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Autore: xlambertx    19/04/2017    1 recensioni
"In Flanders fields the poppies blow
Between the crosses, row on row,
That mark our place; and in the sky
The larks, still bravely singing, fly
Scarce heard amid the guns below.
We are the Dead. Short days ago
We lived, felt dawn, saw sunset glow,
Loved and were loved, and now we lie
In Flanders fields.
Take up our quarrel with the foe:
To you from failing hands we throw
The torch; be yours to hold it high.
If ye break faith with us who die
We shall not sleep, though poppies grow
In Flanders fields."
(In Flanders Fields-John McCrae)
Genere: Angst, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In Flanders fields
The poppies blow

Louis era disteso tra i papaveri. Li osservava, estasiato. Rideva.
"Come è possibile che ci sia qualcosa di così bello in mezzo a questo tormento?" mi aveva chiesto, retorico. Io lo avevo guardato, chiedendomi in che modo riuscisse ancora a meravigliarsi come un bambino. Chiedendomi come fosse possibile meravigliarsi e basta, dopo tutto l'orrore che avevamo visto. Chiedendomi come i suoi occhi cerulei riuscissero ancora a illuminarsi per dei semplici fiorellini. Ammiravo così tanto quella sua capacità. Ammiravo davvero tanto lui e basta. Quel piccolo ragazzo era più forte di chiunque altro avessi mai conosciuto. Lo avevo osservato, una volta, sfogliare le pagine di un piccolo quadernetto, pieno di fotografie oramai sgualcite. Era stata l'unica cosa che si era portato dietro dopo aver ricevuto la chiamata alle armi, mi aveva confidato, poco prima di mostrarmene il contenuto. Avevo scoperto che le immagini, in realtà, erano solamente otto. Una era dei suoi genitori, sei ritraevano lui in compagnia delle sue sorelle, nell'ottava, malamente incollata sul fondo dell'ultima pagina, era insieme a un ragazzo. Mi aveva raccontato un sacco di cose riguardo la sua famiglia. Mi aveva detto che sua sorella Charlotte, o, come preferiva lei, Lottie, era quasi più alta di lui, nonostante fosse parecchio più piccola, e che stava per ammogliarsi. Il figlio del sindaco, aveva specificato. Lo aveva definito un ottimo partito, sebbene il suo tono non fosse dei più entusiasti. Mi aveva parlato di quanto fosse bella nel suo abito da sposa, come fosse raggiante, sebbene lei non si piacesse mai. Aveva raccontato di come, al crepuscolo, l'intera famiglia si riunisse davanti al caminetto, a discutere animatamente del più e del meno. Parlò di tante cose, tante persone, ma non nominò mai quel ragazzo. Lo capii da come ogni tanto si interrompesse a metà di una frase, cambiando bruscamente discorso. E non si soffermò neppure su se stesso. Per un numero infinito di notti lo avevo ascoltato, senza perdere nemmeno la più piccola parola che usciva da quelle sue labbra sottili. Più volte ero rimasto in silenzio a guardarlo, chiedendomi come potesse esprimere tanto rimpianto e al contempo parlare con tanta leggerezza. Per lungo tempo avevo semplicemente fissato il suo corpo e i suoi occhi, chiedendomi come lui, proprio lui che sembrava fragile quanto una bambola di ceramica, potesse essere mandato in un posto tanto brutto. Chiedendomi in che modo la sua così inconsueta bellezza non risultasse deturpata da esperienze così crudeli. Chiedendomi se mai saremmo usciti vivi da quel disastro.

"Ho visto cose più belle" gli risposi, sedendomi alla sua sinistra. Mi voltai verso di lui, guardando il sole illuminargli il volto. Si tirò su, spostando il suo peso sui gomiti.
"Per esempio?" chiese ancora, fingendo disinteresse ma inchiodando le sue pupille nelle mie. Lo faceva sempre, quando si aspettava che gli facessi un complimento. O quando lo sperava.
"Per esempio un paio di occhi cerulei che mi fissavano maliziosi, sir" gli alitai nell'orecchio, più lieve della brezza estiva che soffiava in quel momento sulle colline delle Fiandre sulle quali ci trovavamo. Lo vidi arrossire quando mi allontanai. Decisi di imprimere a fuoco quella visione nella mia mente, stabilendo che se fossi morto quello sarebbe stato l'ultimo mio pensiero. Le sue pupille abbassate, le gote livide d'imbarazzo a causa delle mie parole, la sua mano che era corsa a stringere la mia. Il tormento causato dal terrore di essere trovati, il brivido più dolce del timore di essere scoperti. La sensazione di libertà. La paura morbosa e solleticante di quell'idea non più così astratta di ciò che era la morte, che sembrava farsi più vicina giorno dopo giorno.
"Forse dovremmo tornare indietro... Sai, nell'esercito." mormorò, triste.
"Sa meglio di me come trattano i disertori, sir" gli risposi, ben più affranto.
"Sì, ma..." tentò di obiettare, oramai scoraggiato.
"Dobbiamo riuscire a restare nascosti, sir. Fino alla fine di questo schifo" sussurrai, con il cuore gonfio di tristezza. Eravamo entrambi pienamente consapevoli che presto quel massacro sarebbe volto al termine. Le notizie arrivavano anche in quei sudici solchi che erano le trincee, e persino a noi che eravamo in fuga da qualche tempo. Dopo mesi di infime conquiste, talmente insignificanti da non meritare nemmeno di essere riportate ai potenti, le difese tedesche stavano iniziando a cedere. Gli inglesi stavano clamorosamente vincendo, e con loro gli americani, ma nonostante questo quella guerra sembrava non terminare mai.

Between the crosses 
Row on row
That mark our place;

"Quante persone sono morte oggi, Harry. Così tante... per niente." Esordì Louis, quando gli portai la cioccolata che mi aveva chiesto. Annuii, sedendomi davanti a lui, al tavolino di quel piccolo locale in un posto sperduto. Eravamo lì da appena qualche giorno. Era tranquillo. La guerra non sembrava aver scalfito la calma che quel luogo emanava. Il ruscello scorreva, acqua limpida. Trasparente. Fresca. Non sangue. Così doveva andare il mondo. Era l'acqua a dover scorrere sul terreno, non la vita. Non il sangue.

"Lo so, sir." Gli risposi, guardandolo soffiare sulla tazza. Aveva il naso rosso, tinto di quel colore per il freddo. Una sciarpetta violacea gli cingeva il collo. I suoi occhi si puntarono nei miei, per poi abbassarsi repentinamente. Sorrisi. Dopo tutto quel tempo, dopo tutto ciò che avevamo passato, continuava a essere timido. Si ostinava a imbarazzarsi. Lui, almeno, ne era capace. Quel suo rossore perenne lo rendeva ancora più bello ai miei occhi.
"Smettila con questa storia del sir. È seccante!" disse scherzoso, facendomi intendere chiaramente che in realtà non lo disturbasse affatto. "Va bene, sir. Oops..." risposi, per poi portare una mano a coprirmi la bocca. Lui si alzò da dove era seduto per spostarsi di fianco a me, vicinissimo. "Ciao" mi soffiò in faccia, non appena si fu sistemato. Era così che ci eravamo conosciuti. Quell'"Oops" era stata la prima parola che ci eravamo dedicati, in quel tempo che sembrava essere così distante. Quel "Ciao" era venuto subito dopo, spontaneo. Un semplice saluto, che ora aveva così tanta importanza, per noi. Un piccolo gioco, solo nostro.
"Sir, alcune persone la stanno osservando. Forse dovrebbe tornare al suo posto" gli feci notare, continuando con quel giochino che era nato qualche notte dopo, alla luce della luna. 
"Quelle persone potrebbero tranquillamente farsi i fattacci loro. Se hanno tanta voglia di osservare che osservino questo!" sbottò, sorridente, prima di prendermi il viso tra le mani e baciarmi con passione, infrangendo tutte le regole. Si staccò qualche secondo dopo, con gli occhi che brillavano. Poi un bicchiere si infranse sul pavimento. Un signore urlò qualcosa in tedesco, qualcosa che doveva essere un insulto. Louis rise di gusto, prima di prendermi per mano e uscire di corsa, senza nemmeno pagare.

Quelli erano i momenti migliori. Quelli pieni di risa, traboccanti di gioia effimera. Quelli, per lui, erano i momenti più belli. Solo ora capisco che lo erano anche per me.
"Sir, ci farà ammazzare, prima o poi. Sa cosa fanno qui a quelli come noi." Borbottai quando furono lontani da quel luogo che aveva visto la più pura delle dimostrazioni d'amore come un inimmaginabile errore della grande madre. Lontani dalle persone che, per loro natura, non possono fare a meno di giudicare qualcosa di cui non hanno la minima idea. 
"Scusami, non ho saputo contenermi, ma tu eri così bello e ogni volta che ti vedo ho questa enorme voglia di baciarti" spiegò, spingendosi contro di me, cercando più contatto tra i nostri corpi. 
"Solo baciarmi?" gli chiesi, abbassando la testa fino al suo orecchio per sussurrarglielo, come fosse un segreto. Anche se alla fine, noi due, un segreto, dovevamo esserlo.
"Sei davvero senza pudore. Non ti vergogni a chiedere questo genere di cose a un gentiluomo del mio calibro?" mi domandò lui, retorico. Deliziato dal mio stare al gioco.
"Oh, certo. Mi perdoni, sir. Ma ora per colpa sua dovremo lasciare questo posto. Non crede che abbia almeno il diritto di sapere se la persona che mi costringe a fuggire prova ciò che io sento?" ribattei, consapevole dei suoi sentimenti. Consapevole della sua ironia spigliata.
"Sai benissimo cosa provo, Harry" concluse, prima di unire nuovamente le nostre labbra. Un bacio più casto, più lento di quello precedente. Un bacio che due anime si davano per il semplice gusto di assaporare l'altra, senza alcun doppio fine. Un bacio d'amore.
"E lei sa benissimo che non dovrebbe dare dimostrazioni pubbliche, se tiene alla sua vita e alla mia. Questo però non la ferma dall'agire sconsideratamente così come la consapevolezza non blocca me dal domandare" ribattei sagacemente. Le continue rassicurazioni che gli chiedevo non sembravano dargli fastidio, di solito. Spesso semplicemente sorrideva e mi accontentava. Qualche volta non dovevo nemmeno chiedergliele, semplicemente mi guardava negli occhi e mi diceva esattamente ciò che avevo bisogno di sentirmi dire, come se mi leggesse nel pensiero. Ma lui non poteva leggermi dentro. Era semplicemente l'amore che ci legava a fargli capire di cosa avevo bisogno ancora prima che lo capissi io stesso.

E lo aveva dimostrato anche prima. Sebbene rischiasse la morte ogni volta che eravamo insieme non esitava a baciarmi, a tenermi per mano, sotto gli occhi di tutti. Non esitava a dimostrarmi quanto fossi importante per lui. Non tentennava davanti a niente, solo per infondermi coraggio. Quello forte non ero io. Era lui.

Scappammo da quella cittadina la mattina dopo, lasciandoci, ancora una volta, tutto alle spalle.

And in the sky
The larks, 
Still bravely singing,
Fly
Scarce heard amid the guns below
.

"Harry, guarda quegli uccelli. Sarebbe bello essere some loro, liberi. Vedere il mondo dall'alto. Non soffermarsi niente, perché alla fine è volare l'unica cosa davvero essenziale." Sognò ad occhi aperti Louis, mentre camminava osservando il cielo. L'inverno gelido era finito da un po', e di nuovo i papaveri puntellavano di rosso i prati. Di nuovo la vita germogliava, le piante nuovamente si facevano forza, rompevano al terra brulla e germogliavano, come a voler far notare che, nonostante se ne fossero andate per qualche tempo, erano ritornate. Come a dire "Nonostante tutto quello che è successo noi continuiamo a essere qua. E poi ce ne andremo di nuovo, ma torneremo ancora una volta, più forti di prima".

A me non era mai importato molto dei papaveri, era Louis quello che dava importanza alle piccole cose. Io ero la sicurezza, ero l'appiglio che trovi in mare aperto, ero il focolare acceso durante una tempestosa notte d'inverno, ma Louis, be', lui era la tempesta. Lui portava la pioggia, lui ti annaffiava la vita in un modo dirompente. A volte si soffermava poco, ma quel poco era sufficiente. Poteva piacere oppure no, ma indubbiamente colpiva. Poteva distruggere oppure lasciare intatto quello che incontrava. Il suo umore dettava legge, non che lui lo facesse apposta. Era una di quelle persone che inconsciamente accontentavi, senza pensare alle conseguenze. Quello che voleva lo avrebbe ottenuto semplicemente chiedendo perché dire di no a Louis Tomlinson era come dire di no alla tempesta: non potevi.

"Gli uccelli contano ben poco, sir. Specialmente ora che è tutto finito!" esultai, contento come un bambino, abbracciando il mio uomo come se fosse stata l'ultima volta.
"Quante volte ti devo dire che questa storia del sir è ridicola?" chiese lui, appoggiando la fronte contro il mio collo e stringendomi. Sarebbe stato così bello rimanere così per sempre, con il sole a battere sulle nostre teste e le sue braccia ad accogliermi come se fossero state create apposta per me. Quelle mani piccole, talmente minute in confronto alle mie, che ora si avvolgevano intorno al mio collo, normalmente coincidevano e si incastravano perfettamente alle mie, palmo contro palmo, in una dolce morsa.
"Continuerò a chiamarla sir per tutta la vita se non mi dissuaderà dal farlo. E non c'è modo in cui ci possa riuscire" gli risposi con leggerezza, chiudendo gli occhi e appoggiando il mento alla sua spalla, inspirando il suo profumo e beandomene.
"Ieri notte però non mi chiamavi sir, se non sbaglio" borbottò in risposta, alludendo a quello di cui le stelle erano state spettatrici soltanto poche ore prima.
"Questa malizia non le si addice, sir. Un gentiluomo come lei dovrebbe essere più riservato" lo derisi dolcemente, mentre il sorriso sulle mie labbra si ampliava ancora di più. Un altro momento da ricordare, stabilii. Io e lui e nessun altro. Il calore che ci avvolgeva e un lieve venticello che spostava dolcemente i miei capelli, che stavano divenendo troppo lunghi. Intorno a noi il silenzio, interrotto solo dal vociferare acuto dello stormo che continuava a librarsi alto nel cielo, cantando della felicità che si provava a non dover sottostare a nessuna stupida regola. Ma spesso le regole sono fatte per essere infrante.

Ed eccoci lì, noi due, l'emblema di ciò che le regole del nostro tempo vietavano, ad amarci in un modo tutto nostro, fatto di prese in giro, nomignoli altisonanti e baci rubati. Fatto di nascondersi e trovarsi e scappare. Fatto di mani e occhi e labbra che si appartengono. Fatto di paure, rassicurazioni, contrasti e di noi. Noi che non dovevamo stare insieme. Noi che finalmente avevamo una destinazione.

Louis aveva inviato un telegramma alla sua famiglia. Non so dove avesse trovato un telegrafo, e non so perché la sua famiglia avesse un telegrafo. Mi aveva raccontato più volte di come a casa sua spesso usassero oggetti che pochi apprezzavano ancora. Aveva detto che saremmo andati là, che i suoi genitori sapevano tutto, che mi avrebbero accolto. Gli avevo risposto che con lui sarei andato ovunque, come se fossimo nel più sdolcinato dei libri che mia sorella leggeva, al chiarore di una candela, di notte, timorosa di macchiare quelle preziose pagine con la cera che si scioglieva. Quei libri, che erano la sua cosa preferita e poi non lo erano più. Quei libri dimenticati, in solaio, lasciati lì, a prendere polvere, da quando lei aveva smesso di essere un'adolescente vogliosa d'amore e si era trasformata in una giovane donna, attratta dal vile denaro e dai gioielli scintillanti. Solo che quello non era un libro. Era la pura realtà. Sarei andato ovunque fosse andato lui perché Louis Tomlinson era la tempesta. E alla tempesta non potevi dire di no.

We are the Dead. 
Short days ago
We lived, 
Felt dawn, 
Saw sunset glow,
Loved and were loved,

Il tempo era relativo. Eravamo in viaggio ormai da un po'. Dovevamo raggiungere la Francia prima di poter traversare la Manica e approdare in Inghilterra. E dall'Inghilterra dovevamo poi raggiungere Doncaster, la sua città natale. Era lì che la sua famiglia continuava a vivere. Aveva detto che aveva sempre preferito le metropoli, piene di vita, sempre sveglie. Le strade brulicanti di folla, in cui potevi scomparire e defilarti. Gli sconosciuti con cui chiacchieravi, consapevole che non avresti rivisto mai più l'altra persona. La gente abituata a canoni meno rigidi, più aperta, meno bigotta. Il tempo in tutto questo non importava.

Doveva essere settembre, a giudicare dalle prime foglie cadute a terra, dai rari brividi di freddo e dall'abbigliamento più pesante delle persone che vedevamo viaggiando. Settembre inoltrato. Non avrei mai pensato di riuscire a sopravvivere così a lungo con una persona estroversa come Louis. Non pensavo di poter convivere così tanto con tale dirompente forza della natura al mio fianco. Non credevo che lui, tra tanti, avesse scelto di amare me. Come potesse, pur avendo ai piedi l'intero mondo, volere me. Ogni tanto mi chiedevo perché mi desse importanza. Mi chiedevo perché quel primo giorno, all'accampamento, avesse scelto di parlare proprio con me, che me ne stavo in disparte. Tutti gli avevano fatto delle domande. Io no. Lo avevo fissato, in silenzio, studiando ogni sfumatura di quegli occhi, la linea della sua bocca e i suoi capelli sottili, che dopo solo un mese si erano schiariti così tanto, fino a diventare quasi biondi. Lui aveva parlato a me, tra tutti. Aveva ignorato le questioni che gli avevano posto e mi si era avvicinato. Sorridendo. Non avrei mai scordato il primo sorriso che mi aveva rivolto, con quelle piccole rughe intorno agli occhi, e i denti bianchissimi. Mi aveva pestato un piede, senza togliersi nemmeno per un attimo quello stupido sorriso dalla faccia. "Oops" avevo sussurrato, ironico, riferendomi alla sua gaffe. "Ciao" aveva detto lui, senza curarsi di chiedere scusa. D'altronde quando mai la tempesta si rammarica per i danni che porta? "Sono Louis Tomlinson" aveva spiegato. Mi ero fissato il piede, per poi spostare lo sguardo si di lui, senza proferire parola. "E tu sei..." aveva continuato. Non gli avevo risposto, lo aveva fatto Nick al posto mio. "Perché perdi tempo con lui?" gli aveva chiesto "Non riuscirai nemmeno ad averci una conversazione, fidati. Ci abbiamo già provato tutti, qua". Ed era vero, dopotutto. Avevano tentato di accogliermi, per quanto ci si potesse sentire accolti in quel posto. Ma io non gli appartenevo, al contrario loro. Io ero stato mandato lì dall'America, a combattere una guerra che non era la mia, per un paese che non era il mio. A sacrificarmi per un ideale che non condividevo. Decisamente no, io non avevo nulla a che fare con loro. 
Ma Louis era diverso. Si vedeva dal sorriso, quello di una persona che ormai arresasi alla volontà di qualcun altro cerca comunque di portare a termine il suo compito al meglio. Lui era stato mandato al baratro, ma ne sarebbe uscito vincitore. La morte era probabilmente vicina, ne era consapevole, ma se avesse davvero tirato le cuoia sapeva di aver lasciato un buon ricordo alle persone che gli volevano bene. Sapeva che ci sarebbe stato qualcuno a piangere sulla sua bara e portare i fiori sulla sua tomba, il giorno del suo anniversario. 
Quel giorno non gli avevo comunque parlato, avevo aspettato che facesse buio. Di notte le persone sono più vere, e prima di fidarmi volevo vedere come era lui veramente.

Me le facevo spesso, quelle domande, ma mai trovavo delle risposte. Il perché delle sue scelte continua ancora ora a rappresentare un mistero, per me. D'altronde la tempesta non ti spiega perché devasta alcune zone e ne lascia intatte altre, semplicemente lo fa. E non puoi dirle niente.

C'eravamo quasi, comunque. In Francia c'eravamo arrivati, dovevamo solo riuscire a farci fare dei documenti falsi per l'espatrio. Sembrava facile, detto così. Il problema è che per avere delle copie fatte bene dovevi sborsare un bel po' di quattrini, e noi, di soldi, non ne avevamo. "In qualche modo faremo" ci eravamo detti "Pensiamo ad arrivare là prima di tutto". Ma ora che là c'eravamo arrivati il problema si ripresentava, più grosso di prima. Un lavoro potevamo trovarlo, sicuramente. Molte erano le città distrutte nella guerra. La manodopera era molto ambita. Nonostante la crisi finanziaria eravamo riusciti a racimolare in fretta un bell'importo. Ce li eravamo fatti fare, quei documenti. Li avevamo comprati alla fine, quei biglietti. Avevamo comprato la libertà. Eravamo felici. La nostra partenza era prevista per il dodici di ottobre. Due settimane o poco più e poi avremmo raggiunto l'Inghilterra. Ci sarebbe andato qualche altro giorno per raggiungere casa sua, aveva detto, ma non sarebbe stato nessun problema. Tutto sarebbe andato liscio, me lo aveva assicurato. Avrebbe finalmente trovato le sue radici, e io ne avrei messe di nuove, ancorandomi a quel posto come mi ero ancorato a lui, con tutta l'anima.

Ma ovviamente non andò tutto liscio.

And now we lie
In Flanders fields.

L'aria soffiava forte, quel giorno. Mancavano quarantotto ore alla partenza. Le valigie erano pronte, per così dire, perché in realtà di bagagli non ne avevamo. Giusto due sacche che contenevano a malapena il minimo indispensabile per la nostra sopravvivenza, che era davvero poco. 
Eravamo stesi su un prato, quel giorno. Incuranti del freddo che ci avvolgeva, a chiacchierare solamente.
Aveva il suo album di fotografie con sé, quel giorno. Stava accarezzando le pagine, voltandole delicatamente e osservandole incredulo. "Li rivedrò la settimana prossima. Saremo di nuovo tutti insieme, finalmente!" aveva esclamato, con gli occhi lucidi "E ci sarai anche tu. E ci saranno i gemelli. Ti ho detto che ho un fratellino e una sorellina appena nati? Mamma ne era così felice. E anche io. Sarà la giornata più bella della mia vita."
Sorrideva tanto, quel giorno. Con le lacrime agli occhi rideva, estasiato dalla mancanza con cui aveva convissuto e che avrebbe finalmente placato entro così poco.
Aveva girato una pagina di troppo, quel giorno. Aveva visto la foto con quel ragazzo. Quella in cui sorrideva, con il volto così vicino a quello dell'altro. Aveva chiuso bruscamente quelle pagine e poi aveva scaraventato a terra l'intero libro. Si era alzato e aveva iniziato a camminare velocemente. Avevo raccolto l'album e gli ero corso dietro. Lo avevo raggiunto e gli avevo afferrato un braccio, impedendogli di allontanarsi ulteriormente. Lo avevo fatto voltare. Si era asciugato una lacrima. "Lasciami stare" aveva sussurrato, duramente. Nemmeno in quel momento mi era concesso vederlo debole. Lui doveva sempre sembrare una roccia. Doveva sempre atteggiarsi. Lui non poteva piangere. Neppure davanti a me. Questo è quello che mi aveva detto più di una volta. Questo era ciò che si ripeteva costantemente. "Chi è?" gli avevo chiesto in risposta, prima di chinarmi a posare di fianco a noi l'album e abbracciarlo. "Nessuno. Non è più nessuno per me." Aveva sussurrato, appoggiando la testa sul mio petto. "Chi era, allora?" avevo riformulato, sperando che iniziasse finalmente a parlarmi di ciò che lo aveva fatto soffrire, di ciò per cui stava ancora male. "Era... Non lo so nemmeno io cos'era." aveva continuato, rifiutandosi di distruggere quel muro dentro il quale si era rinchiuso. "Perché ti ostini a chiuderti in te stesso? Sono qua solo per ascoltare tutto ciò che non mi hai ancora detto. Voglio solamente starti vicino. Perché non me lo lasci fare?" gli chiesi, esasperato. "Non voglio che pensi che io sia debole. Sarebbe troppo da sopportare. Non voglio essere solo un divertimento per te, come lo ero per lui" sussurrò, ricominciando a piangere. "Louis, ho abbandonato l'esercito per te, sto girando per l'Europa da più di un anno solo per esserti accanto. Non ho mai rischiato per nessuno ciò che sto rischiando anche ora per te. Come potresti anche solo lontanamente pensare di essere soltanto un gioco?" gli domandai. Le sue risposte erano spesso disarmanti. Semplici, ma disarmanti. "Non lo so" disse, mentre piangeva. "Va bene, se non vuoi dirmelo va bene. Solo, non piangere, ti prego" gliela diedi vinta ancora una volta. "No, hai... Hai ragione" la sua voce tremava "Fa solo... Fa maledettamente male parlarne. Sono stato così stupido" tirò su con il naso. "Non sei stupido, non provare a dirlo mai più" gli intimai, prendendo il suo viso tra le mani e obbligandolo a guardarmi negli occhi. "Lui era un po' il ragazzo perfetto" mi spiegò "Era dolce, e mi faceva un sacco di complimenti ed era bello e io ero soltanto un ragazzino. Ne ero innamorato. Ero innamorato della persona che pensavo che fosse. E poi un bel giorno è arrivato e mi ha detto che avevamo passato dei momenti piacevoli ma dovevamo chiudere lì tutta la faccenda perché il giorno dopo si sarebbe sposato. Gli ho chiesto se mi stesse prendendo in giro. Pensavo che fosse tutto uno scherzo. Ebbene, non lo era. Il giorno dopo si sposò veramente e io mi rinchiusi in camera mia. Non parlai con nessuno per un sacco di tempo. Semplicemente fissavo il soffitto. Il colpo di grazia, però, arrivò otto mesi dopo. Si arrampicò sul muro esterno ed entrò dalla finestra. Mi disse di aver capito che non poteva starmi lontano e che mi amava e io fui stupido ancora una volta. E lo perdonai, perché quando hai quindici anni e qualcuno ti dice di amarti, tu gli credi. Semplicemente ti fidi. Poche settimane dopo lo rividi, sorridente, a braccetto con la moglie. Era una domenica mattina, dopo la messa. Andai a parlargli, speranzoso. Aveva detto di amarmi, giusto? Quindi gli avrebbe fatto piacere scambiare due parole. Be', non gli fece piacere. Mi trattò come se fossi un insetto. La mattina dopo lo trovai fuori da casa mia, a supplicarmi di perdonarlo. Gli dissi che lo odiavo. Il giorno successivo partì per la guerra. E ora è morto e le mie ultime parole sono state 'Non piangerò sulla tua tomba, se sarai tanto fortunato da averne una'. E non riesco a sopportare di essere stato così meschino, nemmeno dopo tutto il male che mi ha fatto" lo abbracciai, a quel punto, più forte di quanto non avessi mai fatto. E poi lo baciai. Un bacio bagnato dalle sue lacrime e dalle nostre salive che si mischiavano. Cercai di confortarlo con quel semplice contatto, di fargli capire che i miei sentimenti erano reali. 
Le nostre anime si legarono ancora di più, quel giorno. E questo non cambierà mai.

Take up our quarrel with the foe:

To you
From failing hands We throw
The torch;
Be yours to hold it high.

Era il giorno della partenza, finalmente. Quella mattina mi ero svegliato allegramente, per colpa di un pigro raggio di sole che mi batteva sugli occhi. Quando mi ero girato per salutare Louis avevo visto che la sua metà del letto era vuota. "Si sarà svegliato presto" mi ero detto. "Sarà a fare una passeggiata". Non mi ero minimamente preoccupato di ciò che la sua assenza poteva significare. Era un giorno di gioia quello. Nel pomeriggio saremmo partiti. Ci saremmo imbarcati presto, e avremmo raggiunto l'altra parte della Manica altrettanto velocemente. Nessuna preoccupazione, nessun problema.

Avevo iniziato a chiedermi dove fosse finito circa un'ora dopo. Avevo deciso di riordinare le nostre cose mentre aspettavo il suo ritorno, cercando un biglietto o qualunque cosa potesse indicarmi dove era andato. Non sarebbe stato in grado di abbandonarmi, ne ero sicuro. Quando avevo finito di spazzare ossessivamente il pavimento mi ero vestito. Non mi aveva abbandonato. Non poteva avermi abbandonato. Non mi sarei permesso di credere che fosse venuto meno a tutto quello che avevamo costruito.

Mi ero messo qualcosa addosso, dunque, ed ero corso giù per le scale, in fretta e furia. Non mi ero minimamente preoccupato del rumore che le assi di legno producevano quando ci atterravo sopra, talmente ero in ansia. Avevo aperto la porta, dunque. Mi ero precipitato fuori. Avevo avuto il tempo di fare giusto pochi passi. Poi ero inciampato su qualcosa. Avevo perso l'equilibrio, ero ruzzolato giù per il portico. Ma mi ero rialzato subito. Mi ero alzato ed ero corso a vedere. E avevo effettivamente visto. L'avevo visto, l'amore della mia vita, riverso sul legno. L'avevo visto, il foro nella sua schiena, grondante di sangue. L'avevo visti, i suoi occhi, spalancati e spenti, ma sempre bellissimi. L'avevo visto, il legno, irrimediabilmente macchiato di rosso, che lo sosteneva. Le avevo viste, le sue mani, abbandonate in una posizione innaturale, che erano cadute prima di lui.

L'avevo vista, la mia speranza, volare via.

Ero corso verso di lui. Mi ero inginocchiato al suo fianco, e gli avevo preso la testa tra le mani. Gli avevo spostato i capelli che gli coprivano la fronte e lo avevo chiamato. Avevo urlato il suo nome, pregandolo di svegliarsi. Avevo premuto le mie labbra sulle sue, a malapena tiepide, cercando di infondergli un nuovo soffio di vita. Gli avevo accarezzato il corpo, lo avevo abbracciato. Ero rimasto lì, accanto a lui, per un tempo interminabile, piangendo tutte le lacrime che avevo in corpo e gridando al mondo il mio dolore. Perché proprio lui? Come era possibile aver quietato la tempesta?

Poi avevo spento tutte le emozioni. Le lacrime avevano cessato di scendere dai miei occhi, la voce di uscire dalla mia gola, il dolore di invadere la mia mente. Avevo sentito il niente, mentre alzavo il suo corpo esile. Il niente mi aveva accompagnato, mentre lo portavo su per le scale, nella vasca da bagno, e lavavo ciò che restava di lui. La più assoluta indifferenza era con me, mentre scavavo la sua fossa, nel prato in cui eravamo due giorni prima. Il nulla aveva posato il suo corpo sottoterra, insieme a me. Avevo agito senza volontà, senza sentimenti, perché i sentimenti mi stavano mangiando vivo. Il dolore, che avevo creduto morto, stava corrodendo la mia anima, mentre io appoggiavo il suo libro di fotografie accanto a lui e lo ricoprivo di terra.

Non ero più niente se non un cosmico vuoto quando, prendendo la borsa piena di vestiti, mi diressi verso il porto

If ya break faith
With us who die
We shall not sleep,
Though poppies grow
In Flanders fields.

Sono qui, ora, sulla prua di questa nave. L'aria mi riempie i polmoni e mi fa svolazzare i capelli, fin troppo lunghi, che Louis amava stringere tra le mani. Il cielo si confonde con il mare.

Sono in piedi, adesso, sul parapetto di questa nave. L'aria mi riempie i polmoni, mentre nel cielo le nuvole si ricorrono. Louis è davanti a me, nell'azzurro del cielo.

Faccio un profondo respiro. guardo il mare, che si muove veloce sotto di me, increspato dalla nave su cui sono e liscio come l'olio all'orizzonte.

Sento una voce, dietro di me, gridare di scendere, che è pericoloso. Voglio che lo sia, gli rispondo sussurrandolo. Ma l'uomo non mi sente, continua a gridare. È più vicino, adesso, lo sento. Sta correndo verso di me. Non posso permettergli di riportarmi indietro.

Gli lancio un'occhiata veloce, prima di respirare un'ultima volta. Poi piego le gambe e mi do lo slancio. Salto giù.

Rimango fermo, mi lascio scivolare sempre più a fondo. È bello, all'inizio. Mi sento fresco, è fresco.

Non sento nemmeno i polmoni bruciare. I momenti più belli della mia vita mi scorrono davanti agli occhi.

Io e Gemma, che giochiamo in giardino. Nostra madre che ci osserva, sorridente, cucendo l'orlo del vestito di mia sorella.

Il giorno del matrimonio del mio migliore amico, una settimana prima della chiamata alle armi.

Il giorno in cui arrivò Louis. Ogni singolo momento con Louis.

Il primo bacio, le chiacchierate infinite alla luce della luna, gli sguardi allusivi che ci lanciavamo, le battutine maliziose, la prima volta in cui avevamo fatto l'amore.

E poi, all'improvviso, c'è solo più il ragazzo che amo, di fronte a me. È soltanto lui. Sta indossando una camicia bianca. È bello, lo è sempre stato.

"Vieni, Harry. Vieni con me" mi dice, dolcemente Louis. Il suo sorriso mi abbaglia.

Mi tende una mano, fissandomi negli occhi. E io lo guardo a mia volta. lo ammiro.

Gliela afferro, sorridendo insieme a lui. Lo seguo, perché lui e la tempesta, e alla tempesta non puoi dire di no.

E poi più niente.

Hey Everybody!

Allora, eccomi di nuovo qua.

Wow, avevo questa storia in mente da un sacco di tempo. 

Ho scritto le prime parole un anno fa, quando la prof di inglese di terza media ci ha fatto studiare questa poesia.

Per me è sempre strano pubblicare delle one shot, senza dovermi preoccupare di aggiornare regolarmente o altro.

Non abbandonerò facilmente i finali angst, mi sa.

No, okay, è strano anche questo perché io amo profondamente le storie con un happy ending, ma l'angst è così bello e niente, altri conflitti interiori, yay!

E niente, as always ditemi cosa ne pensate!

All the love, xx

Sara

 

   
 
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