbe scosso tutto il suo corpo. La figura dell'amico si fece infatti sempre meno nitida e distinta, man mano che le lacrime le bagnavano gli occhi verdi senza però accennare ancora a scendere.
Le braccia della più grande raggiunsero subito l'esile corpo del bambino, che non esitò nemmeno per un secondo a farsi stringere da lei.
"Gaara... Almeno tu stai bene..!". Il rosso sentì un peso al livello della spalla; era il viso di Yami, che aveva trovato rifugio negli suoi abiti per sfogarsi e lasciar libero un pianto silenzioso ma tanto atteso, mentre le braccia tenevano spasmodicamente stretto il corpo non molto più piccolo del jinchuuriki.
Quest'ultimo portò una mano sulla testa tremante della giovane marionettista, infilando le sottili dita da bambino tra i soffici e lunghi capelli azzurri di lei, rimanendo immobile, con gli occhi chiari che fissavano il vuoto.
Era la prima volta che sentiva Yami piangere. Non era mai successo, nemmeno quando la sabbia l'aveva più volte ferita, in passato. Aveva sempre mostrato quel suo solito sorriso rassicurante, nonostante sanguinasse e provasse dolore.
Quei singhiozzi che man mano divenivano sempre più forti e irregolari gli si infilavano prepotentemente nelle orecchie, gli entravano nel cervello e lo martellavano senza sosta; era un suono che mai avrebbe voluto riascoltare.
E mentre il viso della più grande premeva e si strofinava senza darsi pace contro il suo petto, e le piccole mani tremanti si stringevano alla sua maglia, arrivando a graffiargli la schiena sopra il tessuto, il rosso si ripromise che mai avrebbe permesso a qualcuno di farla sentire nuovamente in quel modo. Mai avrebbe permesso a se stesso o ad altri di ferirla. Avrebbe fatto in modo da rendere quel tragico pianto il primo e l'ultimo che avrebbe più visto o sentito emettere dalla bambina dai capelli azzurri.


Non avrebbe mai pensato che non sarebbe stato in grado di mantenere quella promessa.

   
 
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