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Autore: Potterhead_92    17/04/2017    1 recensioni
Due ragazzi si incontrano in un pub, entrambi hanno sulle spalle il peso di una vita difficile e vorrebbero solo dimenticare, andare avanti. Trovano il modo di alleggerire la mente e dare sollievo alle loro anime in pena, ma poi tutto cambia e la realtà si ripresenta nuda e cruda, ponendoli davanti ad una scelta: il cuore o la mente?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un amore strano il nostro. O era la passione a farci vivere come due animali in gabbia? Veramente non lo so, ma se c'era una cosa che sapevo è che ci amavamo. Forse anche troppo. Dev'essere questa la ragione per cui poi è finita. Troppo amore. Troppa gelosia. Troppa possessione, controllo. Troppa passione. Era tutto troppo per due come noi: lui cresciuto a modo suo in una famiglia che detestava, il padre alcolizzato e violento, la madre che, forse per paura, li ha abbandonati quando lui era solo un bambino, ed è scappata. Ha pochi amici e non tutti affidabili, anzi, a dirla tutta, spesso mi sono chiesta come faccia a stare con loro, come possa fidarsi di quei ragazzi. E poi ci sono io, non meno incasinata, una ragazzina cresciuta con la madre in un monolocale in cui non ci si muove, logoro e male odorante, in un quartiere in cui si subiscono furti un giorno si e l'altro pure e la gente ti guarda come se stessi per aggredirla, perennemente sulla difensiva. Mia madre era fuori dalle dodici alle quindici ore al giorno, a farsi in quattro per mantenere due lavori che si e no le fruttavano i soldi dell'affitto ed il minimo indispensabile per vivere.
Ci incontrammo in un pub nella periferia, lui cercava di vendere la roba per poter campare senza chiedere nulla al padre, come sempre, io invece cercavo della roba per annebbiare la mente e fingere di non sapere cosa mia madre faceva per andare avanti, per permetterci di vivere sotto un tetto. La vedevo consumarsi lentamente, sempre più affaticata, sempre più debole. Non sopportavo l'idea del suo eterno sacrificio, per questo di notte entravo in quel pub e per un paio d'ore buone non esistevano affitti da pagare, non esisteva nulla.
Quella sera entrai nel pub con l'intenzione di sballarmi al punto da dimenticare perfino come mi chiamavo, ma le cose non andarono esattamente così.
Dopo un paio di drink e qualche sguardo in giro, avevo bisogno di una sigaretta, ma non mi andava di restare lì dentro, nel caos, quindi uscii e mi fermai all'entrata, tirando fuori il pacchetto di Marlboro rosse dalla tasca dei pantaloncini e poi accendendola, facendo il primo lungo tiro e chiudendo gli occhi. Dio, quanto ne avevo bisogno.
Conservai il pacchetto in tasca e sussultai quando sentii delle voci poco distanti, voci maschili che non promettevano nulla di buono.
Riaprii gli occhi e mi voltai a guardare, un ragazzo moro, alto e tatuato stava discutendo animatamente con un tizio poco più grande, capelli biondi ed aspetto trasandato, nella mano stringeva un coltellino, lo notai per il riflesso che la luce del lampione diede alla lama.
Non so di preciso cosa stessero dicendo, ma a quanto pare discutevano di una bustina di roba e di soldi.
Cercai di non prestare attenzione a loro e continuai a fumare, ma un rumore sordo mi fece intuire che i due erano arrivati alle mani e già immaginavo la tragedia.
Il tizio col coltellino diede diversi pugni al ragazzo moro, poi un calcio che lo spinse addosso a me.
Stavo giusto per dire la mia quando il moretto, che probabilmente aveva capito le mie intenzioni, mi afferrò per un braccio ed iniziò a correre. Ci allontanammo insieme da quel posto, lui mi portò in una specie di scantinato, una stanza piccola e buia in cui ci passava le giornate, pur di non stare col padre.
Sentivo il cuore battere così forte che se avesse potuto mi avrebbe sfondato il petto. Mi trovavo in un luogo sconosciuto, con un ragazzo sconosciuto e sanguinante che ancora mi teneva per un braccio, e probabilmente se ne rese conto, perché poco dopo allentò la presa e spostò la mano.
Mi chiese se stavo bene, ma non risposi.
Allungò una mano e spinse l'interruttore, accendendo la luce, una semplice lampadina che scendeva dal soffitto al centro della stanza. Sotto quella luce vidi chiaramente il suo volto, aveva un sopracciglio spaccato ed il labbro gonfio, l'occhio destro di lì a poco sarebbe diventato livido.
Deglutii piano e d'istinto sollevai una mano, sfiorai il sangue sul suo viso e poi fissai lo sguardo nel suo, senza proferire parola.
Non stavamo parlando, ma nella stanza non c'era silenzio, o almeno non c'era silenzio nella mia testa. Comunicavamo con lo sguardo, ci guardavamo come dei predatori che bramano la preda più succulenta tutta per sé.
Restammo così per diversi minuti, poi all'improvviso parlammo, entrambi, e dicemmo la stessa cosa, ovvero i nostri nomi.
C'era qualcosa tra di noi, qualcosa di forte, l'aria era elettrica. Continuavamo a fissarci, con intensità, senza parlare, poi lui mi strinse a sé e posò le labbra sulle mie, deciso, come se sapesse che non avrei opposto resistenza.
Sentii una fitta al cuore, un'emozione intensa e mille piccoli brividi che mi percorrevano la schiena, mentre ricambiavo quel bacio con passione, passione che ci spinse ad amarci per la prima volta, in quella piccola stanza dimenticata dal mondo, come io e lui.
Cominciammo a frequentarci, ad incontrarci ogni sera in quel posto, imparammo a diventare l'una il tutto dell'altro. Avevamo noi e una piccola stanza, il resto non serviva. O così credevamo.
Più il tempo passava e più ci sentivamo liberi di sfogarci l'uno con l'altro quando qualcosa non andava..più ci sentivamo liberi e più ci facevamo male. Una parola di troppo, un gesto cattivo, un graffio sul cuore.
Non amavo discutere con lui, quelle occasioni diventavano frequenti e ci stavano divorando, ci stavano separando. Ero sempre più spenta e silenziosa, lui era sempre più nervoso e triste.
La sera in cui tutto finì..lui era particolarmente nervoso, borbottava qualcosa sul padre e le donnacce che si portava a letto, di come esse riuscissero a fargli fare ciò che volevano. Io cercavo di dirgli che mia madre era stata licenziata, quando ad un certo punto non riuscivo più a zittirlo urlai.
Alzai la voce e questo lo infastidì, agì d'istinto e fu violento. Quella sera fu violento. Dio solo sa quanto piangemmo quella notte, stretti l'uno all'altra in quel lettino. Ci amammo per l'ultima volta..e fu un mix di passione e rabbia..dolore..paura. Sapevamo entrambi che sarebbe stata l'ultima volta, non avevamo voglia di separarci, ma decidemmo che era meglio per entrambi.
Smettemmo di frequentarci e smisi di andare in quel pub, perché avrei ceduto e sarei tornata da lui.
L'ho cercato in ogni ragazzo che ho avuto in seguito, ma ancora oggi, ogni volta che mi presento a qualcuno cerco quelle emozioni che sentii con lui.
   
 
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