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Autore: Sinkarii Luna Nera    16/04/2017    3 recensioni
|Dragon Ball Super|
Siamo alla vigilia del Torneo del Potere, e tutti quanti si preparano per la più grande e importante battaglia che abbiano mai affrontato, dalla quale dipenderà il futuro del settimo Universo.
In tutto questo, Lord Beerus si ritrova all'improvviso ad avere a che fare con una sua vecchia conoscenza, che mai avrebbe immaginato di poter incontrare ancora.
Dalla storia:
[ Era davvero possibile che due esseri immortali le cui vite erano andate avanti separatamente per moltissimo tempo potessero ritrovarsi di nuovo insieme, in qualcosa che somigliava molto al punto di partenza?
Pareva di sì e, anche se lei non lo sapeva, sembrava anche che lei e Lord Beerus avessero avuto pensieri molto simili sulla questione.
“Forse era veramente destino” pensò “Forse era un cerchio che, mio malgrado, doveva chiudersi in queste poche ore che mancano alla probabile fine di tutto… in un modo o nell’altro”. ]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lord Bills, Nuovo personaggio, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
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“Quando arriva il giorno della tua morte…”


Si era svegliata con quella frase in testa, senza essere in grado di dire a cosa fosse dovuta, né di completarla.

“Irritante” pensò.

Le lasciava un po' l’amaro in bocca, benché ormai da molto tempo un pensiero del genere fosse per lei privo di qualunque senso. Mai la vecchiaia avrebbe corrotto le sue carni, mai morte naturale avrebbe potuto coglierla; se n’era fatta una ragione da tempo.

“Quando arriva il giorno della tua morte…”

Si infilò sotto la doccia, dopo essersi intimata di darci un taglio. L’acqua era ancora troppo fredda, ma non ebbe altra reazione se non un brivido che corse lungo tutto il corpo, dalle orecchie con le punte nere e affusolate fino alla tripla cima della sua coda, nera e affusolata anch’essa; tratti tipici dei Lusan, quale lei era.
Non che i Lusan esistessero più, ormai, non nel settimo Universo;
c’erano ancora nel sesto, sì, e nonostante alcune differenze avrebbe potuto convivere tranquillamente con loro, per diverso tempo lo aveva persino fatto… ma alla lunga restare ferma nello stesso posto era logorante.
Forse sarebbe stato diverso se la sua eterna giovinezza avesse avuto un qualsiasi senso, o se la sua vita avesse avuto uno scopo definito.


Anise però aveva nulla di tutto questo: non era nata per essere eternamente giovane e, sebbene anche la sua concezione del tempo fosse cambiata rendendole sopportabile lo scorrere di un millennio dopo l’altro, non riusciva a dimenticarlo.
Non aveva dei doveri da assolvere, cosa che all’apparenza poteva sembrare fantastica, ma in realtà toglieva soltanto significato a un’esistenza che ne aveva già ben poco.
Oltre a tutto ciò, non aveva nessuno al proprio fianco, perché nel tempo si era resa conto che non valeva la pena. Lo aveva capito dopo aver seppellito l’ennesimo compagno e non aver provato sofferenza alcuna: la morte di chi entrava nella sua vita aveva perso importanza, diventando simile a un film già visto troppe volte. La stragrande maggioranza delle creature viventi non erano che comparse nella sua lunga esistenza, persino quelle con un’aspettativa di vita sui tre secoli, o più.

Gli stolti che desideravano la vita eterna -ce n’erano, incredibile ma vero- lo facevano soltanto perché non avevano idea di quello a cui sarebbero andati incontro.
Non che la morte fosse un’alternativa migliore. A volte aveva accarezzato l’idea, ma l’aveva sempre accantonata con rapidità, rendendosi conto che neppure una scelta tanto drastica l’avrebbe portata a smettere di esistere: non c’era pace nemmeno nell’aldilà. Era passato molto tempo da quando l’aveva saputo, ma non l’aveva dimenticato.

“Quando arriva il giorno della tua morte…”

«“Quando arriva il giorno della tua morte inizi a vivere in un posto ancor più ristretto di quanto sia questo, perché l’aldilà è un buco piccolo”» completò Anise con voce chiara, rivolta al nulla, mentre usciva dalla doccia.

Persino la creatura aveva mutato la sua condizione, il cui nome tradotto dalla lingua Lusan suonava simile a “Rubedo”, ormai da molto non la degnava più della sua compagnia, o meglio, dei suoi borbottii.
Non che fosse sorprendente: non erano forse bastati quindicimila anni chiusa in una corona per rendere un’entità senza alcun raziocinio ciò che un tempo era stato tutt’altro? Ecco. Come si poteva dunque pretendere che la coscienza già devastata di Rubedo sopravvivesse all’interno di un corpo vivente… per un tempo oltre diecimila volte più lungo?
Non che provasse pena per lui. Le aveva portato via troppo, e non era stata lei a chiedergli di saltarle dentro e cambiare la sua natura di mortale in modo così radicale.
Mai in vita sua Anise aveva desiderato una cosa del genere, quando le era stata fatta un’offerta analoga l’aveva persino rifiutata, eppure eccola lì… ancora in vita.


«E in realtà anche l’al di qua è un buco piccolo» aggiunse, avvolgendo un asciugamano attorno al corpo ricoperto di un sottilissimo e soffice strato di pelo bianco. «Ma cosa ne parlo a fare…»

Si accostò allo specchio e fece un cenno di saluto al suo riflesso, ottenendo di rimando un’alzata di occhi al soffitto e uno sbuffo.
L’incapacità di invecchiare non era la sola cosa che Rubedo avesse dato ad Anise.

«Sì, grazie, so benissimo di essermi svegliata male, non c’è bisogno di rimarcarlo» disse seccamente la Lusan «Ora collabora, per cortesia».

Dopo che il riflesso le ebbe rivolto uno sguardo seccato coi suoi stessi occhi azzurro cupo tutto tornò alla normalità, e la Anise dello specchio iniziò a legare i lunghi capelli grigi in una treccia morbida, esattamente come stava facendo quella vera.

Ora non le restava altro da fare che vestirsi e decidere come passare la giornata. Probabilmente sarebbe andata al parco di Satan City, verde e rigoglioso, che il giorno prima le era piaciuto.
Era arrivata da poco su quel pianeta chiamato Terra, e non ci aveva messo molto a decidere che per un paio di secoli avrebbe potuto vivere lì. Le era sembrato un posto carino, con una certa varietà di abitanti e del buon cibo: serviva altro?

Aveva appena indossato una maglia rosa cipria lunga, quando il campanello trillò.

La Lusan si stupì leggermente. Da quando era arrivata sul pianeta e aveva comprato quella casa non aveva fatto particolari conoscenze, quindi non aveva proprio idea di chi potesse essere venuto a cercarla alle undici del mattino.
Non aveva troppa voglia di ricevere visite, e per un attimo ponderò l’idea di fingere di non essere in casa, ma infine la punta di curiosità che l’aveva presa ebbe la meglio, e si diresse verso la porta principale, aprendola. «Buongiorno. Desidera?»


Bulma Brief tirò fuori il suo sorriso migliore.
Di solito era impegnata col suo lavoro alla Capsule Corporation, nonché con quello di moglie del principe dei Sayian, che certo non era meno impegnativo, e con quello di madre di due bambini, Trunks e Bra, quest’ultima nata da pochissimo; tutti motivi per cui aveva saputo della nuova vicina più tardi di quanto avrebbe voluto.
Non erano molte le persone che potevano permettersi una casa in quel quartiere, soprattutto se si trattava di case grandi più o meno quanto la sua, e dalle informazioni che aveva raccolto sembrava che si trattasse di una donna che viveva da sola. Veniva da sé che dunque era piuttosto normale la sua curiosità di sapere chi fosse, da dove venisse, e soprattutto se fare conoscenza con lei avrebbe potuto portare qualche vantaggio a livello aziendale o altro.
Ragioni per cui quel giorno aveva bussato alla porta della sua vicina, portando con sé una torta al limone, tanta grinta e sufficiente esperienza in stranezze varie da non sorprendersi per le fattezze feline -vagamente simili a quelle di una lince- della donna. «Buongiorno! Sono Bulma Brief, la sua vicina di casa! Sono venuta a darle il benvenuto nel quartiere» disse, tenendo in bella vista la torta al limone che aveva portato.

Inizialmente da parte dell’alta donna-lince non ci furono reazioni o espressioni degne di nota, tant’era che se Bulma non l’avesse sentita esprimersi nella lingua comune solo un attimo prima avrebbe pensato che non fosse in grado di capirla…

«La ringrazio. È stato un pensiero gentile» disse la forestiera un istante dopo, aggiungendo perfino un sorriso mentre prendeva la torta dalle mani di Bulma. «Il mio nome è Anise» aggiunse, tendendole una mano.

«Piacere di conoscerla» sorrise Bulma di rimando, stringendola «Comunque, potremmo anche darci del tu» si azzardò ad aggiungere «In fin dei conti io non sono una che si formalizza, e tu sei una ragazza molto giovane…»

Ironico che proprio in quel mattino nel quale aveva pensato più del solito alla propria età qualcuno la definisse “ragazza molto giovane”, davvero. «Più che altro porto bene gli anni che ho» rispose.

«Oh».

Seguì un attimo di silenzio che per Bulma risultò piuttosto imbarazzante, ma pur volendo romperlo non fece in tempo.

«La ringrazio per la visita» disse la Lusan, lasciandole intendere che l’offerta di darsi reciprocamente del “tu” era caduta nel vuoto «E la inviterei a entrare, ma temo di non avere tempo da dedicarle. Oggi la mia giornata è piena di impegni: fare colazione» sì, alle undici del mattino, e magari proprio con la torta al limone «Andare avanti con la lettura di uno dei sette libri che ho iniziato, mangiare qualcosa, forse andare al parco, meditare sul significato della vita, il Multiverso e tutto quanto, girellare, nulleggiare, leggere ancora e, ultimo ma non per importanza, andare a dormire» finì di elencare «Non riesco proprio a trovare un buco in cui inserirla, per cui buona giornata, mia gentile vicina» concluse con un altro sorriso e un cenno di saluto, per poi rientrare in casa e chiudere la porta.

Bulma osservò inebetita la porta per qualche momento, prima di reagire. «Però la torta al limone te la sei presa!!!» gridò.

«Sprecarla sarebbe stato un peccato» fu la risposta che giunse dall’interno della casa.

“Incredibile ma vero, nell’Universo c’è qualcuno con un caratteraccio addirittura peggiore di quello di Vegeta!” pensò Bulma. «Non è affatto carino!»

Stavolta non ci fu altra risposta se non il silenzio.

Inizialmente la donna ebbe la tentazione di dare retta alla voglia che le era venuta di sfondare la porta a suon di pugni, ma dopo aver sollevato una mano decise di lasciar perdere: se ci teneva tanto a passare la giornata da sola a “nulleggiare” e meditare sulla vita, il Multiverso e tutto quanto, che facesse pure!
Un momento.
Aveva davvero detto “Multiverso”?




Anise aveva appena iniziato a tagliare la torta, quando sentì una gragnuola di pugni tempestare la porta.

«EHI!»

Sollevò un sopracciglio. Cosa accidenti voleva ancora? Le aveva dato il benvenuto nel quartiere, si erano salutate, lei si era presa la torta, non era sufficiente?
No, d’accordo: riconosceva di non essere stata il massimo della simpatia con una donna che in fin dei conti non aveva fatto altro che essere gentile con lei, e sapeva che se si era svegliata con la luna storta non era certo colpa della signora Bulma Brief! Forse avrebbe “recuperato” in un’altra occasione, magari portando a sua volta una torta, ma quel giorno aveva ancora meno voglia di socializzare di quanta ne avesse di solito -e non era mai eccessiva; quindi decise di ignorarla e continuare a tagliare.

«Tu cosa, e come, sai del Multiverso?!» gridò ancora Bulma.

Anise drizzò le orecchie, ora attenta.
Prima aveva buttato lì quella frase senza pensarci troppo, ma l’esistenza del Multiverso non era affatto una cosa risaputa, quindi si fece la stessa domanda che le aveva appena fatto Bulma: cosa e come la signora Brief sapeva del Multiverso?
Dopo altri momenti di esitazione, nei quali ponderò l’idea di ignorarla e anche altre ancor meno carine, decise che forse valeva la pena stare a sentire cosa aveva da dire. In fin dei conti doveva pur passare in qualche modo anche quella giornata.

«Alla buon ora, ce ne hai messo di tempo!» esclamò Bulma, quando Anise aprì la porta.

«…ci ho ripensato, non ne vale la pena» commentò la Lusan, facendo per chiudere di nuovo.

«Ma dai, non essere così scontrosa!» Bulma bloccò la porta, non volendo farsi sfuggire l’occasione «Ti ho soltanto fatto una domanda».

«Quella che avrei dovuto farle io. Il popolo di questo pianeta non mi sembra abbastanza progredito a livello tecnologico da mettersi a fare chissà quali viaggi spaziali e scoprire che, seppure sia sempre un buco piccolo, esiste un Multiverso» ribatté Anise.

«Siamo talmente poco progrediti da aver costruito delle macchine del tempo funzionanti, pensa un po’» disse la donna, con un occhiolino «Andiaaamo! Fammi entrare, così facciamo due chiacchiere» senza aspettare un invito, Bulma oltrepassò Anise ed entrò in casa «L’arredamento che hai scelto è carino».

«Non l’ho scelto, già c’era» replicò Anise «Una domanda: c’è qualcuno che sa che è qui?»

«Certo! Mio marito lo sa, e anche alcuni dei miei amici sapevano che avrei fatto visita alla nuova vicina» disse prontamente Bulma.

Quindi tanti saluti all’idea di rinchiuderla nella Dimensione degli Specchi per togliersela di torno. Fantastico, pensò Anise, muovendo nervosamente la coda. «Capisco. Allora… una macchina del tempo? È leggermente illegale» osservò, spostandosi di nuovo in cucina. Aveva una torta al limone da mangiare, accompagnata a del latte fresco, e sembrava essere la sola cosa buona di quella mattinata.

«Io sono una scienziata e, per le scienziate come me, se qualcosa può essere realizzato allora deve essere realizzato!» dichiarò Bulma, con aria determinata, seguendola.

«Se lo dice lei» commentò Anise, versandosi del latte.

Bulma la guardò, non sapendo cosa pensare della sua mancanza di reazioni alla notizia dell’esistenza di una macchina del tempo. «Non sembri molto-»

«Sto facendo mentalmente una lista di motivi per cui potrebbe sapere del Multiverso. Mi faccia pensare alla gente che c’è in giro e che è munita di mezzi adeguati… qui c’è la Pattuglia Galattica, sbaglio? Conosce qualcuno di loro?» le chiese, crollando su una sedia in maniera un po’scomposta.

«Effettivamente conosco un soldato del corpo d’élit-»

«A posto allora» Anise la interruppe di nuovo, e bevve un lungo sorso di latte.

«Hai l’abitudine di interrompere le persone?» sbottò Bulma, giustamente.

«Di solito sono meno maleducata, ma lei è entrata in casa mia senza permesso» ribatté Anise.

«Non sei stata educata nemmeno prima» le fece notare la donna.

«Già».

Se non altro quella specie di lince antropomorfa riconosceva la verità. «Per fortuna sono abituata ad avere a che fare con le persone scorbutiche. Ascolta» esordì poi «Non siamo partite con il piede giusto, quindi che ne dici di ricominciare da zero?» le propose. La sua curiosità non era ancora stata minimamente soddisfatta, e non volendo demordere aveva pensato che magari il “fuoco incrociato” suo e di Chichi sarebbe riuscito a cavarle di bocca qualcosa. «Tra una mezz’ora faccio un brunch a casa mia, con degli amici e amiche tutti più o meno della mia età…un brunch è un pasto che si fa dopo la colazione e prima del pranzo, detta in breve…»

«E lei si mangia gli amici? Questo sì che è poco carino... Scherzavo, tranquilla!» esclamò Anise «Anche se effettivamente in certi pianeti l’ho visto succedere».

«Ah… immagino» disse Bulma, senza sapere bene cos’altro aggiungere.

«No, non immagini affatto invece. Comunque spiegami, perché dovrei infilarmi in un pranzo pieno di gente che non conosco per… “ricominciare”?»

«AH!» esclamò Bulma, indicandola «Perché mi hai dato del tu! Lo hai fatto! Proprio adesso! Andiamo, non ti costa nulla, sarà pur meglio un pranzo in compagnia che una giornata a “nulleggiare”…»

«Ma perché ti interessa tanto fare amicizia con la sottoscritta, si può sapere?»

Ormai non era più solo curiosità: nella mente di Bulma si erano aggiunte svariate altre motivazioni per volerla nella sua cerchia E a quel pranzo, dopo che il suo cervello era partito per la tangente facendo disgraziate associazioni tra felini con un brutto carattere.
Se fino a quel momento era riuscita ad ammansire col cibo il più pericoloso di codesti felini, ottenendo in cambio dei favori e delle occasioni in cui aveva più o meno chiuso un occhio -ma anche tutti e due- su azioni sconsiderate come tentare di costruire un’altra macchina del tempo, cos’avrebbe potuto ottenere… facendo da Cupido?
«Trovi davvero così strano il mio invito, Anise?»

«Chiunque non sia idiota lo troverebbe strano. Poi per carità, magari sei semplicemente un’impicciona di professione, ma permetti che mi faccia delle domande?»

Impicciona?! Certo che i giovani d’oggi sono veramente sfacc… no, un momento, ho davvero pensato ‘i giovani d’oggi’, come se io non fossi più una di loro?!” realizzò, spaventandosene persino.

Anise osservò il riflesso di Bulma sul vetro del forno. Era davvero divertente il modo in cui tendeva la pelle del viso e si disperava gridando silenziosamente dei “sono veeeeeecchia! Veeeecchiaaaa!”, tanto divertente da migliorare il suo umore, addirittura. La Lusan aveva vari ed eventuali difetti, ma quantomeno si divertiva con poco, e considerando da quanto tempo era in vita era meglio così. Fece un sorriso un po’sornione. «Oh, andiamo, nemmeno tu porti male gli anni che hai».

«C-come hai detto, scusa?...» farfugliò Bulma, guardandola stranita.

Il sorriso di Anise si allargò. «Un brunch a casa tua, allora?»

“Forse l’ho solo immaginato” pensò Bulma. Doveva essere così, perché la sola alternativa possibile era che quella specie di lince potesse leggere nel pensiero e, che lei sapesse, era qualcosa di cui neppure le divinità erano capaci. «Sì… sì, è quel che ho detto. Lo faccio in terrazza, se ti affacci alla finestra puoi perfino vedere di quale parlo».

«Quella con dietro le vetrate, per caso?»

Bulma annuì. «Esattamente».

L’opinione generale di Anise sulla vita, il Multiverso e tutto quanto non sarebbe cambiata grazie a quel pranzo ma, mentre accontentava Bulma facendo spallucce e dicendo un “allora vengo”, concluse che vedere i riflessi di donne e uomini che si disperavano per l’età o si scambiavano occhiate invidiose per chissà quali motivi l’avrebbe aiutata a smettere di pensarci su troppo… almeno per quel giorno.




***




«Pietre sopra prato, pietra trita pietra, pietre dietro siepe, treno dietro treno, stretto tratto dritto, prete prega prete, tronco contro tronco, otre tra tre otri, spreco scopre spreco, topo dopo topo, odio diete idiote, date tedio a Diego, dipingo finto dipinto, tingo dipinto finto!»

Bulma si massaggiò le tempie, chiedendosi di nuovo “cos’ho fatto?!”.

«…eh? Non ho capito una parola, e se ci provo inizia a dolermi la testa!» si lagnò Goku.

«Lascia perdere Kaaroth, è meglio. Molto meglio» disse Vegeta, guardando la moglie con aria leggermente seccata. La loro combriccola era già abbastanza sgangherata, per come la pensava, senza aggiungere altri componenti… e invece cos’aveva fatto Bulma?

«Ho in tasca l’esca ed esco per la pesca, ma il pesce non s’adesca, c’è l’acqua troppo fresca! Convien che la finisca, non prenderò una lisca! Mi metto in tasca l’esca, e torno dalla pesca!»

Aveva portato lì una lince antropomorfa che ormai andava avanti con gli scioglilingua da oltre cinque minuti, e non sembrava aver voglia di fermarsi.

Inizialmente Anise, si chiamava così, gli era sembrata addirittura una persona seria: si era presentata, aveva salutato tutti, e quando il brunch era iniziato si era seduta tranquilla e composta a mangiare, senza seccare nessuno.
Al fuoco incrociato di domande che era seguito aveva sempre trovato il modo di dare risposte brevi e concise, o di non rispondere proprio, o di farlo con appena appena una punta d’ironia. Risultato: tutto ciò che sapevano era che si chiamava Anise, era una Lusan, sapeva dell’esistenza del Multiverso e aveva viaggiato molto.
La cosa più strana, insomma, erano le occhiate che lanciava alle vetrate ogni volta che saltava fuori qualche battuta su età, mariti più o meno assenti e corpi più o meno cadenti, accompagnate da sorrisetti dei quali Vegeta non capiva i motivi. Nulla di insopportabile, insomma.

Poi avevano tirato fuori il vino.

Al primo bicchiere la Lusan era diventata visibilmente più allegra, e si era messa a chiacchierare di quanto le piacessero i fiori, tutti i tipi di fiori -“eccetto quelli che mangiano le persone, quelli noH!”.
Al secondo bicchiere si era messa a sedere sul tavolo e aveva cominciato a provarci con Yamcha, mettendosi a fargli perfino i grattini sotto al mento.
Poi aveva bevuto il terzo bicchiere di vino e, dopo aver dato una di quelle sue strane occhiate alle vetrate, aveva apostrofato Kaaroth dicendogli “non vedi che tua moglie vuole attenzioni come Yamcha?! E falle due grattini, una volta tanto!” -e la cosa divertente era che quel tonto aveva persino provato a seguire il consiglio, beccandosi un pugno in testa.

Poi Bulma aveva fatto l’errore più grande di tutti, ossia dire ad Anise “noto che il vino ti ha sciolto la lingua”.

Sciolto la lungua.
Scioglilingua.
Ecco.

«Sa chi sa se sa chi sa che se sa non sa se sa, sol chi sa che nulla sa ne sa più di chi sa!» affermò Anise, alzandosi in piedi sul tavolo «ma più che altro: quanti rami di rovere roderebbe un roditore se un roditore potesse rodere rami di rovere? Eh?»

«Ma che brillante idea, Bulma» borbottò Vegeta all’indirizzo della moglie.

«Come potevo immaginare una cosa del genere? E dopo soltanto tre bicchieri di vino?!» sibilò Bulma «Tre bicchieri, Vegeta! Ero dispiaciuta che il mio piano per farle incontrare Lord Beerus non potesse essere messo in pratica oggi» perché il dio al momento dormiva, così aveva detto Whis mezz’ora prima «Ma vedendo questo… è meglio così!»

«Il tuo piano per fare cosa?!» allibì Vegeta «Bulma, evita di impicciarti di certe cose! Abbiamo già abbastanza problemi senza aggiungerne potenziali altri anche con Lord Beerus! Cosa ti è saltato in testa?! Solo perché sono entrambi delle sottospecie di felini hai pensato che potesse essere una buona idea?!»

«Ma no che non era per quello!» ribatté Bulma, arrossendo leggermente per la mezza bugia «Ad ogni modo, a questo punto non è più importante cosa io abbia o meno pensato… il problema non si pone».

Chichi, con aria da moralizzatrice, si avvicinò a Bulma. «La prossima volta che la inviterai, niente vino».

Bulma stava per rispondere “stanne certa”, quando all’improvviso un fascio di luce piombò a poca distanza da loro.

“Oh no!” pensò Bulma, mettendosi le mani tra i capelli “ma Whis non aveva detto che stava dormendo?!”

Bulma aveva ragione, Whis aveva detto proprio così, e non aveva mentito, perché Beerus stava effettivamente dormendo; peccato che l’Hakaishin si fosse svegliato da solo circa dieci minuti dopo la chiamata, e proprio con l’idea di andare sulla Terra a mangiare qualcosa. Se le cose nel Torneo del Potere fossero andate male quelli sarebbero stati gli ultimi pasti, quindi voleva approfittare di ogni occasione possibile!

«Salve a tutti!» esordì Whis, composto ed elegante come di consueto «Speriamo di essere ancora in tempo per…»

La frase morì sulle sue labbra violacee appena notò e identificò la persona che se ne stava in piedi sul tavolo.

Dal giorno in cui avevano messo piede sulla Terra per la prima volta, la vita di Whis e Lord Beerus aveva subito dei piccoli -ma nemmeno tanto- cambiamenti, e si erano trovati a vivere situazioni che mai in tutta la loro esistenza avevano vissuto, o che mai avrebbero potuto pensare di affrontare.
Era curioso il modo in cui quel piccolo pianeta azzurro fosse, anche per un angelo e una divinità, fonte di stranezze più o meno gradevoli e coincidenze che, in quel caso, di gradevole non avevano proprio nulla.


C’erano dodici universi.

C’erano moltissimi pianeti abitati.
C’erano moltissime città.
C’erano ventiquattro ore in una giornata -almeno su quel pianeta.
Quante erano la probabilità, in tutto questo, che avvenisse un incontro tra due persone il cui cammino mai, mai, avrebbe dovuto incrociarsi nuovamente?

Lo sguardo sconvolto della Lusan, pietrificata sul posto, era identico a quello di Lord Beerus, la cui reazione era stata identica. Anzi, forse per lui lo stupore era perfino più grande perché, per quanto ne sapeva, Anise era morta centinaia di milioni di anni prima.

Bulma, come tutti gli altri, osservò le loro espressioni… ma fu la sola nella cui mente si affacciò questo pensiero: “potrei aver commesso un danno”.

«Anise?...» fu la prima parola che il dio riuscì ad articolare.

“Quando arriva il giorno della tua morte…”

Forse il pensiero che l’aveva perseguitata al suo risveglio aveva trovato un significato.










Salve!
Vi ringrazio per aver letto fin qui.
Questo non è altro che la prima parte di un "teaser" che sarà composto, in tutto, di due o tre capitoli. A questo dovrebbe seguire una long-fic ambientata circa... centinaia di milioni di anni fa :) a seconda dell'interesse che potrebbe o meno riscuotere questo teaser - nonché il personaggio della simpaticissima (?) Anise.
Fatemi conoscere la vostra opinione, se ne avete voglia: siete anche liberi di dire "Fa proprio tanto tanto schifo, Sinkarii, torna nella grotta dalla quale sei uscita", se lo ritenete opportuno! Io vi ringrazierò comunque per il tempo che avete impiegato per sciverlo :*D

   
 
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