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Autore: _BlueLady_    22/04/2017    2 recensioni
[ Dal Prologo]
Tutti lo chiamavano Eclipse, perché proprio come un’eclissi era in grado di nascondersi alla luce del sole, per poi fare la sua ricomparsa di notte, nelle vie buie delle città più conosciute, alla ricerca di non si sa quali preziosi tesori.
Le prime pagine dei giornali erano piene delle sue immagini, i gendarmi di ogni città gli davano la caccia, nella speranza di catturarlo e finalmente infliggergli la punizione che meritava per tutti i furti commessi in passato.
Non c’era traccia di scovarlo, tuttavia.
Così come appariva, altrettanto misteriosamente scompariva, lasciando dietro di sé solo un cumulo di mormorii perplessi ed impauriti.
Attenzione: leggermente OOC, la lettura potrebbe risultare un pò pesante.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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~ CAPITOLO 31 ~
 
Presto la notizia del tentato omicidio in casa Sunrise si diffuse per tutta la contea, macchiando la serenità dei suoi abitanti di una cupa inquietudine.
Gli amici più stretti legati alla famiglia furono i primi a far loro visita, compiangendo assieme ad Elsa la sorte del povero signor Sunrise.
Rein ricevette una lettera accorata di Lione, ancora fuori città, disperata e a dir poco scioccata per quanto successo. L’amica la rese partecipe del suo dolore, e si mostrò solidale nei loro confronti. Le disse che, nonostante la distanza, il suo cuore era accanto a loro.
Tutti ormai erano a conoscenza della fama di assassino di Eclipse, e quando calava la notte sulla campagna inglese nessuno riusciva più a dormire sonni tranquilli.
Cominciò una spietata caccia al ladro, un allarmismo tinto di terrore e di paura. Molti furono gli avvistamenti del ladro segnalati alla polizia da parte dei cittadini, ma la maggior parte delle volte erano soltanto fantasmi immaginari, materializzati dalla paura di trovarselo realmente di fronte.
I gendarmi pattugliavano le strade della contea giorno e notte per chetare il panico generale e garantire ai cittadini la poca tranquillità che bastava loro per proseguire le proprie vite come facevano usualmente, ma il terrore era sempre dietro l’angolo, pronto a paralizzare chiunque ne diventasse preda.
La notizia viaggiò veloce di bocca in bocca tra le ville della contea, fino a bussare alle porte di villa Windsworth.
Quando l’udirono, i marchesi non poterono fare a meno di essere percorsi da un brivido di angoscia, nella paura di poter essere in qualche modo ricollegati alla losca vicenda.
Fu in particolare Auler ad esserne turbato. Il giovane non cessava di tormentarsi all’idea che fosse sfuggito loro un particolare capace di metterli sotto accusa, oltre che sentirsi divorato dal senso di colpa e dal rimorso.
- Sei sicura di aver fatto sparire qualsiasi traccia che possa ricondurre a noi, Sophie?- continuava a domandare alla sorella, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
- Ti ho già detto di si, Auler. Abbiamo ripercorso il tragitto compiuto da qui a villa Sunrise più volte, e non c’è niente che possa tradirci. Quanto al resto, per la pistola ho già provveduto ad eliminare qualsiasi traccia di impronta che possa testimoniare di averla utilizzata, e i vestiti insanguinati, compreso il tuo travestimento da finto Eclipse, li ho bruciati, come se non fossero mai esistiti. Anche se dovessero casualmente sospettare di noi, non esisterebbe alcuna prova capace di metterci con le spalle al muro – affermò la marchesa spazientita con un sorriso tirato sul volto, una calma apparente tipica della finta quiete dell’assassino.
- Ancora non riesco a capacitarmi di quello che abbiamo fatto - mormorava il marchese con gli occhi sbarrati, mentre gli scorrevano nella testa le immagini angoscianti di quella notte, dei fotogrammi consecutivi che si susseguivano velocemente senza dargli mai pace, tormentandolo anche nel sonno - Avremmo potuto ucciderlo… – sussurrava tra le lacrime, in uno stato di shock profondo.
- Dimentichi che la nostra intenzione era proprio quella. E se tu non fossi stato tanto stupido da deviare il colpo, a quest’ora il problema non esisterebbe – gli rispose la marchesa freddamente, con una placidità nella voce raggelante – Uccidere Toulouse Sunrise non rientrava nei piani – asserì Auler con rabbia, nelle iridi un fuoco accusatorio contro la sorella – Ci siamo sempre detti che il nostro unico obiettivo erano Shade e i gioielli, che una volta recuperati avremmo finalmente chiuso con questa vita, che saremmo stati pronti a cambiare. Io personalmente l’avrei fatta finita molto prima, ma non ho mai avuto la forza né la volontà di contraddirti. È una colpa per la quale non cesserò mai di tormentarmi. Se non ti avessi dato retta a quest’ora nemmeno ci saremmo arrivati a questo punto. Forse, anzi, avremmo ancora una famiglia - mentre parlava, le iridi del marchese erano ancorate a quelle della sorella, che ricambiava il suo sguardo di rancore e fiducia tradita con occhi accesi di orgoglio e superbia.
- Non starai per caso cercando di mettere in discussione le mie decisioni, vero Auler? Mi hai già messo i bastoni tra le ruote impedendomi di uccidere Shade quella notte, non tollererò altre obiezioni da parte tua - soffiò velenosa, avvicinandosi con passo deciso a lui.
- Sto solo dicendo che la tua follia ci ha spinti troppo oltre, Sophie! Apri gli occhi! Perché continuiamo a fare la guerra a nostro fratello? Perché coinvolgere persone innocenti? Perché arrivare a uccidere? Dammi solo una buona ragione per motivarmi a seguirti ancora, dopo tutto questo! –
- Perché sono tua sorella, ecco perché! Perché sono stata madre, padre, una famiglia intera per te! Perché tu hai solo me, e nessun’altro! Perché siamo noi due soli contro il resto del mondo! Ancora ti ostini a pensare che due poveracci come lo siamo noi possano sperare in una vita migliore di questa?! Questo è quello che siamo: orfani, delinquenti, randagi abbandonati per strada, ripudiati da tutti, costretti a contare solo l’uno sull’altra per sperare di sopravvivere!-
- Quello era tanto tempo fa, prima di incontrare nostro padre e di conoscere l’affetto che ha saputo donarci la nostra famiglia!- le disse lui, alzando per la prima volta la voce contro di lei.
Nell’udire quella parola, Sophie scoppiò in una fragorosa risata, mortificando Auler nel profondo.
- La nostra famiglia? La nostra famiglia, Auler? Ma non hai ancora capito che la nostra famiglia siamo solo tu ed io? Ti sei dimenticato cosa ci ha fatto William quando si è reso conto che non sarebbe più stato in grado di tenerci sotto controllo? Ci ha diseredati, Auler, era pronto a sbatterci di nuovo in mezzo ad una strada, affidando tutto il suo patrimonio a Shade! Credi che Shade non si sarebbe lasciato soggiogare dal fascino della ricchezza? Appena morto William, si sarebbe sbarazzato di noi senza farsi il minimo scrupolo –
- Questo è quello che pensi tu – sibilò Auler, spiazzandola.
- Come hai detto?- ringhiò lei, incapace di sopportare tutta quell’insolenza.
- Non hai mai pensato che forse sono state proprio le tue paure, il tuo folle terrore della solitudine a condurci su questa strada?- le domandò il fratello, cercando di farla ragionare – Tutto ciò per cui abbiamo combattuto non lo abbiamo fatto per noi… ma per te. Sono stati i tuoi fantasmi interiori ad alimentare un odio così grande. La nostra battaglia finora l’abbiamo combattuta contro di te, Sophie. È stata la tua follia a condurci fin qui. Apro gli occhi solo adesso – disse, come illuminato da una verità che gli si palesava soltanto in quel momento davanti agli occhi.
- È per Altezza che mi stai dicendo tutto questo? Speri di proteggerla, convincendomi che è stata tutta colpa mia? Vuoi giocare a fare l’eroe? - gli domandò la marchesa provocatoria, un ghigno beffardo sul volto.
- Non lo faccio per Altezza, anche se non nascondo che grazie a lei ho ricominciato pian piano a riprendermi la mia libertà – le rispose lui con fermezza, per nulla intimorito dalle minacce nascoste dietro quella domanda tagliente – Lo faccio per te. Sei mia sorella, Sophie, e per niente al mondo desidero osservarti senza far niente mentre ti rovini la vita con le tue stesse mani. Il tuo odio ti ha accecato a tal punto da renderti capace di uccidere un uomo. Redimiti, prima che sia troppo tardi. Di errori ne abbiamo fatti tanti, ma siamo ancora in tempo a rimediare. Possiamo ricominciare, stavolta per davvero. A partire da adesso. Insieme
- Risparmiami la tua compassione, non ne ho bisogno – asserì fredda lei, completamente sorda alle sue parole.
Il volto di Auler si incrinò di delusione.
- Shade aveva ragione – disse – Ti ho sempre temuta più di quanto tu tema lui. Finalmente comprendo i miei errori –
- Auler – lo chiamò Sophie in tono d’avvertimento – non osare parlare oltre – l’occhiata fulminante che gli lanciò non lasciava spazio a nessun dubbio: quello che gli stava dando era un ultimatum.
Il marchese sostenne fieramente lo sguardo, poi le voltò le spalle con atteggiamento di rammarico e consapevolezza, di delusione e di amarezza.
- È finita – mormorò – io me ne tiro fuori. Non voglio più essere complice di questa follia –
Sophie lo osservò allontanarsi immobile, i nervi tesi, il respiro mozzato, mentre il fratello le lanciava un’ultima occhiata compassionevole prima di ritirarsi nelle sue stanze.
Lo osservò allontanarsi senza tentare nulla per fermarlo, in petto una bruciante sensazione di sconfitta che il suo orgoglio non era disposto ad accettare.
Digrignò i denti, una rabbia cieca a infiammarle le vene.
“Hai firmato la tua condanna”.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Erano passate due settimane quando il medico comunicò ad Elsa e alle figlie che Toulouse si trovava finalmente fuori pericolo. Nonostante l’uomo non avesse ancora ripreso conoscenza, l’infezione era ora sotto controllo, e la ferita che in un primo momento aveva dato qualche problema riaprendosi era in via di cicatrizzazione.
Non sapeva dirlo con certezza, ma una volta scesa la febbre, il capofamiglia sarebbe andato incontro ad una netta ripresa, era solo questione di attesa.
- Quando pensa riprenderà conoscenza?- domandò Elsa al medico, impaziente di riabbracciare l’amato marito.
- Difficile dirlo con certezza, signora Sunrise. Quello che posso affermare è che se il paziente progredisce ancora, è probabile si risvegli tra qualche giorno. Certo non sarà ancora in grado di alzarsi dal letto viste le condizioni, prima abbiamo bisogno di accertarci che la ferita sia ben cicatrizzata. Dopodiché potremo iniziare il programma di riabilitazione, che implicherà la riacquisizione della funzione motoria a piccoli passi, e la verifica che non ci siano lesioni ai nervi che possano compromettere la sua capacità di camminare. Ma questo lo vedremo col tempo –
- Ah, dottore, io non so proprio come ringraziarla per tutto ciò che ha fatto per noi. Le dobbiamo una riconoscenza infinita – sussurrò Elsa tra le lacrime, col cuore gonfio, bruciante di sollievo.
Anche Rein e Fine gioirono non appena furono riferite loro le parole del medico. L’unico ostacolo da temere in quel momento era la riabilitazione del padre per cui, se le lesioni erano più gravi di ciò che si pensava, avrebbero compromesso la sua indipendenza motoria, ma a quello avrebbero pensato in un secondo momento, quando Toulouse avrebbe riaperto gli occhi sussurrando i loro nomi tra le coperte del letto.
Indescrivibile fu per le donne della famiglia Sunrise l’avvento di quella notizia, fu come riprendere a respirare dopo essere state a lungo in apnea, una boccata d’aria fresca, il rischiararsi del cielo.
La gioia fu talmente tanta, che per un istante Fine e Rein dimenticarono le tensioni createsi tra loro, e si abbandonarono ad un abbraccio tra le lacrime di commozione che sapeva di sollievo e speranza.
Nel tardo pomeriggio tornò la polizia, dopo tre giorni di silenzio, a svolgere ulteriori indagini per carpire qualche informazione in più sulle dinamiche dell’incidente. Si concentrarono soprattutto sul luogo del presunto delitto, raschiando a fondo ogni angolo in cerca di un indizio che potesse ricondurre all’identità dell’assassino.
Mentre un intero squadrone di poliziotti scandagliava l’intero cortile con una meticolosità al limite dell’ossessivo, il commissario teneva impegnata Elsa con alcuni quesiti riguardanti le dinamiche di quella notte. Rein attendeva il suo turno per essere nuovamente interrogata in camera del padre, ancora incosciente.
Udiva la madre, stremata per tutte le notti insonni passate accanto al marito a sperare in un suo risveglio, rispondere a monosillabi alle domande del commissario, stanca di quella routine alla quale era costretta a prendere parte quotidianamente. Rein sorrise commossa pensando a quanto sua madre amasse Toulouse di un amore così grande: temeva che, se lo avesse abbandonato anche solo per un istante solo nel suo sonno senza sogni, gli sarebbe poi stato difficile ritrovare la strada di casa. Elsa era convinta del fatto che lo stargli vicino, il contatto umano, i sussurri all’orecchio, lo stessero pian piano riconducendo di nuovo da lei.
Il momento della giornata che la donna temeva di più era certamente la notte: il sonno la spaventava, la quiete, l’immobilità del tempo, il dilatarsi delle ore e dei minuti, li percepiva tutti come ostacoli capaci di allontanarla da Toulouse, come se chiudere gli occhi un solo istante per recuperare un po’ di forze potesse improvvisamente spezzare il filo che la teneva così strettamente unita al marito, una matassa che sentiva pian piano riavvolgersi, perché dal capo opposto sapeva che c’era lui ad aspettarla.
Aveva passato una settimana intera combattendo con le sue paure, e non c’era stato verso di convincerla ad abbandonare quel letto. Si lasciò convincere dalle figlie a lasciare per qualche ora il capezzale del marito soltanto perché la sua presenza era richiesta altrove.
Fu così che Rein prese il suo posto, e alla fanciulla non dispiacque affatto, anzi, fu felice di poter finalmente stare sola accanto al padre, immersa nella quiete di quella camera buia, illuminata soltanto dal sole che filtrava timido tra le fessure delle imposte, uno scudo imperturbabile che li proteggeva dalla frenesia del giorno e da tutto quel viavai di persone che affollavano la loro casa portandosi con sé la loro compassione, le loro domande e la loro inquietudine.
Osservò il volto del padre ancora intrappolato nel suo sonno senza sogni, e gli occhi le si riempirono di lacrime di commozione.
Sotto le lenzuola, lo sapeva bene, si nascondeva la profonda cicatrice provocata dal proiettile che l’aveva quasi ammazzato. Ripercorrere con la mente quella notte le paralizzava la spina dorsale, la bocca dello stomaco le si apriva in una voragine e la terra sotto i piedi le veniva a mancare.
Togliersi dalla mente l’immagine del padre sanguinante che si accasciava al suolo inerme le pareva impossibile. Improvvisamente il cuore tornò a batterle feroce in petto, e la gola prese a seccarsi.
- Papà – sussurrò con voce tremula e gli occhi lucidi – mi dispiace tanto – e si accasciò su di lui, stringendogli forte la mano adagiata lungo il corpo, quasi desiderasse di tornare bambina, e di farsi stringere di nuovo da quelle forti braccia che tante volte l’avevano consolata e protetta quando era più piccola, quando correva da lui per cercare conforto dopo un litigio con la sorella o dopo lo spavento di una caduta nel corso dei suoi giochi infantili.
- Mi dispiace per quello che è successo, per come ho gestito la situazione… è a causa della mia ingenuità che siamo arrivati a questo punto e la mia buona volontà non ha potuto nulla… tutta la mia buona volontà…-
Desiderò con tutta se stessa di percepire la mano del padre carezzarle la nuca, di sentirsi chiamare sottovoce, alzare il volto verso di lui e ritrovarselo sorridente a rassicurarla che sarebbe andato tutto bene, ma non accadde nulla.
Soltanto il silenzio, e i suoi singhiozzi soffocati che echeggiavano nell’atmosfera di quella stanza cupa.
Poi ci fu un attimo impercettibile in cui il tempo parve fermarsi un istante, e Rein percepì qualcosa aleggiare nell’aria leggero e delicato come un battito d’ali di farfalla, un lieve sussurro che andò a solleticarle l’orecchio, facendole rizzare la testa e roteare gli occhi attorno alla ricerca della sua origine.
-..phie – udì, e volse lo sguardo sulle labbra del padre, il cuore in gola e il respiro mozzato, quasi temesse di spaventarlo se solo avesse osato rompere la magia di quell’incantesimo.
- Papà?- mormorò tra le lacrime, come per accertarsi che fosse vero.
Quello non le rispose, ma lei scorse benissimo le labbra del padre muoversi ancora impercettibilmente nella pronuncia di quello strano richiamo che aveva catturato la sua attenzione.
- Papà!- ripeté in un sorriso tremante, mentre il cuore si gonfiava di gioia e il sangue le ribolliva nelle vene di felicità.
- …phie – disse ancora il padre, intrappolato nei suoi incubi e ancora lungi dal riprendere conoscenza.
Quello, tuttavia, era il primo segno di vita mostrato da Toulouse in quattordici lunghi giorni, e a Rein bastò per avere la conferma che il padre fosse effettivamente ancora vivo, e che era pronto a tornare da loro.
- Fine, mamma!- chiamò in preda all’euforia, con gli occhi lucidi e il cuore scalpitante in petto, precipitandosi fuori dalla stanza in cerca delle due donne.
- Cosa c’è, Rein? Toulouse sta male?- le domandò allarmata la madre interrompendo la sua chiacchierata con il commissario, sentendosi chiamare con così tanta urgenza, negli occhi l’angoscia che fosse capitato  qualcosa di irreparabile al marito proprio mentre lei non era al suo fianco.
- Papà ha parlato!- strillò Rein piena di contentezza, gettandosi su di lei e trascinandola con sé nella stanza – Come?- domandò Elsa con Fine alle calcagna, attirata anche lei da tutto quel frastuono.
- Papà ha parlato, ha mormorato qualcosa nel sonno!- ripeté la turchina commossa, mentre l’espressione dei volti delle altre due donne passava dallo stupore all’euforia.
- Dici davvero?- domandò Fine incredula – Sarebbe il regalo più bello del mondo se fosse vero!- esclamò Elsa tra lacrime di gioia, mentre si dirigevano tutte nella stanza.
Nella confusione del momento, anche il commissario di polizia, che non aveva ancora terminato di interrogare la signora Sunrise e trascinato dall’euforia delle tre donne, le seguì in camera per accertarsi della verità delle parole pronunciate da Rein.
Il corpo inerme di Toulouse li accolse silenzioso non appena varcarono la soglia della porta.
Stettero tutti col fiato sospeso, quasi temessero di spaventarlo: soltanto Elsa si avvicinò con gli occhi lucidi al corpo del marito, carezzandogli una mano e sussurrandogli all’orecchio: - Toulouse, amore mio… riesci a sentirmi?-
Non un suono si udì aleggiare nell’aria, fintanto che l’uomo non comunicò la sua risposta.
- …phie – mormorò ancora piano il malato, e le tre donne si guardarono l’un l’altra, sciogliendosi in un pianto discreto e commosso, strette in un abbraccio che sapeva di sollievo e di speranza.
- Questo lascia ben sperare – annunciò Elsa con voce tremula, baciando le figlie e rivolgendo nuovamente l’attenzione al commissario di polizia, altrettanto lieto della buona notizia.
- Sono sinceramente contento per voi, signora Sunrise. Vostro marito è un uomo forte, e soprattutto fortunato ad avere accanto una famiglia meravigliosa come la vostra. Sono certo che presto potrete tornare a riabbracciarlo –
- Sembra stia cercando di dire qualcosa – osservò Fine, avvicinandosi con cautela al padre, quasi temesse di infrangere il miracolo di quell’incantesimo.
Tutti stettero in silenzio ad ascoltare l’uomo pronunciare ancora una volta quel debole richiamo. Quella volta, però, il suono fu più limpido, e le parole più comprensibili.
- Sophie…- scandì Toulouse in un sussurro, e quel nome si librò nella stanza, volteggiò per qualche secondo libero nell’aria, e colpì l’orecchio dei presenti con tutta la forza di cui era capace.
- Sophie…- ripeté ancora l’uomo, e i presenti si osservarono sconcertati l’un l’altro.
- Ho sentito bene? Sta chiamando il nome di Sophie?- mormorò Elsa sorpresa e disorientata, non sapendo proprio ricollegare il nome ad eventi o persone conosciute.
- Pare proprio di sì – osservò Fine, altrettanto stupita – Ma cosa può significare?- domandò, guardando negli occhi la madre e il commissario, estremamente attento ad ogni dettaglio per non lasciarsi sfuggire nulla.
- È il nome della marchesa di Windsworth – asserì Rein a un tratto, convinta al cento per cento che quella non fosse una pura coincidenza, e gioendo nel profondo per quel piccolo colpo di fortuna – papà sta cercando di indicarci la strada da percorrere per trovare il suo assassino –
- Che sciocchezza! Come può una persona d’alto rango come la marchesa essere coinvolta in una simile vicenda? Nemmeno la conosciamo personalmente. Si tratterà di una semplice coincidenza – esclamò Elsa sconcertata, guardando Rein come se sua figlia fosse improvvisamente uscita di senno.
Rein, tuttavia, non era della stessa idea, in quanto sapeva perfettamente che quella era l’unica occasione per incastrare finalmente i marchesi di Winsworth e venire in aiuto a Shade: - Perché darlo per scontato? Perché non prenderlo in considerazione? Ogni dettaglio è di fondamentale importanza per arrivare alla verità. Eclipse potrebbe essere chiunque – asserì decisa, sotto lo sguardo di una Fine perplessa e sospettosa che la scrutava in silenzio, quasi a volerle leggere nei pensieri per capire a che gioco la sorella stesse giocando.
- Signorina Sunrise, queste sono parole che il signor Sunrise ha pronunciato in stato di incoscienza, non sono sufficienti ad incriminare una persona o ad inserirla nella lista dei sospettati. Dovrebbe almeno esserci un collegamento, una prova concreta che possa testimoniare la presenza della marchesa in casa vostra. Bisogna cercare un movente. Inoltre il nome in sé non è di alcuna rilevanza, come possiamo essere certi si tratti proprio dei marchesi di Windsworth e non di un’altra persona? Per poter ottenere un mandato di perquisizione necessitiamo di molto di più – intervenne il commissario, perfettamente consapevole di quale fosse la sua posizione, e di come gestire l’indagine al meglio.
- Signor commissario, io ero presente quando mio padre è stato ferito, e sebbene non sappia riconoscere il volto dell’aggressore, sono certa che c’è un motivo se mio padre adesso sta pronunciando questo nome nel suo stato di incoscienza. Tra le nostre conoscenze, ve lo confermerà anche mia madre, non esiste nessuno che porti il nome di Sophie. L’unica conoscenza che abbiamo in comune, anche se poco approfondita, è con la marchesa di Windsworth. È lecito, dunque, sospettare di lei – insisté Rein, sempre più convinta ad insinuare il dubbio quel poco che bastasse per convincere la polizia a prendere in seria considerazione l’opportunità di interrogare i due marchesi.
- Mi rendo conto, signorina, del vostro stato d’animo e del desiderio che l’atto compiuto verso la vostra famiglia non resti impunito. Cercate tuttavia di capire che non possiamo metterci ad interrogare persone senza un valido motivo. Non c’è alcun nesso logico tra voi e i marchesi al momento che possa giustificare un movente – asserì l’uomo deciso e autoritario.
- Prendete almeno in considerazione la possibilità!- pregò la turchina, vedendosi sfumare davanti agli occhi l’unica possibilità rimasta per incastrare i due marchesi.
- Insomma, signorina Sunrise, vi ho già detto che mi è impossibile venirvi incontro senza un motivo ragionevole. Non asseconderò il vostro capriccio. Anzi, dato che siete così propensa ad incolpare dei marchesi, perché non facciamo una veloce chiacchierata a quattr’occhi, così mi spiegate da dove deriva la vostra convinzione?- ruggì l’uomo spazientito da tanta insistenza, nella voce un’impercettibile tono di minaccia che subito intimorì Rein la quale si zittì all’istante, mordendosi la lingua per aver mostrato così tanta insolenza.
- Prenderemo in considerazione la possibilità di un colloquio coi marchesi soltanto quando il signor Sunrise si sarà ripreso, e la sua testimonianza confermerà ciò che voi ipotizzate soltanto a parole – concluse freddamente, lasciando nella stanza un’atmosfera tesa e irrespirabile.
Aveva appena terminato di parlare, sotto lo sguardo deluso e impotente di Rein che non sapeva a cos’altro aggrapparsi per fare venire alla luce la verità, quando un sottoposto del commissario che era stato impegnato a perlustrare il giardino fino ad allora non entrò con foga nella stanza, annunciando a tutti i presenti quale fosse l’esito dell’indagine di quel pomeriggio.
- Perdonate l’intrusione, ma abbiamo scandagliato tutto il perimetro della proprietà, signore, e nel luogo in cui è avvenuto l’incidente è stata ritrovata questa – comunicò l’uomo, ponendo nelle mani del commissario, avvolta in un fazzoletto, una spilla dorata portante la raffigurazione di uno stemma familiare ben noto a tutti i presenti, che appresero quell’ultimo particolare con profonda inquietudine.
Gli occhi del commissario si accesero di stizza, sorpresa ed incredulità.
Ciò che teneva tra le mani era una spilla raffigurante lo stemma dei Windsworth.
- Ma come è possibile?- sussurrò Elsa sconvolta, incapace di credere a ciò che le era stato rivelato.
Il commissario deglutì a fatica, prendendo coscienza di quel particolare con serietà e rassegnazione, vergognandosi per ciò che gli era uscito dalle labbra poco prima, e di essersi mostrato così insofferente nei confronti delle supposizioni di una fanciulla che, forse, non si era poi allontanata tanto dalla verità.
Rein lo guardò negli occhi, senza lasciar trapelare alcuna emozione, ma in cuor suo bruciava di trionfante soddisfazione.
- Ora ciò che ha a disposizione è sufficiente, commissario?-


Angolo Autrice:

E' sempre una gioia riuscire ad aggiornare, soprattutto di questi tempi che il lavoro mi toglie il respiro, e qualsiasi briciolo di tempo libero.
Ma, come vedete, ogni tanto torno, perchè non ho intenzione di lasciare incompleta la storia.
Questo è un capitolo di transizione, eppure accadono eventi significativi. Ormai siamo agi sgoccioli, e Toulouse sembra pian piano riprendere conoscenza.
Ciò che accadrà adesso è ancora da scoprire. Spero di continuare a stupirvi.
Ringrazio di cuore tutti quelli che si emozionano leggendo questa storia. Ringrazio chi mi scrive, chi mi legge, e chi si emoziona leggendo le mie parole.
Grazie, grazie davvero. Spero di continuare ad emozionarvi ancora e ancora.
Baci

_BlueLady_

 
 
  
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