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Autore: Fiore di Giada    19/04/2017    1 recensioni
“Storia partecipante al contest Seconda chance ~ perché tutti ne meritano una indetto da AriaBlack sul forum di EFP
Un uomo può essere definito tale solo se è pronto a perdere la vita per le proprie idee.
Quante volte aveva detto questa frase a quanti gli domandavano, con malcelata ironia, la ragione dei suoi comportamenti, per loro privi di senso.
Eppure, in quel momento, esitava a portare a compimento gli ideali su cui aveva incentrato la sua intera esistenza.
Il suo allievo, con tutto l’ardore del suo animo, aveva creduto alle sue parole e attendeva il suo arrivo.
No, non era più tempo di esitazioni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto prima serie
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Titolo: A promise is a promise

Fandom: Naruto 

Personaggi: Gai Maito, Rock Lee (solo nominato), Dai Maito (padre di Gai, che è solo nominato)

What if: (cosa sarebbe successo se Rock Lee non fosse sopravvissuto all’intervento?)

Introduzione: Un uomo può essere definito tale solo se è pronto a perdere la vita per le proprie idee.
Quante volte aveva detto questa frase a quanti gli domandavano, con malcelata ironia, la ragione dei suoi comportamenti, per loro privi di senso.
Eppure, in quel momento, esitava a portare a compimento gli ideali su cui aveva incentrato la sua intera esistenza.
Il suo allievo, con tutto l’ardore del suo animo, aveva creduto alle sue parole e attendeva il suo arrivo.
No, non era più tempo di esitazioni.

Note dell’autore: E’ da molto che non scrivo su questo what if, che mi ha sempre intrigato. Kishimoto ci ha fornito due personaggi, Gai e Rock Lee, caratterizzati da una forte vitalità, eppure abbiamo visto un Lee disperato e impaurito e un Gai capace di impegnarsi in una promessa assai importante, pur di vedere un po’ di serenità sul suo viso.
Ora, nel manga l’esito è stato positivo, ma come sarebbe cambiato Gai se il suo allievo fosse morto? E’ una domanda che mi sono sempre posta  e qui cerco di dare una risposta.




 

Il cielo notturno di Konoha era ingombro di nubi nere, che sembravano tinte di inchiostro e, di tanto in tanto, il rombo sinistro del tuono esplodeva e il lampo illuminava di un livido bagliore le case del villaggio e le figure degli shinobi e delle kunoichi in arrivo e in partenza.
Gai Maito, in piedi davanti ad una finestra della sua abitazione, fissava il paesaggio, gli occhi lucidi di lacrime. 
- E’ tutto finito... - mormorò con voce tremante. Quella realtà aveva i colori di un incubo cupo e doloroso, ma non poteva nascondersi da essa.
Desiderava urlare fino alla completa distruzione delle sue corde vocali, ma la voce si perdeva nella sua gola.
Bramava piangere senza alcuna vergogna, eppure le lacrime si erano cristallizzate nei suoi occhi.
O forse, non le avvertiva?
Gli pareva di essere immerso in un nauseabondo torpore, dal quale non riusciva più a risvegliarsi.
Con un gesto lento, trasse dal petto un piccolo medaglione dorato e lo aprì. Aveva bisogno, in quelle ore tristi, di fissare il volto
- Lee... Solo questa piccola foto mi resta di te... Ormai, sei un corpo sepolto nella terra... - mormorò e un singhiozzo doloroso spezzò l’ultima parola. Il suo coraggioso allievo, con indomito valore, aveva affrontato il terribile ninja di Sunagakure Gaara...
Tale tenacia, tuttavia, nulla aveva potuto contro lo strabordante potere di quel ragazzino che, non contento della sua vittoria, lo aveva distrutto con sadico compiacimento.
E lui, il suo amato maestro, cosa aveva fatto?
Aveva lasciato che quel mostro massacrasse Rock Lee, perché voleva vedere in quel ragazzino l’espressione suprema dei suoi ideali di volontà e tenacia.
E questo suo egoismo aveva distrutto il corpo di Lee, condannandolo ad una esistenza priva di scopo.
Nemmeno le valenti arti mediche della Godaime Hokage erano state bastevoli a ridare a Rock Lee quel sogno, per tanto tempo coltivato con paziente determinazione.
Ed egli era l’autore di una simile tragedia.
Chiuse il medaglione, si allontanò dalla finestra e, con un gesto stanco, si lasciò cadere su una sedia. Aveva promesso al suo amato allievo che, in caso di esito infausto, non avrebbe esitato a seguirlo nella morte.
Se c’è una possibilità su un milione che l’intervento fallisce, morirò con te.
E Rock Lee, avvertendo la fermezza e la decisione di quelle parole, gli si era gettato piangendo tra le braccia, gridando tra singhiozzi sconnesi il suo nome.
Come poteva abbandonare il suo allievo nel suo ultimo e dolente viaggio?
- Papà, perdonami se non riesco a seguire i tuoi insegnamenti... - sospirò il jonin.  In quel momento, gli tornava alla mente l’esempio meraviglioso di suo padre...
Dai Maito era stato considerato un ninja mediocre dalle persone ipocrite e stupide, eppure, grazie al suo eroico sacrificio, aveva impedito a delle giovani promesse di Konoha di perdere le loro vite.
Aveva permesso loro di continuare a credere nei loro sogni e nel loro futuro e gli aveva lasciato un fulgido esempio di generosità e di amore.
Suo figlio aveva raggiunto il rango di jonin, eppure, con arroganza, aveva distrutto il sogno del suo diletto allievo, pur di nutrire il suo famelico egoismo.
Come poteva accostarsi all’esempio di suo padre?

- Basta. Non è più il tempo delle esitazioni. - esclamò e, con risolutezza, si alzò. Aveva aspettato troppo e, ne era sicuro, Rock Lee non sarebbe stato contento.
Di solito, era ben più rapido a onorare i suoi impegni e non si faceva piegare da nessuna considerazione.
L’ opportunismo e l’ipocrisia erano alieni al suo carattere.
Una promessa è una promessa.
Quante volte lo avevano guardato con perplessità, perché, pur di restare fermo al suo credo, aveva compiuto atti pericolosi o incomprensibili ad una gran parte degli abitanti di Konoha.
E, sempre, i suoi concittadini lo avevano dileggiato, ma non gli importava.
Per lui, una persona degna manteneva fede ai suoi impegni, anche a rischio della sua stessa vita.
Un uomo può essere definito tale solo se è pronto a perdere la vita per le proprie idee.*
Quante volte aveva detto questa frase a quanti gli domandavano, con malcelata ironia, la ragione dei suoi comportamenti, per loro privi di senso.
Nessuno, nemmeno i suoi amici più cari, riusciva ad andare oltre il velo delle apparenze e a comprendere le ragioni intrinseche della sua condotta...
Eppure, in quel momento, esitava a portare a compimento gli ideali su cui aveva incentrato la sua intera esistenza.
Il suo allievo, con tutto l’ardore del suo animo, aveva creduto alle sue parole e attendeva il suo arrivo.
No, non era più tempo di esitazioni.

Con passo rapido e deciso, Gai si avviò verso la camera da letto, la aprì, entrò e premette un interruttore.
Una forte luce gialleggiò e illuminò una camera piuttosto ampia, di forma quadrata.
Le pareti erano tinteggiate d’un tenue ceruleo, come il soffitto e il pavimento, e al centro di questa era appesa una lampada a neon gialla, di forma allungata.
Alla parete di destra della camera era appoggiato un letto singolo, su cui era posato un cuscino bianco e delle lenzuola viola e, a poca distanza da questo, era situata una scrivania di quercia di forma rettangolare, fronteggiata da una sedia.
La scrivania era sovrastata da una solida libreria, anche essa di quercia, ed era ricoperta di libri dalle copertine di diverse dimensioni, e la parete opposta era occupata da un armadio gigantesco di abete bianco, ricoperto di vivaci disegni floreali.
Sulla parete opposta si apriva un’ampia finestra di forma quadrata, coperta da tende bianche, che, scosse dal vento, fluttuavano leggere, simili a vele sospinte dalla brezza.
Un tenue sorriso sollevò le labbra del giovane jonin. Certo, erano i suoi estremi istanti, ma, in quel momento, gli pareva di essersi svegliato dal torpore di quei suoi ultimi, dolorosi giorni.
Poteva sentire, in quel momento, il sibilo del vento e il rombo cupo del tuono.
Gli restavano pochi istanti di vita, eppure, in quei suoi ultimi momenti, era ben più cosciente del mondo che lo circondava.
Presto, nulla avrebbero più visto i suoi occhi.

Si avvicinò all’armadio e, con un gesto deciso, lo spalancò.
Decine di tute verdi, avvolte nel cellophane, erano appese a delle grucce di ferro e, ai piedi di queste, giaceva una  tanto ninja dalla lama lunga e dall’ impugnatura di pelle nera, sulla quale risaltavano degli ideogrammi dorati.
- Bene, eccola qui. - mormorò e, risoluto, afferrò l’arma. Quell ’arma gli avrebbe consentito di ritornare dal suo amato allievo e di mantenere fede ai suoi ideali.
Ormai aveva esitato troppo a lungo.
Si inginocchiò e, con movimenti solenni, si aprì il kimono, scoprendo il tronco, su cui si intrecciavano, in grovigli confusi, decine di cicatrici.
Le dita di Gai, lente e gentili, si posarono sulle ferite, in una delicata carezza. Quegli strappi della sua pelle, ormai da tempo ricuciti, raccontavano una vita di guerriero che, presto, sarebbe terminata.
Eppure, nulla temeva in quegli istanti e il suo cuore era pervaso da una malinconica serenità
-E’ finita.- mormorò e, con un gesto deciso, affondò il ferro nello stomaco.

Il corpo del ninja si abbandonò sul pavimento, in una pozza di sangue nero, che si allargava sempre di più.
- Finalmente... - sussurrò, il respiro affannoso e gli occhi annebbiati. Quella debolezza era per lui una liberazione...
Il suo spirito, da troppo tempo oppresso, era libero dalle sofferenze e dai dubbi.
- Arrivo, Lee... - soffiò e, alcuni istanti dopo, l’oscurità velò il suo sguardo.


*La frase segnata con l'asterisco è del generale Henning von Trescow, che partecipò al complotto del 20 luglio 1944, organizzato dall'aristocrazia militare tedesca per uccidere Hitler. Penso che una citazione simile si adatti al personaggio di Gai Maito.




   
 
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