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Autore: ___MoonLight    23/04/2017    3 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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30


 

Iron and bones







"It's time to make our move, I'm shaking off the rust
I've got my heart set on anywhere but here
I'm staring down myself, counting up the years
Steady hands, just take the wheel"

[Stop And Stare – OneRepublic]





21 Aprile, Villa Stark

"E se le protesi prendessero il controllo del mio corpo?"
Tony si fermò col cucchiaio di cereali a mezz'aria, la bocca schiusa e un'espressione attonita sul volto. Lasciò ancora per qualche momento che il pensiero cercasse di radicarsi nella sua mente, terrificante. Poi si riscosse, mangiò la cucchiaiata e decise che fare una maratona di film di fantascienza la sera prima non era stata una grande idea, soprattutto perché la metà dei titoli includeva una qualche ribellione delle macchine. E poi, se proprio doveva dar retta a quelle visioni distopiche, erano sempre le intelligenze artificiali a fare casino. Fissò con improvviso sospetto le spie blu dei monitor di JARVIS, all'altro capo del laboratorio; per fortuna durante la costruzione del maggiordomo virtuale si era premurato di aggiungere un dispositivo di shut-down istantaneo. Solo un idiota avrebbe lasciato a una super-intelligenza potere decisionale.
Rasserenato dalla propria lungimiranza, Tony finì alla svelta la sua colazione, ansioso di mettersi al lavoro. O meglio, di stilare la sua tabella di marcia per poi mettersi al lavoro. Nonostante l'euforia del giorno prima si era reso conto che non poteva gettarsi a capofitto in quell'impresa senza prima avere ben chiare le sue priorità. Il che si riduceva a: prima il reattore, o prima le protesi?
Quanto, effettivamente, lo stava intossicando il palladio? Quanto era importante riacquistare mobilità in breve tempo? Ai fini di Iron Man cos'era più urgente? E, soprattutto, a cosa era in grado di lavorare con più costanza?
Aveva decisamente bisogno di un piano. In un certo senso era grato di non sentirsi in obbligo di consultarsi con qualcuno – e anche di non averne modo. Però poteva immaginare cosa avrebbero detto gli altri.
Ian lo avrebbe probabilmente spinto a rinnovare il reattore prima di avere più palladio che sangue in corpo, e gli avrebbe fatto un'altra scenata perché i micro-reattori delle protesi non erano sostituibili. In sostanza, gli avrebbe dato dell'idiota, e a ragione. Kyle lo avrebbe sicuramente indirizzato verso il progetto delle protesi. Non poteva fargliene una colpa: avevano stretto un accordo consolidato anche dal tempo passato assieme, ma a parte qualche schizzo e progetto campato in aria, di un modo per farlo riprendere a camminare non v'era traccia. E Pepper... Tony si sfregò sovrappensiero la benda sul volto, che lo irritava da quella mattina.
Perché lei doveva sempre essere un interrogativo? Magari gli avrebbe solo detto di lasciar perdere e riposarsi, che ne aveva già combinate abbastanza e che avrebbe fatto meglio a lasciar perdere tutto per un bel po'. Sbuffò, improvvisamente nervoso.
Su una cosa era certo: tutti e tre non avrebbero visto nessuna scelta come un qualcosa per tornare a essere Iron Man, anzi, sapeva già che avrebbero ostacolato quell'idea con tutte le loro forze ritenendola una follia. Persino Fury, nonostante in fondo ci sperasse, non riteneva plausibile un ritorno del supereroe corazzato. 
Il loro disfattismo lo faceva imbestialire. Era perfettamente cosciente che non sarebbe tornato a indossare l'armatura l'indomani, né tra qualche giorno, né probabilmente per molti mesi; perché, però, non avrebbe dovuto porla come suo obiettivo finale?
Come di riflesso, diede un' occhiata alla pelle attorno al reattore, ancora solcata da quelle venature malsane. Prese dalla scrivania il rilevatore di tossicità, anche se l'aveva misurata appena la sera prima. L'ago scattò fastidioso, pizzicandogli un polpastrello, e dopo qualche istante il display si illuminò: 13%. Si ripulì la mano con un fazzoletto, tranquillizzato. Da qualche giorno la percentuale era stabile, e sembrava in diminuzione da quando aveva ripreso dei ritmi di sonno-veglia più regolari; aveva avuto un picco del 15% poco dopo aver rimosso il reattore, ma doveva essere stata una reazione al trauma e allo stress.
Il problema si sarebbe posto con Iron Man. Ricordava che nel periodo prima dell'incidente consumava quasi un nucleo di palladio a missione. All'epoca non aveva minimamente pensato alla tossicità del nucleo e si era limitato a controbilanciarla con la clorofilla, ma era un problema che se fosse stato pienamente attivo avrebbe comunque dovuto risolvere alla svelta, prima o poi. Gli scappò un sorriso amaro. Non solo non era pienamente attivo, non lo era nemmeno per un quarto.
Scosse la testa tra sé: il consumo delle protesi era minimo... probabilmente le vene di quel blu-nerastro erano una conseguenza della vicinanza del palladio ai tessuti ed erano meno pericolose di quel che sembrasse. Non aveva veramente del palladio nelle vene. Almeno così sperava, ma non riusciva a credere che avessero una correlazione con una tossicità così bassa. Il vero problema era il reattore cardiaco, di cui non poteva fare a meno neanche volendo. D'altronde, non aveva ancora avuto bisogno di sostituire il nucleo centrale, quindi la quantità di palladio non doveva essere così drammatica. Per i micro-reattori ormai non poteva ormai fare nulla. Sperava solo di aver fatto bene i suoi calcoli e che fossero davvero innocui: sarebbe bastato un piccolo malfunzionamento per avvelenarloancor di più  o per rendere inutili le protesi. Strinse nervosamente il pugno artificiale. Si stava pentendo di aver affrettato le cose, all'epoca. Lanciò il fazzoletto nel cestino con stizza: si stava pentendo di molte cose, ma non era quello il momento giusto per pensarci. Si appoggiò allo schienale, massaggiandosi le tempie per scacciare un principio di emicrania. 
Lasciò vagare lo sguardo nel laboratorio, rilassandosi prima di riprendere le sue riflessioni. Le armature erano di nuovo visibili, immobili e pazienti. Qualche ologramma dimenticato fluttuava qua e là; un neon aveva preso a sfarfallare fastidiosamente. La scrivania era stranamente ordinata: aveva fatto sparire tutti i progetti senza né capo né coda che aveva partorito nel mese precedente, spesso così confusionari da essere incomprensibili a lui stesso. In realtà aveva cominciato a mettere ordine col proposito di fare una cernita dei vari fogli e bozze... finché non aveva trovato lo schizzo di due braccia e gambe meccaniche con propulsori integrati affiancate da note vaneggianti. A quel punto aveva raccolto a bracciate tutta quella carta straccia e l'aveva buttata nell'inceneritore. Era meglio non sapere se fosse stato lucido o meno quando aveva ideato quella roba.
Si riscosse, sentendosi più concentrato. Con un cenno della mano disattivò il neon difettoso, che lo stava decisamente irritando. Eliminata quella distrazione, si fece proiettare da JARVIS le cartelle coi progetti delle protesi, ossia tre interfacce tridimensionali che ruotavano pigramente su se stesse. Poteva anche cestinare quella dell'occhio, tanto più che era semivuota. Stava già per eliminarla, quando ebbe un ripensamento repentino e si limitò a spostarla nella sezione "progetti incompiuti", dove finì tra motori di automobili e altri congegni inutili e innocui. Sistemata quella pratica, esitò ancora un istante tra il braccio e la gamba, prima di selezionare quest'ultima.
Era il momento di rimettersi in piedi, stavolta per davvero.


***


Se Tony avesse dovuto spillare un nichelino per ogni insulto, impropero e bestemmia che lasciò le sue labbra durante la realizzazione del piede della protesi, si sarebbe trovato ben presto povero in canna. Maledisse per l'ennesima volta ogni singolo ossicino, ognuno a quanto pare d'importanza capitale, e prese un sorso di caffè, decaffeinato. Ed era consapevole che fosse decaffeinato, ma si sentì comunque rinvigorito.
Scoccò un'occhiata all'orologio: le 22:30. Aveva ancora un'ora di autonomia, poi sapeva di dover dormire per riprendere la mattina successiva. Imporsi dei turni di lavoro era quanto di più frustrante potesse immaginare, ma almeno era sempre riposato e con la mente fresca. Meno errori, meno stress, più progressi. Sarebbe stato così semplice se avesse iniziato da prima...
Scacciò il pensiero e si immerse di nuovo tra circuiti e legamenti. Pensare ai "se" e ai "ma" non l'avrebbe aiutato con l'articolazione della caviglia.
Si rimise all'opera, continuando a masticare parolacce tra i denti e a maledire il saldatore.


***


25 Aprile, Villa Stark

Alla quarta caduta, che per poco non lo mandò a fracassarsi la testa contro lo spigolo della scrivania, Tony dovette ammettere che evidentemente la colpa non era della protesi, ma dell'ammasso di ossa e muscoli a cui essa era attaccata.
Rimase seduto a terra a gambe distese, un po' dolorante e molto frustrato, con la schiena poggiata contro la scrivania. Mentre riprendeva fiato si assicurò per l'ennesima volta che i collegamenti neurali funzionassero: fissò con intensità l'alluce meccanico, cercando di piegarlo con scarso successo. Avrebbe avuto più possibilità di farlo muovere con la forza del pensiero piuttosto che, semplicemente,
piegando l'alluce. Alla fine gli parve di scorgere un lieve movimento o meglio, un'intenzione di movimento che era poco più di un fremito e che probabilmente si era immaginato. Invece, si mosse di sua spontanea volontà il mignolo. Sospirò: si ricominciava con le dita scombinate. Gli urti dovevano aver falsato i contatti.
Di piegare il ginocchio neanche a parlarne. Quella meraviglia della tecnologia si riduceva a un tubo di metallo appiccicato al suo corpo, al cui confronto le gambe di legno dei pirati sembravano invenzioni all'avanguardia. Era conscio di quanto fosse diventata esile la sua gamba sinistra. Era decisamente dimagrito in quei mesi – le costole e le scapole erano ben visibili e aumentavano l'impressione di fragilità generale, oltre che vive reminiscenze dell'Afghanistan – ma almeno il braccio e la parte superiore del corpo mantenevano una parvenza di tonicità, mentre le gambe, o quel che ne rimaneva, erano smunte e deboli. Non c'era da stupirsi che avesse difficoltà a stare in piedi.
Non era mai stato un grande sportivo, ma dal suo rapimento, prima, e con l'inizio dell'attività di Iron Man, poi, si era reso conto di non poter trascurare la sua forma fisica e si era messo d'impegno a boxare sul ring con Happy e a correre per chilometri lungo la spiaggia di Malibu, con qualche occasionale lezione di corpo a corpo con Rogers e Nataša. 
Adesso erano mesi che non camminava davvero, le stampelle reggevano quasi sempre tutto il suo peso e passava la maggior parte del tempo alla scrivania, sul divano o a letto. Senza contare che ormai aveva preso il vizio di fare tutte le operazioni faticose con la destra, dotata di una forza decisamente superiore. Era quasi ambidestro, ma ogni tanto si rendeva conto che il braccio sinistro era diventato leggermente più debole.
Si diede una pacca sulla coscia sinistra, sentendo chiaramente l'osso sotto il palmo. Prima di poter usare le protesi al massimo doveva rimettere in funzione il suo intero corpo.
Il campanello trillò.
Tony sobbalzò con un groppo in gola quando sentì il segnale della porta principale che veniva aperta in automatico da JARVIS. Doveva essere qualcuno di conosciuto, o avrebbe chiesto il permesso per farlo entrare. Attese con trepidazione l'annuncio del maggiordomo virtuale.
"E se fosse..."
«Il Dottor Mitchell la attende nell'atrio, signor Stark.»
Tony tirò un sospiro di sollievo, subito seguito da una preoccupazione più immediata: come diavolo ci arrivava lui, nell'atrio? Il medico avrebbe fatto i salti di gioia a vederlo in quello stato...
«Digli di scendere! Doc, sono un po'
bloccato, al momento...» disse poi direttamente, attivando l'interfono e cercando di mostrarsi il più calmo possibile per non destare sospetti.
Dopo aver tentato più volte ad alzarsi – perché, perché aveva abbandonato le stampelle? – e aver constatato di avere una rotula meccanica disarticolata e un malleolo rotto, si rassegnò a rimuovere la protesi diventata più un peso che un aiuto.
In quel momento si aprirono le porte dell'ascensore e ne uscì Ian; era passato un lasso di tempo considerevole da quando gli aveva detto di raggiungerlo. O la vecchiaia iniziava a farsi sentire anche per lui, o non aveva alcuna fretta di vederlo – d'altronde, perché usare un ascensore quando si avevano due gambe funzionanti? Forse il ritardo era dovuto a entrambe le cose, concluse notando il volto stanco del medico. 
Troppi turni di notte avevano recentemente segnato i suoi occhi già assediati dalle rughe. Ovviamente si era licenziato dalla sua posizione alle Stark Industries, riprendendo a lavorare a pieno ritmo al General di Los Angeles. La sua barba era stranamente incolta e il grigiore lo faceva apparire più vecchio dei suoi cinquant'anni appena superati. Indossava uno dei suoi opinabili completi, con una giacca a coste color ruggine che sembrava saltata fuori da una raccolta dell'Esercito della Salvezza.  La camicia era un po' sdrucita, e i pantaloni troppo larghi e tenuti su da una cinta stretta in modo vistoso.
Tony non lo salutò subito, preso in contropiede dalla sua aria provata e alquanto sciatta. Quella trasandatezza non era da lui: a parte il suo gusto orribile per le giacche era sempre impeccabile nel vestire e nella cura personale. Già la settimana scorsa aveva dato qualche cenno di stanchezza, ma quel cambiamento era troppo drastico. Si soffermò brevemente sull'ironia che lo spingeva a preoccuparsi per il proprio medico, quando quest'ultimo aveva preso a interessarsi poco e niente di lui. Non che potesse dargli torto...
«Signor Stark, sta cercando di nuovo di ammazzarsi?» esordì infatti, più caustico del solito, mentre Tony rimuoveva la gamba con un rumore abbastanza disturbante di barattolo sottovuoto che si apriva.
Ignorò la provocazione, piantò la gamba ora inerte contro il pavimento e la usò come stampella di fortuna per issarsi in piedi. La gamba sana gli tremava per lo sforzo e si abbandonò sulla sedia più vicina con la fronte imperlata di sudore. Si piazzò la protesi in grembo, con una mano posta con fare protettivo sul ginocchio e l'altra che si allentava il colletto della polo mentre sbuffava accaldato.
Ian aveva assistito alla scena senza schiodarsi dalla soglia dell'ascensore. Osservava il laboratorio con malcelata sorpresa, come se il suo aspetto lo sorprendesse. Tony gli concesse altri dieci secondi di meditazione, chiedendosi perché ultimamente i suoi visitatori fossero affetti da mutismo, poi si decise a rompere il silenzio:
«È venuto per visitarmi o per rubare i segreti del mio successo?» sbottò, distogliendolo da un modello di piede tridimensionale che volteggiava svogliato per il laboratorio.
«Sono solo sorpreso di vederla... in movimento. E stranamente in salute,» commentò lui, cautamente.
"Aspetti di vedere di nuovo i miei tatuaggi al palladio..."
La prima volta che li aveva notati, il dottore era andato a dir poco su tutte le furie. Oltre alla sua ovvia preoccupazione per le possibili ripercussioni del palladio sul suo corpo, alla rabbia verso di lui per non aver valutato a dovere i rischi di quella tecnologia e al nuovo, malcelato disprezzo con cui lo trattava dopo il tentato suicidio, Tony aveva notato una scintilla di terrore nella sua reazione. Era stato lui a impiantargli quei congegni e, volente o nolente, era stato lui a permettere quel risvolto inaspettato. E, Tony ne era abbastanza convinto, quel senso di colpa ingiustificato era l'unica cosa che gli aveva impedito di abbandonare il suo paziente ingrato.
Ogni volta che lo visitava sembrava quasi dimenticarsi dei moncherini, dello sfregio e delle protesi, concentrandosi quasi ossessivamente su quelle venature bluastre e innaturali, senza per questo chiedergli nulla al riguardo. Concludeva le sue visite sbrigativamente ma con una palese insofferenza, di chi avrebbe voluto trattenersi e chiedere di più, ma non voleva o non osava farlo.
Anche adesso, dopo il suo commento evidentemente sfuggitogli in un istante di distrazione, non si spinse oltre e rimase in silenzio. Si avvicinò però alla scrivania, dove depose la sua valigetta con gli strumenti medici.
«Ho ripreso a lavorare su questo gioiellino,» annunciò Tony, senza che Ian lo interpellasse, deciso a ignorare il suo solito atteggiamento scostante. «E questo...» alzò il braccio col nuovo rivestimento. «Questo è il futuro.»
Ian non diede cenno di aver ascoltato e si limitò a un mugugnio generico e poco impressionato. Indossò lo stetoscopio. Tony abbandonò la sua giovialità e si rassegnò alla solita prassi, scalpitando per rimettersi al lavoro. O meglio, per ricominciare a cadere a peso morto...
Ian cominciò ad auscultarlo con rapida professionalità, concedendosi un lieve cenno d'assenso nel constatare che i polmoni e il cuore erano a posto – per quanto un cuore minacciato da barbigli metallici potesse essere "a posto" – per poi passare alle protesi, e qui la sua espressione si scurì. Come volevasi dimostrare.
«Beve ancora la sua clorofilla?»
«Tutti i giorni, un litro e più al giorno, come sempre,» rispose lui monocorde.
«Ha apportato modifiche alle protesi?»
«Nulla che abbia a che fare coi reattori.»
«Mi sembra che gli effetti del palladio stiano scemando...» affermò Ian, come se ciò implicasse necessariamente una qualche modifica che gli voleva nascondere.
«La tossicità è scesa al 13%. È un bene, no?»
«Non sono assolutamente in un range accettabile.»
Detto ciò, ripose i suoi strumenti nella valigetta, col chiaro intento di andarsene senza aggiungere altro. Stavolta Tony non nascose il suo stupore e cercò di trattenerlo. Non si aspettava quella superficialità, tanto più ora che aveva assolutamente bisogno di parlargli...
«Già finito? Non mi ha neanche controllato l'occhio... cioè, l'ex-occhio, che giusto l'altro giorno...»
«Signor Stark, non so che novità si aspetta di sentire da me, ma di sicuro non le annuncerò la miracolosa ricrescita di un arto o l'imminente ritorno di una visione bifocale,» sbottò a quel punto Ian con stizza ingiustificata, facendolo ammutolire. «Le sue condizioni non hanno margine di miglioramento allo stato attuale e...»
«È quello che ha detto anche quando mi ha conosciuto. Invece mi sembra di aver fatto almeno
qualche miglioramento, nonostante il suo scetticismo.» 
Tony alzò la voce, sentendosi ingiustamente attaccato.
«Non mi sembra che ci tenga molto a quei miglioramenti, visto come si è comportato con se stesso,» replicò Ian con voluta malignità.
Tony si costrinse a moderare il volume della sua voce, nonostante non volesse far altro che esplodere, ma
doveva dimostrargli di essere cambiato. Doveva controllarsi, si ripeté stringendo il pugno meccanico con forza. Si erano tutti convinti che fosse instabile e collerico e sfatare quel mito era più difficile di quanto immaginasse.
«Ho commesso qualche...
molti errori in corso d'opera,» ammise a fatica. «Alcuni dei quali imperdonabili. Non ho bisogno della sua paternale per capirlo.» 
Lo guardò fisso negli occhi e Ian parve sfuggire lo sguardo per un istante, come se si aspettasse tutt'altra reazione. Esitò nel rispondere e Tony lo anticipò:
«Sto
ancora cercando di migliorare. Non m'importa cosa ne pensiate voi.»
Ian parve riscuotersi a quelle parole e il suo tono tornò ad essere più pacato, anche se si notava quanto ancora fosse irritato dal suo comportamento.
«La strada mi sembra ancora lunga, signor Stark. Da solo non arriverà lontano,» aggiunse in tono fermo e molto eloquente, ma quasi forzatamente distaccato, quasi fosse incline ad abbandonare l'idea che si era fatto di lui ma non volesse farlo troppo in fretta.
Tony incassò il colpo, ma non lasciò trasparire la sua delusione, anzi, sfoggiò un sorrisetto impertinente.
«Sono abituato ad essere lasciato solo e me la sono sempre cavata. Non mi sottovaluti.»
Ian non replicò, ma fece una strana, incomprensibile smorfia che poteva significare tutto o niente, anche se poi il suo volto si fece più sereno, come rassicurato da quelle parole. Si rimise lo stetoscopio al collo e si accinse a completare la sua visita a occhi bassi, come se lo scoppio di rabbia di poco prima lo imbarazzasse e volesse rimediare.
Tony lo lasciò fare, anche se era piuttosto perplesso dal suo comportamento. Anche normalmente era irritabile, cinico e propenso al disfattismo, ma non si era mai permesso di apostrofarlo in modo così duro come poco prima. Le poche volte in cui aveva avuto qualcosa da ridire l'aveva sempre esternato con la massima educazione e professionalità, salvo rari casi, e mantenendo le distanze. Da lui non si sarebbe mai aspettato un attacco tanto personale, soprattutto non in modo così rancoroso. Anche mentre lo visitava mantenne una strana aria assente.
Gli stava giusto puntando una torcetta nell'occhio integro per verificare i riflessi della pupilla, dandogli modo di vedere da vicino la stanchezza sul suo volto, quando Tony si decise a parlare:
«Doc, sicuro che vada tutto bene?»
L'altro sussultò, scansò il fascio di luce dalla sua iride e ripose la torcetta nel taschino con un gesto un po' troppo brusco.
«A parte un
certo paziente recalcitrante...» borbottò cercando di sviare il discorso, prendendo un appunto sul suo taccuino. «Inizi a lasciare la ferita sul volto scoperta, almeno in casa. Vediamo come reagisce all'esposizione prolungata alla luce. A proposito, dovrebbe anche prendere un po' di sole: rischia di avere una carenza di vitamina D se continua a vivere recluso in casa,» sciorinò rapido.
«
Se potessi me ne andrei in spiaggia, ma sono un po' bloccato, al momento. E non posso andarmene a zonzo con le protesi sotto sequestro... mi accontenterò della terrazza.» Alzò le spalle, frustrato. «Mi basta un sì o un no, non chiedo altro,» insistette poi, liquidando la questione e già aspettandosi che andasse di nuovo in escandescenze.
Con suo sorpresa, invece, Ian si appoggiò al bordo della scrivania e si mise a pulire i suoi occhiali con l'orlo del camice, pensieroso, in un gesto che conosceva bene e che non prometteva nulla di buono. Continuava a evitare il suo sguardo; era restio a parlare, ma allo stesso tempo sembrava cercare le parole giuste. Tony si sentì un po' in colpa per aver insistito e corse ai ripari:
«Lo prenderò per un no... io invece sto bene?»
«Sì, direi che è in una situazione molto stabile su cui si può lavorare...» rispose distratto Ian, continuando a pulire gli occhiali.
«Perfetto, le volevo giusto chiedere se...»
«Ha ragione. Non va tutto bene,» lo interruppe lui, prendendolo di sorpresa.
Aveva parlato in fretta, col suo solito tono burbero.
«Non sono abituato a sentirmelo chiedere,» disse quasi scusandosi, e si rimise gli occhiali incorniciando nuovamente i suoi occhi color acquamarina.
Incrociò le braccia, senza accennare a parlare né muoversi. Tony rimase in attesa, fingendo di controllare la giuntura del gomito, senza mettergli fretta.
«Recentemente è... accaduta una disgrazia.» Si bloccò esitante e si passò una mano sulla barba cercando di calmarsi. «Un collega, un mio ex-allievo ha... oh!» sbottò improvvisamente, come rendendosi conto di ciò che stava dicendo. «Lasciamo perdere. Tanto è inutile parlarne con lei,» concluse, scostandosi dalla scrivania.
A Tony diede l'impressione di un animale in gabbia che non sa più da che parte voltarsi... e che non si rende conto che la gabbia è aperta. Realizzò che capiva fin troppo bene la sua situazione. E sapeva anche che insistere nell'offrire un aiuto non gradito sarebbe stato controproducente. Però era anche incredibilmente curioso: sapeva così poco del suo medico di fiducia. A parte la nota amicizia di lunga data con Kyle, ormai uno di famiglia per lui, tra una chiacchierata e l'altra si era lasciato sfuggire poche informazioni: aveva una moglie e una figlia, delle quali però parlava raramente e in modo nostalgico. Aveva dedotto che fosse separato, o divorziato, ma non ne era del tutto certo. Non aveva mai menzionato amici o colleghi con cui fosse in confidenza. Sembrava un uomo estremamente solo, ma che si trovava bene nella sua solitudine.
Stette in silenzio per un po'; poi, vedendo che Ian non accennava comunque ad andarsene, si arrischiò a tornare alla carica:
«Perché me ne sta parlando? O meglio, perché
non me ne sta parlando quando evidentemente vorrebbe?»
«È una questione delicata che io stesso non so come gestire,» rispose lui meccanicamente, senza però irritarsi della sua insistenza.
«E cosa c'entro io?»
«È lei che mi ha chiesto se andasse tutto bene!» stavolta suonò piccato.
«Sì, ma se fosse un qualcosa di strettamente personale se lo terrebbe per sé senza coinvolgere qualcuno di cui evidentemente si fida molto poco, oppure me lo direbbe senza problemi, perché non mi riguarderebbe minimamente.»
Il medico tacque, ma gli scoccò un'occhiata nervosa.
«Le serve aiuto per qualcosa?» tentò Tony, con fare sicuro.
Ian si ritrasse a quella domanda e si fece scuro in volto.
«O serve aiuto a quel collega di cui...»
«Non sono affari che la riguardano, almeno non per ora.» 
Parlò con distacco, ma nel suo sguardo si leggeva quanto avrebbe voluto abbandonare quell'orgoglio e quella riservatezza, e quanto lui avesse colto nel segno: Tony si ritenne soddisfatto.
«Ok, ok, quando vorrà,» tagliò corto, arrendendosi.
Ian si rilassò visibilmente e affondò le mani nelle tasche della giacca, meditabondo. Fu lui a riportare la discussione in campo neutro:
«Dunque, stavamo dicendo del suo occhio...» esordì, schiarendosi un poco la gola.
Tony fece un gesto col la mano meccanica, come a scacciar via l'argomento.
«Sì, certo: mi tolgo la benda e vedo che succede. Dovrò farmene rimediare una decente da Fury,» aggiunse poi, adocchiando con lieve disgusto la garza adesiva nel cestino.
Stavolta un'ombra di sorriso apparve sul volto di Ian.
«Magari gliene rimedio una più discreta.»
«Perché mai? Ho sempre sognato di fare Barbanera a Carnevale.» sospirò Tony, sollevato che la tensione si fosse un po' allentata.
Ian alzò gli occhi al cielo e prese la valigetta, facendo per congedarsi.
"Ah, no! Dovevo chiedergli... cos'è che dovevo chiedergli?" annaspò Tony, sicuro che fosse qualcosa di molto importante e molto delicato, che doveva presentare nel giusto modo.
«Allora ci vediamo tra una settimana. Le mando conferma come sempre il giorno prima, in caso...»
«Doc, ma come la vedresti un po' di fisioterapia?» proruppe Tony prima di connettere il cervello, di getto, nel momento sbagliato, nel modo sbagliato e con le parole sbagliate.
Il volto di Ian sbiancò così di colpo che per un attimo temette che gli fosse venuto un ictus. Si aggiustò gli occhiali sul naso, incrociò le braccia e lo guardò come se fosse impazzito. Era uno sguardo che conosceva molto bene...
«Fisioterapia?» ripeté, attonito.
«Sa, serve per riprendere a
camminare... quella cosa che cerco di fare da mesi senza successo, se ben ricorda.»
Ian tentò di riprendersi dallo stupore, e alzò le mani facendogli cenno di calmarsi.
«Un momento, mi faccia capire bene. Vuole essere
aiutato
A quel punto Tony si sentì improvvisamente in imbarazzo, come se stesse confessando la più infame delle colpe. Si passò una mano tra i capelli e si lisciò nervosamente il pizzetto, interessandosi d'un tratto al reticolo olografico sospeso sulla sua testa.
«Beh, non proprio... cioè, sì, ma non nel senso di...» si bloccò, trasse un respiro profondo e concluse: «Diciamo che le stampelle non sono più un supporto sufficiente.»
Il medico lo fissò allibito ancora per qualche secondo, come assicurandosi della sua lucidità, poi sbuffò indeciso. La sua bocca rimase tirata in una linea severa, ma gli occhi avevano un'espressione calda.
«Ormai avevo perso le speranze, signor Stark.» Riprese il suo posto appoggiato alla scrivania. «È bello vederla finalmente di nuovo fra noi,» aggiunse, pungente come al solito.
Tony non rispose e si limitò a fare un ampio sorriso sornione, compiaciuto della reazione dell'altro.
Ian non gli fornì informazioni specifiche, ma disse che prima avrebbe cominciato, tanto meglio, visto che a detta sua rischiava di ritrovarsi l'altra gamba atrofica; avrebbe chiesto a qualche collega fidato per rimediare un fisioterapista altrettanto fidato. La vaghezza con cui parlò lo insospettì un poco, ma preferì non mettere eccessivamente alla prova il suo atteggiamento bendisposto.
Dopo che Ian si fu congedato promettendogli presto novità, Tony passò una buona manciata di minuti semplicemente a dondolarsi e ruotare sulla sedia girevole, con una strano misto di sollievo, contentezza e aspettativa che gli fece venire un grande appetito e una gran voglia di mettersi al lavoro.
Scoccò un'occhiata calorosa alla parete delle armature: sembravano avvicinarsi sempre più.


***


«Pronto?»
«Kyle! Ti disturbo?»
«Ehi, Ian. Guarda, in realtà sono un po' preso, ma se hai bisogno di parlare ti richiamo tra...»
«No, no, non si tratta di me. Stacca un attimo: questa la devi sentire.»
«Come mai così allegro? Che mi sono perso?»
«Delle buone notizie, finalmente; torno da Villa Stark.»
«Oh! E come ha fatto uno come Stark a metterti così di buonumore? L'hai guarito da ogni male?»
«Non proprio, però siamo sulla strada giusta. Diciamo che si sta guarendo da solo.»
«Ah, bene! ...cioè?»
«Sta' a sentire...»


***


29 Aprile, Villa Stark

Il suo cellulare vibrò una, due volte di fila, e una terza dopo qualche secondo, con insistenza sospetta. Tony, già presagendo brutte nuove, fece sporgere con estrema cautela lo schermo dalla tasca con la destra, sbirciando il mittente mentre saldava i contatti con la sinistra, compiacendosi del suo multitasking. La sua soddisfazione si smorzò quando vide che i tre messaggi erano di Kyle, e ancor di più quando il suo pollice metallico scivolò d'istinto e inutilmente sul touch-screen con un ticchettio. Sospirò, posò il saldatore a penna e sbloccò il telefono con la mano buona, ripromettendosi per l'ennesima volta di integrare dei polpastrelli touch quanto prima possibile.
Aprì i messaggi e si accigliò.

Domani alle 10:15 in tribunale. Ti viene a prendere Happy alle 9:00.

PUNTUALE, recitava il messaggio successivo, in un caps-lock minaccioso.

E niente protesi, ricordati che in teoria sono sotto sequestro.

L'ultimo messaggio scacciò via definitivamente il suo buonumore. Si apprestò a rispondere, scrivendo in fretta e furia con una mano sola, senza che il cipiglio lasciasse il suo volto:

Le protesi sono un mio diritto, dovranno togliermele sul posto. Non ho intenzione di presentarmi là su una sedia a...

S'interruppe, fissando ciò che aveva appena scritto. Lasciò ricadere il cellulare in grembo, tirando un respiro profondo per calmarsi.
Non poteva ricominciare da capo.
Se avessero esteso il sequestro delle protesi rendendolo definitivo e materiale sarebbe stato tutto inutile, e quel lavoro di fino che stava facendo sui legamenti del metatarso sarebbe finito in un tritarifiuti o in una fonderia. O peggio, nelle mani sbagliate. Premette con forza il tasto "cancella", desiderando che la sua frustrazione sparisse assieme ai caratteri neri sullo schermo.
Esitò qualche istante prima di ricominciare a scrivere. Trovare un compromesso era così difficile... ancor di più se non si era mai stati abituati a farne.
Infine si decise, anche se non era del tutto soddisfatto.

Ok. Lascio le protesi buone a casa, ma voglio un paio di protesi fisse, così non turberò troppo i signori della corte e potrò usare le stampelle.

Premette invio prima di poterci ripensare; tenne il cellulare in mano, abbandonando momentaneamente il lavoro. Sapeva che Kyle era probabilmente in trepidazione dall'altro capo del messaggio e che la risposta non si sarebbe fatta attendere.
Doveva ammettere che, preso com'era dagli ultimi avvenimenti, si era più o meno volontariamente dimenticato del processo, nonostante Pepper, prima, e Kyle, poi, gli avessero periodicamente ricordato la data fatidica incitandolo a prepararsi all'udienza, visto che avevano avuto la fortuna di una pausa così lunga grazie all'intercessione dello SHIELD, che si era finalmente degnato di prendere ufficiosamente parte alla faccenda. Tony aveva ignorato entrambi.
Nell'ultima settimana Kyle non ne aveva fatto parola, ma aveva notato il suo crescente nervosismo anche per telefono: le loro chiacchierate erano diventate sempre più brevi e aveva iniziato a porre domande abbastanza specifiche sul suo lavoro, sulle Stark Industries e su altri argomenti che non rientravano tra i suoi favoriti per una conversazione tra amici.
Sperò che si fosse preparato almeno lui, o sarebbero andati incontro al disastro più totale. Chiusa la questione delle protesi, sarebbero passati a Iron Man. O forse all'Afghanistan e Stane. Non sapeva quale delle due possibilità lo turbasse di più, e decise di non interrogare Kyle al riguardo. D'altronde, non poteva sperare di preparare in mezza giornata quello che avrebbe dovuto preparare in un mese. Ma era bravo a improvvisare: in qualche modo se la sarebbe cavata.
Lo schermo del cellulare si illuminò, accompagnato da una nuova vibrazione.

Chiedo a Ian, ma il preavviso è poco. Faccio il possibile.

Stava già per riporre il cellulare, quando un altro messaggio di Kyle lo distolse, ovvero una grande emoticon di un pollice in su. Gli scappò un sorriso.
Forse non era poi così solo come credeva.




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Revisione effettuata il 04/03/2018
 

Note dell'Autrice:

Sono in ritardo! Potevate forse dubitarne? 
Riguardo al capitolo... Confermo che ormai ci troviamo definitivamente in un AU, anche se cercherò di mantenere contatto col resto degli avvenimenti Marvel. Mi spiego meglio: gli avvenimenti sono quelli (ignorando volutamente Iron Man 3 per licenza poetica) ma la linea temporale è un po' sfasata. Sono ancora indecisa sul momento esatto in cui concludere la storia (tranquilli, il finale già c'è) ma sarà sicuramente prima o a ridosso degli eventi di The Avengers. Ho sparso un paio di riferimenti più o meno espliciti nel capitolo (uno è Tony che, porello, crede che controllare delle intelligenze artificiali sia semplice. Un carissimo saluto da Ultron dal futuro). L'altro spero sia un po' più velato e questo sì che avrà un ruolo più importante anche nella storia.

Siamo in un momento di stallo, anche se mi sto impegnando ad accelerare i progressi di Tony. Non potevo lasciarlo ancora a lungo a vegetare sul divano, né potevo farlo alzare in piedi in stile Lazzaro, quindi ho optato per una via di mezzo. In questo momento è passato all'incirca un mese dal tentato suicidio: Tony ha avuto modo di riposarsi, riflettere e darsi dell'idiota a sufficienza.
Come avrete notato ho spostato molto il focus su Ian. Visto che ci avviamo (con calma) verso la conclusione, ho deciso di approfondire un po' i "nostri" personaggi, che hanno avuto forse poco spazio dal punto di vista dello sviluppo personale. Quindi, eccovi qua Ian in tutto il suo cinismo. Non è un personaggio particolarmente amabile, ma non deve esserlo e credo che Tony abbia bisogno di una figura di contrasto benevola, visto che di antagonisti ne ha abbastanza.

Chiudo il papiro. Ringrazio infinitamente
_Atlas_, che incredibilmente segue ancora questa storia e mi ha fatto un po' commuovere con le sue parole, e Alexandre94, nuova lettrice che si è addirittura convinta a recensire dopo aver visto un aggiornamento a distanza di tre anni, il che dimostra non poco coraggio. Spero (speriamo, lo so che leggerai, MoonRay) di non deludervi. Grazie mille per le recensioni :)


A presto,

-Light-

P.S. Vi lascio con un piccolo inedito, sperando che vogliate perdonare le mie scarse doti artistiche (è stato fatto in un momento di sclero a tempo perso e no, non so disegnare le labbra). Questo è Ian al 100%, espressione incazzata inclusa. Nel prossimo capitolo, altro piccolo inedito in arrivo!


 


 

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