Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: WillofD_04    24/04/2017    5 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Tocca a te» comunicai annoiata a Shachi, appoggiando la schiena al parapetto del ponte e sorseggiando il drink che Ryu aveva gentilmente preparato per me. Non c’era il vino dentro, ma era pur sempre meglio di niente. Quel giorno avevo davvero bisogno di bere qualcosa di alcolico che mi annebbiasse i pensieri almeno per una mezz’ora.
L’orca guardò le carte che aveva in mano e quelle che erano in “tavola” con una faccia estremamente concentrata. Assottigliò gli occhi e si morse il labbro, indeciso sul da farsi.
«Su, muoviti, che non abbiamo tutto il giorno!» si spazientì Penguin.
«Stai zitto, idiota! Questo è un gioco che va affrontato con calma, bisogna riflettere! Ah già, dimenticavo che tu non puoi farlo perché non hai un cervello!» gli urlò l'altro, irritato.
Il pinguino tirò un pugno al braccio del suo compagno. Alzai gli occhi al cielo. Era sempre la stessa storia. Anzi che questa volta nessuno aveva tentato di sbirciare le carte a qualcun altro. Quei due avrebbero fatto di tutto pur di vincere, ma io non glielo avevo e non glielo avrei mai permesso.
«Ti decidi a tirare questa cazzo di carta, per amor del cielo!?» gridai all’improvviso, parecchio infastidita dalla lentezza con cui Shachi compiva le mosse.
Tutti i miei compagni presenti sul ponte si voltarono a guardarmi, sconcertati. Li fissai uno ad uno con sguardo estremamente truce. Compresero alla svelta che sarebbe stato meglio per loro se fossero tornati a fare ciò che stavano facendo fino a pochi secondi prima. Ero sicura che tutti avessero notato che quel giorno qualcosa non andava, ammesso che non fossero stati ad origliare il litigio furioso avvenuto tra me e il capitano, di cui tra l’altro portavo ancora i segni sul collo. Erano lividi lievi, la pelle era appena un po’ arrossata e non si vedevano tanto, ma un occhio attento, come il mio o quello di qualche altro dottore, se ne sarebbe facilmente accorto, qualora ci fosse soffermato. Tuttavia l’unica cosa che al momento non volevo che i miei compagni notassero era la borsa piena di vestiti ed effetti personali che giaceva immobile sul mio letto. Non avevo ancora deciso cosa fare e per il momento speravo di riuscire a rilassarmi un po’ facendo quello che a quanto pareva mi riusciva meglio. Bere e giocare a carte.
«Forse è meglio se bevi un altro po’ di quello» azzardò l’orca, indicando il bicchiere accanto a me, ormai quasi vuoto.
Alzai un sopracciglio. «State cercando di farmi ubriacare per vincere la partita?» indagai, scettica. «Perché non funzionerebbe comunque. Potrei battervi ad occhi chiusi, per quanto siete scarsi» affermai poi.
«Ah, quanto mi manca Marco...almeno con lui era divertente giocare a carte» bisbigliai a me stessa, cosicché nessuno sentisse, bevendo un altro generoso sorso del drink. Era buono. Sapeva di mango e ananas. Un’altra cosa che mi riportò alla mente la Fenice.
«No, non lo faremmo mai!» si difese Shachi «io lo dicevo perché un po’ d’alcol forse ti aiuterebbe a distendere i nervi» mi spiegò cautamente.
Aveva ragione. Avevo davvero bisogno di distendere i nervi e calmarmi un po’. Ero ancora agitata per l’accesa discussione che avevo avuto con Law quella mattina e supponevo che l’arrabbiatura non mi sarebbe passata presto. Per rimettere a posto le cose, ammesso che sarebbero tornate a posto, ci sarebbe voluto più di qualche giorno. E delle semplici scuse, che fossi stata io a scusarmi oppure lui, non sarebbero bastate. Per fortuna nel primo pomeriggio era partito con una delle scialuppe ed era andato sull’isola. Non sapevo per quanto ci sarebbe rimasto, ma almeno avrei avuto qualche ora di tranquillità. La cosiddetta quiete prima della tempesta. Mi avrebbe cacciato dal sottomarino? Si sarebbe scusato? Avrei deciso io di andarmene? O avrei ceduto e gli avrei chiesto scusa? Non potevo saperlo. Si sarebbe deciso tutto durante la resa dei conti decisiva.
«E tira questa benedetta carta!» urlai, indicando con il palmo della mano il pavimento dove c’erano le altre carte calate in precedenza.
I miei due momentanei avversari si guardarono tra loro, perplessi e anche un po’ impauriti, poi Shachi finalmente si decise a fare la sua mossa.
«Tsk. Sei stato un’ora a pensare a cosa fare e alla fine che hai fatto? Hai pescato. Sei proprio un idiota» lo derise il suo compagno.
Iniziò un altro battibecco. Quei due a tratti erano peggio di Zoro e Sanji.
«Fatela finita» intimai loro molto fiaccamente, sapendo che non mi avrebbero ascoltato comunque. Posai le carte che tenevo in mano accanto al drink. Ci sarebbe voluto un po’ prima che quei due avessero smesso. Non si poteva giocare così.
Appoggiai il mento sulla mano ed iniziai a vagare con la mente, con in sottofondo le urla dei due imbecilli. Chissà che stava facendo Rufy. Chissà se lui e la sua ciurma stavano bene. Chissà se avevano sconfitto Jack. Era da tanto che non avevo più loro notizie. Sapevo – e confidavo – che prima o poi ci saremmo rivisti, dopotutto l’alleanza era ancora in piedi, ma mi chiedevo quanto ci sarebbe voluto prima che ciò accadesse. Ora che la situazione era quella che era, sentivo più che mai il bisogno di rivederli.
Mi portai indice e medio al colletto della divisa ed iniziai a tirarlo con un’espressione infastidita sul viso. All’improvviso mi sembrava troppo stretto, cominciavo a sentire caldo. Ora capivo la sofferenza di Bepo. Sebbene fossimo lontani dalla costa di Kaitei, il clima estivo ed afoso dell’isola si faceva sentire anche sul sottomarino. Il sole picchiava cocente sulle nostre teste. Caldo, sentivo caldo. Incominciai a sventolare la mano davanti alla faccia per farmi aria. Tutto ad un tratto mi accorsi che stavo sudando. Dovevo fare qualcosa o mi sarei squagliata. Non riuscivo a respirare. Sentivo la pelle bruciare nel punto in cui poco prima mi avevano toccato le dita di Law. Era come se mi avesse lasciato delle impronte roventi sul collo. Mi slacciai la cerniera della divisa fino all’ombelico e mi sfilai le maniche. Ero praticamente rimasta in reggiseno, ma non importava.
«Cami, stai bene?» mi chiese Penguin, che aveva interrotto la discussione con l’amico a causa del mio strano comportamento.
«Ti sembra che io stia bene!?» gli urlai, in preda all’isteria.
«Forse il troppo lavoro ti ha dato alla testa. Dovresti andare a riposarti un po’» mi consigliò Shachi, anche lui leggermente impensierito.
«Ha ragione. Rischi l’esaurimento nervoso di questo passo» gli diede man forte l’altro.
«Fatela finita con queste stronzate. Io sto...» mi fermai un secondo, consapevole che la parola che stavo per dire era totalmente incoerente e assurda «bene» dissi infine, sospirando.
«Se lo dici tu...» fece il pinguino, poco convinto.
Presi un respiro profondo. «Dai, riprendiamo la partita» li incoraggiai.
Sarebbe stato un lungo pomeriggio, anche senza Law.
 
«E con questa fanno tre vittorie di seguito» dissi io, sghignazzando e mimando con le dita il numero di volte in cui avevo sconfitto i miei compagni. Recuperai il mio drink – il terzo di quella giornata – e feci per portarmelo alle labbra, ma purtroppo non fui abbastanza svelta.
«Ehi!» protestai. Penguin mi aveva strappato il bicchiere dalle mani con faccia stizzita ed ora stava tranquillamente prosciugando il suo contenuto. Sbuffai e lo colpii ripetutamente al braccio finché non si decise a restituirmi il cocktail. Storsi la bocca quando mi accorsi che dentro c’era rimasto solo il ghiaccio.
«Ragazzi...» ci richiamò all’improvviso uno dei nostri compagni «venite a vedere...quella non è Maya!?».
Maya? Perché stava tornando? Non sarebbe dovuta rientrare così presto. Mi alzai ed insieme agli altri mi precipitai verso la ringhiera. In mezzo all’immensa distesa blu, una piccola scialuppa di legno navigava verso il sottomarino.
«Mi sbaglio o c’è qualcuno con lei?» chiese uno degli spettatori.
«Ma chi è?» domandò un altro.
«Sembra un ragazzo...non mi pare di averlo mai visto prima» commentò un terzo.
Mi alzai in punta di piedi – come se così facendo potessi vedere meglio – e assottigliai gli occhi.
«Oh, stai a vedere che Maya si è trovata un fidanzato...» piagnucolò Penguin, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Omen.
«Che disgrazia...» commentò Shachi.
Di sicuro quei due avevano qualche problema mentale. Ma non avevo tempo per analizzare le loro turbe mentali. La cosa mi puzzava. C’era qualcosa che non andava, senza dubbio.
Aspettammo che la scialuppa si avvicinasse un po’ di più e quando fu ad una decina di metri da noi, inorridimmo. Omen scattò. Lo dovettero tenere in tre per evitare che si tuffasse in mare per soccorrere la sua amica.
«Presto! Tiriamola su!» gridò qualcuno. Gli addetti al recupero delle scialuppe si mobilitarono e in un paio di minuti Maya e il ragazzo sconosciuto furono sul ponte. Entrambi sanguinavano parecchio, ed il giovane sembrava sotto shock. Per fortuna la mia amica era sveglia e sapeva mantenere la calma anche nelle situazioni più critiche, per cui non ci fu bisogno di chiederle niente. Parlò da sola.
«La Marina...» ansimò Maya, tenendosi il costato «La Marina è qui. C’è una nave da guerra ormeggiata a Sud-Est, poco distante dalla costa e da noi! Kizaru...Kizaru ha riconosciuto le nostre divise e ci ha attaccati» continuò poi con fatica.
«Kizaru!? Mi vuoi dire che sull’isola c’è anche Kizaru!? Merda! Siamo fottuti!» gridò Penguin.
«A quanto pare ha ricevuto l’ordine di uccidere Law e tutti noi con lui» sussurrò la mia amica, ormai allo stremo delle forze «quel pazzo quando ci ha attaccati ha colpito anche dei civili per sbaglio» continuò, con un'espressione disgustata «salvate questo ragazzo...» ci supplicò; e questo fu tutto ciò che riuscì a dire prima di svenire.
Tutti i Pirati Heart presenti sul sottomarino andarono in confusione. Bepo correva da una parte all’altra del ponte gridando come un forsennato, Omen aveva una agitazione addosso che non gli avevo mai visto prima, nemmeno in battaglia, ed era andato ad aiutare la sua amica, non senza una buona dose di preoccupazione. Shachi e Penguin imprecavano come se fossero due camionisti turchi. E poi c’ero io, che in mezzo a quel marasma ero rimasta immobile. La Marina? Kizaru? I compagni feriti? Non riuscivo a pensare a niente di tutto ciò. Non riuscivo a preoccuparmi di niente. L’unica cosa che mi era venuta da pensare era che era tutta colpa delle divise se Maya era stata ferita. Mi ci volle buona parte della mia forza di volontà per trattenere il sorriso che avrei voluto fare. Un ghigno arrogante, che solo i vincitori si possono permettere. A quanto pareva non era infallibile nemmeno il tanto temuto e rinomato Chirurgo della Morte. Gliel’avrei rinfacciato fino a che nel mio corpo ci fosse stata vita, a quel bastardo. Quindi forse per poco, vista la situazione e considerato il fatto che molto probabilmente mi avrebbe ucciso al suo ritorno.
Decisi che avrei avuto tutto il tempo di chiedermi che cosa non andasse in me dopo. Prima dovevo soccorrere i feriti. Bepo si fermò davanti a me, in preda al panico. Mi prese per le spalle e mi scosse abbastanza violentemente.
«Che facciamo!? Che facciamo!? Il capitano non c’è! È in pericolo anche lui! Dobbiamo salvarlo! Oddio, che facciamo!?» strillò, prendendosi il viso tra le mani ed assumendo una posizione simile a quella che si poteva ammirare nel dipinto “L’Urlo” di Munch. Gli diedi un ceffone ben assestato.
«Ora calmati» gli intimai. «Calmatevi tutti» dissi poi, ad alta voce così che tutti potessero sentirmi. Inspiegabilmente i miei compagni si calmarono e si misero in ascolto. Dovevo pensare ad una soluzione molto rapidamente.
«State lontani da me, luridi pirati!» gridò il ragazzino con odio e in totale confusione. Si reggeva in piedi per miracolo e si teneva l’occhio sinistro con una mano. Dal suo viso gocciolava una copiosa quantità di sangue.
«Sedatelo» ordinai, a qualcuno di indefinito. Non avevamo tempo per stare dietro ai capricci di un ragazzino.
Quel folle di un Ammiraglio aveva colpito degli innocenti cittadini. Che l’avesse fatto per sbaglio o no, era veramente un idiota. Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo e fargliela pagare. Fino a dove si sarebbe spinto il Governo Mondiale pur di fare fuori persone ritenute pericolose? Eppure c’era qualcosa che non mi tornava. Perché Kizaru? Non era Fujitora quello incaricato di portare al Quartier Generale le teste di Rufy e Law? Che si fosse rifiutato di adempiere ad un tale compito? Scossi la testa, cercando di non pensare al decadimento a cui stava andando incontro quel mondo e agli enigmi che vi si celavano dietro. Non era il momento.
«Chiunque sia esperto di primo soccorso porti i feriti in infermeria ed inizi a curarli, io vi raggiungerò a breve» esordii, una volta che il sedativo ebbe fatto effetto sul ragazzo. Stranamente mi diedero retta ed un gruppetto di persone si diresse in infermeria con i feriti.
«Bepo, hai una mappa dell’isola?» chiesi poi rivolta al navigatore. Dovevo cercare di rimanere calma e mostrarmi sicura, o sarebbero andati nel panico un’altra volta e a quel punto la situazione sarebbe peggiorata ulteriormente, probabilmente diventando irrecuperabile.
L’orso annuì.
«Ok, fammela vedere» gli imposi. Lui corse subito a prenderla sottocoperta. Ci serviva assolutamente un piano B, considerato che saremmo andati nella tana del lupo se avessimo seguito quello originale. Evidentemente sapevano quali erano le nostre intenzioni. Una cosa così non si azzecca per puro caso. A quanto pareva erano molto più preparati loro di quanto lo eravamo noi. Quando il Visone tornò, circa trenta secondi dopo, la srotolammo sul pavimento del ponte e la studiammo insieme. Dovevamo agire in fretta o non ci sarebbero stati superstiti.
«Con il capitano eravamo d’accordo che li avremmo aspettati a Sud-Est, esattamente dove siamo ora» mi annunciò Bepo «c’è una baia ad Ovest, potremmo andare a prenderli lì» propose, tracciando la rotta sulla mappa con il dito. Tutti i presenti annuirono.
«Dobbiamo avvertire il capitano del cambio di piano» affermò Jean Bart «vado a prendere il lumacofono»
«No» lo fermai. Lui mi guardò interrogativo.
«Non possiamo utilizzare il lumacofono. Kizaru ne porta uno nero sempre al polso» spiegai, calma. Ringraziai i miei neuroni, che in quel momento così delicato e particolare avevano avuto quella geniale intuizione e si erano ricordati del piccolo Den Den Mushi che aveva a disposizione l'Ammiraglio per le intercettazioni.
«Merda. Sarebbe un suicidio» commentò Penguin.
«Sì, ma allora come lo avvertiamo?» chiese Bepo, che stava ricominciando ad agitarsi.
Seguirono momenti di silenzio, interrotti da sospiri angosciati. Abbassai la testa e cercai di concentrarmi. Non potevamo perdere altro tempo. L’Ammiraglio con cui avevamo a che fare aveva un potere che lo rendeva veloce come la luce. Nel tempo che stavamo impiegando per elaborare una strategia, quell’uomo poteva aver distrutto l’intera isola ed essersi preso un caffè. In più, in quanto unico medico presente a bordo al momento, dovevo andare al più presto a curare i feriti, che erano messi piuttosto male.
«Andrò io» annunciai all’improvviso. Tutti spalancarono gli occhi. «Senza cintura nessuno può vedermi, a parte il capitano» chiarificai.
«È troppo pericoloso» si espresse Jean Bart.
«Sei sicura di potercela fare?» mi domandò Bepo, apprensivo.
Annuii, seria. «Posso farcela. Kizaru non può vedermi e l’isola non mi sembra così grande. Li troverò e li riporterò qui sani e salvi» affermai, sorridendo lievemente.
Bepo si commosse e mi abbracciò. «Grazie, Cami» mi sussurrò tra un singhiozzo e l’altro.
Sospirai mentre l’orso mi si strofinava addosso. In cosa mi ero andata a cacciare? E perché, poi?  Pregai qualsiasi divinità di darmi una mano, o nessuno ne sarebbe uscito vivo.
 
«Sia Maya che il ragazzo vanno operati» comunicai a tutti quelli che al momento si trovavano in infermeria.
«Ma Jean Bart ha detto che...» iniziò Penguin, che fu subito interrotto.
«Sì, lo so che cosa ha detto Jean Bart. Ma non possiamo aspettare. Il raggio laser di Kizaru ha perforato un polmone a Maya, mentre questo ragazzo potrebbe aver riportato delle lesioni al nervo ottico»
«Quindi come hai intenzione di fare?» chiese Shachi, più razionale del suo amico.
«Faremo l’intervento senza macchinari» annunciai. Ero piuttosto titubante sulla ragionevolezza delle mie parole, ma cercai lo stesso di mostrarmi seria e risoluta «Sono tutte e due operazioni relativamente semplici, non servono per forza strumenti elettrici. Posso eseguirle manualmente, ma i degenti hanno lesioni che vanno trattate subito» aggiunsi, cercando di dare delucidazioni al resto della ciurma sulla procedura che avremmo dovuto seguire.
Ero stata fino a quel momento ad analizzare i pazienti. Avevo dovuto formulare una diagnosi molto in fretta, considerato che i tempi erano stretti, ma se non li avessimo operati subito avrebbero potuto riportare danni permanenti o addirittura morire. Era vero, operarli praticamente senza elettricità era un rischio enorme, ma era l’unica opzione che avevamo se volevamo salvarli. Jean Bart ci aveva detto che da qualche mese a questa parte, la Marina aveva sviluppato una tecnologia sonar molto avanzata, che permetteva alle navi di identificare sott’acqua, anche ad un’elevata distanza, qualsiasi cosa avesse emesso il minimo rumore. Perciò non sarebbe dovuta volare una mosca – letteralmente – all’interno del sottomarino in quel lasso di tempo o ci avrebbero spediti in fondo al mare a fare da cibo per i pesci. L’energumeno in sala macchine stava aspettando solamente che noi gli dessimo l’ok per immergersi e procedere verso la baia ad Ovest.
«Cosa!? Ma sei matta!? Non puoi farlo!» protestò Penguin.
«No, no, no, no. Non ti lascerò operare Maya sapendo che potrebbe morire da un momento all’altro senza che tu nemmeno te ne accorga» sputò Omen.
Serrai la mascella e spostai il peso del corpo da un piede all’altro. Adesso capivo quanto in realtà fosse duro e stancante il lavoro di un capitano.
«Statemi bene a sentire, tutti quanti. Nel momento in cui sono piombata qui, in questo mondo, nessuno mi dava un soldo di fiducia. Nessuno. Sono sopravvissuta un anno e mezzo. Sono sopravvissuta agli addestramenti di Bepo, alla pazzia e al sadismo di Law, alla pulizia dei bagni. Ho salvato delle vite e sono quasi morta. Ma sono ancora qui, contro ogni probabilità. Perciò, oggi, ho bisogno di avere accanto gente che crede in me. Perché sto per fare una cosa molto rischiosa e molto stressante che in pochi hanno fatto fino ad ora. Quindi, tutti quelli che non credono in me o che non sono d’accordo con la mia decisione, escano dall’infermeria. Ho bisogno di avere persone positive al mio fianco.» dichiarai molto solennemente, come se stessi per andare in guerra. I miei compagni mi fissavano attoniti. Non si aspettavano che potessi fare un discorso del genere. «E fareste meglio a non rompermi ulteriormente le palle, perché oggi non è proprio giornata!» gridai poi, sull’orlo di una crisi isterica. Tuttavia dovetti prendere un respiro profondo, farmi forza e non dare di matto davanti a quella marmaglia di gente che già non aveva un briciolo di fiducia in me.
«E tu» mi voltai verso Omen «apri bene le orecchie. Non sei un medico. Io sì. Capisco la tua preoccupazione, è un intervento semplice che in questo modo diventa estremamente rischioso e anche io sono preoccupata, per non dire che me la sto facendo sotto. Ma se non facciamo qualcosa, e alla svelta anche, la tua preziosa Maya morirà lo stesso. E comunque non sei tu a dover decidere, perché ti ripeto, non sei tu il medico» glielo dissi fissandolo negli occhi quasi con sprezzo e lui rimase in silenzio. Non ebbe nulla da ribattere nemmeno dopo un po’.
«Ora con permesso, avrei delle vite da salvare» affermai, uscendo dall’infermeria «Nel frattempo voi pregate che il capitano e il resto dei nostri compagni stiano bene» raccomandai loro, per poi sparire nel lungo corridoio che conduceva alla sala operatoria.
Lo show sarebbe cominciato a breve. E sarebbe stato un successo o...un totale disastro.
 
Era fatta. Uscii dalla sala operatoria asciugandomi il sudore della fronte con la manica della divisa, poi cestinai mascherina e guanti. Osservai i miei compagni mentre facevano sfilare davanti a me i lettini dei pazienti per riportarli in infermeria. Per fortuna erano vivi e stavano bene. Li avevo salvati. Avevo compiuto un'impresa che ai miei occhi – e anche agli occhi degli altri – sarebbe stata impossibile da compiere. Certo, non era stato facile e c’erano stati un paio di intoppi lungo il percorso. Per mezz’ora – il tempo che ci era voluto ad arrivare alla baia – eravamo stati senza macchinari in sala operatoria. In quel lasso di tempo era successo di tutto. Shachi e Penguin mi avevano assistito e fatto da monitor umani. Questo voleva dire che per tutto il tempo in cui avevo operato “alla cieca”, avevano tenuto le loro dita sui rispettivi polsi dei pazienti. Anni e anni passati al fianco di Law avevano dato loro la qualifica necessaria per farlo. Dopo venti minuti, l’orca mi aveva fatto cenno di controllare il battito di Maya, perché c’era qualcosa che non andava. Fortunatamente ero riuscita a scongiurare il peggio, ma il come rimane un mistero perfino per me. Circa cinque minuti dopo, come se non bastasse, io e Shachi avevamo dovuto eseguire una manovra molto delicata. Il pinguino stava per starnutire. E i suoi starnuti, quando ci si metteva, erano così forti che persino la mia famiglia avrebbe potuto sentirli. Perciò, con un intervento fulmineo, io gli avevo tappato il naso mentre il suo amico aveva provveduto a coprirgli la bocca con la mano. Era stata la mezz’ora più lunga della mia vita. Ed era stata anche la mezz’ora in cui avevo mentalmente imprecato di più. Ma tutto era andato per il meglio. Avevo riparato il polmone della mia amica ed il ragazzo dal nome sconosciuto non aveva subito danni al nervo ottico. Avrebbe vissuto una vita lunga e sana e avrebbe potuto vederla scorrere con entrambi i suoi occhi. Avevo dovuto arrangiarmi come meglio potevo, ma ce l’avevo fatta lo stesso e con le mie sole forze, senza una guida e senza strumenti elettrici per i primi trenta minuti.
Ero stata in sala operatoria per cinque lunghe ore ed ero estremamente soddisfatta di quello che avevo fatto. Incrociai le braccia e sorrisi. Ero stanca ma felice. E in quei minuti in cui rimasi in piedi appena fuori dalla sala, mi dissi che era questo il motivo per cui facevo quello che facevo. Questi erano i frutti di tutte le mie fatiche. Salvare vite. Salvare preziose vite umane. E non potevo assolutamente rinunciare al mio sogno. Perché questo, per quanto fosse stressante ed impegnativo, era quello che mi piaceva fare. Era quello che volevo fare, e che mi faceva stare bene. E cominciavo a pensare e a capire che forse era proprio questa la mia vocazione. Ero nata per fare il chirurgo. Ancora una volta, Law ci aveva visto lungo.
«Sei stata grande oggi» mi fece sapere Penguin, dandomi una piccola pacca sulla spalla.
«Un vero fenomeno!» aggiunse Shachi facendo lo stesso.
Abbassai la testa, un po’ imbarazzata da tutti quei complimenti e in parte anche per nascondere il sorriso a trentadue denti che mi era inevitabilmente scappato. Tuttavia il momento idilliaco durò poco.
«Ragazzi!» ci gridò Bepo correndoci incontro a gran velocità. Provammo a spostarci, ma non ci fu nulla da fare. Ci saltò addosso con una tale foga che cademmo all’istante tutti e quattro.
Tra imprecazioni, insulti vari e pianti commossi, riuscii a sentire – anche perché l’aveva praticamente urlato – il Visone che ci annunciava che il capitano e il resto dei medici avevano fatto ritorno al sottomarino e che stavano tutti bene. A causa della durata dell’operazione, alla fine non ero potuta sbarcare per avvisare il chirurgo del cambio di programma. Un po’ mi dispiaceva di non aver potuto fare l’eroina della situazione, ma ero molto sollevata di essere scampata ad una sorte infausta. E poi, in un certo senso ero comunque stata l’eroina della situazione. Il mio intervento su Kaitei sarebbe stato lo stesso inutile, visto che Law si era intestardito che sarebbe rimasto finché non avesse finito di fare quello per cui era sbarcato. Non conoscevo i dettagli, né come fosse andata a finire con Kizaru, ma non mi interessava sapere nulla. Mi bastava sapere che i miei compagni stessero bene.
Mi tolsi di dosso l’orso e tutta la sua pelliccia e mi rialzai, sputacchiando peli. Era stata una giornata lunga e difficile, ma tutto sommato bella; e adesso che avevo la certezza che tutti stessero bene, dato che non potevo contare sul vino, volevo solo stendermi un po’ sul letto, riposarmi e bearmi dei risultati ottenuti.
 
«Cami» mi chiamò Omen proprio mentre abbassavo la maniglia della porta di camera mia. Chiusi gli occhi, ritirai in dentro le labbra e strinsi il pugno della mano libera. Adesso che voleva? Perché c’era sempre qualcosa o qualcuno che mi impediva di andare a stravaccarmi sul letto?
Mi girai verso di lui e lasciai andare la maniglia con grande disappunto. «Sì?»
Prese un respiro profondo. «Grazie per aver salvato Maya» mi disse in tono dolce «mi dispiace di aver dubitato di te» aggiunse, rammaricato.
Non dissi niente. Mi limitai a posargli delicatamente una mano sulla guancia e a sorridergli. Dovevo ammettere che la tentazione di tirargli un calcio nei cosiddetti, qualche ora prima, era stata tanta, ma supponevo di potermi lasciare tutto alle spalle. Il punto era: avrei potuto farlo anche con Trafalgar Law? Mi voltai verso la porta, la spalancai e me la richiusi alle spalle. Vedere il letto fu come avvistare un’oasi in mezzo ad un deserto. Invece che lanciarmici sopra come avevo pianificato, però, feci una cosa che stupì anche me. Mi tolsi finalmente la mia tanto odiata divisa e rimasi in canottiera e mutande. Le stesse mutande con l’orca e il pinguino disegnati sul retro che mi avevano regalato Shachi e Penguin. Poi presi il telefono, attaccai le cuffiette, alzai il volume al massimo ed iniziai a saltare sopra al materasso e a ballare scompostamente sulle note di “Girl on fire” di Alicia Keys. Ero proprio una ragazza in fiamme, come diceva la canzone. In quel momento, in quel preciso momento, mi sentivo come se nessuno potesse fermarmi. Ero inarrestabile. Durante gli ultimi versi, mi inginocchiai, alzai le braccia e mimai le parole agitando il sedere. E fu solo in quel momento che dietro di me intravidi una macchia bianca indefinita. Mi voltai e spalancai gli occhi. Shachi aveva aperto la porta ed ora mi fissava con aria estremamente perplessa. Con una mossa fulminea mi rigirai e mi misi a sedere sul letto con le gambe incrociate, cercando di darmi una parvenza di compostezza.
«Che diavolo stavi facendo?» mi chiese l’orca, corrugando le sopracciglia.
Boccheggiai. Non sapevo proprio cosa rispondere. Ma perché tutte le figure di merda dovevo farle io su quel sottomarino!?
«Stavo...celebrando la mia vittoria?» dissi, con molta incertezza e più come una domanda che come un’affermazione.
L’orca in tutta risposta fece un gesto delle mani che stava a significare di lasciar perdere.
«Non che mi dispiacesse vederti sculettare» mi confessò «e quelle mutande ti stanno proprio bene» continuò alzando il tono di voce di un paio di ottave – proprio come faceva Sanji – e piegando la testa di lato con espressione sognante.
Alzai un sopracciglio. Sarebbe rimasto un marpione a vita.
«Comunque» si riprese scuotendo la testa «il capitano ti cerca. È in infermeria» mi annunciò indicando con il pollice un punto imprecisato alle sue spalle. Poi se ne andò, lasciando la porta aperta.
Sbuffai e mi lasciai cadere con la schiena sulla morbida superficie del letto. Rotolai fino al bordo del materasso, raccolsi la divisa e mi rivestii.
Nel tempo che mi ci volle per arrivare in infermeria non pensai a niente. Avevo deciso che avrei scoperto cosa volesse il chirurgo nel momento in cui l’avrei visto. Qualsiasi fosse stata la sua decisione mi sarebbe andata bene. Dopotutto ci ero andata giù pesante con lui e gli avevo mancato di rispetto. Mi sarebbe dispiaciuto dover abbandonare la ciurma, ma avevo le idee chiare. Non mi sarei arresa. Sarei comunque diventata un ottimo medico, con o senza Law.
Arrivai sulla soglia della porta dell’infermeria e lo vidi. Stava controllando i pazienti. Forse non si fidava di me, o forse lo faceva semplicemente per scrupolo. Comunque ero contenta di vedere con i miei occhi che stesse bene. Mi avvicinai a lui. Presi un respiro profondo. Non sapevo che dire o come comportarmi, ma da qualcosa dovevo pur cominciare.
«Non pensavo quello che ho detto stamattina» iniziai «beh, diciamo che non pensavo proprio tutto. Mi dispiace» continuai «se non mi vuoi più nella tua ciurma lo capisco. E mi sta bene» affermai infine.
Per un po’ non mi rispose e non si voltò, era intento a controllare che i liquidi contenuti nelle sacche delle flebo fossero stati somministrati nella giusta quantità.
«Il tuo posto è qui» disse semplicemente Law, sempre senza guardarmi, per poi girarsi ed andarsene subito dopo.
Rimasi in piedi fuori dalla stanza dei pazienti a sorridere come un’ebete per più di cinque minuti. Sapevo quanto fosse difficile per lui ammettere una cosa del genere. Sapevo che gli costava molto dirlo, soprattutto ad alta voce ed in particolar modo con me. Per fortuna, però, almeno uno di noi due era abbastanza maturo da lasciarsi alle spalle le scaramucce. Ci sarebbe voluto un po’, ma potevamo ricominciare. Potevamo ripartire da zero e ricostruire piano piano, passo dopo passo, il nostro rapporto.



Angolo autrice
Salve a tutti! Eccomi tornata con un altro capitolo. Capitolo che, come sempre, spero sia stato di vostro gradimento.
In queste righe appare una Camilla decisamente più risoluta e fredda del solito. Una Camilla capace di prendere in mano la situazione senza lasciarsi assalire dal panico e capace di accantonare i drammi personali e farsi coraggio per poter agire nel modo giusto. È diventata una donna che, nonostante abbia ancora tanta strada da fare, ha dimostrato di sapere il fatto suo. E se tra lei e Law non c'è stato un chiarimento, è perché non ce ne è stato bisogno. Gli eventi hanno parlato per loro. Cami si è resa conto di voler continuare a seguire con dedizione il cammino che ha intrapreso, mentre il chirurgo forse ha finalmente capito il suo valore, come medico ma anche come persona. Non c'è stato bisogno che nessuno dei due si scusasse con l'altro, perché avevano entrambi torto in egual misura. Ovviamente non diventeranno pappa e ciccia da un momento all'altro (e probabilmente non lo diventeranno mai) ma è pur sempre un inizio. Anche perché non è che abbiano proprio fatto pace, diciamo che hanno evitato di uccidersi a vicenda e hanno scelto di sancire una tregua. Si vedrà in seguito come evolverà il loro rapporto, nella speranza che nel frattempo nessun'altro sul sottomarino rischi di morire.
Scusate per lo sproloquio, ma sentivo il bisogno di spiegare il mio punto di vista. Voi se ne avete voglia lasciate una recensione, sono curiosa di sapere che ne pensate di questo capitolo. Mi farebbe molto piacere conoscere la vostra opinione in proposito! :)
Grazie per aver avuto la pazienza di leggere fino a qui e a presto! :)
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: WillofD_04