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Autore: wminamurray    19/04/2017    2 recensioni
"John decise che fosse meglio andare; Rosie era con Molly, avrebbe potuto restare oltre, ma, anche se non voleva ammetterlo, c'era una luce diversa quel giorno negli occhi di Sherlock. Una luce quasi spaventosa, mai vista in quell'uomo scolpito dal puro egocentrismo. Eppure, quella luce, si disse John, avrebbe voluto rivederla ancora, fino a farsi annientare da essa".
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1 - Caffè Amaro

-caffè?- chiese con delicatezza, quasi avesse paura di ferirlo con la sola parola. Era in piedi, davanti alla cucina, con in mano due grosse tazze fumanti, su cui erano impressi simboli londinesi. Con la mano destra tendeva la tazza con su scritto “LONDON”, da cui era ben evidente l'aroma del caffè.

John si chiese se si fosse ricordato che non amava lo zucchero in quel tipo di bevanda.

Ci mise un po' a rispondere. Lo guardò un po' negli occhi, ma Sherlock non parve impaziente, attese con discrezione, rispondendo al suo sguardo con gentilezza e, anche se le sue labbra sottili non esprimevano nessun tipo di euforia, nei suoi occhi color ghiaccio era possibile intravedere un chiaro segno di felicità. Era felice che John fosse lì, che avesse accettato di vederlo; dopo la morte di Mary non c'erano state molte occasioni: lo aveva semplicemente evitato, odiato e denigrato, abbandonandolo alla stessa solitudine del suo passato. Anche in quel momento però, c'era una punta d'odio che si riaccendeva ogni qual volta che lo guardava o il suo viso gli attraversava la mente, nonostante fosse la 4° volta che si ripresentava a Baker Street dopo l'accaduto. In qualche modo, nell'ex medico militare c'era qualcosa di Sherlock che aveva irrimediabilmente bisogno di rivedere.

-si- rispose John. Sarebbe stato scortese rifiutare, dal momento che il caffè era già stato preparato.

Si abbandonò nella sua vecchia e soffice poltrona. Sherlock rimase dov'era, e, mentre John sorseggiava indifferente il suo caffè, non sentì il compagno fare altrettanto.

Lo stava osservando. Studiando. Ascoltando. Con tutto il fiuto da detective che possedeva.

John allontanò le labbra dalla tazza e attese.

-siediti. Mi innervosisci- ringhiò. Non voleva suonasse così crudele, ma Sherlock, come un cane ubbidiente, corse ad accontentarlo.

Quest'ultimo rimase a fissarlo, tenendo con entrambe le mani la sua tazza ancora bollente, senza dire una parola: anche il suo respiro pareva attenderlo.

-perché fai così?- sbuffò John, sprofondando ulteriormente nella poltrona.

-fare...cosa?- rispose quasi in un sussurro.

-normalmente sei più socievole-

-sono passate 2 settimane dalla tua ultima visita- esclamò il detective, come volesse farlo sembrare un rimprovero.

-potevi chiamarmi-

-potevo disturbarti-. E per la prima volta da quando aveva impugnato la propria tazza, John lo vide bere. Un sorso corto, durante il quale non distolse lo sguardo dal compagno per un solo istante.

-ma guarda- riprese John tagliente, tenendo la testa di lato -ti preoccupi degli altri, adesso? Certi fatti possono veramente cambiare le persone-

L'altro bevve ancora. Fu un sorso più lungo. Tornò poi ad osservarlo, leggermente più teso di prima.

-tu non sei gli altri-.

“io non sono gli altri” continuò a ripetersi John “cosa significherebbe, Sherlock?. Ti preoccupi di me? Della mia salute mentale? Analizzi i miei referti psicologici?. In effetti, non mi stupirebbe.”

-oggi sei strano- disse ancora il medico militare, scuotendo il capo e distogliendo lo sguardo dal suo. -che ti prende?-

-sono passate 2 settimane-
-si, lo so. Cosa c'è, ti sono mancato?- chiese, non nascondendo una punta d'ironia nella voce.

-si- rispose secco -mi sei mancato, John. Anche se mi tratti con freddezza, anche se mi guardi ancora con odio, anche se mi eviti... volevo vederti-

L'altro respirò profondamente, riflettendosi in quegli occhi di un ghiaccio caldo, decisi più che mai a distruggere ogni dubbio riguardo la propria sincerità. Perché John sapeva che era sincero, e, nonostante cercasse di nasconderlo a se stesso, ne era profondamente felice.

-te lo ripeto. Potevi chiamarmi, e no, non avresti disturbato- aggiunse vedendo che Sherlock era pronto a ribattere la prima affermazione.

-allora...- riprese Sherlock, tornando all'iniziale tono indeciso e timoroso di ferire l'amico in qualche modo -ti chiamerò-

-aspetterò la tua chiamata-

-aspetterò di sentire la tua voce-. Terza sorsata. John si stupì di stare seriamente contando ogni sua mossa. Ma lo stupii ancora di più la sua affermazione. Suonava...romantico, in un certo senso. O voleva che suonasse così.

-sembrerò ripetitivo, ma sei strano oggi. Più del solito, intendo. È successo qualcosa durante queste ultime settimane?-. Finì il caffè.

-no. Tutto molto...usuale- ora che John ci faceva caso, Sherlock non lo stava guardando negli occhi. Fissava qualcosa leggermente al di sotto di essi. Le sue labbra?.

Senza pronunciare verbo, questo si alzò lentamente, ritornando a rapirlo con lo sguardo e imprigionandolo nella sua morsa color ghiaccio, ma così calda che quel caffè parve neve a confronto.

Si avvicinò con innaturale lentezza e, arrivato prossimo al compagno, si inginocchiò, riposando il suo sguardo sulle sue labbra. Sherlock stava fissando la sua bocca, John ne era certo ormai.

-Sherlock?- si azzardò a chiedere in un sussurro, mani premute sui braccioli della poltrona.

Ancora senza dir nulla, certo che John non si sarebbe opposto, il consulente investigativo gli passò il pollice della mano destra sul labbro inferiore, strofinandolo con incredibile delicatezza. In quel momento, stranamente, l'altro non si chiese nemmeno il motivo del gesto. Semplicemente, attese, quasi famelico.

-eri macchiato...di caffè- sussurrò Sherlock, passando con la stessa mano la sua guancia, come una carezza. John era certo di star arrossendo.

-caffè...- bofonchiò questo, appoggiando la sua mano su quella dell'amico riccioluto.

Sherlock, vedendo che John, nonostante le poche speranze, rispondeva alle sue mosse, avvicinò il viso, continuando a guardare l'altro per impedirgli ogni via d'uscita. Fu in quel momento che la porta di quel polveroso appartamento si spalancò.

-cu-cu- disse una vocina conosciuta

-mrs Hudson!- ringhiò Sherlock, scattando in piedi e avvicinandosi alla donna.

-oh cielo, ho disturbato? Volevo chiedere se il caffè era commestibile. È la prima volta che provi, vero Sherlock?-

-provi...provi cosa?- chiese John ancora frastornato

-il caffè. Era buono? Sherlock ha insistito tanto per fare tutto da sol...!- non fece in tempo a concludere che il soggetto della frase la rigettò fuori.

Rimase appoggiato alla porta, mani dietro la schiena, occhi puntati sul medico militare. Sguardo ora incrinato da un velo di preoccupazione.

-allora- balbettò -com'era?-

-com'era cosa?-

-il caffè-

-ah! Il caffè...- bofonchiò John in preda all'imbarazzo. Si passò la mano dietro la nuca -era...buono, inaspettatamente buono. Ti sei ricordato come lo prendo. Sono stupito-

-ti stupirebbe sapere quante cose conosco di te- .

John decise che fosse meglio andare; Rosie era con Molly, avrebbe potuto restare oltre, ma, anche se non voleva ammetterlo, c'era una luce diversa quel giorno negli occhi di Sherlock. Una luce quasi spaventosa, mai vista in quell'uomo scolpito dal puro egocentrismo. Eppure, quella luce, si disse John, avrebbe voluto rivederla ancora, fino a farsi annientare da essa.

   
 
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