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Autore: HarleyHearts    22/04/2017    0 recensioni
Chiara Mirosi è una giovane ragazza che vive, insieme alla sorella maggiore Lavinia, in un piccolo trilocale a Milano.
Ha due migliori amici: Enrico, con cui condivide la passione per i fumetti e i videogiochi, ed Elisa, omosessuale dichiarata dall'età di 15 anni e "Grillo Parlante" del trio.
Steven Giliberts è un ragazzo italo-canadese che, caso vuole, vive nella stessa palazzina della ragazza, con un'esperienza traumatica alla spalle che l'ha spinto a trasferirsi nella città Natale della madre.
Un'esperienza traumatica che ha visto il padre del ragazzo togliersi la vita con un colpo di pistola, e la sorella minore di appena 11 anni bloccata su una sedia a rotelle.
Tra i due nascerà subito una splendida amicizia, avendo numerosissime passioni e gusti in comune, e chissà... Forse, da una semplice amicizia potrebbe nascere qualcosa di più.
- Prima storia della serie "Love is in the air"-
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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capitolo 5
|!| AVVISO: Per farmi perdonare della lunga assenza pubblicherò i capitoli 3-4-5 insieme |!|
Capitolo 5

Verso l'ora di pranzo di giovedì ero già sulla metro che mi avrebbe riportato a casa.
Dire che ero stanca morta, sarebbe stato praticamente niente; la giornata in Università era stata particolarmente stressante, e la sera prima non avevo dormito per niente bene.
Se si aggiungeva poi il fattore che da lì a poco meno di un mese avrei avuto un esame scritto, si poteva comprendere il mio pessimo umore.
Sospirai pesantemente, portando una mano al collo per massaggiarmelo.
Quando ero di così pessimo umore, erano poche le cose che mi aiutavano a tirarmi su; prime fra tutte erano leggere, scrivere e disegnare.
Amavo disegnare da quando ero una piccola e paffuta pargoletta, e la mia era una passione di famiglia, che mi era stata trasmessa sia da mia madre che da mia zia paterna.
Da piccola adoravo guardarle dipingere e creare magnifici paesaggi, mentre sgranocchiavo qualche biscotto fatto in casa o le osservavo semplicemente con occhi colmi di stupore.
Purtroppo era una cosa che non potevo fare, da diversi anni.
Mia zia era venuta a mancare quando avevo appena dodici anni, a causa di una fulminante e devastante leucemia.
Mia madre, invece, aveva smesso a causa del poco tempo libero che le era rimasto per il lavoro e per la stanchezza dell'età che avanzava.
Non ero molto brava a dipingere i paesaggi come loro, anzi erano proprio il mio tallone d'Achille.
Me la cavavo decisamente meglio con figure umane in stile cartoon e fumetti, ma ero molto limitata; le cose che non sapevo fare erano innumerevoli, e superavano di gran lunga quelle che sapevo più o meno fare.
Sospirai una seconda volta, e tirai su la testa per guardarmi intorno. Mancavano ancora due fermate, e sarei finalmente arrivata.
Mi tirai su, ed attesi in piedi che le porte automatiche si aprissero.
Alle orecchie "Let's Go Slaughter He-Man" dei Lordi mi fece desiderare di tornare nella mia camera il prima possibile.


- Perché non torni a scrivere? -
Alzai gli occhi dallo schermo del computer e li puntai in quelli verdi di Rico, con fare stranito.
Gli occhi del mio migliore amico erano incredibilmente particolari; non erano di un semplice e monocromatico verde, ma sfumavano delicatamente verso l'esterno in un castano molto chiaro, in una sfumatura quasi impercettibile.
Erano occhi comune a prima vista, ma che nascondevano molto di più. Segreti presenti nelle iridi di tutti gli esseri umani, una parte minuscola dell'anima di ognuno, che nessuno poteva conoscere oltre al loro proprietario.
- Cosa? - domandai, confusa.
- Dovresti riprendere a scrivere - affermò con maggiore sicurezza, appoggiandosi con i gomiti sul bancone del negozio.
Quella sera eravamo da soli in libreria.
Sofia era dovuta andare via prima per andare a fare una visita medica, ed Enrico l'aveva rassicurata dicendole che ci avrebbe pensato lui a chiudere tutto e a controllare il negozio.
Mentre io le avevo assicurato che avrei tenuto sotto'occhio il mio amico.
- E quando mai avrei smesso, scusami? - gli domandai, con un lieve sorriso sulle labbra - Non mi risulta di averlo fatto -
Enrico mi lanciò un'occhiata silenziosa.
- Lo sai cosa intendo, non fare finta di non aver capito - mi riprese - Intendo scrivere seriamente seriamente; non solo i testi brevi che ogni tanto ti trovo a scribacchiare. Una volta lo usavi molto... per sfogarti -
Riportai lo sguardo sullo schermo luminoso, e lo abbassai poco dopo in silenzio.
Non sapevo nemmeno come rispondergli, in quel momento.
- Non ho molto tempo -
- Dovrei crederci? -
Sicuramente no. Non credevo nemmeno io a quello che avevo appena detto, ma mi sembrava la scusa più plausibile.
La scrittura aveva avuto sempre un posto speciale nel mio cuore, tra tutte le mie passioni, anche se negli ultimi anni mi ero vista costretta ad accantonarla momentaneamente.
Lo sapeva Enrico, e lo sapevo soprattutto io, che ciò era accaduto per un motivo, o meglio una serie di motivi ben precisi; ma non mi sentivo ancora pronta per ammetterlo apertamente, nemmeno con lui o Lisa.
- Puoi fare come vuoi, Rico - gli risposi tranquillamente, continuando a tenere fissi gli occhi sullo schermo.
Chissà quanto tempo avrebbe resistito la mia retina, sotto il bombardamento dei cristalli liquidi.
Sicuramente non molto, ma ero tentata di provarci.
- Chiara? - mi chiamò lui nuovamente, con tono ancora più ammorbidito - Lo so che... non ti piace sfogarti con gli altri, ma non puoi tenerti sempre tutto dentro. Non te ne rendi conto, ma questa cosa ti logora e ti avvelena da dentro - prese un piccolo respiro, portandosi per pochi secondi una mano davanti alla bocca - Non ti voglio obbligare a sfogarti con me o Elisa, immagino solo che potrebbe peggiorare le cose, ma non tenerti tutto dentro, Chia'... Per questo ti sto dicendo di riprendere a scrivere, sul serio -
Osservai in silenzio il corvino per una decina di secondi, incapace di formulare una qualsiasi risposta.
- Ma... io sto bene, Enrico. Sul serio - dissi, leggermente confusa - Non è successo niente di grave in questi giorni... Se avessi bisogno di sfogarmi per qualcosa te lo avrei già detto - tentai di rasserenarlo.
Lui scosse la testa un paio di volte.
- Sei come un contenitore, e ogni volta che ti succede qualcosa inizi a riempirti lentamente. Non è necessario che succeda qualcosa di grosso per farti esplodere; bastano anche dei piccoli avvenimenti per farlo -
Le sue parole mi colpirono molto, tanto da farmi sgranare lievemente gli occhi.
Era vero, tutto dannatamente vero.
Ma se c'era una cosa che odiavo, era coinvolgere le persone a me care nei miei problemi.
Non volevo risultare polemica, o finire per ripetere sempre le solite cose.
Era un comportamento che non riuscivo proprio a tollerare.
Negli anni ero arrivata ad autoconvincermi che preferivo ascoltare che essere ascoltata, ma una piccola parte dentro di me sapeva che non era giusto così. Sapeva che ci doveva essere equità tra le due parti.
Quella che faceva finta di no ero io.
Quella sera non toccammo più l'argomento, e all'orario di chiusura ci salutammo per tornare ognuno a casa propria.
Avevo approfittato dello sconto dipendenti per acquistare alcuni libri che avevo adocchiato da un po'.
Mi ero ritrovata a discutere un pochino con Rico, sulla questione pagamento.
Anche lui, come la zia, aveva insistito per non farmeli pagare, ma io mi ero imposta come mio solito.
Fosse stato per me non avrei nemmeno usato scioccamente lo sconto dipendenti per prenderli, pagandoli assurdamente a prezzo pieno.
Era difficile da spiegare, ma... mi metteva a disagio non poterli pagare.
Mi sentivo come se mi stessi approfittando della situazione e della loro gentilezza.
Lo sconto, diciamo, era una via di mezzo tra le due fazioni; un compromesso.
Anche se alla fine io tentavo sempre di pagarli a prezzo pieno, e Rico e Sofia tentavano sempre di non farmi sborsare un centesimo.
Molto probabilmente quello sarebbe stato un balletto infinito.
Stringendo nella mano destra la bustina bianca contenente gli acquisti del giorno, con l'altra imprecai un paio di volte mentre cercavo di aprire il portone della palazzina, che quel giorno non ne voleva proprio sapere di collaborare, facendomi girare a vuoto la chiave(1).
Fantastico.
La serratura era rotta.
Di nuovo.
Davvero, davvero fantastico.
Mi sarei ritrovata a riprovare e riprovare allo sfinimento, fino all'arrivo in mio soccorso di qualche anima pia.
- Ciao, Chiara -
Ma anche una divinità vichinga, con un forte accento inglese, sarebbe andato più che bene.
- Ciao, Steven! - scattai, arrossendo di colpo, con il mazzetto di chiavi ben stretto in mano.
Lo vidi passare lo sguardo da me alla porta ancora chiusa.
- Da ancora problemi? - 
Annuì silenziosamente con la testa.
Non mi sentivo in grado di formulare una frase di senso compiuto in sua presenza.
Non mi sentivo quasi mai in grado di formulare una frase di senso compiuto, con lui davanti.
Che fosse a causa della mia estrema timidezza?
Eppure a lavoro, con i clienti, non mi succedeva.
- Vieni, ti insegno un trucco - mi fece segno di avvicinarmi, con un sorriso ad illuminargli il viso.
Eh, no!
Così non vale, pero!
Chiederlo così era proprio una mossa sleale, soprattutto per i miei poveri ormoni.
Una vocina dentro la mia testa mi suggeriva che pure lui lo sapeva.
- Metti la chiave dentro - feci come mi disse, e sussultai lievemente sentendolo spostarsi dietro di me.
Questa mossa è persino più sleale di quella di prima!
Divenni un blocco di ghiaccio.
Sentivo il suo fiato solleticarmi delicatamente la parte alta del collo, causandomi una serie di brividi in tutto il corpo.
Il cuore pompava forte nel petto, e potevo chiaramente sentirlo pulsare nelle orecchie.
Sembrava una scena da fan-fiction.
Peccato solo che quella fosse la vita reale, ed io stessi per morire a causa di quella scena da fan-fic.
Con una delicatezza che mi sorprese nel profondo, Steve guidò delicatamente la mia mano destra verso la maniglia del portone e, allo stesso tempo, anche la sinistra che stringeva la chiave nella serratura.
- Tira lievemente la maniglia verso di te, e gira la chiave verso destra - spiegò, gentile.
Ero consapevole del fatto che mi stesse spiegando una cosa più che normale, e palesemente priva di qualsiasi doppio-senso piccante... ma allora perchè la sua voce mi sembrava più bassa e roca, come quella descritta dei personaggi maschili nelle fan-fiction a rating rosso?
Chissà perchè quel giorno ero proprio in fissa.
O forse era lui che riusciva a rendere a ranting rosso qualsiasi cosa dicesse?
Come un soldatino di ferro, eseguì le sue indicazioni.
Quando sentì la serratura scattare, e vidi il portone aprirsi con un sottile cigolio, la mia bocca formò una piccola "o" per lo stupore.
- Cavolo, grazie! - esclamai stupita, e ancora notevolmente colorita sulle gote - Ogni volta questo cavolo di portone mi da un sacco di problemi -
- Tranquilla, ti capisco - mi sorrise lui, mentre varcavamo insieme la soglia della palazzina - Anch'io ci impazzivo le prime volte che mi ero trasferito qua. Dopo un anno di imprecazioni inutili, la portinaia è stata così gentile da spiegarmi questo piccolo trucchetto -
Strano. In tre anni che vivevo lì, la portinaia non si era mai mostrata così gentile da spiegarlo anche a me quel piccolo trucchetto.
Si vede che non avevo abbastanza barba e massa muscolare tonica come il ragazzo al mio fianco; e per fortuna, aggiungerei.
- Da quant'è che vivi qui? - gli domandai, sinceramente incuriosita.
- 3 years -
Lo vidi frugare nelle tasche della giacca verde militare, alla ricerca di qualcosa.
 - Te, invece? - domandò, alzando gli occhi blu nei miei.
- Pure io tre anni - risposi, dopo un attimo di esitazione.
Ma potevo incantarmi come una deficiente a guardargli gli occhi?
Quanto potevo essere deficiente?
- Strano - lo sentì commentare, aggrottando le sopracciglia corvine in un'espressione pensierosa.
Trovavo pure quella bellissima.
Ero doppiamente deficiente, ed ero messa doppiamente male.
- Cosa? -
- Abitiamo nella stessa palazzina da tre anni e non ci siamo mai incrociati prima -
Ora che me lo faceva notare, era vero; come cosa era un po' strana.
Se lo avessi incrociato, anche solo per sbaglio, me ne sarei sicuramente ricordata.
- Può essere che ci siamo incrociati, e non ce ne siamo nemmeno resi conto - dissi - Sono una tipa abbastanza comune, passo molto inosservata - ridacchiai, per alleggerire il tutto.
Lo vidi scuotere il capo, convinto.
- No no, non lo credo possibile - scosse nuovamente la testa - Se ti avessi vista, mi sarei ricordato. Non dimentico facilmente una bella ragazza -




NOTE:
(1): Tratto da una storia vera. Il portone di casa nuova mi da sempre problemi, e mi ritrovo ad imprecare per ore quasi ogni volta -_- Purtroppo non ho nessun Steven che venga in mio aiuto ç-ç me misera



ANGOLO DELLA MENTE MALATA:
Sono un essere orribile. Lo so.
Non aggiorno da ottobre 2016... solo a scriverlo mi sento ancora peggio ç-ç
Però ho avuto le mie buone ragioni, e chi mi ha seguita un po' lo sa. Che dire... se vi dico che casa nuova non è ancora finita, mi credereste? XD Veramente, mi sono resa conto che il mondo dei traslochi e degli immobilieri è un mondo di merda. Orribile, veramente. Potrei raccontarvi le mie disavventure a riguardo per giorni interi, credetemi sulla parola.
Ma lasciamo perdere che è meglio XD
Per farmi perdonare della lunga assenza, ho volute postare ben tre capitoli. Spero possano piacervi!
Non sono dei grandi capitoli, me ne rendo conto, ma le cose "grosse" succederanno più avanti... andiamo per scalini ;)
Io vi mando tanti bacini zuccherosi miei volpini morbidosi
 ~
- Harley



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