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Iron and bones
"It's
time to make our move, I'm shaking off the rust
I've got my heart set on anywhere but here
I'm staring down myself, counting up the years
Steady hands, just take the wheel"
[Stop And Stare – OneRepublic]
21 Aprile, Villa Stark
"E
se le protesi prendessero il controllo del mio corpo?"
Tony
si fermò col cucchiaio di cereali a mezz'aria, la bocca
schiusa e un'espressione attonita sul volto. Lasciò ancora
per qualche
momento
che il pensiero cercasse di radicarsi nella sua mente, terrificante.
Poi si riscosse, mangiò la cucchiaiata e decise che fare una
maratona di film di fantascienza la sera prima non era stata una
grande idea, soprattutto perché la metà dei
titoli includeva una
qualche ribellione delle macchine. E poi, se proprio doveva dar
retta a quelle visioni distopiche, erano sempre le intelligenze
artificiali a fare casino. Fissò con improvviso sospetto le
spie blu
dei monitor di JARVIS, all'altro capo del laboratorio; per fortuna
durante la costruzione del maggiordomo virtuale si era premurato di
aggiungere un dispositivo di shut-down
istantaneo. Solo un idiota avrebbe lasciato a una
super-intelligenza potere decisionale.
Rasserenato dalla propria
lungimiranza, Tony finì alla svelta la sua colazione,
ansioso di
mettersi al lavoro. O meglio, di stilare la sua tabella di marcia per
poi mettersi al lavoro. Nonostante l'euforia del
giorno
prima si era reso conto che non poteva gettarsi a capofitto in
quell'impresa senza prima avere ben chiare le sue priorità.
Il
che si riduceva a: prima il reattore, o prima le protesi?
Quanto,
effettivamente, lo stava intossicando il palladio? Quanto era
importante riacquistare mobilità in breve tempo? Ai
fini di Iron
Man cos'era più urgente? E, soprattutto, a cosa era in grado
di
lavorare con più costanza?
Aveva decisamente bisogno di un piano.
In un certo senso era grato di non sentirsi in obbligo di consultarsi
con qualcuno – e anche di non averne modo. Però
poteva
immaginare cosa avrebbero detto gli altri.
Ian lo avrebbe
probabilmente spinto a rinnovare il reattore prima di avere
più
palladio che sangue in corpo, e gli avrebbe fatto un'altra scenata
perché i micro-reattori delle protesi non erano
sostituibili. In
sostanza, gli avrebbe dato dell'idiota, e a ragione. Kyle lo
avrebbe sicuramente indirizzato verso il progetto delle protesi. Non
poteva fargliene una colpa: avevano stretto un accordo consolidato
anche dal tempo passato assieme, ma a parte qualche schizzo e
progetto campato in aria, di un modo per farlo riprendere a camminare
non v'era traccia. E Pepper... Tony si sfregò sovrappensiero
la
benda sul volto, che lo irritava da quella mattina.
Perché lei
doveva sempre essere un interrogativo? Magari gli avrebbe solo detto
di lasciar perdere e riposarsi, che ne aveva già combinate
abbastanza e che avrebbe fatto meglio a lasciar perdere tutto per un
bel po'. Sbuffò, improvvisamente nervoso.
Su una cosa era certo:
tutti e tre non avrebbero visto nessuna scelta come un qualcosa per
tornare a essere Iron Man, anzi, sapeva già che avrebbero
ostacolato
quell'idea con tutte le loro forze ritenendola una follia. Persino
Fury, nonostante in fondo ci sperasse, non riteneva plausibile un
ritorno del supereroe corazzato.
Il loro disfattismo lo faceva
imbestialire. Era perfettamente cosciente che non sarebbe tornato
a indossare l'armatura l'indomani, né tra qualche giorno,
né
probabilmente per molti mesi; perché, però, non
avrebbe dovuto
porla come suo obiettivo finale?
Come di riflesso, diede un'
occhiata alla pelle attorno al reattore, ancora solcata da quelle
venature malsane. Prese dalla scrivania il rilevatore di
tossicità, anche se l'aveva misurata appena la sera prima.
L'ago
scattò fastidioso, pizzicandogli un polpastrello, e dopo
qualche
istante il display si illuminò: 13%. Si ripulì la
mano con un
fazzoletto, tranquillizzato. Da qualche giorno la percentuale era
stabile, e sembrava in diminuzione da quando aveva ripreso dei ritmi di
sonno-veglia
più regolari; aveva avuto un picco del 15% poco dopo aver
rimosso il
reattore, ma doveva essere stata una reazione al trauma e allo
stress.
Il problema si sarebbe posto con Iron Man. Ricordava
che nel periodo prima dell'incidente consumava quasi un nucleo di
palladio a missione. All'epoca non aveva minimamente pensato alla
tossicità del nucleo e si era limitato a controbilanciarla
con la
clorofilla, ma era un problema che se fosse stato pienamente attivo
avrebbe comunque dovuto risolvere alla svelta, prima o poi. Gli
scappò un
sorriso amaro. Non solo non era pienamente attivo,
non lo era
nemmeno per un quarto.
Scosse la testa tra sé: il consumo delle protesi era
minimo... probabilmente le vene di quel blu-nerastro erano una
conseguenza della vicinanza del palladio ai tessuti ed erano meno
pericolose di quel che sembrasse. Non aveva veramente del
palladio
nelle vene. Almeno così sperava, ma non riusciva a credere
che
avessero una correlazione con una tossicità così
bassa. Il vero
problema era il reattore cardiaco, di cui non poteva fare a meno
neanche volendo. D'altronde, non aveva ancora avuto bisogno di
sostituire il nucleo centrale, quindi la quantità di
palladio non
doveva essere così drammatica. Per i micro-reattori ormai
non
poteva ormai fare nulla. Sperava solo di aver fatto bene i suoi calcoli
e
che fossero davvero innocui: sarebbe bastato
un piccolo malfunzionamento per avvelenarloancor di
più o per rendere inutili le
protesi. Strinse nervosamente il pugno artificiale. Si stava
pentendo di aver affrettato le cose, all'epoca. Lanciò il
fazzoletto
nel
cestino con stizza: si stava pentendo di molte cose, ma non era
quello il momento giusto per pensarci. Si appoggiò allo
schienale, massaggiandosi le tempie per scacciare un principio di
emicrania.
Lasciò vagare lo sguardo nel laboratorio,
rilassandosi prima di riprendere le sue riflessioni. Le armature
erano di nuovo visibili, immobili e pazienti. Qualche ologramma
dimenticato fluttuava qua e là; un neon aveva preso a
sfarfallare
fastidiosamente. La scrivania era stranamente ordinata: aveva
fatto sparire tutti i progetti senza né capo né
coda che aveva
partorito nel mese precedente, spesso così confusionari da
essere
incomprensibili a lui stesso. In realtà aveva cominciato a
mettere
ordine col proposito di fare una cernita dei vari fogli e bozze...
finché non aveva trovato lo schizzo di due
braccia e gambe
meccaniche con propulsori integrati affiancate da note vaneggianti. A
quel punto aveva raccolto a bracciate tutta quella carta straccia e
l'aveva buttata nell'inceneritore. Era meglio non sapere se fosse
stato lucido o meno quando aveva ideato quella roba.
Si
riscosse, sentendosi più concentrato. Con un cenno della
mano
disattivò il neon difettoso, che lo stava decisamente
irritando.
Eliminata quella distrazione, si fece proiettare da JARVIS le
cartelle coi progetti delle protesi, ossia tre interfacce
tridimensionali che ruotavano pigramente su se stesse. Poteva
anche cestinare quella dell'occhio, tanto più che era
semivuota.
Stava già per eliminarla, quando ebbe un ripensamento
repentino e si
limitò a spostarla nella sezione "progetti incompiuti",
dove finì tra motori di automobili e altri congegni inutili
e
innocui. Sistemata quella pratica, esitò ancora un istante
tra il
braccio e la gamba, prima di selezionare quest'ultima.
Era il
momento di rimettersi in piedi, stavolta per davvero.
***
Se
Tony avesse dovuto spillare un nichelino per ogni insulto, impropero
e bestemmia che lasciò le sue labbra durante la
realizzazione del
piede della protesi, si sarebbe trovato ben presto povero in canna.
Maledisse per l'ennesima volta ogni singolo ossicino, ognuno a quanto
pare d'importanza capitale, e prese un sorso di caffè,
decaffeinato.
Ed era consapevole che fosse decaffeinato, ma si sentì
comunque
rinvigorito.
Scoccò un'occhiata all'orologio: le 22:30. Aveva
ancora un'ora di autonomia, poi sapeva di dover dormire per
riprendere la mattina successiva. Imporsi dei turni di lavoro era
quanto di più frustrante potesse immaginare, ma almeno era
sempre
riposato e con la mente fresca. Meno errori, meno stress,
più
progressi. Sarebbe stato così semplice se avesse iniziato da
prima...
Scacciò il pensiero e si immerse di nuovo tra circuiti e
legamenti. Pensare ai "se" e ai "ma" non
l'avrebbe aiutato con l'articolazione della caviglia.
Si rimise
all'opera, continuando a masticare parolacce tra i denti e a maledire
il saldatore.
***
25 Aprile, Villa Stark
Alla
quarta caduta, che per poco non lo mandò a fracassarsi la
testa
contro lo spigolo della scrivania, Tony dovette ammettere che
evidentemente la colpa non era della protesi, ma dell'ammasso di ossa
e muscoli a cui essa era attaccata.
Rimase seduto a terra a gambe
distese, un po' dolorante e molto frustrato, con la schiena poggiata
contro la scrivania. Mentre riprendeva fiato si assicurò per
l'ennesima volta che i collegamenti neurali funzionassero:
fissò con
intensità l'alluce meccanico, cercando di piegarlo con
scarso
successo. Avrebbe avuto più possibilità di farlo
muovere con la
forza del pensiero piuttosto che, semplicemente, piegando
l'alluce.
Alla fine gli parve di scorgere un lieve movimento o meglio,
un'intenzione
di movimento che era
poco più di un fremito e che probabilmente si era
immaginato.
Invece, si mosse di sua spontanea volontà il mignolo.
Sospirò:
si ricominciava con le dita scombinate. Gli urti dovevano aver
falsato i contatti.
Di piegare il ginocchio neanche a parlarne.
Quella meraviglia della tecnologia si riduceva a un tubo di metallo
appiccicato al suo corpo, al cui confronto le gambe di legno dei
pirati sembravano invenzioni all'avanguardia. Era conscio di
quanto fosse diventata esile la sua gamba sinistra. Era decisamente
dimagrito in quei mesi – le costole e le scapole erano ben
visibili
e aumentavano l'impressione di fragilità generale, oltre che
vive reminiscenze dell'Afghanistan
– ma almeno il
braccio e la parte superiore del corpo mantenevano una parvenza di
tonicità, mentre le gambe, o quel che ne rimaneva, erano
smunte e deboli. Non c'era da
stupirsi che avesse difficoltà a stare in piedi.
Non era mai
stato un grande sportivo, ma dal suo rapimento, prima, e con l'inizio
dell'attività di Iron Man, poi, si era reso conto di non
poter
trascurare la sua forma fisica e si era messo d'impegno a boxare sul
ring con Happy e a correre per chilometri lungo la spiaggia di Malibu,
con qualche occasionale lezione di corpo a corpo con Rogers e
Nataša.
Adesso
erano mesi che non camminava davvero, le stampelle reggevano quasi
sempre
tutto il suo peso e passava la maggior parte del tempo alla
scrivania, sul divano o a letto. Senza contare che ormai aveva
preso il vizio di fare tutte le operazioni faticose con la destra,
dotata di una forza decisamente superiore. Era quasi ambidestro, ma
ogni tanto si rendeva conto che il braccio sinistro era diventato
leggermente più debole.
Si diede una pacca sulla coscia
sinistra, sentendo chiaramente l'osso sotto il palmo. Prima di
poter usare le protesi al massimo doveva rimettere in funzione il suo
intero corpo.
Il campanello trillò.
Tony sobbalzò con un
groppo in gola quando sentì il segnale della porta
principale che
veniva aperta in automatico da JARVIS. Doveva essere qualcuno di
conosciuto, o avrebbe chiesto il permesso per farlo entrare. Attese
con trepidazione l'annuncio del maggiordomo virtuale.
"E se
fosse..."
«Il Dottor Mitchell la attende nell'atrio, signor
Stark.»
Tony tirò un sospiro di sollievo, subito seguito da una
preoccupazione più immediata: come diavolo ci arrivava lui,
nell'atrio?
Il medico avrebbe fatto i salti di gioia a vederlo in quello
stato...
«Digli di scendere! Doc, sono un po' bloccato,
al momento...»
disse poi direttamente, attivando
l'interfono e cercando
di mostrarsi il più calmo possibile per non
destare sospetti.
Dopo aver tentato più volte ad alzarsi –
perché,
perché aveva abbandonato le stampelle?
– e aver
constatato di avere una rotula meccanica disarticolata e un malleolo
rotto, si
rassegnò a rimuovere la protesi diventata più un
peso che un
aiuto.
In quel momento si aprirono le porte dell'ascensore e ne
uscì Ian; era passato un lasso di tempo considerevole da
quando gli
aveva detto di raggiungerlo. O la vecchiaia iniziava a farsi sentire
anche per lui, o non aveva alcuna fretta di vederlo –
d'altronde,
perché usare un ascensore quando si avevano due gambe
funzionanti? Forse il ritardo era dovuto a entrambe le cose, concluse
notando il
volto
stanco del medico.
Troppi turni di notte avevano recentemente segnato
i suoi occhi già assediati dalle rughe. Ovviamente si era
licenziato
dalla sua posizione alle Stark Industries, riprendendo a lavorare a
pieno ritmo al General di Los Angeles. La sua barba era stranamente
incolta e il
grigiore lo faceva apparire più vecchio dei suoi
cinquant'anni
appena superati. Indossava uno dei suoi opinabili completi, con una
giacca a coste color ruggine che sembrava saltata fuori da una raccolta
dell'Esercito della Salvezza. La camicia era un po' sdrucita,
e i pantaloni troppo larghi e tenuti su da una cinta stretta in modo
vistoso.
Tony non lo salutò
subito, preso in contropiede dalla sua aria provata e alquanto
sciatta. Quella trasandatezza non era da lui: a parte il suo gusto
orribile per le giacche era sempre impeccabile nel vestire e nella cura
personale. Già
la settimana scorsa aveva dato qualche cenno di stanchezza, ma quel
cambiamento era troppo drastico. Si soffermò brevemente
sull'ironia che lo spingeva a preoccuparsi per il proprio medico,
quando quest'ultimo aveva preso a interessarsi poco e niente di lui.
Non che potesse dargli torto...
«Signor Stark, sta cercando di
nuovo di ammazzarsi?» esordì infatti,
più caustico del solito, mentre Tony
rimuoveva la gamba con un rumore abbastanza disturbante di barattolo
sottovuoto che si apriva.
Ignorò la provocazione, piantò la
gamba ora inerte contro il pavimento e la usò come stampella
di
fortuna per issarsi in piedi. La gamba sana gli tremava per lo sforzo
e si abbandonò sulla sedia più vicina con la
fronte imperlata di
sudore. Si piazzò la protesi in grembo, con una mano posta
con fare
protettivo sul ginocchio e l'altra che si allentava il colletto della
polo mentre sbuffava accaldato.
Ian aveva assistito alla scena
senza schiodarsi dalla soglia dell'ascensore. Osservava il
laboratorio con malcelata sorpresa, come se il suo aspetto lo
sorprendesse. Tony gli concesse altri dieci secondi di
meditazione, chiedendosi perché ultimamente i suoi
visitatori
fossero affetti da mutismo, poi si decise a rompere il silenzio:
«È
venuto per visitarmi o per rubare i segreti del mio
successo?»
sbottò, distogliendolo da un modello di piede
tridimensionale che
volteggiava svogliato per il laboratorio.
«Sono solo sorpreso di
vederla... in movimento. E stranamente in salute,»
commentò lui,
cautamente.
"Aspetti di vedere di nuovo i miei tatuaggi al
palladio..."
La prima volta che li aveva notati, il dottore
era andato a dir poco su tutte le furie. Oltre alla sua ovvia
preoccupazione per le possibili ripercussioni del palladio sul suo
corpo, alla rabbia verso di lui per non aver valutato a dovere i
rischi di quella tecnologia e al nuovo, malcelato disprezzo con cui
lo trattava dopo il tentato suicidio, Tony aveva notato una scintilla
di terrore nella sua reazione. Era stato lui a impiantargli quei
congegni e, volente o nolente, era stato lui a permettere quel
risvolto inaspettato. E, Tony ne era abbastanza convinto, quel senso
di colpa ingiustificato era l'unica cosa che gli aveva impedito di
abbandonare il suo paziente ingrato.
Ogni volta che lo visitava
sembrava quasi dimenticarsi dei moncherini, dello sfregio e delle
protesi, concentrandosi quasi ossessivamente su quelle venature
bluastre e innaturali, senza per questo chiedergli nulla al riguardo.
Concludeva le sue visite sbrigativamente ma con una palese
insofferenza, di chi avrebbe voluto trattenersi e chiedere di
più,
ma non voleva o non osava farlo.
Anche adesso, dopo il suo
commento evidentemente sfuggitogli in un istante di distrazione, non
si spinse oltre e rimase in silenzio. Si avvicinò
però alla
scrivania, dove depose la sua valigetta con gli strumenti medici.
«Ho
ripreso a lavorare su questo gioiellino,» annunciò
Tony, senza
che
Ian lo interpellasse, deciso a ignorare il suo solito atteggiamento
scostante. «E questo...» alzò il braccio
col nuovo rivestimento.
«Questo è il futuro.»
Ian non diede cenno di aver ascoltato e
si limitò a un mugugnio generico e poco impressionato.
Indossò lo
stetoscopio. Tony abbandonò la sua giovialità e
si rassegnò
alla solita prassi, scalpitando per rimettersi al lavoro. O meglio,
per ricominciare a cadere a peso morto...
Ian cominciò ad
auscultarlo con rapida professionalità, concedendosi un
lieve cenno
d'assenso nel constatare che i polmoni e il cuore erano a posto
–
per quanto un cuore minacciato da barbigli metallici potesse essere
"a posto" – per poi passare alle protesi, e qui la sua
espressione si scurì. Come volevasi dimostrare.
«Beve ancora
la sua clorofilla?»
«Tutti i giorni, un litro e più al giorno, come
sempre,» rispose
lui monocorde.
«Ha apportato modifiche alle protesi?»
«Nulla
che abbia a che fare coi reattori.»
«Mi sembra che gli effetti
del palladio stiano scemando...» affermò Ian, come
se ciò
implicasse necessariamente una qualche modifica che gli voleva
nascondere.
«La tossicità è scesa al 13%.
È un bene, no?»
«Non sono assolutamente
in un range accettabile.»
Detto ciò, ripose i suoi strumenti
nella valigetta, col chiaro intento di andarsene senza aggiungere
altro. Stavolta Tony non nascose il suo stupore e cercò di
trattenerlo. Non si aspettava quella superficialità, tanto
più ora
che aveva assolutamente bisogno di parlargli...
«Già finito? Non
mi ha neanche controllato l'occhio... cioè, l'ex-occhio, che
giusto
l'altro giorno...»
«Signor Stark, non so che novità si aspetta
di sentire da me, ma di sicuro non le annuncerò la
miracolosa
ricrescita di un arto o l'imminente ritorno di una visione
bifocale,» sbottò a quel punto Ian con stizza
ingiustificata,
facendolo ammutolire. «Le sue condizioni non hanno margine di
miglioramento allo stato attuale e...»
«È quello che ha detto
anche quando mi ha conosciuto. Invece mi sembra di aver fatto almeno
qualche
miglioramento, nonostante il suo scetticismo.»
Tony
alzò la voce,
sentendosi ingiustamente attaccato.
«Non mi sembra che ci tenga
molto a quei miglioramenti, visto come si è comportato con
se
stesso,» replicò Ian con voluta
malignità.
Tony si costrinse a
moderare il volume della sua voce, nonostante non volesse far altro
che esplodere, ma doveva
dimostrargli di essere cambiato. Doveva controllarsi, si
ripeté
stringendo il pugno meccanico con forza. Si erano tutti convinti che
fosse instabile e collerico e sfatare quel mito era più
difficile di
quanto immaginasse.
«Ho commesso qualche... molti
errori in corso d'opera,» ammise a fatica. «Alcuni
dei quali
imperdonabili. Non ho bisogno della sua paternale per
capirlo.»
Lo
guardò fisso negli occhi e Ian parve sfuggire lo sguardo per
un
istante, come se si aspettasse tutt'altra reazione. Esitò
nel
rispondere e Tony lo anticipò:
«Sto ancora
cercando di migliorare. Non m'importa cosa ne pensiate voi.»
Ian
parve riscuotersi a quelle parole e il suo tono tornò ad
essere più
pacato, anche se si notava quanto ancora fosse irritato dal suo
comportamento.
«La strada mi sembra ancora lunga, signor Stark.
Da solo non arriverà lontano,» aggiunse in tono
fermo e molto
eloquente, ma quasi forzatamente distaccato, quasi fosse incline ad
abbandonare l'idea che si era fatto di lui ma non volesse farlo
troppo in fretta.
Tony incassò il colpo, ma non lasciò
trasparire la sua delusione, anzi, sfoggiò un sorrisetto
impertinente.
«Sono abituato ad essere lasciato solo e me la sono
sempre cavata. Non mi sottovaluti.»
Ian non replicò, ma fece una
strana, incomprensibile smorfia che poteva significare tutto o
niente, anche se poi il suo volto si fece più sereno, come
rassicurato da quelle parole. Si rimise lo stetoscopio al collo e si
accinse a completare la sua visita a occhi bassi, come se lo scoppio
di rabbia di poco prima lo imbarazzasse e volesse rimediare.
Tony
lo lasciò fare, anche se era piuttosto perplesso dal suo
comportamento. Anche normalmente era irritabile, cinico e propenso
al disfattismo, ma non si era mai permesso di apostrofarlo in modo
così duro come poco prima. Le poche volte in cui aveva avuto
qualcosa da ridire l'aveva sempre esternato con la massima educazione
e professionalità, salvo rari casi, e mantenendo le
distanze. Da lui
non si sarebbe mai aspettato un attacco tanto personale, soprattutto
non in modo così rancoroso. Anche mentre lo visitava
mantenne una
strana aria assente.
Gli stava giusto puntando una torcetta
nell'occhio integro per verificare i riflessi della pupilla, dandogli
modo di vedere da vicino la stanchezza sul suo volto, quando Tony si
decise a parlare:
«Doc, sicuro che vada tutto bene?»
L'altro
sussultò, scansò il fascio di luce dalla sua
iride e ripose la
torcetta nel taschino con un gesto un po' troppo brusco.
«A parte
un certo
paziente recalcitrante...» borbottò cercando di
sviare il discorso,
prendendo un appunto sul suo taccuino. «Inizi a lasciare la
ferita sul volto scoperta, almeno in casa. Vediamo come reagisce
all'esposizione prolungata alla luce. A proposito, dovrebbe anche
prendere un po' di sole: rischia di avere una carenza di vitamina D se
continua a vivere recluso in casa,» sciorinò
rapido.
«Se potessi me ne andrei
in spiaggia, ma sono un po' bloccato,
al momento. E non posso andarmene a zonzo con le protesi sotto
sequestro... mi accontenterò della terrazza.»
Alzò le spalle, frustrato.
«Mi
basta un sì o un no, non chiedo altro,» insistette
poi, liquidando la questione e già aspettandosi che andasse
di
nuovo in escandescenze.
Con suo sorpresa, invece, Ian si appoggiò
al bordo della scrivania e si mise a pulire i suoi occhiali con
l'orlo del camice, pensieroso, in un gesto che conosceva bene e che
non prometteva nulla di buono. Continuava a evitare il suo sguardo;
era restio a parlare, ma allo stesso tempo sembrava cercare le parole
giuste. Tony si sentì un po' in colpa per aver insistito e
corse
ai ripari:
«Lo prenderò per un no... io invece sto
bene?»
«Sì,
direi che è in una situazione molto stabile su cui si
può
lavorare...» rispose distratto Ian, continuando a pulire gli
occhiali.
«Perfetto, le volevo giusto chiedere se...»
«Ha
ragione. Non va tutto bene,» lo interruppe lui, prendendolo
di
sorpresa.
Aveva parlato in fretta, col suo solito tono
burbero.
«Non sono abituato a sentirmelo chiedere,» disse
quasi
scusandosi, e si rimise gli occhiali incorniciando nuovamente i suoi
occhi color acquamarina.
Incrociò le braccia, senza accennare a
parlare né muoversi. Tony rimase in attesa, fingendo di
controllare
la giuntura del gomito, senza mettergli fretta.
«Recentemente
è... accaduta una disgrazia.» Si bloccò
esitante e si passò una
mano sulla barba cercando di calmarsi. «Un collega, un mio
ex-allievo ha...
oh!» sbottò
improvvisamente, come rendendosi conto di ciò che stava
dicendo.
«Lasciamo perdere. Tanto è inutile parlarne con
lei,» concluse,
scostandosi dalla scrivania.
A Tony diede l'impressione di un
animale in gabbia che non sa più da che parte voltarsi... e
che non
si rende conto che la gabbia è aperta. Realizzò
che capiva fin
troppo bene la sua situazione. E sapeva anche che insistere
nell'offrire un aiuto non gradito sarebbe stato
controproducente. Però era anche incredibilmente curioso:
sapeva
così poco del suo medico di fiducia. A parte la nota
amicizia di
lunga data con Kyle, ormai uno di famiglia per lui, tra una
chiacchierata e l'altra si era lasciato sfuggire poche informazioni:
aveva una moglie e una figlia, delle quali però parlava
raramente e in modo nostalgico. Aveva dedotto che fosse separato, o
divorziato, ma non ne era del tutto certo. Non aveva mai menzionato
amici o colleghi con cui fosse in
confidenza. Sembrava un uomo estremamente solo, ma che si trovava
bene nella sua solitudine.
Stette in silenzio per un po'; poi,
vedendo che Ian non accennava comunque ad andarsene, si
arrischiò a
tornare alla carica:
«Perché me ne sta parlando? O meglio,
perché non
me ne sta parlando quando evidentemente vorrebbe?»
«È una
questione delicata che io stesso non so come gestire,»
rispose lui
meccanicamente, senza però irritarsi della sua insistenza.
«E cosa
c'entro io?»
«È lei che mi ha chiesto se andasse tutto
bene!»
stavolta suonò piccato.
«Sì, ma se fosse un qualcosa di
strettamente personale se lo terrebbe per sé senza
coinvolgere
qualcuno di cui evidentemente si fida molto poco, oppure me lo
direbbe senza problemi, perché non mi riguarderebbe
minimamente.»
Il medico tacque, ma gli scoccò un'occhiata nervosa.
«Le
serve aiuto per qualcosa?» tentò Tony, con fare
sicuro.
Ian si ritrasse a quella domanda e si
fece scuro in volto.
«O serve aiuto a quel collega di
cui...»
«Non sono affari che la riguardano, almeno non per
ora.»
Parlò con
distacco, ma nel suo sguardo si leggeva quanto avrebbe voluto
abbandonare quell'orgoglio e quella riservatezza, e quanto lui avesse
colto nel segno: Tony si ritenne soddisfatto.
«Ok, ok, quando
vorrà,» tagliò corto, arrendendosi.
Ian si rilassò
visibilmente e affondò le mani nelle tasche della giacca,
meditabondo.
Fu lui a riportare la discussione in campo neutro:
«Dunque,
stavamo dicendo del suo occhio...» esordì,
schiarendosi un poco la
gola.
Tony fece un gesto col la mano meccanica, come a scacciar
via l'argomento.
«Sì, certo: mi tolgo la benda e vedo che succede.
Dovrò farmene rimediare una decente da Fury,»
aggiunse
poi, adocchiando con lieve disgusto la garza adesiva nel
cestino.
Stavolta un'ombra di sorriso apparve sul volto di
Ian.
«Magari gliene rimedio una più discreta.»
«Perché
mai? Ho sempre sognato di fare Barbanera a Carnevale.»
sospirò
Tony, sollevato che la tensione si fosse un po' allentata.
Ian
alzò gli occhi al cielo e prese la valigetta, facendo per
congedarsi.
"Ah, no! Dovevo chiedergli... cos'è che dovevo
chiedergli?" annaspò Tony, sicuro che fosse qualcosa di
molto
importante e molto delicato, che doveva presentare nel giusto
modo.
«Allora ci vediamo tra una settimana. Le mando conferma
come sempre il giorno prima, in caso...»
«Doc, ma come la
vedresti un po' di fisioterapia?» proruppe Tony prima di
connettere il cervello, di
getto, nel momento sbagliato, nel modo sbagliato e con le
parole sbagliate.
Il volto di Ian sbiancò così di colpo che per
un attimo temette che gli fosse venuto un ictus. Si aggiustò
gli
occhiali sul naso, incrociò le braccia e lo
guardò come se fosse
impazzito. Era uno sguardo che conosceva molto
bene...
«Fisioterapia?» ripeté, attonito.
«Sa, serve per
riprendere a camminare...
quella cosa che cerco di fare da mesi senza successo, se ben
ricorda.»
Ian tentò di riprendersi dallo stupore, e alzò le
mani facendogli cenno di calmarsi.
«Un momento, mi faccia capire
bene. Vuole essere aiutato?»
A
quel punto Tony si sentì improvvisamente in imbarazzo, come
se
stesse confessando la più infame delle colpe. Si
passò una mano tra
i capelli e si lisciò nervosamente il pizzetto,
interessandosi d'un
tratto al reticolo olografico sospeso sulla sua testa.
«Beh, non
proprio... cioè, sì, ma non nel senso
di...» si bloccò, trasse un
respiro profondo e concluse: «Diciamo che le stampelle non
sono più
un supporto sufficiente.»
Il medico lo fissò allibito ancora per
qualche secondo, come assicurandosi della sua lucidità, poi
sbuffò
indeciso. La sua bocca rimase tirata in una linea severa, ma gli
occhi avevano un'espressione calda.
«Ormai avevo perso le
speranze, signor Stark.» Riprese il suo posto appoggiato alla
scrivania. «È bello vederla finalmente di nuovo
fra
noi,» aggiunse,
pungente come al solito.
Tony non rispose e si limitò a fare un
ampio sorriso sornione, compiaciuto della reazione dell'altro.
Ian
non gli fornì informazioni specifiche, ma disse che prima
avrebbe
cominciato, tanto meglio, visto che a detta sua rischiava di
ritrovarsi l'altra gamba atrofica; avrebbe chiesto a qualche collega
fidato per rimediare un fisioterapista altrettanto fidato. La vaghezza
con cui parlò lo insospettì un poco, ma
preferì non mettere eccessivamente alla prova il suo
atteggiamento bendisposto.
Dopo
che Ian si fu congedato promettendogli presto novità, Tony
passò
una buona manciata di minuti semplicemente a dondolarsi e ruotare
sulla sedia girevole, con una strano misto di sollievo, contentezza e
aspettativa che gli fece venire un grande appetito e una gran voglia
di mettersi al lavoro.
Scoccò un'occhiata calorosa alla parete
delle armature: sembravano avvicinarsi sempre più.
***
«Pronto?»
«Kyle!
Ti disturbo?»
«Ehi, Ian. Guarda, in realtà sono un po' preso,
ma se hai bisogno di parlare ti richiamo tra...»
«No, no, non si tratta di
me. Stacca un attimo: questa la devi sentire.»
«Come mai così
allegro? Che mi sono perso?»
«Delle buone notizie, finalmente;
torno da Villa Stark.»
«Oh! E come ha fatto uno come Stark a
metterti così di buonumore? L'hai guarito da ogni
male?»
«Non
proprio, però siamo sulla strada giusta. Diciamo che si sta
guarendo
da solo.»
«Ah, bene! ...cioè?»
«Sta' a sentire...»
***
29 Aprile, Villa Stark
Il
suo cellulare vibrò una, due volte di fila, e una terza dopo
qualche
secondo, con insistenza sospetta. Tony, già presagendo
brutte nuove,
fece sporgere con estrema cautela lo schermo dalla tasca con la
destra, sbirciando il mittente mentre saldava i contatti con la
sinistra, compiacendosi del suo multitasking. La sua soddisfazione si
smorzò quando vide che i tre messaggi erano di Kyle, e ancor
di più
quando il suo pollice metallico scivolò d'istinto e
inutilmente sul
touch-screen
con un ticchettio. Sospirò, posò il saldatore a
penna e sbloccò il
telefono con la mano buona, ripromettendosi per l'ennesima volta di
integrare dei polpastrelli touch quanto prima possibile.
Aprì i
messaggi e si accigliò.
Domani alle 10:15 in tribunale. Ti viene a prendere Happy alle 9:00.
PUNTUALE,
recitava il messaggio successivo, in un caps-lock minaccioso.
E
niente
protesi, ricordati che in teoria sono sotto sequestro.
L'ultimo messaggio scacciò via definitivamente il suo buonumore. Si apprestò a rispondere, scrivendo in fretta e furia con una mano sola, senza che il cipiglio lasciasse il suo volto:
Le protesi sono un mio diritto, dovranno togliermele sul posto. Non ho intenzione di presentarmi là su una sedia a...
S'interruppe,
fissando ciò che aveva appena scritto. Lasciò
ricadere il cellulare
in grembo, tirando un respiro profondo per calmarsi.
Non poteva
ricominciare da capo.
Se avessero esteso il sequestro delle
protesi rendendolo definitivo e materiale sarebbe stato tutto inutile,
e quel lavoro di fino che stava facendo sui legamenti del metatarso
sarebbe finito in un tritarifiuti o in una fonderia. O peggio,
nelle mani sbagliate. Premette con forza il tasto "cancella",
desiderando che la sua frustrazione sparisse assieme ai caratteri
neri sullo schermo.
Esitò qualche istante prima di ricominciare a
scrivere. Trovare un compromesso era così difficile... ancor
di più
se non si era mai stati abituati a farne.
Infine si decise, anche se non era
del tutto soddisfatto.
Ok.
Lascio le protesi buone a casa, ma voglio un paio di protesi fisse,
così non turberò troppo i signori della corte e
potrò usare le stampelle.
Premette
invio prima di poterci ripensare; tenne il cellulare in mano,
abbandonando momentaneamente il lavoro. Sapeva che Kyle era
probabilmente in trepidazione dall'altro capo del messaggio e che la
risposta non si sarebbe fatta attendere.
Doveva ammettere che,
preso com'era dagli ultimi avvenimenti, si era più o meno
volontariamente dimenticato del processo, nonostante Pepper, prima, e
Kyle, poi, gli avessero periodicamente ricordato la data fatidica
incitandolo a prepararsi all'udienza, visto che avevano avuto la
fortuna di
una pausa così lunga grazie all'intercessione dello SHIELD,
che si era finalmente degnato di prendere ufficiosamente parte alla
faccenda. Tony aveva ignorato entrambi.
Nell'ultima settimana Kyle
non ne aveva fatto parola, ma aveva notato il suo crescente
nervosismo anche per telefono: le loro chiacchierate erano diventate
sempre più brevi e aveva iniziato a porre domande abbastanza
specifiche sul suo lavoro, sulle Stark Industries e su altri
argomenti che non rientravano tra i suoi favoriti per una
conversazione tra amici.
Sperò che si fosse preparato almeno lui,
o sarebbero andati incontro al disastro più totale. Chiusa
la
questione delle protesi, sarebbero passati a Iron Man. O forse
all'Afghanistan e Stane. Non sapeva quale delle due
possibilità lo
turbasse di più, e decise di non interrogare Kyle al
riguardo. D'altronde, non poteva sperare di preparare in mezza
giornata quello che avrebbe dovuto preparare in un mese. Ma era bravo
a improvvisare: in qualche modo se la sarebbe cavata.
Lo schermo
del cellulare si illuminò, accompagnato da una nuova
vibrazione.
Chiedo a Ian, ma il preavviso è poco. Faccio il possibile.
Stava
già per riporre il cellulare, quando un altro messaggio di
Kyle lo
distolse, ovvero una grande emoticon di un pollice in su. Gli
scappò
un sorriso.
Forse non era poi così solo come credeva.
Revisione effettuata il 04/03/2018
Note dell'Autrice:
Sono in ritardo! Potevate forse dubitarne?
Riguardo al capitolo... Confermo che ormai ci troviamo definitivamente in un AU, anche se cercherò di mantenere contatto col resto degli avvenimenti Marvel. Mi spiego meglio: gli avvenimenti sono quelli (ignorando volutamente Iron Man 3 per licenza poetica) ma la linea temporale è un po' sfasata. Sono ancora indecisa sul momento esatto in cui concludere la storia (tranquilli, il finale già c'è) ma sarà sicuramente prima o a ridosso degli eventi di The Avengers. Ho sparso un paio di riferimenti più o meno espliciti nel capitolo (uno è Tony che, porello, crede che controllare delle intelligenze artificiali sia semplice. Un carissimo saluto da Ultron dal futuro). L'altro spero sia un po' più velato e questo sì che avrà un ruolo più importante anche nella storia.
Siamo in un momento di stallo, anche se mi sto impegnando ad accelerare i progressi di Tony. Non potevo lasciarlo ancora a lungo a vegetare sul divano, né potevo farlo alzare in piedi in stile Lazzaro, quindi ho optato per una via di mezzo. In questo momento è passato all'incirca un mese dal tentato suicidio: Tony ha avuto modo di riposarsi, riflettere e darsi dell'idiota a sufficienza.
Come avrete notato ho spostato molto il focus su Ian. Visto che ci avviamo (con calma) verso la conclusione, ho deciso di approfondire un po' i "nostri" personaggi, che hanno avuto forse poco spazio dal punto di vista dello sviluppo personale. Quindi, eccovi qua Ian in tutto il suo cinismo. Non è un personaggio particolarmente amabile, ma non deve esserlo e credo che Tony abbia bisogno di una figura di contrasto benevola, visto che di antagonisti ne ha abbastanza.
Chiudo il papiro. Ringrazio infinitamente _Atlas_, che incredibilmente segue ancora questa storia e mi ha fatto un po' commuovere con le sue parole, e Alexandre94, nuova lettrice che si è addirittura convinta a recensire dopo aver visto un aggiornamento a distanza di tre anni, il che dimostra non poco coraggio. Spero (speriamo, lo so che leggerai, MoonRay) di non deludervi. Grazie mille per le recensioni :)
A presto,
-Light-
P.S. Vi lascio con un piccolo inedito, sperando che vogliate perdonare le mie scarse doti artistiche (è stato fatto in un momento di sclero a tempo perso e no, non so disegnare le labbra). Questo è Ian al 100%, espressione incazzata inclusa. Nel prossimo capitolo, altro piccolo inedito in arrivo!
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