Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: marea_lunare    24/04/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(8) Not dead
 
John era appena arrivato al ristorante, teso come una corda di violino.

“Quel violino che Sherlock amava tanto suonare”.

Mary lo raggiunse poco dopo scendendo da una scalinata, in vestito da sera, bella come non mai.

Un cameriere particolare notò la loro presenza: alto, capelli ricci e corvini, due ridicoli baffetti disegnati con una matita per occhi e un paio di occhiali la cui montatura stonava con il blu dei suoi occhi.

Quando si avvicinò al loro tavolo per prendere l’ordinazione, John incrociò il suo sguardo e fu sul punto di avere un infarto.

“Ciao John” disse Sherlock, sorridendo.

Il dottore lo guardava stralunato, Mary visibilmente preoccupata per la reazione del suo fidanzato.

“Sh-Sherlock?”

“Si, John. so che quest’entrata ad effetto non è…”.

Non poté terminare la frase perché il dottore gli era già addosso, le mani strette attorno al colletto della sua camicia, pronto a strozzarlo se metà staff del ristorante e Mary non fossero intervenuti per separarli.

Furono poco gentilmente sbattuti fuori dal ristorante e non solo quello, dato che le battute ironiche di Sherlock sui baffi di John non servirono a migliorare la situazione. Poco dopo, si ritrovarono dentro un tugurio di fish ‘n chips, John con la fronte dolorante e Sherlock il naso sanguinante per la testata appena ricevuta.

“Due anni, Sherlock, due dannatissimi, fottutissimi anni! Sparisci dalla circolazione fingendo il tuo suicidio per poi comparire dal nulla con quella tua faccia da schiaffi sperando che ti perdoni?! Una telefonata, una telefonata sarebbe bastata! Da poco ero riuscito finalmente a superare il pensiero di te morto su quel marciapiede, delle mie mani coperte dal tuo sangue! Rachel ne è uscita distrutta, ha avuto gli incubi per mesi!”

“John, ho dovuto farlo per-“

“Per che cosa? Proteggerci? Tu non hai la minima idea della fatica fatta in questi due anni per superare la tua morte, non lo puoi neanche lontanamente immaginare. Se non ci fosse stata Rachel, a questo punto io potrei non essere nemmeno qui. Lei mi ha dato la forza di andare avanti e mia figlia, hai capito bene mia figlia, mi ha salvato. Io e te eravamo tutto ciò che aveva e tu, dannato, sei sparito dalla sua vita come se nulla fosse, facendoti vedere mentre cadevi da un palazzo!”

Non aveva intenzione di dirgli altro. Sbuffava come un toro innervosito dal drappo rosso del torero. Sherlock lo guardò in interrogativo, irritato dall’idea di non capire cosa intendesse John. Forse nemmeno voleva capire.

“Adesso voglio che tu la chiami, la veda e le chieda immediatamente scusa” affermò con il tono autoritario da soldato che non ammetteva repliche.

“Meglio che la chiami tu, se lo facessi io potrebbe morire sul colpo” disse Sherlock tentando di mantenere un’espressione impassibile mentre il suo cuore, sempre che ne avesse uno, stava stranamente perdendo l’usuale autocontrollo, iniziando ad andare per conto suo.

Forse era il pensiero di Rachel distrutta da quell’esperienza che lo faceva sentire così? O il pensiero che John avesse tentato di…

“No. Va tutto bene” impose a sé stesso, ricacciando indietro qualsiasi dubbio.

John non rispose, ma si rese conto che Sherlock aveva ragione. Dio, come era irritante.

“Però ti è mancato”.

“Potresti mettere il vivavoce?” chiese in un bisbiglio il detective, un minuscolo accenno di apprensione nella voce pur di essere accontentato.

Senza nemmeno guardarlo in faccia John attivò la chiamata e, dopo diversi squilli, la voce limpida e giovanile di Rachel risuonò alle orecchie dei tre.

“Pronto? John, che succede?” chiese “Non dovresti essere con Mary?”

“Sì, è qui vicino a me” le rispose John.

“Oh, ciao Mary! Come stai?”

“Ciao cara, tutto bene, grazie” disse Mary con tono dolce, a cui la ragazza rispose con una piccola risata contenta.

“Ascolta tesoro” continuò John “ho bisogno che tu venga subito qui”.

“Qualcosa non va? Dove sei?” gli chiese, mentre l’eco dei suoi passi si velocizzava dall’altro capo del telefono.

L’uomo le indicò la strada e lei gli chiese di rimanere in linea.

“Sentire la tua voce mi tranquillizza” disse sorridendo, mentre il fiato le si accorciava pian piano nella corsa.

“Stai tranquilla, stiamo tutti bene. Non hai bisogno di preoccuparti, se non piuttosto di arrabbiarti” disse con acidità il dottore, squadrando Sherlock.

“Io veramente non capisco… Arrabbiarmi? Aspetta, cosa intendi con tutti? Non siete solo tu e Mary?” chiese la ragazza perplessa.

A quella domanda, John passò il telefono a Sherlock, il quale lo prese con mano ferma, ma le sue certezze vacillarono al solo pensiero di essere rifiutato e odiato anche da lei.

Non l’aveva mai ammesso, ma fin dal primo giorno aveva capito quanto fosse puro l’animo di quella ragazza e solo ora, dopo essere
tornato, si rese conto di cosa aveva effettivamente fatto a lei e a John.

Esitò un attimo, guardando lo schermo del telefono attivo sulla chiamata.

“John?” chiamò la ragazza, non ricevendo risposta.

“Ciao, Rachel” buttò fuori il detective.

Ci furono venti secondi di silenzio, non si sentì più nemmeno il respiro di lei.

Poi il rumore dei passi ricominciò ad uscire dal microfono del telefono, unito ai sussurri della ragazza: “Dio ti prego, ti prego, fa che non sia solo un sogno”.

Pochi attimi dopo si sentì uno scalpiccio che andava nella loro direzione e comparve Rachel, fradicia di sudore e il respiro accelerato.

Come vide Sherlock, un’espressione di furia cieca le deformò il volto, facendole digrignare i denti.

A quella reazione John si spaventò, entrando sulla difensiva. Probabilmente anche Rachel avrebbe preso a testate Sherlock, nonostante la differenza di altezza.

“Qual è il mio nome?” chiese la nuova arrivata, avvicinandosi di qualche passo.

Sherlock rimase in silenzio, quasi sbigottito da quella fermezza e la rabbia che riusciva a percepire nei movimenti e atteggiamenti di Rachel.

“Quale è il mio nome?” insisté l’altra.

“Ra-”

“Dove sei stato?! In questi due anni, dove cazzo sei stato?!” sbraitò all’improvviso la ragazza.

“DOVE?!” gridò ancora.

John tentò di avvicinarlesi, ma lei lo bloccò con un gesto della mano e un “Tu sta fermo dove sei” che chiarirono subito la situazione. Ora era il suo momento di sfuriare.

“Ogni giorno. Ogni notte. Abbiamo sempre pianto la tua morte” fece un respiro profondo per cercare di calmare il tremore che le stava invadendo ogni fibra del corpo.

“Indovina dove ero? Da bravo detective quale sei, credo sia arrivato il momento di fare le tue deduzioni” disse avvicinandosi ancora di più al consulente e mostrandogli le mani sporche di terra.

Sherlock capì al volo e la guardò negli occhi, cercando di chiederle scusa con lo sguardo. In quelli di lei, però, lesse solamente un duro rifiuto, un disprezzo incondizionato verso la sua persona e tutto ciò che lo riguardava, un disprezzo che Sherlock sapeva di meritare, ma che aveva sempre sperato di non ricevere mai.

“Bene, visto che l’unica volta in cui dovresti parlare con cognizione di causa il gatto ha deciso di mangiarti la lingua, te lo dirò io. Ero sulla tua stupidissima tomba, a sostituire i fiori appassiti con quelli nuovi e profumati. Come potrai notare dai miei occhi arrossati, ho provato a combattere da sola tutto il dolore che la tua perdita mi e ci ha causato!” aggiunse con rabbia sempre maggiore.

“E come se non bastasse, mi sono messa anche a parlare con quelle lettere dorate, l’unico ricordo che mi era rimasto di te. Hai una minima idea della portata del dolore che ci hai dato? Eh? Io ho avuto incubi continui e John…” si interruppe bruscamente, girandosi a guardare il soldato, sul cui volto trapelò per un momento il terrore.

Nessuno dei due avrebbe mai dimenticato quella sera, quando John si era reso conto che la sua vita sarebbe potuta finire ancor prima di capire cosa stesse facendo, se Rachel non fosse entrata nella sua stanza. Se non fosse venuta a salvarlo, facendolo uscire da quel torpore dovuto alla depressione e quella continua staticità che si erano impossessate di lui da mesi.

Come quel ricordo le tornò alla mente, tutti i suoi sentimenti si unirono in un unico sfogo di ira che non riversò su Sherlock con le urla, né su John o Mary con le parole, ma sul muro alla sua destra, tirandogli un pugno con tutta la forza e l’adrenalina che aveva accumulato fino a quel momento.

Quando le sue nocche entrarono in contatto con la dura pietra, le sfuggì dalle labbra un gemito di dolore che si concluse con un grido di rabbia e frustrazione, seguito da un pianto silenzioso. Si inginocchiò e Mary le andò incontro, John tentò di trattenersi dallo sfasciare la faccia a Sherlock.

“Bravo. Ci hai protetti alla grande” sibilò tra i denti, raggiungendo le altre due.

Sherlock rimase solo e li guardò prendersi cura l’uno dell’altro, con la consapevolezza che un tempo Rachel e John rivolgevano a lui quelle attenzioni, che ovviamente lui continuava a rifiutare e considerare effimere ed inutili.

“Ho una benda nella borsa” sussurrò Rachel guardando negli occhi John, mentre Mary le accarezzava i capelli con gentilezza e la aiutava a calmarsi.

Il dottore prese la benda dalla borsa che la ragazza portava a tracolla e, quando fu sul punto di medicarle la mano sanguinante, lei lo fermò.

Si alzò lentamente e si avvicinò ancora una volta al detective, senza guardarlo negli occhi. Tutta la spavalderia, l’odio e la rabbia di prima sembravano essere completamente sparite in quell’unico sfogo fisico, come se si rendesse conto in quel momento di ciò che aveva detto, come se volesse tacitamente scusarsi per una reazione più che normale e umana.

Alzò lo sguardo e porse la benda a Sherlock che, con un leggero tremore, si tolse i guanti e prese tra le sue dita lunghe e candide la mano abbronzata e leggermente sudata di lei medicandola con cura, come se quella stessa mano, così piccola in confronto alla sua, fosse sul punto di spezzarsi come una bambola di porcellana, crollando di nuovo dopo essersi appena rialzata.

Quando ebbe terminato, Rachel ritrasse la mano e lo guardò di nuovo.

Sherlock poté leggere ognuno di quei sentimenti che in quel momento si stavano mescolando dentro quegli occhi color smeraldo: odio, paura, delusione, affetto e… perdono.

Possibile? Corrugò la fronte nel vedere una piccola luce illuminare quelle due pietre verdi che fino a poco prima lo volevano incenerire.

Rachel sospirò portando lo sguardo a terra e, quando lo rialzò, Sherlock rimase stranito: sorrideva.

Era un sorriso piccolo ma sincero, quasi rassegnato, come a dire “Che altro mi sarei potuta aspettare da te?”.

Vedendo che le acque si erano calmate, John ne approfittò per mettere una mano sulla spalla della figlia e portarli dentro una tavola calda dove si sedettero, Rachel al fianco di Sherlock.

Quando il detective iniziò a raccontare delle varianti con cui sarebbe riuscito a scappare da quel tetto, gli occhi della ragazza si illuminarono di nuovo, ammaliati come sempre da tanta intelligenza e scaltrezza racchiuse in un solo uomo. Il suo sguardo si incupì quando venne a scoprire che Molly, Mycroft e addirittura dei senzatetto sapevano della sua finta morte, rimanendo particolarmente delusa dal ‘tradimento’ di Molly, che lei considerava come un’amica e confidente.

John rimase indignato a tale confessione e aggredì di nuovo Sherlock, facendoli ritrovare tutti e quattro per l’ennesima volta in strada, l’aria della sera che iniziava a farsi più tersa.

John si allontanò dal trio senza dire nulla in cerca di un taxi.

Quando arrivò, Mary si avviò per prima verso il veicolo, John rimase ad aspettare Rachel con la portiera aperta.

La ragazza decise di non rimanere con Sherlock. Sapeva quanto il detective soffrisse per la nuova vita che John si era fatto, ma sapeva anche che da un lato se lo aspettasse, dopo tutto quel tempo.

“Cosa farai, ora?” gli chiese.

“Andrò a trovare delle vecchie conoscenze” disse Sherlock, alludendo ovviamente a Lestrade, Molly e la sig.ra Hudson.

“Va bene. Io stanotte rimango da John, poi domani tornerò a Baker Street, d’accordo?”

Sherlock le sorrise, grato di sapere che lo amava incondizionatamente e che, nonostante tutto, lui fosse ancora un punto fermo per lei, un secondo padre, più severo e distaccato ma comunque premuroso, a differenza dell’affetto quasi materno di John.

Senza dire nulla, la ragazza si allontanò e raggiunse il taxi, sorridendo a John con amore e sedendosi tra lui e Mary.

Sherlock li guardò andare via mentre la ragazza appoggiava la testa sulla spalla del dottore, il quale inconsciamente sorrise a quel contatto.

Quando il taxi girò l’angolo, il detective si voltò dall’altra parte, allontanandosi nel buio della sua amata Londra notturna. Respirò a pieni polmoni ogni boccata della sua aria fresca che in quegli anni gli era così tanto mancata e, tenendo in mano un fazzoletto insanguinato, si incamminò verso il nuovo inizio della sua vecchia vita. 











Note dell'autrice: Buonsalve a tutti! Ecco che Sherlock fa il suo ritorno sulla scena :3
Spero che anche questa settimana il capitolo vi sia piaciuto. Commenti e critiche sono ben accetti, di qualsiasi tipo! 
Ci vediamo lunedì prossimo con il continuo della storia!
Un abbraccio <3 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: marea_lunare