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Autore: PrettySnowflake    24/04/2017    0 recensioni
[Big Four]
Jack e Hiccup si trovano in una terra lontana; hanno lasciato casa e viaggiato insieme, rafforzando così la loro amicizia.
I due sono pronti a voltare pagina, anche se nei loro cuori annidano sentimenti contrastanti: Jack è spensierato e vuole godersi la vita, mentre Hiccup è perseguitato dalla disapprovazione che il padre gli ha espresso in passato e per questo non riesce a darsi pace.
Rapunzel è stata adottata da una famigliola felice ed affettuosa. Senza conoscere la triste verità che si cela dietro alla fredda torre in cui ha vissuto per oltre otto anni, la ragazza continua a pensare alla madre defunta e incolpa se stessa di non essere riuscita a salvarla.
Alla ricerca dell'amore e successivamente del conforto, Rapunzel precipiterà inconsapevolmente tra gli angoli di due cuori, segnando così un'amicizia che una volta si pensava indistruttibile...
Fanfiction ispirata a "Le Cinque Leggende", "Dragon Trainer", "Rapunzel" e altre.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Primo : Non Abbastanza
Prologo: (Cap1-3)
"Questo è come tutto ebbe inizio
Muovi i tuoi passi
Senti quanto è dolce
Continua a sognare piccolo sognatore [...] "
Above & Beyond

«Sono abbastanza grande per restare!» affermò Jack con riluttanza, dopo essergli stato chiesto di lasciare la stanza.
«Grande sì, ma non abbastanza.» rispose sua madre «Io e tuo padre abbiamo molto da discutere, perciò lasciaci soli.»
«Fa' come dice tua madre.» aggiunse suo padre Markus mentre sedeva sulla poltrona color petrolio, con sguardo serio ma paziente.
Quella stanza non era tanto spaziosa ma, del resto, una più grande non sarebbe potuta stare in una casa cotanto minuscola: a malapena vi erano tre camere, la cui una doveva essere prontamente condivisa da Jack e dalla sorellina Peppa, senza però fare a meno di litigare per ogni minima bazzecola. Un'altra era dei genitori mentre la più grande delle tre, che stava all'entrata principale, dava spazio ad una piccola dispensa con un tavolo di legno e una stufa con accanto la poltrona dove, in quel momento, sedeva Markus.
Di certo non potevano lamentarsi, anche se d'inverno pativano un po' il freddo, perché nel complesso ci si poteva vivere.
Quella casa trasmetteva un'aria così calorosa; anche quando la coltre bianca scivolava sul tetto Jack riusciva a percepirla. Praticamente era nato lì, in una notte di novembre inoltrato: di quel giorno non ricordava molto, ovviamente, ma quando il nonno gli raccontava dettaglio per dettaglio quell'avvenimento tanto speciale non poteva fare a meno di immaginare la mamma con, dipinto in volto, espressioni di dolore e sgomento mentre cercava di farlo uscire e di come papà si agitasse per l'emozione; quelle immagini erano reali per il ragazzino semplicemente perché aveva assistito alla nascita di sua sorella, dove la mamma urlava per il dolore e il papà faticava a respirare per l'agitazione. Per questo era cosciente di come fosse l'atmosfera.
«Va bene.» si arrese infine Jack, aprendo lentamente la porta e facendola scricchiolare. 
Uscito cominciò a trascinarsi lungo la distesa di neve che quel dì ricopriva la boscaglia, sempre più incuriosito di quello che la mamma e il papà, di lì a poco, si sarebbero detti. Forse stavano preparando una sorpresa per lui: magari l'altro giorno, quando aveva parlato di una nuova slitta con il luccichio agli occhi, i suoi genitori lo avevano preso sul serio e adesso stavano discutendo su come procurargliela. 
Speriamo sia così, pensò.
Jack aveva tredici anni di vita: si sentiva un uomo o, almeno, un piccolo uomo; aveva cominciato ad aiutare suo padre con le faccende da uomini, come trasportare la legna o accompagnarlo durante battute di caccia. 
Papà non lo considerava più un bambino, ne era certo, ma si domandò nuovamente perché non fosse abbastanza grande per assistere alla 'famosa' conversazione. Quel pensiero lo martellava prepotentemente.
Improvvisamente avvertì l'odore di legna bruciata che divampava nell'aria e le sonore risate provenienti dal piccolo villaggio che distava a pochi passi da casa sua. 
Tra quelle case il ragazzino poté giurare di conoscere tutti: c'era il maniscalco Toby, il quale non era mai stato sorpreso a cincischiare in bottega; Jack pensava che quell'uomo laborioso non si fermasse neanche per dormire. 
C'era la famiglia Hodds dove era cresciuto Malcom, un bambino della sua età ma con cui, però, non era mai riuscito a far amicizia. 
«Avanti Jack, Malcom non è niente male! Potreste fare molta amicizia» aveva detto un giorno sua madre e Jack per educazione aveva annuito, senza sottolineare il fatto che Malcom Hodds fosse una piccola peste senza cervello; gli sembrava incredibile come nessuno se ne accorgesse, perché tutti lo adoravano e lo reputavano un ragazzo in gamba, ma a lui dava sui nervi.
C'era la signora Lucy Hawkings, un'anziana rimasta vedova che trattava tutti i bambini del villaggio come nipoti suoi, forse per il senso del dovere. A Jack piaceva molto perché, nonostante avesse i capelli bianchi e malconci, gli occhi scavati e le mani rugose, Lucy aveva il sorriso più bello che avesse mai visto (era perfino più bello di quello di sua mamma Martha!); l'apprezzava molto anche perché, fin da quando era piccolo, era stato premurosamente ospitato e curato da quella donna, tanto che involontariamente l'aveva chiamata mamma in diverse occasioni. Ma ora aveva tredici anni ed era diventato troppo grande per trattarla in quel modo, perciò si rivolgeva a lei semplicemente con "signora Hawkings" o "signorina Hawkings", dandole del lei.
Fu lei la prima che Jack incontrò quando, dopo aver sentito i rumori, raggiunse il villaggio; Lucy stava vicino all'entrata della sua modesta casa a braccia conserte e, quando intravide il ragazzo, sfoggiò il volto sorridente ma tirato:
«Ciao Jackson» lo salutò «che ci fai qui?»
«Solita storia, signora Hawkings» gli rispose Jack, agitando la mano «Mamma e papà hanno da discutere e non mi vogliono nei dintorni.»
Era abitudine che i suoi genitori lo cacciassero dalla stanza per stare da soli, ed era abitudine per lui chiedere di restare semplicemente perché era abbastanza grande per farlo.
«Oh, certo» annuì la donna, in tono canzonatorio. «In questo caso hai fatto bene a venire qui.»
Jack sorrise: «Ha visto mia sorella Peppa?»
Ah, Peppa. 
Quella bimba era davvero una peste; aveva solo otto anni ed era un concentrato di pura energia e buonumore. A volte Jack la detestava ed altre volte l'amava da morire. Ma in quel momento avrebbe voluto strozzarla.
«Non la vedo da stamattina! Sicuramente è qui.» riprese il discorso il ragazzo. 
Peppa trovava sempre l'occasione di svignarsela e andare al villaggio per stare con le sue tre amiche Daisy, Mary e Veronica; per questa ragione Jack dedusse che la sorellina si trovasse da quelle parti. Infatti ebbe ragione. 
«Peppa!» la chiamò quando la intravide infondo alla via principale, mentre sghignazzava all'unisono con le sue compagne. La bambina si voltò verso di lui e sbuffò:
«Ecco dov'eri finita!» fece lui.
«Perché sei al villaggio?» domandò lei, come se venire al villaggio per Jack fosse come andare in Antartide.
«Papà e mamma devono parlare, perciò mi hanno chiesto ... »
« ... Di lasciare la stanza.» completò la frase la bambina, come d'abitudine.
«Non ti sfugge proprio niente, sorellina. »
Nel frattempo le tre ragazzine accanto a Peppa guardavano Jack come Cenerentola guardava il suo principe; erano stregate dalla presenza di un ragazzo così grande, tanto che prendere una cotta per lui fu inevitabile.
«Ora sparisci.» mormorò Peppa con quella confidenza che si poté definire fraterna.
Al suon di quelle parole, Daisy spalancò gli occhi chiari: «Perché non può giocare insieme a noi?» il suo tono parve quasi supplichevole.
«Potremmo giocare a nascondino, lasciando a Jack il compito di contare» continuò Veronica.
Mary, la più piccola del quartetto, cercò di convincere la bambina a includere il fratello maggiore: «Oh, per favore Peppa.»
Jack si sentì lusingato e intenerito dalle proposte di quelle tre bimbe, tanto che sorrise alla sorella per convincerla a farlo restare.
Di fronte a quegli sguardi imploranti Peppa non poté certo dire di no, così la giovane squadra si diresse verso il bosco per cominciare a divertirsi a nascondino.
Jack sembrava altissimo in mezzo a quelle bambine anche se misurava un metro e sessantacinque centimetri: era un'altezza modesta ma tutta la sua famiglia era certa che si sarebbe alzato ancora.
Jackson era l'esatta fotocopia del padre: era di carnagione chiara, aveva i lineamenti abbastanza sottili e il viso squadrato, incorniciato dai capelli corti e castani; gli occhi, dello stesso colore, trasmettevano sincerità e spensieratezza tanto da essere capaci di rapirti fin dal primo istante. Era davvero un bel ragazzo: non era solo il principe azzurro di Veronica, Daisy e Mary, ma di tutte le bambine del villaggio; forse fu per quella ragione che Malcom Hodds si atteggiava da 'peste senza cervello' con lui.
Jack poggiò la fronte contro il busto di un albero e iniziò a contare, socchiudendo gli occhi. Uno, due, tre.
Sentì i mormorii delle bambine. Quattro, cinque, sei.
Poi il suono sordo dei loro passi nella neve. Sette, otto, nove.
Dieci. Trenta. Sessanta.
«Sto arrivando!» esclamò, balzando in piedi e guardandosi attorno.
Silenzio.
Si sono nascoste proprio bene, osservò. Ma non abbastanza da sfuggirmi.
Iniziò a girovagar con sguardo ben attento e pronto a captare il minimo movimento, ma senza accorgersi che si stava allontanando troppo dal punto in cui lui e le ragazze si divisero. Ben presto si rese conto di essersi perso.
«C'è nessuno?» fece a gran voce nella speranza di trovare qualcuno. «Peppa? Ragazze?»
Nessuna risposta gli fu data, se non dalla brezza gelata che in quell'attimo gli sfiorò le guance rosse.

~ ~ ~

Berk era un piccolo villaggio vichingo che vantava di avere "quel tipo di clima balsamico tutto sole e spasso da farti venire il congelamento della milza".
I suoi abitanti sembravano fatti con lo stampino: erano perlopiù uomini e donne barbuti dall'accento buffo che girovagavano con asce in mano, pronti a difendersi dagli attacchi a sorpresa dei loro più acerrimi nemici ...
I draghi.
Quei mangiatori di yak si stavano facendo sempre più ostinati, soprattutto in quel periodo dove il cibo stava scarseggiando.
Era ormai da prassi che l'allarme venisse dato ogni notte, poiché quei mostri non preferivano momento migliore per invadere Berk se non quando le tenebre erano già inoltrate.
I berkiani difendevano il loro bestiame anche a costo di essere inghiottiti da quelle fauci infernali, per questa ragione avevano la fama di essere molto coraggiosi.
Tutti tranne uno.

Hiccup avrebbe dormito ancora per fuggire dalla realtà, se non fosse stato colpito dai raggi del sole che in quel momento penetrarono la stanza da letto. Emise un noioso lamento e si separò dalle coperte.
Dopo giorni di bufera nevosa quella giornata di sole ci voleva proprio: qualche settimana prima Mulch aveva esplicitamente detto che il secchio che Bucket portava in testa si era ristretto e ciò stava ad indicare che una perturbazione avrebbe di lì a poco colpito il villaggio.
I berkiani si erano preparati al meglio per affrontare quella tempesta, rifugiandosi nella Sala Meade per qualche giorno, per poi ritornare nelle loro case fortunatamente sopravvissute e godersi le giornate assolate, anche se freddissime, proprio perché i draghi si erano allontanati da Berk in cerca di luoghi più caldi.
I vichinghi sapevano che quei mostri avrebbero fatto ritorno da un momento all'altro, ma almeno si sarebbero goduti quella quiete per un po' e si sarebbero ulteriormente preparati a combatterli.
Sceso le scale che portavano alla sua camera Hiccup trovò il padre, Stoick L'Immenso, mentre gustava con piacere una coscia di pollo davanti al focolare cui, poco prima, aveva dato vita.
«Buongiorno figliolo. Per un attimo ho pensato che non ti saresti più alzato.» osservò il vichingo massiccio con una nota d'ironia, ma il ragazzo non sembrava dello stesso spirito.
«'Giorno papà.» rispose, sedendosi accanto a lui.
Stoick lo guardò di traverso ma non gli domandò che cosa avesse, del resto non lo faceva mai. Tentò di rompere il silenzio:
«Hai fame?»
Hiccup fece no con la testa. In difficoltà per la risposta ricevuta l'uomo decise di tacere.
Era imbarazzante come quei due non riuscissero a crear dialogo.
Stoick era il capo di Berk, l'autorità suprema: non c'era vichingo o drago che non lo temesse; aveva solcato tutti mari del Nord, aveva perfino ucciso un Gronkio a mani nude! Era possente, coraggioso, stoico, saggio. Era semplicemente Stoick L'Immenso.
Ma in quel momento avrebbe preferito combattere contro un branco di Incubi Orrendi tutto solo e disarmato, piuttosto che capire cosa passasse per la testa del figlio.
Hiccup era esattamente l'opposto: era mingherlino e più debole rispetto ai suoi coetanei, preferiva il cervello alla forza e mancava di tutti i requisiti per essere un vero vichingo. Praticamente era un disastro.
Il ragazzino aveva quindici anni e mancava poco al passaggio verso l'età adulta. Non aveva ancora sconfitto un drago, per questo suo padre era disperato e desiderava cambiarlo. Hiccup, dal canto suo, voleva solamente essere capito, accettato per quello che era. Consapevole di essere diverso, si sentiva fuori luogo in ogni momento.
«Sono in ritardo.» fece dopo un breve silenzio il ragazzo «Devo andare in armeria ad aiutare Skaracchio.»
Erano due anni che Hiccup lavorava in armeria: la sua mansione consisteva nel fabbricare strumenti da guerra e utensili di vario genere.
Il suo collega si chiamava Skaracchio, vichingo con braccio e gamba mancanti e amico di vecchia data di Stoick. Quest'uomo aveva visto lo stesso Hicc nascere e crescere, per questo lo aveva preso a cuore e il ragazzo doveva ammettere che l'unico con cui poteva sfogarsi ogni tanto era proprio lui.
«Oh, va bene.» mormorò Stoick, arrossendo. Aveva ancora i baffi unti dalla carne.
Hiccup si sollevò per incamminarsi.
«Hiccup, aspetta.» lo chiamò il padre improvvisamente.
Meravigliato, Hicc si fermò. Il pavimento scricchiolava sotto il peso dei suoi passi.
«Ricordati di dire a Skaracchio che deve finire la mia ascia entro il tramonto.»
In quel momento il ragazzo si chiese per quale motivo ci fosse rimasto così male. Si era illuso forse? Era normale che il padre fosse un muro impenetrabile nei suoi confronti, eppure perché gli sembrò, per un attimo, che Stoick volesse tentar un approccio? O, almeno, volesse dirgli una di quelle cose che padre e figlio solitamente si dicono, come ci vediamo stasera o stai attento, o semplicemente ti voglio bene? Vero, non lo faceva mai.
Hiccup sospirò.
«Certo.» si limitò a rispondere, uscendo.
Anche Stoick sospirò.

La neve che ricopriva Berk era scintillante per via del sole splendente. Uscito di casa, Hiccup la osservò per un istante, in cerca di un attimo di tranquillità, per poi rimboccarsi le maniche e dirigersi verso l'armeria.
A mattina inoltrata il villaggio era fluente di vichinghi lavoratori, di pecore e di galline. A discapito dei giorni passati Berk sembrava un piccolo angolo di paradiso e per un attimo Hicc fu grato di questo, tutto finché non sentì la voce di Moccicoso suo cugino che stava dietro di lui:
«Ciao Hicc-branato! Come mai in giro? Non dovresti essere in armeria?»
Come con Stoick poco prima, Hiccup non mostrò di essere divertito, piuttosto si limitò a voltarsi verso il coetaneo per constatare che era in compagnia dei gemelli Testabruta e Testaditufo, di Gambedipesce e... Astrid.
Gli unici attimi in cui Hiccup stabiliva un approccio con Astrid Hofferson era quando quest'ultima lo schiaffeggiava (del resto i vichinghi non comunicavano in altro modo) ma a lui, però, bastava anche solo essere fissato in cagnesco dalla giovane per essere felice, in quanto ne era tremendamente infatuato da tempi immemori.
In quel momento, quando la vide, sentì il cuore galoppante per via della sua presenza, nonostante lei non lo stesse neanche considerando.
«Moccicoso, dovresti sapere che Hiccup non è mai dove dovrebbe essere!» affermò Tufo, cominciando a ridere con la sorella. Quei due insieme erano una bomba ad orologeria, letteralmente. Una notte, infatti, avevano mandato a fuoco il deposito di pesce in occasione del Loki Day, arrostendo completamente le provviste di un mese. In un altro episodio avevano tagliato, a sua insaputa, la barba di Stizzabifolco e in un altro ancora avevano rubato l'ascia, quella della famiglia Jorgeson, che fungeva da Unione matrimoniale.
Insomma, quando a Berk c'era un guaio non era difficile tirar le somme, perché i responsabili dovevano essere per forza loro, altrimenti lo erano i draghi.
Gambedipesce, il più taciturno del gruppo, assisteva alla scena quasi distrattamente, forse perché stava pensando ad altro.
«Ragazzi, oggi non è giornata.» rispose schiettamente Hiccup che educatamente si congedò per riprendere il suo cammino.
«Oh Hiccup, non andartene» sghignazzò Testabruta «Non abbiamo ancora finito, ridere di te è troppo divertente!»
«Lasciatelo andare» disse Moccicoso ai suoi compari «Del resto l'unica cosa che sa fare è battere ferraglia vecchia.»
Quelle taglienti parole balzarono all'orecchio del giovane con una tale violenza da immobilizzarlo. Probabilmente il Hiccup del giorno precedente avrebbe lasciato perdere e avrebbe continuato a camminare, ma questo non ne voleva sapere di ignorare ciò che il cugino aveva proferito, soprattutto in presenza di Astrid.
Si voltò e controbatté: «Sminuirmi non ti servirà a nulla Moccicoso.»
A tal proposito Astrid iniziò a prestare lo sguardo alla vicenda, distogliendo l'attenzione dall'ascia che poco prima stava levigando con una pietra sferica.
«Invece sì, perché sto dicendo la verità.» cercò di riprendere in mano la situazione Moccicoso, senza aspettarsi una tale ripresa da Hicc. «Non saresti neanche capace di sopravvivere un giorno senza le ali protettive del tuo paparino.»
I gemelli smisero di ridere, poiché in quella battuta non c'era nulla di divertente.
In quel momento a Hiccup Horrendous Haddock III balenò nella mente l'immagine del padre e della faccia che avrebbe fatto se egli avesse dimostrato di valere qualcosa. Quella visione era davvero forte in lui.
«Ah, sì? Mettimi alla prova.»
Il suo rivale accettò la proposta, massaggiandosi il mento:
«Con piacere, cocco di papà. Scommetto che non saresti in grado di sopravvivere tre giorni nei boschi da solo.»
«Mi sottovaluti.»
«Ora basta!» intervenne Astrid «Sono stufa di sentirvi mentre fate questi discorsi da immaturi. Moccicoso, smettila di stuzzicare Hiccup.»
La ragazza stava cercando, in un modo tutto suo, di proteggere il giovane a cui aveva l'abitudine di dare calci e pugni. Era sicura che Hiccup fosse troppo imbranato per fare una cosa del genere.
«Non immischiarti, tesorino» fece Moccicoso rivolgendosi alla giovane, per poi riprendere il discorso con Il suo sfidante: «Allora mettiamola così: se riuscirai a rimanere fuori da Berk, nei boschi per essere precisi, per tre giorni, giuro sulla barba di Thor che smetterò di darti del cocco di papà.»
Hiccup acconsentì, stringendo la mano dell'altro ragazzo.
Il pubblico composto da Tufo, Bruta, Gambedipesce e Astrid osservava la scena davvero stupita. Cosa diavolo era saltato loro per la testa?
Fu una ragazza o l'orgoglio del padre a convincere Hiccup ad accettare? Praticamente entrambi. Voleva, per una volta, dimostrare di essere abbastanza in gamba per rispondere a tutti i requisiti del vichingo modello. Voleva essere grande abbastanza.

   
 
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