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Autore: nikita82roma    23/04/2017    2 recensioni
È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà con gli altri prima di andare al cimitero. Riceve, però, una telefonata che cambierà la sua vita.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Terza stagione
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Castle guardò Beckett a lungo mentre le dava gli ultimi tocchi con un secondo batuffolo di cotone, il primo si era riempito dopo poco di trucco e rischiava di peggiorare la situazione. Non che avesse fatto un grande lavoro, ad essere sincero, se non fosse stata quella circostanza così particolare, avrebbe riso di se stesso, ed anche di Kate che sembrava quasi un panda. Gli venne in mente quando era solo un bambino e ogni tanto la sera, quando sua madre aveva le repliche pomeridiane, si divertiva a sedersi vicino a lei e pasticciando con creme e cotone voleva toglierle il pesante trucco di scena, così poco a poco sotto i suoi tocchi confusi di bambino un po’ maldestro, Martha smetteva i panni dell’attrice e tornava ad essere solo la sua mamma. Si meravigliava ogni volta quando la vedeva vestita, spesso con abiti eleganti o sontuosi in quegli spettacoli in costume, e con il trucco così marcato, le sembrava una fata, una di quelle delle storie che lei stessa gli raccontava. Ma dopo poco si annoiava, la vedeva entrare ed uscire velocemente dal camerino, sempre di fretta chiamata da qualche addetto al palco e lui non aveva tempo per gustarsela. Così quando aveva finito non vedeva l’ora che si toglieva tutto e tornava ad essere solo la mamma di cui aveva bisogno. Ed ora con Kate provava a fare la stessa cosa, toglierle quella maschera che si era creata e farla tornare ad essere solo Kate, per essere sua avrebbe avuto tempo, sperava.

Quei lunghi silenzioso minuti trascorsi con gli occhi chiusi servirono a Beckett per prendere consapevolezza di quello che aveva appena detto e per riuscire a calmarsi. Le cure di Castle, tra carezze e tocchi leggeri, stavano riuscendo a pulire molto di più del suo viso, ma a togliere quella patina dalla quale guardava la sua vita, il mondo ed il suo futuro che rendeva tutto desolato, tetro, doloroso, senza speranza. Avrebbe voluto che continuasse all’infinito, che non si fermasse mai. I suoi tocchi andavano sotto la pelle, scavavano molto più in profondità, toccando punti che aveva tenuto nascosti a tutti, soprattutto a se stessa, ma che lui trovava naturalmente, solo lui. Aprì gli occhi solo quando percepì che si era allontanato e le mancava già l’ossigeno. Era a pochi centimetri da lei. Appoggiò un braccio sul suo: aveva bisogno del suo supporto per alzarsi e non solo fisicamente da quel piccolo sgabello. Sperò che lui lo capisse, perché in quel momento non sapeva se ce l’avrebbe fatta a chiederglielo.

Si sciacquò il viso con molta acqua fredda, buttandosela addosso e lasciandola scivolare via. Era veramente fredda in quella notte di novembre con le temperature che stavano scendendo repentinamente, ma i brividi che sentiva non erano per quella, ma perché quando aveva alzato gli occhi, nello specchio lo aveva visto ancora, dietro di lei, guardare fissa la sua immagine riflessa.

- Come ti senti? - Le chiese Rick continuando a fissare il suo riflesso mentre lei si tamponava il viso con un asciugamano.

- Stremata. - Sospirò.

- Ti lascio riposare, allora. - Le accarezzò un braccio, ma lei fermò la sua mano su si se e spostò il peso all’indietro fino a trovare il suo torace contro il quale si fermò. Non si guardavano negli occhi, se non attraverso il lo specchio. Era come vedersi da fuori, come vedere altre persone, l’ultimo estremo mezzo di difesa.

- No. Io… non credo che potrei riposare questa notte.

- D’accordo. Come vuoi.

Tutto era rallentato. Parlavano lentamente, per darsi il tempo di assorbire le reciproche semplici parole. Anche i movimenti erano compassati, come se camminassero su un filo e potessero precipitare da un momento all’altro. Ogni mossa non ponderata, ogni movimento repentino, ogni scelta non prima intimamente accettata poteva farli precipitare. Erano consapevoli che se fossero caduti ancora, in quel momento rialzarsi insieme sarebbe stato impossibile. 

Lo prese per mano e lo condusse fino al divano. Presero posto ai due estremi: avevano paura a separarsi tanto quanto a stare troppo vicini. Le vibrazioni dei loro corpi le avevano sentite entrambi e non erano certi di riuscire ad esserne padroni.

- Sembri stanco anche tu. - Gli disse osservando meglio i suoi occhi pesanti, con le iridi che erano diventate blu scuro, intenso.

- Lo sono. - Ammise rendendosi conto solo in quel momento di quanto lo fosse veramente.

- Sapevo che dovevi rientrare a fine mese… quando sei tornato?

- Un paio di ore prima di venire da te. Ho cancellato qualche tappa del tour ed anticipato il rientro. - Disse sincero.

- Come mai? Qualche problema? - Kate non aveva ancora capito il motivo. Pensò che forse il suo tour non era andato bene e per questo si era visto costretto a fare ritorno.

- Mi ha chiamato Lanie qualche giorno fa, anzi notte. Mi ha detto che avevate discusso e che stavi male. Era preoccupata per te.

- Tu sei… sei tornato per questo? - Chiese perplessa.

- Sì, sono tornato per te. Ti sorprende, Kate? Sono tornato per te, perché Lanie era preoccupata, mi ha detto che ti stavi distruggendo. Ho sbagliato a darti retta, ad andarmene, a lasciarti sola. Per me sei importante, molto importante. Non potevo permetterlo.

Kate sorvolò sulle sue parole. Non aveva ancora i mezzi per affrontarle.

- Ho fatto un po’ di casini… Ho discusso anche con mio padre, sono stata ingiusta con lui.

- Lo so. So anche che hai lasciato il lavoro.

- Non mi dici niente?

- Cosa ti dovrei dire? Che è un peccato che la migliore detective di New York abbia scelto di lasciar perdere tutto?

- Quello che pensi, Castle.

- Penso che se sei arrivata ad una decisione del genere non è perché hai litigato con il nuovo capitano. Non è da te, non ci credo.

- Non sono la stessa persona che conosci, Rick. - Fu un’ammissione che lo spiazzò, perché lui a questo proprio non voleva crederci. 

- Io sono convinto che sei sempre tu, solo che sei nascosta sotto le macerie con cui ti proteggi. - Kate chinò la testa. Rick l’aveva messa a nudo con poche parole, obbligata a guardarsi dentro e a non trovare quello che avrebbe voluto. Sarebbe stato facile essere una persona diversa, essere cambiata, essere riuscita a diventare quella in cui voleva trasformarsi, ma non c’era mai riuscita e lui con forza, fermezza ed un tocco delicato, aveva già disintegrato quella maschera. Quel vestito nero, stretto, corto, che ancora indossava la faceva sentire a disagio. 

- Perché sei qui? - Gli chiese senza guardarlo, per timore dei suoi occhi e di quello che poteva leggerci dentro. O, ancora di più, per quello che aveva paura di non trovare più.

- Per te. - Rick allungò la mano sui cuscini del divano e Kate fece lo stesso. Le loro dita si sfiorarono, poi si toccarono, infine si presero. Beckett sentì la mano di Castle stringere la sua sempre più forte. Quante volte le loro mani si erano trovate, prima che si trovassero loro, offrendosi quel tacito conforto e sostegno, in un gesto così semplice che nascondeva tutto quello che non erano mai stati in grado di dirsi. La mano di Castle c’era sempre stata per Beckett, ogni volta che gli aveva permesso di esserle vicino. Di poche altre persone poteva dire la stessa cosa, forse di nessuno.

- Mi dispiace. - Gli sussurrò ancora una volta. Era come se il dolore che Rick aveva cercato di nasconderle dal primo momento fluisse in lei con quel contatto.

- È stato difficile anche per me, Kate. Mi sono sentito strappare via tutto. Non solo il nostro bambino, ma anche te. Avrei voluto solo starti vicino, lo avremmo affrontato insieme. Non sarebbe stato meno doloroso, ma almeno saremmo stati insieme. Hai deciso tu, per tutti e due. Mi hai lasciato fuori dalla tua vita, dal tuo dolore, con il mio che si moltiplicava e non sapevo cosa fare. Ho rispettato i tuoi tempi, ho pensato che era questione di giorni, poi di settimane. Aspettavo ogni giorno che passasse, che tu mi chiamassi. Non lo hai mai fatto. Ti sei chiusa in te stessa, pensando che eri l’unica persona a soffrire. Ho sofferto anche io, Kate. Ho sofferto tanto, sto soffrendo ancora, ogni volta che ci penso. Forse ci soffrirò sempre pensando a tutto quello che potevamo avere e che non abbiamo più.

Rick non le voleva più nascondere il suo dolore. Non la voleva più proteggere da quello che sentiva. Lo aveva fatto, aveva sbagliato. Voleva essere duro, voleva colpirla, non per farle male, ma solo per farle capire che non era lei l’unica persona a stare male, che non aveva avuto l’esclusiva del dolore, anche se era quella che lo aveva vissuto più di tutti, direttamente. Lui di questo ne era consapevole, non riusciva nemmeno minimamente a capire cosa avesse provato e questa era un’altra delle cose che lo facevano stare male, perché sapere che si era tenuta dentro tutto quella logorante disperazione era straziante anche per lui.

Kate non si aspettava quella risposta, non da lui e fu travolta dalla sue emozioni e dal suo tormento che andò a legarsi con il proprio. Mentre parlava aveva temuto che non lo avrebbe sopportato, che gli avrebbe fatto ancora più male, invece scoprì che per lei era quasi un sollievo. Non era felice che lui soffrisse, ovviamente, ma per la prima volta si aprì e si sentì meno sola. Aveva ragione lui, lo aveva escluso lei ed aveva fatto del male ad entrambi. Aveva cercato comprensione, aveva odiato chiunque fingesse dispiacere o pena per lei, era voluta rimanere sola isolata dal mondo e non aveva voluto vicino l’unica persona che soffriva, come lei. Avrebbe voluto dirgli di più, ma rimase in silenzio fino a quando la sua mano allentò la presa e si ritrasse.

- Ti dispiace se… mi vorrei cambiare… non mi sento molto a mio agio, adesso… - Gli disse imbarazzata e ricevette come risposta un sorriso.

- Io… forse ora è meglio che vada.

- No, per favore. Ci metterò pochi minuti. Se vuoi…

- Certo…

Accarezzargli il volto mentre gli passava davanti fu istintivo e inaspettato per lei tanto quanto per lui. Rick la seguì con lo sguardo mentre andava in camera. Aveva cominciato quella giornata non ricordava più da quante ore, in una città nel sud della Spagna. Era arrivato a Londra, passato ore in aeroporto e poi preso un nuovo volo per New York. Per tutto il tempo si era chiesto cosa le avrebbe detto e cosa avrebbe fatto. Si era ripromesso di non fare tanto di quello che poi aveva fatto, come essere lì. Era stanco, perché anche resistere a fare quello che più avrebbe voluto, abbattere quella formale distanza che si imponeva di mantenere, lo stava logorando piano piano. Era stanco, perché le emozioni, proprie e di lei, lo avevano colpito come un pugile impietoso.

Kate chiusa nella sua stanza si svestì velocemente, indossando la prima cosa, comoda, che aveva sottomano. Una tuta grigia, vecchia, consumata e sformata. Un po’ come si sentiva anche lei. Pensò a quello che le aveva appena detto Rick, nelle sue parole trovava speranza e tristezza, ma anche disillusione. Aveva parlato di un futuro che non avevano più e le era sembrata una chiusura definitiva, a tutto. Pensò che forse lui, alla fine, era riuscito ad andare avanti, che le voleva bene, ed era lì come un amico. Non le aveva fatto capire nulla di diverso, in fondo. Forse era solo lei che aveva sperato, dentro di se, in qualcosa di più. Non avrebbe potuto biasimarlo, non poteva pretendere nulla. Però una cosa sapeva. Glielo avrebbe dovuto chiedere, non avrebbe lasciato tutto sottinteso, presunto, come aveva già fatto con lui, lasciando che entrambi travisassero il comportamento dell’altro. Glielo avrebbe chiesto subito, appena uscita lì.

Glielo avrebbe chiesto veramente, ma quando lo vide, addormentato, sul divano non ebbe coraggio di farlo. Dormiva profondamente, come era suo solito. Conosceva poche persone capaci di andare in letargo come Castle. Sorrise. Aveva quel suo classico broncio che mostrava ogni volta nel sonno e che lei trovava adorabile. Si avvicinò a lui, accostando appena le proprie labbra alle sue, poi lo abbracciò, trascinandolo piano, facendolo sdraiare con la testa sulle proprie gambe mentre gli accarezzava i capelli.

Quella notte stava finendo, l’alba sarebbe arrivata tra poco.

   
 
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