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Autore: ten12    23/04/2017    1 recensioni
"Esistevano cinque ordini dello spirito. Alcuni di essi hanno assunto, nel tempo, l'aspetto di casate. Ogni ordine viveva in armonia con la natura ed infondeva il corpo dei suoi accoliti con il respiro dei cinque dei. Il loro obiettivo era proteggere e governare secondo i costumi e le caratteristiche della divinità protettrice. Ma negli anni gli ordini persero la loro purezza e divennero altro, opprimendo i sudditi ed uccidendosi tra loro. Finché la ribellione non scoppiò. Oggi, come sapete, l'ordine dell'Aquila, che magari voi chiamate famiglia, è distrutto e dalle sue ceneri è nato l'impero dei comuni e, come alcuni dei miei lettori forse sapranno meglio di me, esso sta battendo alle nostre porte avido di potere..." Estratto dal libro "La nascita del terrore" di joguntas Wart.
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Parabellum'
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Partenza

 

 

Lykta rigirò pensieroso l'elsa di Verztand nella mano destra. Le prime luci dell'alba, riflesse sulla superficie ghiacciata del lago, iniziarono ad accecarlo. L'occhio di Kjita era il posto preferito di Kerint. Se non trovava il fratello nel palazzo per raccontargli della sua giornata sapeva di poterlo trovare lì: dov'era ora. Sentì che, centinai di metri sotto di lui, stavano finendo i preparativi per la partenza. Quando Kerint era in vita l'aveva invidiato, ooooh se l'aveva invidiato. Ed una delle cose che aveva invidiato, oltre alla sua schematicità e sicurezza, era stato il fatto che il padre aveva rigorosamente portato lui ai richiami. A tutti i richiami. Lykta invece era sempre rimasto a casa, perdendosi nelle mutandine di qualche servitrice magari, magari più di una. Fingendo con se stesso di essere soddisfatto, di stare persino meglio così. Ora toccava a lui però ed il ragazzo non voleva andarci. Non riusciva ancora a capire come avesse fatto il padre a rimanere così freddo con tutti. Si era chiuso nelle sue stanza con i suoi generali. Non aveva parlato nemmeno con la mamma. Jatog fece capolino da sotto la botola delle scale "Stiamo andando" Lykta si perse ancora per qualche secondo nel panorama. Il sole risaliva la china della cima, rilucendo attraverso i venti. Oltre il lago, oltre la china, venti e nebbie piombavano giù e risalivano vorticosamente in uno schiocco di dita. La cascata del lago, che in estate accompagnava quella danza con il suo rombo, si era ghiacciata tre mesi prima. Non aveva voglia. Non era il suo posto quello, al fianco del padre. Per fare cosa: lo zimbello della spedizione? Lui, dei due fratelli, era sempre stato il "rumoroso". Odiava persino andare a cavallo. Se non era una donna non voleva niente tra le sue gambe "Arrivo" rispose Lykta. La botola si chiuse rumorosamente.

 

"Se aggiustiamo la rotta così...dovremmo farcela in tre quarti di nottata più o meno. Vento in poppa, debole ma sempre meglio del nulla" Fuori dalla cabina e dalla nave le stelle si riflettevano sull'acqua. Godwyn ascoltava Terzo, il suo navigatore, fissandolo. Lo guardava così da circa un minuto. Non aveva proferito parola. Il navigatore, dal canto suo, aveva cautamente evitato di alzare lo sguardo e si era limitato a riferire a pappagallo la rotta studiata. Godwyn capì l'andazzo "È una buona rotta ma le tue informazioni sono datate" puntò un dito su una zona della carte ed aspettò che Terzo alzasse lo sguardo con un'espressione interrogativa. Il navigatore continuò a fissare il dito "Il rapporto che hai consultato è quello delle cinque?" Terzo annui continuando a studiare la mano del capitano "Be è vecchio. Ne hanno fatto uscire un altro alle sette che riferiva di venti forti di bolina e traverso qui e qui" Godwyn indicò altre due aree sulla mappa "Non ci serviranno tre quarti di nottata ma uno" Terzo annui convinto e con più vigore, senza alzare la testa. A Godwyn scappò mezzo sorriso "Sono contento di vederti così zelante. Trasportare quella ventina di casse vi ha fatto bene?" Terzo smise di annuire come un cretino "Magari le potete scaricare e ricaricare quando arriviamo ad Istrid" Terzo aprì la bocca e tracciò una linea sulla carta. Voleva parlare della rotta. Godwyn non glielo lasciò fare "Oppure meglio ancora tu ed Assex venite con me a bere in una taverna degli ufficiali e mi raccontate cos'è successo. Ottimizziamo quei due quarti di nottata" Terzo fissava ostinatamente il suo dito rimasto fermo sulla carta. Un sorriso imbarazzato gli curvò le labbra "Per me non ci sarebbero problemi capitano" Godwyn non gli indorò la pillola "Allora qual'è il problema" Terzo alzò lo sguardo stanco "Non è che sia io a dovergliela dire la storia"

 

Joguntas sentì la nave muoversi sotto il sedere. Erano partiti. Posò il compasso e la matita sul foglio. Si tolse gli occhiali pettinandosi la barba con l'altra mano. Si sentì più giovane. Quella era un avventura dopotutto. Ebbe una fitta agli occhi e se li stropiccìo, tornando vecchio. Si rimise gli occhiali e cercò la candela accesa con lo sguardo. Era poco oltre la metà. Si preparò all'idea di alzarsi e girò sullo sgabello per studiare il suo disordine ordine. Forse non aveva tirato fuori le candele dalla borsa da viaggio. Si maledisse con una pacca sulla fronte e si alzò in piedi. Uscì strascicando piedi e ciabatte. La nave intorno a lui cigolava e scricchiolava dolcemente. Il professore sentì la ciurma di Godwyn russare vorace nelle brande alla sua sinistra. Si domandò chi era rimasto al timone. Vista la classica insonnia probabilmente gli avrebbe fatto visita. Raggiunse le scale della stiva. Scese lentamente, appoggiato alla paratia della nave. Vide le sue cose alla fine della stiva. Passò accanto ai barili di polvere da sparo stando appiccicato al lato opposto. La luce della candela si stava affievolendo. Trovò la borsa di tela rossa. Frugò dentro alla cieca. Sfiorò le tre penne regalategli dai colleghi e si ricordò di barattarle per la torta di mele dell'assistente Elerik al ritorno. Toccò qualcosa di liscio, piacevole e quasi soffice. Non gli venne in mente nulla. Tirò fuori l'oggetto, dimenticando le candele. Era un medaglione. Un vecchio regalo di un uomo morto. Era appartenuto ad un membro dell'ordine dell'Aquila. Un esploratore. Un uomo molto più saggio di Joguntas. Un amico. Il professore avvicinò la candela per vedere meglio le sue condizioni. La luce, sempre più smorzata, danzò debolmente sull'incisione della pallina di metallo. Un sorriso amaro increspò le labbra dell'insegnante. Joguntas riprovò quella sensazione difficile. Si risentì inutile. Non cercava di fingere con se stesso di non esserlo stato. Erano le Aquile il metro di comparazione. Come docente ed intellettuale non c'era paragone. Uomini e donne geniali, abili e corretti. Tre peculiarità difficili da trovare dopo....dopo che quel mondo aveva smesso di farne di persone così. Joguntas rimise la decorazione nella borsa. Si era depresso abbastanza per quella serata. Cercò velocemente un'altra candela e la estrasse. Pensò di andare su a chiacchierare con il timoniere. Aveva bisogno di distrarsi. Non si era ancora accorto della figura mutaforma che lo fissava dall’oscurità dell'altro lato della stiva.

   
 
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