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Autore: usotsuki_pierrot    19/04/2017    1 recensioni
Dedico questa ff ad una carissima amica, la creatrice di Lizzy, in quanto ha una storia così bella e studiata nei minimi dettagli che non potevo non scriverci nulla in merito!
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C'era qualcosa di decisamente sbagliato quel giorno. Qualcosa che si era diffuso rapidamente nell'aria, sin dalle prime ore dell'alba, e che aveva scatenato un orribile presentimento nell'animo della maggior parte degli abitanti di Suna, e non solo. Un qualcosa di indefinibile che, per una volta, in quei tempi così difficili, faceva da filo conduttore tra il Villaggio della Sabbia e Konoha, dato che quella sensazione sgradevole che impregnava la mente e appesantiva il corpo era giunta persino in alcune case della Foglia; più precisamente, in quelle di Shikamaru Nara e Choji Akimichi.
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«Non credi che il tempo oggi sia strano, Gaara?», chiese Temari, che stava camminando tranquillamente per il Villaggio accanto al neo-Kazekage. Quest'ultimo annuì, senza proferire parola, gli occhi chiari rivolti al cielo che sebbene fosse sereno sembrava avere tutta l'intenzione di mutare da un momento all'altro.
«Tu cosa ne pensi, Lizzy?».
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kankuro, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara, Temari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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PREMESSA
Ooooh, eccoci qui! Dunque, questa fic è venuta mooolto più lunga di quanto avrei mai immaginato. Incentrata sull'oc di una mia carissima amica, Lizzy, che avrete magari già visto in altre mie storie, racconta di una delle parti più drammatiche della sua vita.
Per farla breve, i suoi genitori avevano tentato di spodestare l'Hokage senza riuscirci, e sono morti proprio durante questo colpo di stato. Lizzy, che ha la stessa età di Kankuro e ha vissuto per anni in orfanotrofio a Konoha, legando soprattutto con Shikamaru e Choji; è stata successivamente trasferita a Suna, dove ha conosciuto meglio i tre fratelli e Baki, e un giorno è stata contattata da un'organizzazione che sostanzialmente le ha offerto di cancellare definitivamente i crimini compiuti dalla sua famiglia unendosi a loro al completo servizio dei Kage. Unica prerogativa: inscenare la propria morte, così da tagliare ogni rapporto con la vecchia vita che sarebbe stata spazzata via.
Detto questo, buona lettura!
*Doro-bunshin no jutsu (泥分身の術): arte del clone di fango.



C'era qualcosa di decisamente sbagliato quel giorno. Qualcosa che si era diffuso rapidamente nell'aria, sin dalle prime ore dell'alba, e che aveva scatenato un orribile presentimento nell'animo della maggior parte degli abitanti di Suna, e non solo. Un qualcosa di indefinibile che, per una volta, in quei tempi così difficili, faceva da filo conduttore tra il Villaggio della Sabbia e Konoha, dato che quella sensazione sgradevole che impregnava la mente e appesantiva il corpo era giunta persino in alcune case della Foglia; più precisamente, in quelle di Shikamaru Nara e Choji Akimichi.
I due, infatti, non fecero nemmeno in tempo ad aprire gli occhi, nelle rispettive abitazioni: l'istinto di chiedersi cosa fosse successo o cosa stesse per accadere li portò accanto alle finestre delle loro camere, con lo sguardo rivolto al cielo, le pupille che osservavano turbate le nuvole che passavano lente e le mani strette al cornicione. Un leggero vento giunse al viso teso dello stratega, accarezzandogli le guance e scompigliandogli per quanto possibile i capelli neri, portando con sé un debole odore che il ragazzo parve riconoscere all'istante. Un'immagine gli si parò immediatamente davanti agli occhi, un'immagine che lo risvegliò completamente, l'immagine di lei...
Una piccola goccia di sudore scese delicata sulla sua tempia, nel momento in cui si concesse di interrompere quell'attimo di immobilità per deglutire. Strinse maggiormente le mani al cornicione, corrugando la fronte e mordendosi il labbro nel vano tentativo non solo di levarsi di dosso quella tremenda sensazione, ma anche di trovare una qualche spiegazione logica e plausibile alla sua presenza, e al possibile collegamento con quella strana e lieve folata di vento.
Ma nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare - o forse l'idea era stata ripudiata fin da subito da entrambi - che qualcosa di terribile sarebbe accaduta di lì a poco, in un luogo non troppo distante da Konoha.

 


«Non credi che il tempo oggi sia strano, Gaara?», chiese Temari, che stava camminando tranquillamente per il Villaggio accanto al neo-Kazekage. Quest'ultimo annuì, senza proferire parola, gli occhi chiari rivolti al cielo che sebbene fosse sereno sembrava avere tutta l'intenzione di mutare da un momento all'altro.
«Tu cosa ne pensi, Lizzy?», continuò la bionda piegandosi lievemente in avanti e allungando lo sguardo dapprima ostacolato dalla presenza del ragazzo verso la castana, che osservava il terreno ai suoi piedi con un'espressione pensierosa e assente - troppo assente, aveva pensato la kunoichi -.
Con un broncetto e la mano destra appoggiata al fianco, la sorella del Kage corrugò la fronte e riprese immediatamente a parlare, facendo in modo che anche Gaara abbassasse lo sguardo sull'amica.
«Lizzy, ci sei??». Ancora nessuna risposta.
«E-li-za-beth?», ripeté per l'ultima volta, scandendo bene ciascuna sillaba del suo nome per intero. Solo a quel punto l'interpellata si degnò di scostare gli occhi azzurri dalla sabbia ai suoi piedi, alzando lo sguardo e posandolo sulla figura della ragazza. Dopo aver realizzato il tutto - cosa che risultò abbastanza semplice, data l'espressione infastidita e preoccupata della stessa -, Lizzy scosse rapidamente la testa, alzando ed agitando lentamente le braccia.
«Sto... Sto bene..!».
«A me non sembra...», rispose prontamente lei, continuando a fissarla imbronciata.
La ragazza dagli occhi azzurri non proferì ulteriore parola, si limitò a mordersi il labbro e distogliere lo sguardo dal viso insistente e dall'espressione curiosa e preoccupata della bionda, torturandosi le mani. La più grande a quel gesto sospirò, raddrizzando nuovamente la schiena e chiudendo gli occhi.
«A quanto pare non è solo il tempo ad essere strano, oggi», sussurrò, sotto lo sguardo attento di Gaara che passò dal guardare di sfuggita la sorella al posare le pupille sulla figura schiva e distratta della castana.
Ad un tratto, una voce poco lontana urlò non appena i tre furono abbastanza vicini. «Lizzy!!». La kunoichi posò gli occhi color del cielo sulla figura che si stava rapidamente avvicinando, e riconobbe uno dei bambini dell'orfanotrofio in cui viveva.
«Shiro-chan!», esclamò felice, abbassandosi un poco sulle ginocchia per poter arrivare alla stessa altezza del ragazzino, che rispose al tono spensierato della più grande con un piccolo broncio e le braccia incrociate.
«Lizzy, ti avevo detto di non usare più il 'chan', sono cresciuto ormai!!».
La castana rise divertita a quell'affermazione pronunciata con tono così convinto da parte del più piccolo; posò una mano sulla sua testa e delicatamente prese a scompigliare i capelli al bambino. Quest'ultimo chiuse un occhio arrossendo a quel gesto di affetto così tipico della kunoichi e rimase imbronciato, intenzionato a non mostrare il minimo segno di cedimento – nonostante, a dirla tutta, non sembrasse nemmeno sdegnare quelle carezze così premurose e quasi materne -.
«Lizzy, oggi non rimani con noi a giocare?». Lo sguardo del piccolo si fece all'improvviso più dolce, mentre gli occhi desiderosi di risposte e attenzioni si soffermavano sul viso della più grande. La ragazza sorrise intenerita, un sorriso tuttavia triste, consapevole di cosa lo attendeva; abbassò la mano fino a giungere alla guancia soffice di Shiro, la tirò un poco con delicatezza e si limitò a scuotere la testa, socchiudendo gli occhi chiari che cominciavano ad inumidirsi.
«Mi dispiace, Shino-kun... Oggi la nee-san ha da fare...». Lo sguardo del più piccino sembrò rabbuiarsi lentamente ad ogni parola pronunciata dalla kunoichi, e non appena la frase fu conclusa, la testa coperta da folti capelli scuri ricadde sul piccolo petto, mentre le mani si stringevano a pugno.
«Però stasera giocherai con noi, vero..?». La castana deglutì silenziosamente, attese qualche secondo, e successivamente annuì piano, sforzandosi di offrirgli un sorriso sincero e felice.
Dopotutto sapeva che sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto lui e tutti gli altri bambini dell'orfanotrofio; gli stessi che l'avevano accolta felicemente e senza farla sentire fuori posto nel momento in cui si ritrovò costretta a lasciare la medesima struttura a Konoha a causa dell'assenza di spazio a sufficienza. In quell'istante, la sua mente passò in rassegna i visi gioiosi, innocenti e curiosi di ogni bambino, il giorno in cui varcò la soglia della temporanea casa di chi non aveva una famiglia. Ricordava perfettamente le loro voci felici e spensierate, i pomeriggi e le notti passati a raccontarsi storie, a giocare e divertirsi, noncuranti delle ferite che li avevano segnati già in tenera età. Quei bambini erano stati per lei una cura. Ma quelle stesse ferite che pensava si fossero rimarginate si erano da qualche tempo riaperte, e la stavano conducendo verso una via senza ritorno, una via dal quale nessuno l'avrebbe potuta salvare, macchiata dal sangue versato dai suoi genitori e dai crimini commessi dalla sua famiglia.
Non appena ottenne la risposta positiva da parte della ragazza, il bambino sfoderò un grande sorriso felice e le concesse un piccolo abbraccio, facendo inumidire gli occhi della kunoichi; le braccia di lei avvolsero il corpo del più piccolo, senza lasciare che l'espressione forzata dipinta sul suo volto la abbandonasse proprio all'ultimo.
Poco dopo il bimbo ritornò saltellando felice dagli altri, che salutarono gioiosi la loro “sorellona”. La castana sorrise passandosi il dorso della mano sugli occhi sotto gli sguardi inteneriti di Gaara e Temari, che avevano conservato un rigido e rispettoso silenzio fino a quel momento.

«Eccoci all'entrata di Suna». Il tono di voce di Temari si fece più aspro, serio e deciso. Sentiva che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto, ed era la medesima sensazione che l'aveva assalita nell'istante in cui, quella stessa mattina, Lizzy aveva proposto a lei e Gaara di fare un breve giro d'ispezione attorno al Villaggio, essendo il rosso appena entrato in possesso del titolo più rinomato di Suna; un titolo che avrebbe fatto gola a molti.
Ma il tono di Elizabeth non era tanto convinto da permetterle di mettersi l'animo in pace: avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti. Non che stesse sospettando dell'amica, o pensasse che mirasse a far loro del male. Anzi, la preoccupazione della bionda risiedeva proprio nell'innocenza della kunoichi, che - ne era certa - non avrebbe mai fatto nulla che potesse ferirli. Inoltre, si convinse perlomeno di quello, Lizzy non era affatto attirata dalla posizione investita dal fratello.
Una domanda però le vagava senza sosta e senza meta nella mente: cos'era quella preoccupazione nella sua voce? Cosa si celava dietro a quella richiesta così insolita, a quel comportamento distratto e del tutto innaturale da parte sua, a quei gesti appesantiti da una visibile malinconia, come se... fosse stata la sua ultima occasione per compierli?
Gli occhi della più grande osservavano il viso teso della castana in cerca di risposte che potessero placare la sua curiosità, la sua agitazione. Temari sapeva per certo che quella non era solo la paranoia che si stava divertendo a giocare un brutto scherzo. Ma al contempo, come tenere d'occhio quasi come una prigioniera sospetta una persona fidata, un'amica come lei?
Decise di lasciar perdere con le domande che sarebbero in ogni caso rimaste irrisolte, sospirò e guardò fisso avanti a sé, verso l'uscita del Villaggio, protetta e sorvegliata da poche ma efficienti guardie.
Qualche minuto e i tre furono all'esterno del Villaggio, ma comunque abbastanza vicini da poter ritornare in caso di pericolo.
Il paesaggio si presentava sconfinato, sotto forma di un'infinita distesa di sabbia mossa dal vento e interrotta qua e là da qualche roccia solitaria che faceva capolino.
La castana fu la prima a guardarsi intorno, e non appena trovò ciò che stava cercando, si allontanò a passi lenti dal gruppo.
«Lizzy? Lizzy, dove stai andando?». Come poco tempo prima, anche questa volta la voce della più grande sembrò arrivare a fatica alle orecchie dell'interpellata, che si fermò e si degnò di voltarsi verso di loro solamente dopo qualche attimo in cui sembrò ponderare se ne valesse o meno la pena.
«Mi è sembrato di vedere qualcosa di strano, laggiù».
Temari assunse un'espressione sorpresa e confusa, e aggrottò la fronte assottigliando di poco gli occhi per poter osservare il punto in cui si stava dirigendo la ragazza; non vide nulla.
«Non è comunque sicuro andare da sola! Vengo io con te, dopotutto siamo venuti qui per questo, no?».
«Temari, non ti preoccupare! Me la posso cavare da sola, dopotutto sono o non sono una kunoichi?». Lizzy offrì un caldo e tenero sorriso alla bionda, che rimase qualche secondo immobile senza sapere come rispondere. Alla fine decise di limitarsi a sospirare, abbassando la testa e posandosi una mano sul fianco.
«E va bene, ma vedi di non essere imprudente. Ti terremo d'occhio da qui, sappi che interverrò non appena succederà qualcosa di sospetto».
Una lieve risata sfuggì alle labbra della più giovane.
«Pensa a proteggere il Kazekage, Temari! Non devi agitarti, saranno sicuramente pesci piccoli!». Lo sguardo di Lizzy si fece istantaneamente serio. Gli occhi azzurri presero a fissare quelli della bionda. «Ti prego... Non ti avvicinare. Pensa a mettere in salvo Gaara-sama, in ogni caso».
La ragazza non riuscì a distogliere l'attenzione dalle pupille dell'amica. Erano così determinate, ma al contempo estremamente preoccupate, e donavano al viso candido della giovane un'aria decisamente troppo agitata. Sembrava quasi che sapesse un qualcosa di misterioso e segreto, di cui nessun altro era a conoscenza. Temari rimase bloccata dalla scintilla che brillava nell'azzurro cielo di quegli occhi. Un orribile presentimento la travolse silenziosamente.
Perché si sentiva come se quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe mai più potuto rivedere l'amica? Come mai nel profondo percepiva quell'angosciante paura che aumentava man mano che i secondi passavano, e che si stava diffondendo a macchia d'olio in tutto il suo corpo, nei suoi polmoni, nella sua gola?
Gaara posò una mano sulla spalla della sorella, quasi come se avesse percepito anch'egli l'agitazione che stava mettendo a soqquadro la sua mente.
La castana si voltò offrendo un ultimo piccolo ma pesante sorriso; alla biondina parve quasi di poter scorgere una lacrima solcarle il viso pallido, cadere dagli occhi umidi e bagnarle la guancia, fino a giungere a terra, sulla sabbia.
Dopodiché poté solo vedere la sua schiena, mentre estraeva il fidato bastone con le mani già coperte dai guanti che portava sempre con sé. Quegli stessi guanti neri che la aiutavano a dirigere il chakra del fulmine nella mano sinistra e quello del fuoco nella destra; e che usava solo in combattimento.
La ragazza iniziò a correre verso il punto indicato precedentemente a Temari, e quando fu abbastanza lontano dai due, si fermò, guardandosi intorno.
All'improvviso, una figura uscì allo scoperto, saltando da dietro il masso che aveva funzionato come nascondiglio fino a quel momento.
Lizzy si voltò immediatamente verso di lui, e strinse il bastone tra le dita sottili, impugnandolo con entrambe le mani e allungando le braccia verso il ninja che ancora non aveva terminato il salto.

D'un tratto, il fulmine da un lato e il fuoco dall'altro presero il possesso dell'arma, che brillò di una luce che rischiò di accecare i presenti. Il suono di quelle scintille che si espandevano sul legno divenne quasi assordante al contatto con il manico della katana appena estratta dall'avversario, mentre il fuoco veniva alimentato sempre più man mano che il tempo passava e la pressione delle dita sullo strumento aumentava.
Il nemico posò finalmente i piedi a terra, ma con un balzo fulmineo si allontanò dalla ragazza.
«Lizzy!!». Temari portò rapidamente un braccio dietro la schiena, e afferrò il ventaglio, mentre Gaara aveva già mosso di poco il braccio per poter alzare una - per il momento - piccola quantità di sabbia. Non sarebbe servito ucciderlo senza prima aver ottenuto qualche informazione su quell'imboscata così improvvisa.
Le guardie che sorvegliavano il Villaggio vennero immediatamente attirate dai rumori poco distanti dalle mura, e uno di loro abbandonò la postazione correndo verso il ragazzo e la sorella maggiore.
«Kazekage-sama, cosa sta succedendo..?!».
«Un'imboscata, Elizabeth è in pericolo», rispose solamente, senza distogliere lo sguardo dallo scontro in atto.
Lo shinobi strinse i pugni.
«Ci penso io». Temari digrignò i denti, con gli occhi chiari puntati sulla figura di Lizzy.
«Gaara, non muoverti, è troppo pericoloso», si limitò ad annunciare la biondina, mentre già aveva preso a correre verso il nemico.
«Temari!!», urlò Lizzy, ma nel momento in cui la castana allungò un braccio verso di lei, imprimendo all'intero bastone il chakra del fulmine istantaneamente, un altro ninja fece la sua comparsa, parandosi tra le due kunoichi.
Pochi sigilli eseguiti con le dita e, non appena le mani sfiorarono il terreno, un pesante e spesso muro iniziò a formarsi davanti ai tre.
La più grande afferrò il ventaglio con un urlo di battaglia e di rabbia, ma non fece in tempo a scagliare una delle sue potenti raffiche di vento; la parete di sabbia era già stata eretta, e nemmeno uno dei suoi attacchi migliori era riuscito a scalfirla, tanto meno la sabbia del rosso che cominciò ad abbattersi senza sosta contro la cupola.

«È il momento». All'interno della temporanea struttura di sabbia, intanto, il combattimento era stato sospeso. Lizzy si era fermata ma continuava a far scorrere il chakra del fulmine per far si che il rumore giungesse al di fuori, per non far insospettire il Kazekage, Temari e le guardie. I colpi insistenti e decisi della sabbia di Gaara e delle folate di vento alzate dalla bionda provocavano un forte rimbombo all'interno della cupola, che tuttavia sembrava sufficientemente stabile da resistervi.
Il ninja incappucciato che l'aveva eretta si trovava nel medesimo punto, inginocchiato, con i palmi delle mani ben permute contro la terra.
L'altro, che per primo aveva attaccato, si avvicinò alla ragazza, estraendo dalla borsa che portava alla vita un grande mantello nero con cappuccio.
«Indossa questo, comincia l'operazione. Sai cosa fare». A quella frase la castana annuì; posò il mantello appena ricevuto e il bastone a terra e si inginocchiò. Porto le mani davanti al viso, le dita accuratamente posizionate per eseguire quel jutsu sul quale si era esercitata moltissimo negli ultimi giorni, e chiuse gli occhi azzurri.
«Doro-bunhsin no jutsu*», sussurrò.

Davanti a sé una figura cominciò man mano a prendere le sue sembianze, un corpo fatto di fango, un corpo che aveva curato nei minimi dettagli durante gli allenamenti intensivi dei giorni immediatamente precedenti per far si che ogni minimo dettaglio, ogni più piccola e all'apparenza insignificante caratteristica del suo fisico fosse il più fedele possibile all'originale. I vestiti, il bastone, i guanti, i capelli. Ogni graffio, cicatrice, segno sulla pelle, tutto veniva pian piano a crearsi su quel clone creato dalla fanghiglia.
Qualche istante dopo, la copia fu completata; in piedi davanti alla castana, che si alzò non appena finito, sarebbe stato difficile distinguere quale delle due fosse l'originale persino ai due ninja presenti, se la suddetta fosse stata completamente ferma accanto alla statua di fango.
«Aprirò un varco al lato opposto, preparati ad uscire immediatamente». La voce rigida dell'uomo impartì l'ordine, e qualche momento più tardi una piccola apertura si fece strada attraverso la spessa sabbia; il che permise alla kunoichi - a quella originale, s'intende -, di sgattaiolare via, coperta dal mantello, e di nascondersi senza far alcun rumore dietro alla roccia precedentemente utilizzata dal ninja e che, fortunatamente, si trovava a distanza ravvicinata dalla larga cupola creata dal compagno.
Non appena la giovane fu completamente invisibile agli occhi del Kage, di Temari e delle guardie, la struttura di sabbia iniziò pian piano a dissolversi, cadendo a terra in tanti minuscoli granelli.
Gli attacchi si fermarono, ma Temari sarebbe stata pronta a scagliare un'ulteriore potente folata di vento se non avesse in questo modo rischiato di ferire gravemente anche Lizzy. Dopotutto come avrebbe potuto sapere che quella non era l'amica in carne ed ossa, ma soltanto un clone? Clone che impugnava il bastone con entrambe le mani e nell'istante in cui l'interno della ormai ex-cupola fu ben visibile agli occhi dei presenti si trovava nella medesima posizione tenuta dall'originale poco prima.
Fu difficile ma non impossibile, grazie al duro allenamento alla quale si era sottoposta, gestire il corpo fatto di fango e il chakra che gli aveva infuso anche se solo in parte. L'arma impugnata da un lato brillava a seguito del fulmine e dall'altro ardeva dalle fiamme, elementi che era riuscita a fatica a trasferire tramite il clone, nonostante fossero visibilmente più deboli.
L'avversario, con la katana ben salda in pugno, sembrava ormai pronto a sfoderare l'ultima arma, quella che avrebbe posto fine allo scontro. Lanciò un'occhiata complice al compagno, che si era rapidamente alzato.
Dopo essersi allontanato di qualche passo aveva poi effettuato alcuni sigilli ed estratto un filo rigido di metallo dalla bocca. Ne estrasse quanto sarebbe bastato per immobilizzare gli arti della ragazza-clone, usò i denti per spezzarlo e con un agile movimento riuscì a raggiungere il corpo dell'avversaria e a bloccarle con facilità braccia e gambe, lasciandola sospesa a mezz'aria.
«Gaara!!». La voce della bionda richiamò in fretta il Kazekage, che aveva nel frattempo già raccolto un quantitativo sufficiente di sabbia e con il braccio teso aspettava solo il momento più opportuno per colpire senza recare danno alla malcapitata.
Decise che attaccare il ninja che aveva precedentemente eretto la cupola sarebbe stata una prima mossa decisamente più utile - anche perché tentare di colpire il compagno sarebbe stata dura a causa, appunto, delle barriere di sabbia.
Con un rapido movimento del braccio, protendendolo in avanti, il rosso scagliò la nuvola di granelli marroncini che aveva riunito, ma con un balzo il diretto interessato riuscì a schivare l'attacco che si era fatto fin troppo lento a causa del peso del materiale stesso. Gaara strinse l'altro pugno, mentre con la mano dirigeva la sabbia cercando di afferrare perlomeno il braccio al nemico decisamente molto più veloce del previsto.
Il secondo ninja approfittò della situazione per spiccare un potente balzo che lo permise di trovarsi direttamente sopra al corpo inerme della castana. Allungò un braccio e raggiunse la schiena con la mano, impugnando la lancia che aveva tenuto in serbo proprio per quell'ultimo attacco.
Temari si morse il labbro e strinse il pugno mentre afferrava nuovamente il ventaglio con l'altra mano. Sentiva il corpo tremare, avrebbe voluto attaccare e aiutare il fratello, ma i suoi non erano attacchi mirati come la sua sabbia e avrebbe di sicuro finito per ferire in qualche modo l'amica ancora appesa tramite i fili. Ma al contempo sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, qualsiasi cosa, o Lizzy sarebbe... sarebbe morta!
Prese velocemente il ventaglio e lo aprì davanti a sé, pronta a scagliare una rapida ma non troppo aggressiva folata di vento in direzione dei nemici; non fece nemmeno in tempo a mettersi in posizione.
In un secondo, fu tutto finito. In un singolo istante, dopo tutta quella fatica, tutta l'agitazione che aveva avvolto lei, Gaara e le guardie svanì, solo per lasciar posto ad uno shock terribile.
Gli occhi chiari della kunoichi non riuscirono a chiudersi di fronte alla vista della lancia impugnata dal ninja che si conficcava nella schiena di Lizzy, trapassandola e fuoriuscendole dal petto, fino a raggiungere il terreno e affondare con la punta della lama nella sabbia sotto il peso del proprietario, che poco dopo tornò con i piedi per terra.
Un urlo di terrore da parte della bionda immobilizzò l'intera scena. L'assassino aveva lanciato un ghigno, tenendo saldamente l'arma con una mano, Gaara si bloccò all'istante, con lo sguardo impietrito e le pupille che quasi tremavano a quella vista. La sabbia era crollata a terra, lasciando libero il secondo ninja, che riuscì con agilità a ritornare accanto al compagno.
Il rosso allungò nuovamente il braccio, quella volta verso il corpo di Lizzy; le dita cercarono invano di raggiungerla, nonostante sapesse bene che la distanza era troppa.
D'altro canto, Temari cominciò a correre verso di lei, brandendo il ventaglio, mentre piccole lacrime iniziavano a farsi strada sulle sue guance. Ma non riuscì a colpirli, né ad arrivare in tempo ad una distanza che le permettesse di ingaggiare un combattimento corpo a corpo: i due si lanciarono subito un'occhiata e un lieve cenno del capo, e in pochi istanti scomparvero grazie ad un rapido balzo che consentì loro di allontanarsi il più in fretta possibile, sotto lo sguardo attento della vera Lizzy.
Quest'ultima, infatti, era rimasta lì, dietro il masso che adempiva al compito di nasconderla, senza sporsi più del dovuto, e solo per la pura e angosciosa curiosità di sapere come avrebbero reagito coloro che conosceva meglio.
Le si strinse il cuore alla vista dell'amica che si era avvicinata al corpo fatto di fango ma che non accennava a mostrarsi per quello che era grazie al chakra che l'originale continuava a donargli senza sosta.
La biondina si era inginocchiata accanto a lei; Lizzy poteva chiaramente vedere il suo corpo tremare mentre posava il ventaglio a terra e si appoggiava con i palmi delle mani sulla sabbia, con le lacrime che cominciavano a scendere più rapidamente. Si era morsa il labbro e aveva sbarrato le palpebre, ma nulla poté fermare quelle copiose gocce che attraversavano inesorabili le guance soffici e cadevano bagnando il terreno. Piccoli singhiozzi giunsero alle orecchie della castana, che per quanto tentasse di non farsi sopraffare dall'emozione per rimanere concentrata, non riuscì ad impedire ai suoi occhi di inumidirsi; e non aveva nemmeno previsto l'arrivo di Kankuro.
Ma proprio nell'istante in cui il pensiero del ragazzo le balenò nella mente, come una piccola luce, facendole dimenticare per qualche attimo la figura di Temari inginocchiata davanti al suo alter ego e i silenziosi singhiozzi di Gaara, l'istinto la fece sporgere per quanto poté dalla roccia, come un gesto involontario dettato dal suo cervello. E in un momento, lo vide. Kankuro, colui che aveva amato per anni e che non aveva dato un singolo attimo di tregua ai suoi pensieri, colui che la notte precedente era riuscita a raggiungere, unendosi a lui in un caldo e potente sebbene semplice primo bacio.
Ricordava perfettamente la sensazione che aveva provato a quel magico contatto che l'aveva quasi dolcemente costretta a chiudere gli occhi un po' per l'imbarazzo, un po' per potersi perdere insieme al ragazzo che amava in un luogo lontano da tutto e tutti, connessi tra loro solo tramite le loro labbra e le dita intrecciate, nonostante fossero sempre rimasti sul tetto di quell'edificio, seduti sulla panchina, sotto le stelle, senza muoversi di un centimetro.
Ricordava benissimo l'espressione teneramente imbarazzata che il marionettista aveva assunto, e il rossore che aveva colorato le sue guance, mentre la guardava con gli occhi che brillavano per lei anche più della luna.
Ed era consapevole, appunto, che si sarebbe trattato da lì in poi solo di quello, di un ricordo. Non appena infatti il suo sguardo ebbe incontrato il viso dello shinobi, quello che vide la fece raggelare sul posto.
Kankuro era corso all'uscita di Suna assieme a Baki, si era affiancato in fretta a Gaara chiedendogli cosa fosse successo, e solo a seguito del cenno del capo del rosso, il cui viso era coperto di lacrime, il marionettista aveva finalmente posato gli occhi scuri sulla figura di Temari.
A piccoli passi, il ninja si era avvicinato alla sorella, mentre Lizzy, che non riusciva a distogliere lo sguardo nonostante fosse l'unica cosa che avrebbe voluto fare, come se il suo corpo si fosse bloccato, continuava a ripetersi "non farlo Kankuro, stai lontano..!", illudendosi di poter impedire in quel modo al ragazzo di muoversi.
Fu questione di pochi attimi, attimi che però alla castana parvero secoli. Il marionettista aveva posato una mano sulla spalla della più grande, intento a chiederle perché stesse piangendo, ma non appena il suo sguardo incrociò il corpo attraversato dalla lancia di Lizzy, le parole gli morirono in bocca, nonostante le labbra fossero già schiuse. Le dita si strinsero alla spalla della bionda, gli occhi erano spalancati e iniettati di terrore, i muscoli iniziarono a non rispondere correttamente, facendolo tremare alla visione angosciante di fronte a lui. Cadde in ginocchio accanto alla più grande che dal canto suo non osava guardarlo.
Le mani tremanti del ragazzo si allungarono verso la figura della persona che più aveva amato, l'aveva liberata dalla scomoda e dolorosa lancia che sembrava aver quasi trafitto anche lui, e aveva preso quel corpo esanime tra le braccia.
D'un tratto, versi indistinti fuoriuscirono dalla sua bocca, versi che si conclusero in un urlo devastante, con la testa alzata e rivolta al cielo, gli occhi chiusi, le dita strette al braccio e al fianco della castana.
L'originale si sentì morire, distrutta da quel grido terribile, e si portò una mano a stringere la maglia sul petto all'altezza del cuore, come se avesse paura che davvero non stesse più battendo, che davvero fosse morta a causa del dolore di quel momento.
Persino Baki si sentì stringere in una morsa che l'aveva avvolto non appena l'urlo straziante del ragazzo gli giunse alle orecchie. Strinse i pugni, abbassando il capo in segno di rispetto, e si morse il labbro mentre gli occhi scuri si inumidivano al pensiero di aver perso quella che per lui era stata come una figlia. Il contegno che stava tanto faticando a mantenere lo abbandonò lentamente, lasciandosi andare a silenziosi singhiozzi.
Il cielo si fece sempre più scuro e coperto di nuvole, quando, minuti e minuti dopo, Kankuro cominciò a rialzarsi tenendo in braccio il corpo senza vita della ragazza. Ormai non emetteva più alcun suono. I suoi occhi erano vuoti mentre osservava il petto immobile di Lizzy, il suo viso e quelle labbra che non avrebbe mai creduto di poter baciare soltanto una volta.
Cominciò lentamente a camminare a passi insicuri verso l'entrata del Villaggio, sotto lo sguardo triste e pallido di Temari – che dal canto suo non aveva la forza di rialzarsi – e gli occhi chiari ancora lucidi di Gaara; passò poi accanto al loro sensei, che rivolse semplicemente una rapida occhiata alla mano della kunoichi che ricadeva di lato e dondolava leggermente, seguendo l'andatura del castano, prima di distogliere nuovamente l'attenzione da lei e lasciar scivolare qualche piccola lacrima sulle guance.

 

Lizzy già sapeva che quel piano non avrebbe fatto altro che procurare immenso dolore non solo a coloro che l'avrebbero vista “morta”, ma anche a se stessa, e questa convinzione era cresciuta senza sosta negli ultimi giorni.
Era stata ovviamente costretta a rimanere, seppur nascosta, il più vicino possibile al suo clone, per potergli infondere quel minimo di chakra che l'avrebbe tenuto intatto prima del momento finale, quello della sepoltura. Dopodiché, le avevano ordinato quegli uomini vestiti di nero, avrebbe interrotto il jutsu e si sarebbe allontanata lasciandosi alle spalle il clone che man mano si sarebbe sciolto all'interno della tomba.
Aveva già messo in conto che sarebbe stato difficile assistere al suo stesso funerale, o quantomeno era consapevole del fatto che l'avrebbe facilmente scossa. Tuttavia fece ciò che poté per tenere gli occhi serrati il più possibile, non ascoltare nemmeno una parola e mantenersi lontana dagli eventi. Dopotutto, si ripeteva nel vano tentativo di rassicurarsi, non era una cerimonia vera e propria. Non era veramente morta.
Ovviamente, non bastarono quelle semplici frasi pensate nemmeno con tanta convinzione. Era vero, non era stata uccisa, ma era perfettamente cosciente del fatto che per loro, per Kankuro, Temari, Gaara, Baki, i bambini e tutti gli abitanti di Suna, con cui aveva legato in quegli ultimi anni, le cose erano diverse. Non avrebbe mai potuto rivederli, passarvi del tempo, vivere una vita normale insieme a coloro che le erano stati vicino e che l'avevano voluta bene. Non avrebbe più potuto concedersi di amare. Di amare Kankuro, nemmeno dopo il bacio che si erano scambiati quella notte, e che ritornava a far capolino costantemente nei suoi pensieri, tanto che più volte si ritrovò involontariamente a toccarsi le labbra con due dita. Come per rivivere quel momento che non sarebbe più tornato indietro, e che avrebbe vissuto solamente nei suoi ricordi, nella sua mente e in quella del castano.

 

 

«Shikamaru, c'è una lettera per te». Il corvino si voltò, seduto com'era davanti alla sua scacchiera, e osservò il viso del padre e la busta che teneva nella mano tesa verso di lui.
Lo stratega tirò un sospiro svogliato, e si allungò verso l'uomo, afferrando l'oggetto e leggendo il mittente segnato al di sopra.
«Eh? Viene dal Villaggio della Sabbia?». All'improvviso, l'immagine di Lizzy comparve nella mente del ragazzo, i muscoli gli si irrigidirono per qualche istante; deglutì, pensando alla strana sensazione provata qualche giorno prima, quel brutto presentimento che non l'aveva lasciato in pace da allora.
Le dita abili del corvino indagarono all'interno di quella busta, estraendovi qualche secondo dopo il sottile foglio di carta. Posò a terra accanto a lui l'involucro, incrociando nuovamente le gambe e iniziando a leggere attentamente, dopo aver atteso impaziente che il padre fosse completamente uscito dalla stanza.
Gli occhi del ninja della Foglia si spalancarono. Le mani presero a tremare, le dita si strinsero alla carta, stropicciandola un poco, alla vista delle parole “Lizzy” e “morta” nella stessa frase.
«No... no, non è possibile, no!!». Lo stratega rilesse più e più volte quelle poche frasi scritte con inchiostro nero dal Kazekage, e il suo cuore rischiò di smettere di battere ciascuna di esse.
L'amica che lui e Choji avevano da sempre considerato come una sorella maggiore, con cui erano cresciuti, che concedeva loro un sorriso caloroso ogni giorno, nonostante la sua vita fosse difficile, quasi come se avesse voluto nascondere la sua sofferenza dietro a quella maschera.
Colei che li aveva sempre chiamati “fratelli”, che li aveva ringraziati più volte per essere la famiglia che non aveva mai avuto. Che li aveva uniti più di quanto non fossero già prima di conoscerla.
Shikamaru non riuscì neppure a deglutire. Si sentì privato di qualsiasi energia, tanto che la lettera gli scivolò tra le dita, cadendo a terra accanto alla busta in cui era stata chiusa.
Rimase lì, immobile, ad osservare un punto indefinito della stanza, con le gambe incrociate, una mano appoggiata al ginocchio e l'altra sospesa a mezz'aria. Qualche istante dopo, gli occhi gli si inumidirono al punto che non riuscì più a distinguere le figure dei pezzi dello shogi davanti a sé. Abbassò leggermente la testa, lasciando che le lacrime si accumulassero per poi cadere a piccole gocce sulla scacchiera.
«Shikamaru..?». Una voce a lui perfettamente conosciuta ruppe i suoni ovattati che lo circondavano. Il corvino sapeva bene che ad aver proferito quella semplice parola con un tono colmo di preoccupazione a causa delle sue condizioni era proprio Choji. Era così perso nei suoi pensieri, nella sua frustrazione, in quella tristezza che aveva preso la forma dell'abisso che l'aveva circondato e avvolto, che non aveva nemmeno sentito l'amico entrare nella stanza.
Un impeto di rabbia lo colse improvvisamente, digrignò i denti stringendo i pugni e con un grido che raccoglieva tutto il suo rancore colpì la scacchiera avanti a sé, ribaltandola e rovesciando a terra tutti i pezzi che erano stati accuratamente posizionati.
L'amico assistette alla scena, e si avvicinò a lui con un terrore che rischiò di bloccargli i movimenti, chiamando a gran voce il suo nome ma non ottenendo altro che urla in risposta.
Quando gli fu abbastanza vicino, Choji notò la lettera che, aperta, giaceva ancora accanto alla busta. Avrebbe fatto volentieri a meno, in un'altra situazione, di leggere la posta arrivata all'amico d'infanzia, ma la curiosità e la preoccupazione erano decisamente troppe.
Afferrò con delicatezza la carta stropicciata e rovinata. Non appena iniziò a far scorrere gli occhi sui caratteri impressi, gli stessi gli si spalancarono in preda al terrore e all'angoscia.
«Shikamaru...». Il suo tono si fece sempre più flebile, rotto dai dapprima piccoli e man mano sempre più forti singhiozzi che scossero con violenza il suo corpo, mentre sentiva lentamente il distacco con la realtà circostante divenire più evidente.
Le urla dell'amico si affievolivano mentre le parole scritte su quel letale foglio di carta venivano colpite dalle lacrime che presero inevitabilmente a scendere sulle sue guance, trasformandosi in veri e propri fiumi che non sembravano dargli la possibilità di vedere cosa lo circondava, talmente gli occhi si erano fatti sempre più appannati, e che gli impedivano di muovere un solo muscolo e di proferire una sola parola.
«Nee...san...», fu l'unica cosa che riuscì a dire prima di cadere sulle ginocchia, accanto al corvino.


«Kou-kun? Kou-kun!». La voce cristallina della ragazza dai capelli blu risvegliò il rosso, che si era improvvisamente perso nei suoi pensieri, con il viso rivolto alla finestra, durante una chiacchierata con la piccola Hikari.
«Mh? O-Oh, si, ci sono..!».
«Sei troppo distratto oggi! Direi che... è il momento migliore per fare una pausa!», riprese lei tutta contenta, con un grande sorriso sul volto.


«Quante volte ti devo dire che il tuo concetto di "arte" è sbagliatissimo e-».
«Deidara, zitto».
«Come posso stare zitto se continui a-?!».
«Yami si è fermata».
«Mh?». Il biondino si girò, notanto la figura della più piccola ferma a qualche passo di distanza, con il viso rivolto dietro di loro a fissare un punto indefinito del paesaggio. Si sentiva turbata, come se una strana agitazione si fosse instaurata nel suo corpo. Che fosse successo qualcosa?
«Ohi, Yami! Cos'hai visto?». L'azzurrina si voltò verso Deidara e Sasori, con un'espressione confusa dipinta sul volto. Scosse la testa.
«Nulla, nulla, senpai!». Riprese poi a camminare, raggiungendo i due, non senza una punta di preoccupazione in corpo e nella mente attraversata da mille pensieri.

   
 
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