Libri > The Maze Runner
Segui la storia  |       
Autore: Inevitabilmente_Dea    23/04/2017    1 recensioni
I Radurai, o quello che ne rimane, hanno finalmente attraversato il Pass Verticale che li ha catapultati in una nuova realtà che tutti ormai avevano dato per scomparsa.
Finalmente Elena, i Radurai e tutti gli altri Immuni hanno la possibilità di ricostruire la loro vita da zero, lontano dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. e lontani dagli obbiettivi violenti del Braccio Destro.
Torture, esperimenti e sacrifici sono finalmente terminati.
Ora esiste solo una nuova vita da trascorrere in un luogo sicuro e privo di Eruzione. Un vero e proprio paradiso terrestre.
Ma se qualcosa arrivasse a turbare anche quello stato di quiete, minacciando nuovamente i ragazzi?
Se in realtà la corsa per la sopravvivenza non si fosse mai fermata?
Dopotutto nulla è mai come sembra.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gally, Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Silenzio.
Ecco chi era stato il mio compagno nei momenti di buio.
Freddo, vuoto, distante. Forse sono questi gli aggettivi adatti per descriverlo.
Credo che la sensazione di essere da sola, sola con il silenzio, si fosse rivelata essere ancora peggio del caos che la precedette. Il dolore, l'angoscia, il terrore. Non erano nulla in confronto all'abbandono che sentivo in quel momento.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, da quanto fossi svenuta.

Ma... Ero svenuta?

O ero morta?
Cosa fosse successo di preciso non mi era chiaro. Certo, ero cosciente del fatto che mi fossi buttata sopra Thomas, spintonandolo di lato, e anche che quel pezzo di muro mi fosse piombato addosso. E poi cosa era successo?
Qualcuno mi aveva tirata fuori dalle macerie, ne ero sicura, ma chi? 
Buio.
Silenzio.

Ero stanca di essere circondata da entrambi, ma per quanto avessi provato a cambiare la mia situazione non ci ero riuscita e in un certo senso forse non volevo che cambiasse. Avevo paura di aprire gli occhi.
Avevo paura di allontanarmi dallo stato in cui ero bloccata e tornare alla realtà, perchè non sapevo cosa mi attendesse. 
Non sapevo se fossero passati ore, giorni, mesi o addirittura anni. Cosa mi era successo e cosa era successo al mondo?
Di certo il silenzio non aveva risposte per me ed il buio invece continuava ad isolarmi, continuamente. Era come se fossi chiusa in una stanza totalmente priva di luce, come se stessi fluttuando nel vuoto senza mai fermarmi. Non c'erano sogni ad animare i miei occhi, solo ombre fredde e viscide che ogni tanto mi sfioravano.
E non c'era modo per il mio corpo di muoversi.

Ci avevo provato e riprovato ancora, ma la mia mente sembrava essersi disconnessa dal resto. Eppure non riuscivo nemmeno a pensare lucidamente, a controllare i miei pensieri.
Ero incatenata in un limbo senza fine. O almeno così credevo.
Poi, dopo chissà quanto tempo, riuscii a percepire qualcosa.
Fu come essere investita una cascata gelida e trafitta subito dopo da un fuoco caldo. I miei occhi iniziarono a tremare e farsi all'improvviso pensanti, eppure mi sembrava improvvisamente più semplice aprirli. Le mie orecchie si riempirono di suoni deboli, probabilmente tutti affievoliti dal battere del mio cuore che si era rifatto finalmente vivo. La pelle del mio corpo venne percorsa da una serie di pizzichi soffici e tuttavia fastidiosi, come se delle formiche stessero camminando su di me. La mia testa si fece pesante e improvvisamente bollente. Mi sentivo andare a fuoco letteralmente, come se non fosse solo una sensazione.
Mi feci coraggio e inspirando profondamente provai a sollevare le pesanti palpebre. Mi sorpresi quando ci riuscii e così presi a battere le coglia più volte per avere una vista chiara.

La prima cosa che vidi fu la luce. Dopo tutto quel buio, finalmente la luce. Non fu fastidioso quel cambio di luminosità, anzi, fu quasi un sollievo. Poi le cose si fecero mano a mano più definite: ogni cosa iniziò a prendere la sua forma e il suo colore.
I miei occhi erano puntati verso delle assi di legno scuro, solide e quasi familiari. Per un attimo pensai di trovarmi di nuovo nel vecchio Casolare, con le assi in legno traballanti e le decine di sacchi a pelo stese per terra. Poi una consapevolezza si insinuò nella mia mente: il Labirinto era stato distrutto e con lui anche la Radura.
Sbattei le palpebre e riaprirle fu decisamente più difficile del previsto. Lottai con tutta me stessa per non tornare di nuovo a dormire e riuscii finalmente a spalancare gli occhi, trovando per un attimo una vista sfocata di ciò che avevo messo a fuoco un attimo prima.
Qualcosa di nuovo entrò nel mio campo visivo, come risvegliato dal mio respiro improvvisamente più accelerato e mi ci volle un po' per mettere a fuoco anche quella figura: era un uomo giovane e con gli occhi color azzurro spento, tendenti al grigio, puntati su una parte del mio corpo; il corpo esile avvolto in dei vestiti stracciati qua e là; i suoi capelli neri e arruffati incorniciavano il suo volto con i lineamenti ben marcati.

Solo dopo qualche secondo sentii un tocco leggero sulla mia gamba e, come se quel contatto avesse risvegliato il dolore, una fitta mi pervase il corpo, facendomi gemere.
L'uomo sussultò sorpreso e puntò immediatamente lo sguardo sul mio volto, spalancando i suoi occhi quando mi vide cosciente.
Lo vidi sorridere e quel gesto mandò in tilt il mio cervello. 
Rividi lo sguardo malato di Janson su di me e quel sorriso sinistro che celava ombre e oscure intenzioni. Percepii il tocco degli scienziati sul mio corpo e le lame dei loro bisturi sulla mia schiena. Mi sentivo come se tutto stesse per iniziare daccapo, come se il nastro della mia vita si fosse riavvolto e mi ritrovassi per l'ennesima volta su uno di quei dannati lettini da laboratorio.

Il mio corpo fremette e la mia testa scattò.

Potevo percepire la paura, più concreta che mai, e non esitai ad agire di conseguenza.

Respirando in modo affannato mi drizzai a sedere, indietreggiando il più possibile da quell'uomo e sentendo subito il dolore aumentare in me. Le mie gambe facevano così male che pensai di essere finita all'inferno.

Gridai per il dolore e il terrore e vidi la confusione nascere negli occhi di quell'uomo che subito indietreggiò con le mani sollevate. 
L'uomo pronunciò qualcosa, ma il rumore dei battiti del mio cuore all'improvviso più veloce era ancora troppo forte nelle mie orecchie. Mi mossi ancora e questa volta le fitte non furono clementi con il mio corpo: come se fossi stata appena trafitta da lame affilate, le mie gambe iniziarono a tremare per il dolore senza che riuscissi a controllarle e non osai provare ancora a muoverle, troppo spaventata per le conseguenze. Abbassai lo sguardo sul mio corpo e feci appena in tempo a vedere due assi attaccate ai lati della mia gamba destra che la mia vista si annebbiò, condizionata dai giramenti di testa. Prendendo un profondo respiro e animata dalla necessità di andarmene da quel posto, qualunque esso fosse, provai a piegare le ginocchia per drizzarmi in piedi ed iniziare correre. Solo in quel momento mi accorsi di non riuscire a muovere la gamba destra e la cosa mi terrorizzò.

Mugugnai per il dolore e cercai di muovermi ancora, con pessimi risultati.
"Ferma, ferma... Così peggiorerai e basta, credimi." disse l'uomo, avvicinandosi di qualche passo.
"Non ti avvicinare!" gli gridai, la voce rotta e tremolante, forse per il terrore, forse per il dolore.

L'uomo portò le mani in avanti, come per chiedere una riappacificazione tacita, e per qualche motivo i miei occhi indugiarono su di lui. Iniziai ad analizzarlo per capire se fosse una minaccia o meno e, dopo diversi secondi in cui l'uomo non accennava a muovere un solo muscolo come gli avevo chiesto, decisi di dargli una possibilità per conquistare la mia fiducia dato che, come avevo potuto constatare, le mie gambe erano ancora addormentate, distruggendo il mio tentativo di correre via da quel luogo. "C-Chi sei?" domandai stringendo i denti e lanciandogli un'occhiataccia, per poi guardarmi intorno. Ero in una stanza totalmente in legno, costruita con assi deformi e spesso rotte, vuota praticamente di tutto ad eccezione di due o tre letti improvvisati, fatti di assi in legno e strati di foglie miste a muschio. "Dove caspio sono?" domandai ancora, alzando il tono di voce e suscitando una risatina nell'uomo.

"Certo che voi ragazzi parlate in modo veramente strano." mormorò l'uomo, avvicinandosi a me e scuotendo la testa. "Gli altri mi avevano detto che eri una tipa tosta e be', devo ammettere che svegliarsi in questo modo aggressivo non è da tutti." osservò ancora l'uomo, iniziando a stuzzicare la mia pazienza. "Comunque io sono Matthew e tu sei nel reparto malati, se così si può chiamare. In realtà è solo una casetta in legno costruita di fretta per ospitare i feriti, ma è più di quanto si possa desiderare al momento."
"Dove sono i miei amici?" chiesi, sentendomi via via sempre più confusa.
"Al momento non lo so, ma ti posso assicurare che c'era sempre qualcuno qui con te. Un ragazzo, in particolare, continuava a venire più degli altri. Non so, forse è il tuo ragazzo. Vuoi che lo vada a chiamare?" mi spiegò Matthew con un tono talmente gentile e calmo che capii di potermi fidare di lui, almeno per il momento.
"Ehm... Sì, sì sarebbe gentile da parte tua, grazie." mormorai, cercando di cambiare approccio. Durante tutti quegli anni alla W.I.C.K.E.D. avevo imparato che con le proteste non si risolveva niente, se invece fingevi di collaborare forse le cose potevano anche migliorare. Appoggiai la schiena contro la parete alle mie spalle e sentii il sudore colare sul mio collo.
Matthew annuì sollevato e fece per muoversi verso l'uscita quando qualcuno entrò dalla porta, precipitandosi affannato all'interno della stanza. Sorrisi spontaneamente quando riconobbi la chioma marroncina e arruffata di Thomas.
"Oh, a quanto pare non serve più che io lo vada a chiamare." rise Matthew, salutando con un cenno il ragazzo che, vedendomi sveglia, si tranquillizzò.
Quindi era Thomas quello che era venuto più spesso a trovarmi? 
Strano, io avrei scommesso su Stephen o Gally o magari Minho. Precisò la mia mente, rifacendosi viva dopo tutto quel tempo passato al buio.
"S-Sei sveglia." mormorò affannato il ragazzo, avvicinandosi immediatamente a me e osservandomi attentamente. "Ho sentito urlare. Cos'è successo? C-Come stai?"
"Meglio di te sicuro, Tom." ridacchiai, cercando di nascondere il dolore sul mio volto. "Riprendi fiato, pive."

Thomas arrossì impacciato e si sedette sul 'letto' affianco al mio. Ingoiai il groppo di saliva e, tentando di parlare con voce ferma, domandai: "Da quanto..."

"Ben cinque giorni." rispose immediatamente il ragazzo, senza neanche farmi finire la domanda. "Sei svenuta subito dopo che ti abbiamo cavato da sotto il masso e da allora non hai mai aperto gli occhi." spiegò prontamente, aprendo subito dopo la bocca per aggiungere altro. "A proposito, grazie. Mi hai salvato la vita mentre io me ne stavo lì impalato. N-Non so cosa mi sia preso, i-io..."
"Va bene così, non ti rincaspiare." lo tranquillizzai. "E' stata una cosa istintiva e soprattutto una mia decisione. Se potessi tornare indietro lo rifarei, Tom."
Il volto del ragazzo si spense al suono delle mie parole e il suo sguardo si abbassò ai suoi piedi, diventando triste e angosciato all'improvviso.

Interpretai quella sua reazione come un senso di colpa nei miei confronti e sorrisi per confortarlo. "Te l'ho detto, Tom. Io sto bene e anche tu. Questo è l'importante."
"Sì, n-non era quello." mi corresse subito lui, grattandosi la nuca e lanciando un'occhiata a Matthew che, cogliendo quella richiesta implicita, sobbalzò e si sbrigò a lasciare la stanza, trovando una scusa banale per andarsene. Thomas lasciò trascorrere qualche secondo, giocherellando in modo ansioso con le sue dita, poi, quasi evitando il mio sguardo, si mise a fissare un punto indefinito della parete.
"C'è qualcosa che ti turba?" domandai al ragazzo, morendo lentamente ad ogni secondo che passava. Sentivo che c'era qualcosa, qualcosa di grosso, che non mi stava dicendo, e quell'attesa mi distruggeva. Era capitato qualcosa agli altri?

"Devo confessarti una cosa..." sussurrò Thomas, forse sperando che non lo sentissi.

Tacqui, concentrandomi sulle sue labbra che avevano preso a tremare. 
"Io ho..." la voce del ragazzo si fece debole, tremolante, roca, come se fosse sul punto di piangere.
Dei mormorii fuori dalla stanza fecero scattare Thomas sul posto e confusa seguii il suo sguardo verso la porta, dove ben presto comparvero Stephen e Minho. Entrambi con un'espressione radiosa sul volto. "Ce l'hai fatta, bambolina." esclamò Minho felice, raggiungendomi in due o tre falcate e avvolgendomi in un abbraccio talmente caloroso da togliere il fiato. "Sapevo che avresti aperto quei begli occhietti prima o poi."
"Già, ora levati prima di soffocarla." brontolò Stephen, spingendo con una mano sulla spalla del Velocista. 

"Stai zitto, femminuccia-biondo-tinto." borbottò Minho, lasciando la presa su di me e guardando male Stephen.

Mi erano decisamente mancati. Suggerì la mia mente, centrando nuovamente l'obbiettivo e facendomi sorridere.

"Io non sono una femminuccia e non sono nemmeno biondo, ho semplicemente i capelli bianchi e non sono tinti, credimi." replicò Stephen, chinandosi su di me e sorridendomi sollevato, per poi abbracciarmi impacciato.
"E vorresti farmi credere che sono naturali?"
"Non ho mai detto questo, testa bacata." lo corresse il ragazzo, sollevandosi in piedi e rivolgendomi un'espressione sollevata e felice. "La W.I.C.K.E.D. testava diversi farmaci e strani liquidi su di me. Alcuni mi facevano stare male tutta la notte, altri avevano effetti... discutibili. Uno dei loro intrugli ha fatto sì che i miei capelli perdessero definitivamente colore."
"Woh, fortuna che allora non è toccato a me e ai miei bellissimi capelli." ribattè Minho, accarezzandosi premurosamente la testa. 

Non feci nemmeno in tempo ad elaborare ciò che Stephen aveva appena svelato che un'altra voce catturò la mia attenzione.

"Possiamo, per favore, non nominare più quella... associazione?" chiese Thomas, che fino a quel momento era rimasto in disparte a fissarsi le scarpe imbarazzato. Da quando erano entrati gli altri due sembrava si sentisse fuori posto, come se fosse l'estraneo della situazione.

Minho si voltò di scatto, strinse la mascella e i pugni e gli rifilò uno sguardo totalmente privo di razionalità. Mi spaventai per quel gesto, ma ciò che il ragazzo disse dopo fu peggio. "Perchè? Mi pare che la parola W.I.C.K.E.D. si addica abbastanza a te, non credi?"
"Minho, smettila." lo rimproverò Stephen diventando serio all'improvviso e perdendo ogni traccia di divertimento sul suo volto.

Non riuscivo a capire come quella situazione così leggera e priva di umorismo avesse potuto sfociare in tutta quella tensione, ma compresi che qualcosa non andava tra Minho e Thomas. Qualcosa nel loro rapporto doveva essersi rotto. Qualcosa di grosso doveva essere successo, a giudicare dall'espressione di Minho, e il colpevole doveva essere Thomas, a giudicare dalla sua espressione. Forse era proprio quello ciò che Thomas stava cercando di riferirmi poco tempo prima?
"Cosa..." mormorai confusa, passando lo sguardo da Minho a Thomas in cerca di spiegazioni
Thomas guardò per qualche momento il ragazzo asiatico, poi lo vidi annuire sconfitto e le sue narici si ingrossarono, come se stesse facendo uno sforzo enorme per contenere qualcosa, come rabbia o tristezza, poi si alzò senza proferire parola e strascicò i piedi per tutta la stanza, uscendo in silenzio dalla porta.
"Cos'era quello?" domandai dura, agitando il dito tra Minho e la porta da cui era appena uscito l'altro Velocista. 
Il ragazzo sembrò rilassarsi per un momento, ma potevo ancora percepire la sua rabbia. Il ragazzo mi guardò per un po', quasi come se stesse cercando le parole adatte per rispondermi, ma poi incrociò lo sguardo di Stephen e subito percepii dell'intesa tra di loro, accennata in particolare dallo sguardo curioso del ragazzo dai capelli bianchi. In seguito ad una profonda occhiata, Minho decise di tacere e scosse la testa. "Nulla." mi rispose accennandomi un sorriso e mettendomi una mano sulla spalla. "Scusami, abbiamo solo avuto una piccola discussione su... be', le solite cose. Non preoccuparti per noi, piuttosto pensa a rimetterti in sesto." mi rassicurò il ragazzo, scuotendo la testa. "Mi sei mancata, bella bambolina."
Detto ciò il ragazzo si voltò di spalle e così come aveva fatto Thomas uscì dalla stanza, lasciando me e Stephen soli. Era quasi impossibile dimenticare l'espressione di sconforto e rabbia che aveva ricoperti i volti dei due con così tanta facilità, così decisi di interpellare l'unica persona rimasta in quella stanza: Stephen.
"Okay, o sta per finire il mondo o è successo qualcosa di cui non sono a conoscenza." dissi. "Insomma, Minho che litiga con Thomas e poi mi definisce bella... Cosa diamine gli è capitato?" domandai rivolta al ragazzo, che tuttavia sembrò ignorare la mia domanda. "Stephen?" lo chiamai poi, volgendo il mio sguardo verso il ragazzo che aveva preso a grattarsi la nuca con fare imbarazzato.
"Oh, io mi sono appena ricordato che Hailie deve ancora mangiare." mi informò il ragazzo, incamminandosi verso la porta.
"Non ci provare, amico." lo frenai subito, puntandogli un dito contro. "Ora tu vieni qui e rispondi alle mie caspio di domande."

Il ragazzo arricciò il naso e si morse un labbro, poi però, seguendo mal volentieri le mie parole, si mosse verso di me e si sedette sul mio letto, facendomi percepire il suo tepore. "Hai ragione, necessiti delle risposte, ma... Non sono io a doverti dire cosa è successo tra quei due, okay? E non sono nemmeno tanto stupido da rifilarti una cavolata come risposta, so che capisci quando mento."

"Be' facciamo progressi." ammisi. 
"Anche se, in realtà, non so bene cosa sia successo tra i due. Certo, ho qualche ipotesi, ma..."

"Non ne sei sicuro e non hai intenzione di sbilanciarti e dirmelo." finii la frase per lui.
"Esatto."
Del silenzio calò tra di noi e dopo qualche secondo il ragazzo parlò di nuovo, cercando di scacciare dal suo volto ogni traccia di sentimento negativo. "Bene così. Detto ciò, puoi tempestarmi di domande." rispose il ragazzo, rivolgendomi un sorriso leggero.

Ci riflettei su per diversi secondi, cercando di allontanare la mente da ciò che era appena successo, poi domandai: "Dov'è Gally?" 
L'accenno di sorriso sul volto di Stephen svanì, rimpiazzato da uno sguardo freddo e distante, come se quella mia domanda lo avesse infastidito. "E' nel comitato per l'edilizia. Sicuramente è andato nel bosco a buttare giù qualche altro albero."

Annuii silenziosamente e preferii non chiedergli più nulla riguardo al ragazzo. Era palese che tra i due non scorresse buon sangue ed era meglio non peggiorare la situazione.
"Cosa..." presi un respiro e scelsi bene le mie parole. "Cosa è successo dopo che sono svenuta?"

Le sopracciglia di Stephen si sollevarono e il ragazzo non esitò a rispondere. "Be', ti abbiamo tirata fuori dalle macerie e ti abbiamo trascinata con noi attraverso il Pass Verticale. Thomas non ragionava più quando ti ha vista in quelle condizioni ed ha praticamente perso la testa. Minho e Gally ti hanno trascinata tra la folla chiedendo aiuto ed è arrivato Matthew. Ha detto di essere un medico, almeno prima che la W.I.C.K.E.D. lo catturasse, e che poteva curarti, ma servivano tempo e bende, tante bende."
"E poi?" domandai curiosa, evitando di abbassare nuovamente lo sguardo sulla mia gamba. 

"Ha guardato in che condizioni fossi e... Avevi perso molto sangue e quel masso aveva solo peggiorato la situazione. La tua gamba era..." sentii il ragazzo rabbrividire. 
"Rotta?" suggerii.
"Già..." sbuffò il ragazzo lanciando un'occhiata preoccupata alla mia gamba. "A Matthew serviva qualcosa per tenere ferma la tua gamba e a Minho è venuto in mente che si potevano tagliare due stecche di legno per metterle ai lati della gamba. Poi il resto è stato abbastanza disgustoso..."
"Cioè?" insistetti.
"Dovevano anche ricucire la ferita che aveva lasciato il pugnale e Matthew ha usato ago e filo davanti a tutti." ridacchiò amaramente il ragazzo, cercando di nascondere il suo disgusto. "Thomas ha anche vomitato."
"Solo Thomas? A giudicare dalla tua faccia sembra che anche tu..."
"No." mi interruppe subito. "Diciamo che io ho semplicemente distolto lo sguardo." ammise poi, diventando rosso in viso.
"E dove avete trovato le bende e l'ago?"
"Quando siamo usciti dal Pass Verticale ci siamo trovati in una specie di casotto di legno. Non c'era gran ché, solo un kit medico, qualche ascia, corde e cose di vario genere." spiegò Stephen. "Abbiamo preso tutto quello che c'era da prendere e poi abbiamo dato fuoco al casotto. Giusto per essere sicuri che non sarebbe entrato nessun altro da quel Pass."
Annuii lentamente, poi sorrisi a Stephen e mi mossi lentamente verso di lui. "Aiutami a scendere, voglio vedere com'è qui fuori." 

Senza brontolare il ragazzo mi mise il braccio attorno alle sue spalle e, reggendo la maggior parte del mio peso, mi aiutò a tirarmi in piedi, guidandomi con pazienza verso l'uscita.
Non appena varcai la soglia della porta vidi... verde. Tanto, tanto verde. Erba, alberi, fiori, cespugli. 
Sorrisi e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii veramente felice e sollevata. Ce l'avevamo fatta. Eravamo salvi.

Quando misi piede fuori dalla stanza, dovetti fermarmi ad ammirare. Eravamo in un posto che ci avevano detto non esistere più. Rigoglioso, con tanto verde e vibrante di vita. Ci trovavamo ai piedi di una collina sopra un campo di erba alta e fiori selvatici, cosparso di casette alcune complete altre ancora in fase di costruzione. Le persone camminavano da una parte all'altra di quel luogo, ridendo e parlando felici, alcuni intenti a lavorare alcuni impegnati a schiacciare un pisolino sotto l'ombra di qualche albero. Alla mia destra potevo vedere una vasta distesa di alberi altissimi che sembravano estendersi per chilometri, alla fine della quale c'era una parete di montagne rocciose che si spingeva verso il cielo azzurro e terso. Alla mia sinistra, sorpassa la piccola collina c'erano campi erbosi che si trasformavano dolcemente in una boscaglia e poi in sabbia. E dopo, l'oceano, con le sue grandi onde scure e la cresta che diventava bianca infrangendosi sulla spiaggia.

Il paradiso. Eravamo in paradiso.
"Quanti siamo in tutto?" domandai a Stephen, incrociando il suo sguardo altrettanto felice.
"Quasi duecento."
Duecento. Ripetei nella mia mente. 
Mancava solo una persona a rendere tutto quello perfetto: Newt.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > The Maze Runner / Vai alla pagina dell'autore: Inevitabilmente_Dea