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Autore: Pinca    08/06/2009    6 recensioni
-Sai Ari....- oramai l'attenzione, nonostante il nuovo arrivato, era completamente catalizzata sul rosso che sembrava finalmente tornato serio, ma un sorrisetto lo tradì.
-In vita mia credo di non averti mai voluto così tanto...-
Oramai Boris e Sergey lo fissavano increduli con gli occhi sgranati. Kai si sentì come investito da una doccia fredda.
-...ma così tanto bene come in questo momento.-
La cosa bella era che era stato talmente convincente che Ariel stessa non riuscì a pensare che la stesse prendendo per il culo perché, in effetti, era stato sincero. Per la prima volta da quando Yuri la conosceva, Ariel Mayer aveva fatto, anche se inconsapevolmente, qualcosa per il suo personale piacere: rendere Kai Hiwatari vulnerabile.
Kai si portò una mano alla fronte massaggiandola compulsivamente, gli altri due erano rimasti a bocca aperta, forse troppo sconvolti e preoccupati.
-Si può sapere chi cazzo è che l'ha rotto?- chiese brusca Ari completamente disgustata e seccata dalle buffonate del capitano. Cielo, Yuri era un sentimentalotto, era vero ma non in modo così ripugnante!
-Fino a ieri sera funzionava normalmente!- continuò nervosamente pretendendo una risposta da Sergey e Boris.
-Non ne ho la minima idea!- biascicò Sergey. -Stamattina sembrava normale....-
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Return of revange'
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1aoi
Ciao ragazzi sono tornata!
Intanto voglio fare gli auguri a tutti coloro che adesso avranno gli esami di stato ed universitari. In bocca al lupo!
Ed eccomi qui con il seguito di Return of revenge, si ricomincia!
Questa che vedete è stata la reazione di Kai quando gli ho detto che era stato scritturato anche per il seguito….
 
ovviamente non ha potuto fare altro che questo, perché comando io e se dico che c’è c’è! Amore non hai scampo! Wahaha!
A parte gli scherzi:
Vi avviso che da ora ci sarà una svolta, si farà seriamente, quindi mi dispiace se qualcuno non potrà accedere perché ho alzato il raiting, e avverto che il “non per stomaci delicati” non è messo tanto per. Ci saranno scene di sesso (speriamo di riuscirci e di non fare gaf), e scene violente e crude, fidatevi….
Questa volta partirò un po’ in quinta (sperando di non spegnermi come una macchia XD l’unica cosa che so). nonostante questo non preoccupatevi, non sarà una palla pesante, anche perché se mi date Takao e Kai mi viene impossibile non fare uscire qualcosa di comico (comico, che parolone! Ndkai e takao) (si si parlate voi! Poi vedrete cosa vi combino! Ndme).
Spero che vi continui a piacere e se c’è qualcosa di poco chiaro chiedete pure.
Il titolo forse già lo conoscete, è quello della canzone di naruto ed è bellissima. Significa azzurro azzurro questo cielo o così azzurro questo cielo, per renderlo più sonoro. Buona lettura!    
 
 
Aoi aoi ano sora 
 
1. Capelli rossi….
 
La grigia luce pomeridiana filtrava debole attraverso le pesanti tende verdi, immergendo l’ufficio in un torpore pesante ed insopportabile. Le lancette del l’orologio sopra la mensola del camino scandivano i silenzi mortificati della donna seduta di fronte l’ampia e lucida scrivania. 
Il preside non si sarebbe mai aspettato che proprio lei, una donna così bella e dolce, si sarebbe mai trovata a dover affrontare un cruccio simile. Decisamente non se lo meritava.
-Mi creda, ho ricevuto fin troppe lamentele che non posso ignorare. Come ben sa, un comportamento del genere non sarebbe stato tollerato sin dall’inizio in questa scuola, ma abbiamo cercato di evitare dei provvedimenti disciplinari troppo drastici, siamo stati pazienti.-
-Capisco….-
-Credo che dovrò espellere sua nipote, Ariana…. Sempre se prima, ecco, non ritenga più saggio ritirala da questo istituto….-
La donna sospirò affranta stringendo i candidi guanti tra le dita.
Aveva fallito. Non era riuscita a prendersi cura e ad aiutare l’unica persona che le era rimasta della sua famiglia. La frustrazione e il dispiacere la logoravano.
Sapeva benissimo che in quel monastero in Russia doveva aver passato un'infanzia orribile, ma lei non le parlava, e di conseguenza non poteva sapere come aiutarla. Non poteva giustificare continuamente le sue azioni sulla base di un ipotetico passato che rimaneva sempre e comunque chiuso in lei. Nonostante questo però, ogni volta che combinava qualcosa, non poteva fare a meno di vedere una richiesta disperata di aiuto di una persona che soffre in silenzio.  
-È questa l’unica soluzione possibile? Non c’è nessun altro modo?- chiese, ma sapeva già la risposta.
-Lo sa bene quanto me. Ci abbiamo messo tutta la volontà possibile, e la sua apprensione mi fa capire quanto ci tiene alla ragazza; ma non c’è stata collaborazione alcuna. Non c’è stata volontà da parte sua. Abbiamo provato anche a farle intraprendere un percorso di psicoterapia con la dottoressa della scuola che, come è ben noto, è una delle migliori nel suo campo, ma l’unica cosa che abbiamo ottenuto è stato l’ufficio allagato e semi distrutto.-
L’uomo si appoggiò stancamente allo schienale della poltrona di pelle. Era dall’inizio dell’anno scolastico che questa storia andava avanti e, dopo tre esasperanti mesi, erano stati portati con la forza a segnarne il termine, nella maniera più discreta possibile, come da protocollo d’altronde. Solo il dispiacere della donna gli lasciava un fastidioso sapore amaro nel chiudere della faccenda.
Spinse il foglio e la penna verso l’altra estremità della scrivania.
-È l’unica soluzione. Più di questo….-
 
 
 
 
Buttò fuori una boccata di fumo grigiastro che si disperse nel venticello freddo che entrava dalla finestra spalancata.
Un’altra volta in direzione. Che cosa la chiamassero a fare ancora doveva capirlo. La rimproveravano, facevano le loro stupide facce indignate, senza mai abbandonare la loro aria pomposa e ridicola, e la rimandavano a casa.
Con un leggero tocco sulla superficie bianca della sigaretta, la cenere si staccò finendo fuori. Si voltò e poggiò i gomiti sul davanzale, osservando con disinteresse la stanza agghindata con quello che doveva essere considerato buon gusto perlomeno nell’ottocento. Pesanti mobili in legno scuro cosparsi di oggettini di marmo ed argento, pareti dai colori cupi dove erano appesi quadri ad olio di paesaggi autunnali e nature morte, e quell’orribile tappeto polveroso e osceno al centro del parquet.
La ragazzina seduta sulla vecchia panca tremò quando il suo sguardo si posò su di lei. I capelli rossicci erano legati in due graziosi codini tenuti fermi da nastri turchesi.
Le spalle si curvarono sotto il peso del suo sguardo, e gli occhi sgranati si incollarono al pavimento. Strinse nervosamente il tomo di letteratura che teneva poggiato sulle ginocchia candide che si intravedevano tra la gonna bluette ed i calzettoni.
Sperava solo che la chiamassero al più presto per scappare da quella stanza.
Ghignò beffarda.
Aveva paura, ed era la sua sola presenza a farla tremare. Così piccola ed indifesa….
Fece un altro tiro e gettò la cicca ancora accesa sul tappeto.
La ragazzina sussultò. 
Mise le mani nelle tasche del jeans. Con un piede spense quello che era rimasto della sigaretta, lentamente, senza alcuna fretta. Le fibre del tappeto bruciacchiate spiccavano come un sfregio.
-Quanti anni hai?-
La domanda risuonò nella stanza come un tuono, anche se il tono era pacato e sfiorava la normale curiosità.
La piccola tremò visibilmente per un attimo. Gli occhi parvero incollarsi a terra e la bocca si fece secca.
-Tredici.- sussurrò piano. La voce acuta e tremula.
La guardò per diversi secondi. Tredici anni. Una bambina con le codine rosse e i calzettoni tirati diligentemente su.
Passo dopo passo si avvicinò e si sedette nel posto accanto, lentamente, senza alcuna fretta.
Lei istintivamente si strinse leggermente più in là di qualche centimetro, cercando in tutti i modi di non farglielo notare e di non attirare ulteriormente l’attenzione con gesti troppo bruschi.
La ragazza passò un braccio sul sedile della panca. Non la guardava, non ne aveva bisogno per sapere quanto l’ansia e la paura stessero crescendo nel piccolo petto dell’altra.
-Tu sai chi sono….-
-Mayer.-
Dalla risposta secca ed immediata capì che doveva essere diventata veramente popolare in quel posto di rammolliti. Niente male diventare l’incubo dei primini, anche se poteva fare decisamente di meglio, o peggio, dipendeva dal punto di vista.
-Per questo hai paura?-
Finalmente gli occhi saettarono dal pavimento alla parete di fronte. Il labbro inferiore stretto nella morsa della tensione.
No, questa vista non se la sarebbe persa per nulla al mondo. La consapevolezza che, come un faro, brillava negli occhi verdi metteva a nudo la sua anima. Finalmente aveva capito che non aveva scampo.
Le sfiorò la guancia lentigginosa con le dita   
-…. Per favore, lasciami stare….-
Si bloccò sorpresa. Non pensava che quella piccola ragazzina avrebbe avuto il coraggio di chiederlo. Ma da come tratteneva il respiro non avrebbe più aperto bocca.
Inclinò leggermente il capo, ora osservandola intensamente. I suoi occhi verdi si muovevano verso di lei, ma senza mai il coraggio di fermarsi e guardarla, di sapere cosa voleva, e quali fossero le sue intenzioni e quale la sua sorte. 
Le accarezzò nuovamente la guancia liscia e passò le dita tra le ciocche di capelli rossi.
Quando si avvicinò a suo orecchio, il suo fiato la fece tremare.
-Dimmi bambina, hai mai giocato con le bambole?-   
Non rispose. Come poteva ad una domanda senza significato. La risposta sarebbe comunque stata sbagliata. Non riusciva neanche ad immaginare quale idea perversa potesse passare nella mente della Mayer. Gli occhi supplichevoli si fermarono sulla porta dell’ufficio, nella preghiera che qualcuno entrasse e le desse la possibilità di salvarsi.
Le dita scesero sfiorandole il piccolo ed esile collo, fino alla bianca camicetta inamidata.
-Io no….- Il fiato solleticò il suo orecchio. 
Quel segreto appena sussurrato la fece inorridire.
Un brivido di terrore le accapponò la pelle. 
-Vuoi giocare con me?-
 
 
Piccole ciocche rosse si aggiunsero alle altre già tagliate di netto sul pavimento bianco. Il continuo sforbicio secco e deciso era l’unico rumore che risuonava nel bagno piastrellato, oltre i singhiozzi strozzati.
Prima piccoli tocchi poi, afferrato il codino lo tagliò per intero fino al nastro celeste.
Le lacrime scendevano silenziose sul viso pallido e lentigginoso. Lo specchio rimandava loro una figura sempre più squallida e affranta.
Prese l’altra ciocca e con le forbici iniziò a tagliuzzare le punte andando sempre più a stringere. Taglio, dopo taglio. Centimetro a centimetro. Piccoli, sempre di più i capelli che finivano sul maglione e a terra, finché negli occhi freddi e distaccati improvvisamente implose un’accecante luce irosa. 
Tagliò malamente, con veemenza, oltre il nastro, tutto d’un colpo, strappando un lamento alla ragazzina.
Li gettò a terra con rabbia. Il nastro celeste ancora annoccato alla ciocca intera di capelli rossi, sul pavimento. A quella vista, la belva che per un attimo aveva ruggito furiosa nella sua mente e nel suo petto scomparve.
La piccola scoppiò in un pianto convulso a questa vista, non riusciva neanche più a guardarsi nello specchio che le stava sadicamente di fronte. Era troppo penoso e orribile il riflesso di sé con i capelli corti e irregolari e il viso contratto in una smorfia disperata.
Ma più piangeva più l’altra si chiudeva in un freddezza agghiacciante, come se non fosse l’artefice di tutto e non stesse neanche assistendo. Quelle lacrime e quei lamenti non la sfioravano.
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Aveva compiuto la sua opera e il vuoto aveva ripreso il dominio della sua anima.
Avanzò verso l’uscita con le forbici che pendevano pesanti dalle dita lunghe e bianche.
-Perché?-
Il lamento della ragazzina si alzò altisonante tra i muri del bagno. Si era accasciata a terra in ginocchio, tenendo stretti tra le mani i capelli e il nastro colorato.
-PERCHÉ!?- ripeté ancora più forte guardando con odio la sua aguzzina che finalmente si fermò.
Perché!
Perché cercava una ragione? Non c’era alcuna ragione, la realtà era quella.
Lei non aveva mai cercato una ragione, aveva accettato la sua sorte. Lei non aveva trovato il bisogno di chiedersi il perché; lei il perché lo sapeva già!
Come una freccia un tremito la scosse. No che non c’era una ragione, non c’era mai stata!
Abbandonò quel bagno lasciando i singhiozzi convulsi e disperati dietro di sé.
Passò oltre i corridoi avanzando come un automa, finché non si ritrovò nella sala d’attesa della direzione.
Seduta sulla panca questa volta c’era una ragazza dai capelli biondi, che la guardava con un misto di altezzosità e derisione.
-Ariel.- disse a mo di saluto con tono trascinato e superbo. -Cosa hai combinato stavolta?-
Ariel la ignorò, come sempre d’altronde. Claire era l’unica che si permetteva il lusso di rivolgerle la parola senza rischiare di finire nelle sue mire. Si limitò a rimettere le forbici nel porta penne impreziosito da fregi sul tavolino verde dove le aveva prese.
In quel momento la porta della presidenza si aprì, ed uscì Ariana La Fayette.
-Si sono decisi finalmente a buttarla fuori?- chiese con sufficienza Claire, attirando così un’occhiataccia da parte della madre già abbastanza nervosa.
-Claire, la tua collaborazione sarebbe stata utile… se ci fosse stata.- le rinfacciò la donna infilandosi i guanti.
Claire a questa affermazione rimase sconcertata e scandalizzata, tanto che non seppe come reagire per diversi secondi. Per di più sua madre andò incontro alla sua quanto mai odiata cugina, sorridendole amabilmente. Si alzò ed uscì dalla stanza offesissima.
-Ariel, tesoro! Tutto bene?- Ariana poggiò una mano sulla spalla della ragazza.
Ariel spostò lo sguardo dal viso dolce della donna, alla mano.
Ariana la guardò attentamente con apprensione. Aveva quel suo solito sguardo vacuo e vuoto. La faceva stare male tanto quanto i suoi silenzi interminabili.  L’ossessionava il perché di quel suo continuo mutismo e, a volte, la premeva anche il dubbio di non aver mai sentito veramente la sua voce.
Le alzò il mento con un leggero tocco della mano, costringendola a guardarla negli occhi.
-C’è qualcosa che non va?- le chiese gentilmente.
Per un attimo sperò che veramente le rispondesse, anche con un semplice no, ma fu solo un attimo. La solita reazione di Ariel non tardò ad arrivare: si girò di scatto, scansando con sdegno il suo tocco e se ne uscì dalla stanza lasciandola lì sola, sconfortata più che mai.
Indossò il cappotto scuro e raggiunse le ragazze fuori dalla scuola dove la attendeva un’auto nera nel vialetto ciottoloso nel cortile verdeggiante.
L’aria umida e fredda, e il cielo plumbeo preannunciavano la solita pioggia dicembrina.
Salì in macchina e, quando attraversarono i cancelli in ferro battuto della scuola, le prime gocce iniziavano a imperlare il finestrino.
Pensieri su pensieri si accavallavano nella sua mente mentre avanzavano per le strade alberate. Ricordi tristi e nostalgici della sua famiglia, in Germania, prima della fine di tutto, prima della morta del fratello. E adesso, che finalmente aveva trovato l’unica persona che le era rimasta, l’unica sopravissuta a quella tragedia, non sapeva come aiutarla.
Spostò lo sguardo dal paesaggio sfocato fuori dal finestrino alle due ragazze sedute di fronte a lei.
Sembravano così diverse, e forse lo erano irreparabilmente.
Il broncio altezzoso di sua figlia e le continue occhiatine di disprezzo, le fecero capire che qualcosa non le doveva essere andato particolarmente giù, e che fremeva per liberarsene.
-Claire cara, c’è qualcosa che ti turba?-
Come previsto scattò come una molla.
-Certo! E me lo chiedi pure!- fece con disprezzo alzando ancora di più il mento e incrociando le braccia. –Se questa è una psicopatica, disadattata sociale, ed è stata buttata fuori dalla scuola, la colpa di certo non è mia!-
-Claire! Chiedi scusa immediatamente!- la riprese subito sua madre.
-Ma non ci penso nemmeno! E poi a lei non importa niente!- disse indicando scocciata la ragazza dall’altra parte del sedile che disinteressata guardava fuori.
Ariana fece per parlare di nuovo, anche se questo totale disinteresse da parte della nipote la lasciava parecchio disarmata, ma la figlia non le diede il tempo che riprese a parlare.
-Secondo te non ho fatto anche io la mia parte? Ho provato a farle conoscere le mie amiche, ma hanno tutte paura di lei, e mi sembra più che normale! Quindi non dire che io non ci ho provato. Anzi, ci terrei a ricordare che fin dall’inizio ha messo lei in difficoltà la sua posizione. Le abbiamo organizzato una serata per debuttare in società, e ha dato il massimo di sé possiamo dire! Non solo è spuntata con due ore di ritardo con degli straccetti logori e sporchi tipo barbona, ma ha anche spalmato la faccia di Daniel DeBouden nella torta! Ti rendi conto che è il ragazzo più popolare e ambito non solo della scuola, ma anche dell’alta società?!-
Poi sempre più infervorata ed inviperita spostò l’attenzione da sua madre, basita e mortificata di fronte a lei, alla ragazza che continuava ad ostentare la più totale indifferenza.
-Mi potresti spiegare per quale ragione l’hai fatto? Hai messo in imbarazzo la mia famiglia e me! Non so da quale bettola vieni, ma in una società civile esistono delle regole da rispettare, e quando una persona ti rivolge la parola, è segno di educazione rispondere!-
La bionda restò in silenzio, sempre più nervosa, a fissare la cugina in attesa di una risposta.
-Allora?- chiese spazientita.
Ariel senza neanche voltarsi a guardala, le vece un gestaccio con la mano.
Claire si voltò dall’altra parte disgustata e altezzosa.
-Hanno fatto bene a buttarti fuori, era ora!- disse. -Col tuo modo di fare non andrai lontano, credimi. Non sei capace di integrarti tra la gente civile! Non hai amici e nessuno ti vuole, non ti senti insignificante ed inutile?-
Da quel momento stette zitta, ma almeno si era tolta la soddisfazione di dire a lei e a sua madre quello che pensava da mesi, anche se c’erano ancora molte altre cose da dire.
Ariana rimase basita a fissare le due e alla fine distolse lo sguardo fuori dal finestrino.
Claire non aveva tutti i torti. Era un fallimento su tutti i fronti, ed era stata solo colpa sua che era riuscita a trovarla troppo tardi. Marchi indelebili, ferite profonde ed inguaribili l’avevano segnata per sempre, senza l’asciare ombra di quella che doveva essere stata la vera Ariel. 
Tornò a guardare la nipote con sguardo assente. Un livido violaceo sotto lo zigomo faceva bella mostra come una medaglia di guerra. Uno dei tanti che comparivano dopo le sue lunghe assenze, ma le faceva sempre impressione vedere la sua figura malconcia e sciupata e non riuscire a fare niente. Non sapeva cosa faceva, dove andava, con chi passava il suo tempo, cosa pensava….
Non era riuscita a darle niente, una casa, un punto di riferimento, ma forse…. Un’ultima speranza si accese. Forse erano loro il problema! Magari il suo era un modo di ribellarsi!
Dopo tutto non era vero che sua nipote Ariel non era capace di inserirsi in un contesto sociale con delle regole, di avere degli amici o delle persone care…. Forse doveva mettere da parte il suo egoismo nel volerla per forza accanto a sé e farle vivere la sua vita!  
-Ariel tesoro!- disse questa volta con una nota di speranza nella voce e nell'animo. -Ti piacerebbe cambiare scuola? Magari anche paese, la Francia forse ti sta un po’ stretta. Che ne dici? Vuoi tornare dai tuoi amici?-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ps: nell’ultimo capitolo Takao scambia Claire con Ari, lasciando intendere che si somigliano, mentre qui si capisce che Claire ha i capelli biondi. Non è ne un errore mio ne Takao è diventato daltonico, semplicemente Claire si è fatta bionda, ma poi si capisce il perché, anche se mi sembra abbastanza chiaro….
Beh, che altro dirvi? In questo seguito darò un po’ meno importanza ai beyblade (siiiiiiiii!!!!! Ndtutti) ok ok non festeggiate. Comunque il campionato ci sarà e… e vabbè tutto il resto eccetera ecc….
Un bacione e un ringraziamento a tutti! Senza di voi e il vostro sostegno non sarei arrivata fin qui! Ciao!
Pps: ringrazio Kla per avermi ispirata e avermi dato delle splendide idee e consigli che solo a pensarci mi fanno morire dalle risate.  

   
 
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