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Autore: Happy_Pumpkin    08/06/2009    2 recensioni
E' finita; riposa, Evocatore.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa one-shot parla di un Summoner generico, quindi non Braska nello specifico o qualsivoglia altra persona. E' un nostalgico quanto malriuscito - sigh... =___=' - viaggio introspettivo lungo Spira, che è anche narratrice e osservatrice indiscreta del pellegrinaggio compiuto da ogni evocatore (ne parlo al femminile per esigenze di copione). Leggero nonsense, perché mi ispira *O*


Breath



Trai un profondo respiro, Evocatore. Da dove provieni?

Forse te lo stai chiedendo anche tu, mentre siedi presso una delle insenature intento a contemplare la Piana, i cui ciuffi sono pettinati dal vento; li scompiglia, in un turbinare leggero dell'aria che ancora odora di cristallo. Aspetti, scorgendo in lontananza l'unica via che puoi intraprendere;  istintivamente ti abbracci perché sai che più avanti avrai freddo. E' inevitabile.
Allora tendi le orecchie e avverti il vibrare delle luci nascoste tra gli alberi di Macalania: inspiri il profumo del bosco adombrato che si mischia a quello di fumo presso la tenda dove soggiorni.
Percorri con la mente i luoghi che hai oltrepassato, sorridendo quando i chocobo corrono per la pianura e lasciano il ricordo del loro passaggio, attraverso impronte delle zampe robuste che marcano il terreno; socchiudi gli occhi: il tuo pensiero ritorna alla distesa innevata nelle vicinanze di Macalania, al brivido che ti accarezza la schiena appena immergi i piedi nella neve e sfiori con un polpastrello coni di ghiaccio, aggrappati alle pareti rocciose.
E io, silenziosa, sento ancora in lontananza il boato dei tuoni che, alla stregua di semi ostinati, si piantano a terra esplodendo in uno scintillio di luci; sorrido, nel vedere gli umani spaventarsi e cercare una fuga, ben misera però, visto che un'altra di quelle scariche elettriche potrebbe colpire ovunque. Avverto l'umidità che impregna la distesa folgorata, lucida di pioggia sottile, quella pioggerellina fastidiosa che apparentemente inoffensiva graffia la pelle: appena metti piede sul terreno saturo d'acqua vorresti voltarti indietro e ritrovare il silenzio, io invece distendo le mie braccia di amorevole madre e concedo ai tuoni di lacerare l'aria per me.
Eppure anch'io a volte come te preferirei la calma del Fluvilunio; è lì che vedo quel cammino infinito scavato in un letto di terra: sarebbe bello percorrere il fiume fino a dove è possibile, scorgendo in lontananza fiabeschi territori sconosciuti. Ma tu, Evocatore, quando prima di partire immergi la mano in acqua già sai; sai che non potrai lasciarti trasportare dalla corrente, dovrai semplicemente passarvi oltre.
Perché, allora, le tue dita rese callose dal viaggio indugiano ancora sullo specchio increspato dalle onde? Lo sfiori, immergi le mani e sogni infantilmente di potervi nuotare, un giorno.
Sospiro compiaciuta, perché capisco che non ti accordi questo privilegio; nel rialzarti ti asciughi con lentezza la pelle afferrando dei ciuffi d'erba in una morsa impietosa e, astutamente, ne approfitti per inspirare un'ultima volta l'odore pungente dell'ambiente palustre.
Li serri nella tua presa e realizzi di aver toccato la natura, tappa dopo tappa, tempio dopo tempio: le rocce che hanno plasmato il cammino attraverso la via Micorocciosa, la sabbia impalpabile ai margini della scogliera, le ferite lungo i bordi delle alte pareti frastagliate – abbastanza ampie da permettere ai raggi solari di giungere tra le ombre del luogo. Alzi la testa e scorgi a fatica il cielo: c'è troppa luce tra quelle fessure, allora chiudi gli occhi un istante, affrettandoti ad avanzare.
Tocchi le increspature rocciose, lasciando che qualche frammento di sasso cada a terra in una leggera nuvola di polvere che, orfana, ben presto ritornerà comunque alla terra. Quella terra grigia così diversa dalle zolle fertili del bosco di Kilika; le radici delle piante solleticano il terreno e le foglie sussurrano bramate dall'aria che spera, un giorno, di farle cadere. Ma sarò soltanto io a decidere quando verrà il momento; per adesso aspetto, osservando te, Evocatore, che viaggi carico di consapevolezze e speranze.
Percepisco i tuoi piedi poggiare su di me con delicatezza, avverto il tuo passo ponderato ma per nulla esitante, nonostante l'umano desiderio di tornare a casa. Casa... non sono forse io, la tua casa?
E' dolce il respiro nella notte, lento, accompagnato dal dilatarsi calmo del petto; i tuoi occhi sognano me, la sposa per la quale ti sacrifichi, così da rendermi libera dalla spirale che ha soggiogato tutti, simile alla più sublime delle tentazioni. Sai che io sono la terra, il vento, il fuoco che brucia le offerte, i canti intonati nei chiostri, il profumo di vecchio che sale dai corridoi dei templi, l'erba che accoglie i tuoi piedi così come la neve che li congela.
Eppure continui a danzare, colpendo l'aria con il tuo bastone: rotei leggero, per abbracciare le luci dei morti che galleggiano attorno a te, simili a lucciole dai mille colori che dipingono il loro quadro di nostalgia e rimpianti; non sai nemmeno tu, di cosa sappia quell'aria dove ondeggiano placidamente gli spiriti: forse di nulla, forse è un concentrato di odori e ricordi talmente forte da scomparire, al pari di un'ombra nel buio.

Riapri gli occhi, Evocatore. E' tempo di andare, ormai.

Ti guardi attorno un'ultima volta; giri su te stesso con quella danza elegante che riservi a chi ha lasciato la vita, cercando pretenziosamente di ricordare l'immensa pianura custodita tra pareti di roccia. Porti una mano davanti agli occhi, sperando magari di far filtrare i raggi solari, e sorridi quando dei passanti ti offrono il loro rispettoso saluto. Ricambi, sapendo già che ti omaggiano perché andrai a morire.
Non posso prenderti per mano né offrirti un saluto ma ti accompagnerò fino alla fine del tuo lungo viaggio.
Scorgi il cielo limpido che si dipinge a tratti di nuvole candide, macchiate di giallo dai pennelli del sole, e attendi paziente che il tuo guardiano ti raggiunga. Ignora il suo sguardo, convincilo con un cenno del capo che è giusto quanto state facendo.
Allora, insieme, partirete.
Oltre il monte Gagazet, fino a non arrivare alla vostra meta. Zanarkand.
All'improvviso suona stranamente musicale il suo nome: inizia e si conclude con l'armonia paradossalmente confusa di un sogno; un sogno che si è trasformato, nel pellegrinaggio, in desiderio.
Combatti la tua ultima battaglia, Evocatore, mentre i vivi piangono i loro morti: qualcun altro continuerà a danzare, qualcun altro a perire. Forse, appena chiudi gli occhi e il tuo corpo si sente stanco, desideri che un giorno questa spirale si interrompa regalando ad ognuno il lusso di un respiro più profondo, deliziosamente interminabile prima di lasciare la terra su cui si vive.

E' finita; riposa, Evocatore, proprio come facevi nella soleggiata piana tempo addietro. Fingi di ondeggiare al pari dei lunioli, così nel frattempo le braccia, i piedi induriti dal cammino, la testa che si accascia, lentamente iniziano a scomparire.

Diventi un meraviglioso insieme di schegge dalla luce leggera, inconsistente quanto vapore o una magia malriuscita; una miriade di frammenti di vita che si disperdono lentamente nell'aria fino a svanire, regalando un ultimo ma bellissimo sfolgorio luminoso.
Non hai tempo quando ti eclissi di pensare alla casa che hai lasciato, ai compagni che hai perso, alle risate che non potrai più udire o alle lacrime che ormai non sarai in grado di raccogliere: dedichi un ultimo istante di memoria a me. La tua sposa e madre infausta che ha perso un altro dei suoi figli.
Lo senti, il loro respiro?
   
 
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