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Autore: PrettySnowflake    24/04/2017    1 recensioni
[Big Four]
Jack e Hiccup si trovano in una terra lontana; hanno lasciato casa e viaggiato insieme, rafforzando così la loro amicizia.
I due sono pronti a voltare pagina, anche se nei loro cuori annidano sentimenti contrastanti: Jack è spensierato e vuole godersi la vita, mentre Hiccup è perseguitato dalla disapprovazione che il padre gli ha espresso in passato e per questo non riesce a darsi pace.
Rapunzel è stata adottata da una famigliola felice ed affettuosa. Senza conoscere la triste verità che si cela dietro alla fredda torre in cui ha vissuto per oltre otto anni, la ragazza continua a pensare alla madre defunta e incolpa se stessa di non essere riuscita a salvarla.
Alla ricerca dell'amore e successivamente del conforto, Rapunzel precipiterà inconsapevolmente tra gli angoli di due cuori, segnando così un'amicizia che una volta si pensava indistruttibile...
Fanfiction ispirata a "Le Cinque Leggende", "Dragon Trainer", "Rapunzel" e altre.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quarto : Bella come il biondo grano
"Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare."
Dante Alighieri

Rapunzel sfogliava i racconti dell'innocenza. 
Distesa sulle morbide lenzuola leggeva di belle principesse salvate dall'audacia di valorosi cavalieri, ma anche di uomini e di bambini e delle loro avventure spettacolari. Con la mente raggiungeva luoghi incantati, riuscendo così a fondersi con lo stato d'animo dei personaggi astratti, buoni o cattivi che fossero. Era inevitabile per lei non emozionarsi; quando dissetava la sua sconfinata curiosità riusciva a toccare il cielo con un dito, rendendo così le sue giornate ancora più belle e colorate.
Quella mattina d'estate la fanciulla avrebbe letto per tutto il giorno se non fosse stata interrotta da un irritante mormorio:
«Rapunzel, ne hai ancora per molto?» era Liselotte, la sua compagna di stanza, sua sorella. Una delle persone che probabilmente la ragazza amava di più ma che, in quel momento, detestava alla follia.
«Ancora cinque minuti.» rispose Rapunzel mentre cercava di leggere un libro riguardante il presunto movimento delle stelle in cielo, determinata a non smettere.
L'altra sbuffò sommessamente, per poi giocherellare con i lunghi capelli della sorella. Si sedette accanto a lei. 
«Oggi è mercoledì e che cosa facciamo io e te ogni mercoledì?» domandò Liselotte, sarcastica. In risposta Rapunzel liberò un sospiro annoiato, così l'altra riprese il filo del discorso: «Dobbiamo recarci in città per il baratto.» 
Il padre di Liselotte e di Rapunzel si chiamava Sivert ed era un modesto falegname che vantava di avere rapporti commerciali a Freya: ogni mercoledì le due figlie dovevano recarsi in città con il legname che papà era riuscito ad accumulare durante la settimana per barattarlo con uova, latte e pane. Per Rapunzel era un piacere visitare Freya, ma quella mattina avrebbe di certo preferito continuare a leggere il suo bel libro.
«Non lo ripeterò un'altra volta: alzati da questo letto!» esclamò d'un tratto Liselotte quando capì di essere ignorata, cominciando a solleticare i fianchi della biondina. 
Disperata Rapunzel tentò di divincolarsi senza smettere di ridere. Aveva i capelli tutti spettinati e le lentiggini le facevano brillare gli occhi verdi mentre i denti, in quel momento messi ben in vista, erano bianchi e diritti. La sua risata era contagiosa e spensierata. Il libro che poco prima stava leggendo cadde a terra.
«Perché non puoi andarci da sola?» obbiettò Rapunzel con un sorriso. Era riuscita a liberarsi dalla morsa della sorella.
«Non puoi restare tutto il giorno a leggere quello stupido libro!»
Non sottovalutarmi, pensò Rapunzel. Di fatto una volta era riuscita a leggere per quasi una notte intera, per poi essere interrotta dal padre sprezzante di rimprovero che le ordinò di rimettersi a dormire. Allora aveva dieci anni e le cose non potevano di certo cambiare a diciotto.
«Prima di tutto non è uno stupido libro. E secondo, non ho alcuna intenzione di andare in città in compagnia di una sciocca come te.» disse Rapunzel, ridacchiando. Amava giocare con Lise e per questo la prendeva molto spesso in giro.
«Ah io sarei sciocca? Ma ti sei vista?» ribatté l'altra, sorridente. «Probabilmente sarai l'unica in tutta Freya e dintorni a nutrire una passione così sfegatata per la lettura. Guarda che bella giornata.» indicò l'ampia e luminosa finestra «Di certo non la si dovrebbe sprecare rimanendo chiusi qui dentro.»
Rapunzel rifletté per un attimo: in effetti erano giorni che un sole così non illuminava la campagna verde in cui viveva. Oltretutto aveva una gran voglia di respirare la fresca aria estiva, contornata dal profumo degli abeti e dei fiori. Avrebbe potuto raccogliere le candide margherite che ricoprivano l'entrata di casa sua, la quale era circondata da un muretto di pietra e un cancello di legno. 
Liselotte balzò in piedi e, dopo aver aperto la finestra, si voltò in direzione della sorella. 
«Ti do dieci minuti per prepararti.» proferì, per poi dileguarsi.

Dopo essersi lavata a dovere, Rapunzel decise di indossare uno dei suoi vestiti più comodi: si trattava di un lungo abito di stoffa marrone a mezze maniche con delle piccole decorazioni floreali di merletto. Quel vestito era un regalo ricevuto dalla zia, la quale raccontò di aver fatto molta fatica a trovare un capo della sua misura, a causa della piccola corporatura e statura della nipotina.
Liselotte al contrario era slanciata e formosa; il suo abito era molto simile a quello della sorella, ma era di color viola scuro e mostrava delle graziose decorazioni dorate sulla gonna. Rapunzel avrebbe pagato oro per indossarlo, ma la gelosia di Liselotte giocava a suo sfavore.
«Te lo puoi sognare!» aveva esclamato la ragazza quando, un pomeriggio, Rapunzel le aveva chiesto il permesso di provarlo. «È la cosa più bella che ho, l'unica che mi faccia sentire davvero speciale; e poi ti va troppo largo.»

Liselotte afferrò una tonda spazzola, offrendosi di pettinare la lunghissima chioma di Rapunzel per poi intrecciarla in una consistente treccia; si trattava di un lavoro meticoloso e perditempo, ma comunque necessario perché in questo modo i lunghi capelli non avrebbero intralciato il cammino delle persone.
Liselotte non aveva mai avuto il coraggio di chiedere degli strani capelli alla sorella: quando Rapunzel arrivò a casa Jensen aveva solo otto anni e sembrava traumatizzata da tutto quell'ambiente estraneo. Liselotte ricordava molto bene quando, sotto la pioggia battente, aveva osservato il padre percorrere lo stradino che conduceva casa tenendo per mano una bambina dai capelli incredibilmente lunghi e biondi. Quella stessa sera Sivert raccontò a tutta la famiglia di averla trovata nei boschi limitrofi al Regno di Corona, mentre piagnucolava e chiamava la mamma. 
«Non hai trovato la madre?» domandò Hege, la moglie.
«Sua madre è morta.» rispose l'uomo «La bambina non ha nessuno.»
In poco tempo i Jensen scelsero di adottare la piccola orfana, ignari del misterioso passato che Rapunzel aveva deciso di non rivelare per la paura di ricordare. 
Nonostante l'amore provato Lise continuava a chiedersi da dove venisse la sorella adottiva. 
Sivert, al contrario, insisteva che non fosse fatta alcuna domanda alla ragazzina. Ma era veramente così che si doveva affrontare il problema? Virandolo?
«Grazie!» esclamò Rapunzel, mirando la grande treccia riflessa sullo specchio.
«Non c'è di che.» disse Liselotte, un po' pensierosa.
La sorella le sorrise, poi fece una leggiadra piroetta.

Poco dopo le due giovani scesero le scale di legno, raggiungendo la piccola sala da pranzo che in quel momento ospitava i genitori e la nonna, i quali avevano appena finito di fare colazione.
«Buongiorno ragazze.» le salutò mamma Hege «Oggi è mercoledì, giusto?»
Le due annuirono, dandosi un'occhiata complice.
«Ho già preparato il carretto.» le informò il padre. «Sapete già quello che dovete fare.» 
Quando si trattava di lavoro Sivert era sempre diplomatico e deciso; solamente quando non c'era niente da barattare o disboscare si dimostrava loquace e scherzoso.
«Come ogni mercoledì.» sospirò Liselotte, annoiata da quella monotona abitudine.
Rapunzel si avvicinò a nonna Ingrid e le baciò la fronte rugosa: «Buongiorno.» sussurrò.
«Buongiorno mio piccolo fiore dorato.» disse la vecchia che ricambiò lo sguardo affettuoso. Rapunzel amava molto quella donna e l'avrebbe ascoltata per ore mentre raccontava del suo remoto passato. A volte cercava di immedesimarsi in lei e fingere di essere un'altra ragazza di un'altra epoca - con un'altro destino. 
Le due sorelle si sedettero a tavola per gustare la colazione con una certa foga. Hege diceva che tutto ciò era causato dall'età giovane delle due ma che ben presto il loro metabolismo sarebbe rallentato e che sarebbero, di conseguenza, ingrassate. State attente, era solita dir loro. Ma le due sorelle continuavano comunque a mangiare, senza pensarci. 
«Cosa penserebbe Jørgen della tua maleducazione?» la rimproverò la mamma quando notò la figlia Liselotte abbuffarsi senza contegno.
«Penserà che sono pazza.» rispose lei. «E non credo che la cosa gli spiaccia.»
Jørgen era il fidanzato ufficiale di Liselotte e i due erano prossimi al matrimonio. Il ragazzo aveva fatto di ogni per convincere i genitori dell'amata ad acconsentire alla loro unione; ma quando i due riuscirono finalmente a mettersi insieme, Sivert e Hege cominciarono a pretendere la trasformazione della figlia in perfetta moglie e madre di casa, così divennero sempre più severi e saccenti. A loro differenza Liselotte era coscienziosa che Jørgen non fosse pretenzioso ma che la volesse così com'era. 
«Lise, se desideri veramente stare con questo ragazzo allora ben venga. Ma non tollero che tu faccia fare brutta figura alla nostra famiglia.» disse Sivert, in tono autorevole. Si comportava a quel modo perché voleva, giustamente, dare una buona impressione all'umile famiglia di Jørgen. Anche se a volte era davvero snervante la figlia si rendeva conto che quello del padre non fosse altro chel premuroso affetto, perciò non ci dava molto peso.
«Ormai hai ventun anni, non sei più una bambina.» riprese Hege «E sai molto bene che l'anno prossimo la tua vita cambierà per sempre.»
«Lo so, lo so...» mormorò Liselotte, mentre i suoi riccioli castani ondeggiavano sulle spalle abbronzate. «Avete ragione.»
«Noi abbiamo sempre ragione, tesoro.» mormorò dolcemente la madre che si chinò per baciarle la guancia, mentre Sivert le guardava sorridendo.
Nel frattempo Rapunzel non stava più prestando orecchio a quella ordinaria conversazione: pensava a tutt'altro. Ad un colore, ad una sensazione, ad una fantasia. Smise di mangiare, guardando il vuoto.
L'unica a notarla fu la cara nonna, la quale osservava la bionda fanciulla con un sorriso divertito dipinto sulle labbra screpolate: «A cosa pensi, fiorellino?»
«A nulla, nonna.»
Ingrid alzò un sopracciglio con espressione intimidatoria.  Rapunzel la guardò divertita: «Dico sul serio.»
«E sia.» si arrese la vecchia per poi cambiare argomento «Sai, mi ricordi tanto una mia cara amica che non vedo da molti anni.»
«Davvero?» mormorò Rapunzel sorpresa «Come si chiamava?»
«Katherine. Si chiamava Katherine.» Ingrid aggrottò le spesse sopracciglia, sforzandosi di ricordare «Aveva una grande voglia di amare, proprio come te.»
La nonna aveva ragione perché Rapunzel aveva davvero voglia di amare, come Katherine. Non aveva il coraggio di avere a che fare con il romanticismo ma ne era ingenuamente incuriosita perché notava l'estasi e la felicità che pervadevano l'anima della sorella, la quale aveva finalmente trovato l'uomo della sua vita. Dalla lettura aveva inoltre riscontrato come alcuni scrittori si sentissero in stato di beatitudine al cospetto delle loro amate, per poi elogiarle con parole e gesta d'amore. Cos'era che spingeva un uomo a sentirsi così al cospetto di una donna? Come poteva una persona provare una cosa simile per lei e chiamarla sua musa o diletta
Benché Rapunzel non sapesse minimamente il significato di quelle parole, dal profondo avvertiva un'irrefrenabile impulso per buttarsi a capofitto in quel mondo roseo e leggero che era l'amore.
«Alla fine lo trovò?» domandò impaziente la ragazza, riferendosi a Katherine e alla sua disperata ricerca dell'amore. Era davvero curiosa di conoscere la storia di quella sconosciuta.
Ingrid ridacchiò: «Frena, tigre. Ho appena iniziato a raccontare.»
La giovane arrossì, guardando il basso.
«Ora basta, Ingrid» disse improvvisamente Hege, interrompendo la suocera «Liselotte e Rapunzel sono in ritardo, è ora che si incamminino.»
Notando l'espressione delusa sul volto della nipotina, la nonna le prese la mano:
«Non preoccuparti, fiorellino: avremo sicuramente tempo per parlarne in separata sede.» 
Rapunzel sorrise, poi Ingrid le fece l'occhiolino:
«Ora va'.»

Il sole era ormai alto e i suoi raggi illuminavano il tetto di casa Jensen. Liselotte e Rapunzel, giovani e radiose, raggiunsero il carretto che trasportava la legna, il quale era trainato dal vecchio cavallo di famiglia Joy.
Dopo averlo salutato con una carezza, le due sorelle salirono sul carretto e fecero cenno all'animale di partire.
Durante il viaggio Rapunzel osservava il brillante fiume, lasciando che il vento leggero sfiorasse il suo viso tondo e che il sole illuminasse la sua treccia dorata. Fece un bel respiro, chiudendo gli occhi. Dopo otto anni passati in una torre, era impossibile per la fanciulla non apprezzare quella natura afrodisiaca con morbosa gratitudine.
Liselotte la guardò, mentre teneva in mano le redini: «Prima dovremmo passare alla bottega di Jørgen. Devo parlare con lui urgentemente.»
«Che cos'è successo stavolta?»
«Informazioni riservate, spiacente.»
«Cosa? Da quando mi nascondi quello che tu e Jørgen vi dite?»
Liselotte le diede una pacca sulla spalla: «Quando t'innamorerai capirai, Rapunzel.»
«Piantala.» disse Punzie che invece le diede una gomitata.
Poco dopo le due arrivarono a Freya che, a dire il vero, non distava molto da casa Jensen.
Quel giorno la cittadina era florida di persone: c'erano uomini e donne impegnati nel proprio lavoro e bambini che scorrazzavano e giocavano all'aria aperta; si poteva con facilità avvertire l'incantevole serenità che traspariva da tutta quella gente. La giornata solare rendeva il tutto ancora più bello e prospero di tranquillità.
Prima di andare in bottega le due sorelle raggiunsero il centro città per incontrarsi con Helene, la cugina, la quale era solita accompagnarle mentre sbrigavano le faccende del mercoledì. 
Dopo essere salita sul carretto con uno slancio energico, Helene si sedette accanto alle due sorelle:
«Buongiorno mie belle fanciulle!» le salutò, baciandole entrambe. Era leggermente più robusta delle sue amiche e i capelli erano più corti e scuri. Aveva due grandi occhi neri con folte ciglia e labbra sottili.
«State andando da Boris?» domandò, poi. Boris era il signore con cui, solitamente, le due Jensen barattavano e commerciavano.
«Sì.» affermò Lise «Ma prima dovremmo andare in un posto.»
«Andate in bottega, vero?» trasalì l'altra, spalancando le sopracciglia. Rapunzel le osservava in silenzio.
Liselotte confermò: «Devo parlare con Jørgen.»
«Oh ragazze, non potete capire.» disse Helene, visibilmente emozionata. «Credo di essermi innamorata.»
Rapunzel la guardò di traverso: «Di chi si tratta stavolta?» 
Non era una novità che Helene si innamorasse di qualcuno. 
«Oh smettila, Rapunzel.» si difese Helene «Sei ancora troppo piccola per capire certe cose.»
Ho solo due anni in meno di te, pensò Rapunzel con uno sbuffo.
«Lavora in bottega?» chiese Liselotte.
Helene fece sì con il capo, sogghignando.
«Hiccup?» domandò Rapunzel, incredula.
«Il ragazzo con il drago?» continuò Lise.
«Proprio lui!» rispose Helene in definitiva.
Qualche anno prima arrivò a Freya un certo Hiccup Haddock, il quale acquistò subito notorietà a causa del suo animale domestico Sdentato il Furia Buia. Il ragazzo era un vichingo e in città si vociferava che questi provenisse da una terra remota e terribilmente fredda, dove i draghi erano nemici dei vichinghi e i conflitti tra di loro erano all'ordine del giorno. Era impossibile non sapere chi fosse perché si parlava solo di lui e del suo carattere chiuso e riservato, in quanto era raro che spiccicasse parola a qualcuno.
Rapunzel conosceva Hiccup di vista perché era collega di suo cognato alla bottega, ma i due non avevano mai animato una conversazione vera e propria; la ragazza non capiva se quella di Hiccup fosse timidezza o menefreghismo perché, quando lei e la sorella andavano a trovare Jørgen, non le rivolgeva mai la parola.
«Jørgen è un suo amico.» disse Lise, riferendosi a Hiccup «Dice che è un bravo ragazzo.»
«Non solo. Avete visto quanto è bello?» sospirò scioccamente Helene, mentre le due sorelle si guardavano confuse. Poi si fece seria:
«Il problema è che non parla molto. Sebbene io ci provi, è come se Hiccup si chiudesse a riccio: mi risponde a monosillabi e molte volte non so come continuare la conversazione.» 
«Forse dovresti cercare di metterlo più a suo agio.» cercò di consigliarla Liselotte.
«Ci ho provato, ma non è affatto semplice.»
«Tu vieni con noi in bottega.» la invitò Lise «Mentre io parlo con Jørgen tu attacchi bottone con Hiccup. Vedrai che questa volta riuscirai a conversare con lui come si deve.» 
«Lo credi davvero?»
«Certo, non potrà starsene zitto per sempre!»
«E io cosa dovrei fare?» chiese la povera Rapunzel.
«Tu resterai con me per supporto morale.» le rispose Helene.
«Supporto morale?»

Appena arrivate le tre fanciulle entrarono in bottega senza neanche bussare. Il locale era buio, illuminato solo dal fuoco del camino accesso e dalle finestre semi coperte. Le tre notarono che c'era solo Sdentato, il quale era sdraiato accanto alla fornace con espressione annoiata.
«È enorme...» mormorò Helene riferendosi al drago mentre Rapunzel lo osservava in silenzio, estasiata dalla sua visione. 
Lise chiamò il suo ragazzo a voce alta ma nessuno rispose. Si fece più insistente: «Jørgen, tesoro?»
Nel frattempo Rapunzel scrutò le pareti del locale: vi erano appesi svariati pezzi di carta illuminata dal riflesso delle fiamme, che raffiguravano i progetti ideati, probabilmente, dallo stesso Hiccup. Uno in particolare illustrava la struttura di una protesi destinata al drago, che avrebbe sostituito la sua mancata ala. 
Improvvisamente, dalla penombra, sbucò Hiccup tutto sporco e con in mano due arnesi da lavoro. Aveva l'aria stanca ma concentrata.
Rapunzel notò per la prima volta che il ragazzo non aveva una gamba e che quest'ultimo si sosteneva attraverso una specie di arto artificiale metallico.
«Ciao ragazze.» disse il giovane, notandole «Vi posso aiutare?»
«Ciao, Hiccup.» fece Lise «Devo parlare con Jørgen. Sai dov'è?»
«È di là.» le rispose Hiccup, indicando la stanza dietro di lui.
Liselotte lo ringraziò con un sorriso, poi si voltò verso Rapunzel: «Torno subito.» 
Una volta che Liselotte ebbe lasciato la stanza uno strano imbarazzo pervase l'atmosfera, generando un silenzio insopportabile tra l'artigiano e le due ragazze. La cugina fissava il ragazzo imbarazzato; Rapunzel invece osservava il bel drago che, a sua volta, le accennò un'occhiata.
Helene tentò subito di rompere il ghiaccio: 
«Allora Hiccup, hai già conosciuto mia cugina Rapunzel?» gli domandò, afferrando il braccio della ragazza per attirare la sua attenzione.
Hiccup guardò per un istante Rapunzel; sembrava essere a disagio. Non era una novità perché, ogni volta che i due si vedevano, si guardavano di sfuggita per poi scansarsi a vicenda.
«Sì, ci conosciamo già.» rispose al suo posto la biondina, liberandosi dalla stretta di Helene. Il ragazzo annuì, distogliendo gli occhi da lei. 
Di nuovo silenzio.
«Come ben sai è solo una ragazzina. Ha diciotto anni.» riprese il discorso l'altra, usando la cugina come oggetto di conversazione «Hege e Sivert insistono che io la tenga d'occhio.»
Rapunzel le diede un'occhiata gelida. 
«Scusatemi.» cambiò bruscamente argomento Hiccup «Sono proprio un maleducato. Accomodatevi pure.» indicò delle vecchie sedie poste accanto all'ampia scrivania.
Prima che Rapunzel potesse ringraziare ed accomodarsi Helene l'afferò di nuovo, questa volta servita da un falso sorrisetto con occhi dolci per contorno:
«Rapunzel, perché non vai fuori a controllare il carretto? Ho sentito dei rumori, forse dovresti andare a vedere.» 
«Buona idea.» rispose leggermente innervosita Rapunzel che non vedeva l'ora di andarsene. Era chiaro che Helene la volesse fuori dai piedi.

Rapunzel aspettò per quasi un quarto d'ora fuori dalla bottega accanto a Joy. Mentre carezzava la bianca criniera del cavallo la giovane continuava a borbottare. 
Perché Helene la doveva sempre trattare a quel modo davanti ai ragazzi che le interessavano? Ogni volta si sentiva così fuori luogo ed immatura; non lo sopportava. Non era la prima volta che Helene la cacciasse via per restare sola con un ragazzoeppure si sentiva comunque furiosa con l'amica non tanto perché l'avesse mandata via, quanto perché la considerasse ancora una bambina incapace ed innocente e lo avesse rivelato a Hiccup.
In balìa di quei pensieri Rapunzel fu interrotta dai quattro piccioncini che uscirono dalla bottega. 
«Ciao piccolina!» la salutò Jørgen con gesto affettuoso, una volta che lui e Lise la raggiunsero. La ragazza ricambiò dandogli un colpetto sullo spesso braccio. 
«Scusa se ci abbiamo messo tanto.» le disse Liselotte.
«Non ti preoccupare.» rispose Rapunzel.
Poco dopo notò Helene e Hiccup, i quali si trovavano a qualche passo di distanza, accanto al portone della bottega: l'amica parlava al ragazzo con insistenza, ma questo sembrava assente, come in trans. Perché era sempre così silenzioso? 
Quando Hiccup capì di essere osservato, Rapunzel distolse immediatamente lo sguardo.
«Dobbiamo sbrigarci. Boris non ci aspetterà per sempre.» annunciò sua sorella che diede a Jørgen un bacio a stampo per l'arrivederci, poi invitò le amiche ad incamminarsi.
Prima di salire di nuovo sul carretto, però, Rapunzel si voltò di nuovo in direzione della bottega.

   
 
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