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Autore: Giuls_BluRose    24/04/2017    1 recensioni
Mini OS di circa 5000 caratteri.
Dal testo:
Sorrido e guardo le mie mani, ben salde sul muretto di fronte a me, come se fossero un divisorio tra il mio corpo e quel muretto, il limite prima del vuoto.
Dove mi trovo? Sono sul tetto dell’Ospedale della città, dietro alla struttura ci sono delle scale esterne che portano qua su e ormai da due mesi ho scoperto questo luogo e mi ci reco quindi tutti i pomeriggi. È un po’ come il mio luogo sacro dove poter riflettere e pensare in totale tranquillità; l’ospedale stranamente non è eccessivamente trafficato e c’è una discreta pace.
Quanto tempo è che sono quassù? Non ne ho la minima idea, ho perso completamente la cognizione del tempo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dave Karofsky
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NB: Leggete le note a fine storia, grazie per l'attenzione e buona lettura.







Brevità

 

Lentamente apro gli occhi, mi sembra di essermi appena svegliato da un lungo sonno.
Sento il fresco vento primaverile che mi scompiglia i capelli, quei capelli che avevo accuratamente sistemato prima di uscire di casa.
Non ho con me l’orologio, ma deduco dal calore che sento sul viso che devono essere passate da poco le due del pomeriggio.
Non appena le palpebre si schiudono una forte luce mi colpisce in pieno e sono costretto a pararmi il volto con le mani per non farmi del male.
Mi abituo alla luce dopo qualche secondo, così posso tenere gli occhi aperti senza problemi; vedo i tetti delle case che si disperdono attorno a me, Lima è talmente piccola che riesco a intravedere senza tanti sforzi i confini della città. Andando oltre essi vedo le colline in lontananza, il verde che sta brillano in questi giorni, dopo che il bianco della candida neve ha regnato sovrano nei mesi invernali.
Sbocciano i profumati fiori nei prati, l’erba cresce a vista d’occhio, tutto sta riprendendo vita.
Sorrido e guardo le mie mani, ben salde sul muretto di fronte a me, come se fossero un divisorio tra il mio corpo e quel muretto, il limite prima del vuoto.
Dove mi trovo? Sono sul tetto dell’Ospedale della città, dietro alla struttura ci sono delle scale esterne che portano qua su e ormai da due mesi ho scoperto questo luogo e mi ci reco quindi tutti i pomeriggi. È un po’ come il mio luogo sacro dove poter riflettere e pensare in totale tranquillità; l’ospedale stranamente non è eccessivamente trafficato e c’è una discreta pace.
Quanto tempo è che sono quassù? Non ne ho la minima idea, ho perso completamente la cognizione del tempo.
Sono arrivato qua stamattina, dopo aver deciso che oggi non sarei andato a scuola; sono salito sul tetto di questo edificio e mi sono messo a guardare il panorama, convinto che mi avrebbe aiutato a sgombrare la mente da tutti i pensieri negativi che la stanno affollando.
Ovviamente non ha funzionato e i miei pensieri sono ancora lì, fissi e immobili, come se non avessero la minima intenzione di lasciarmi libero per nessuna ragione al mondo.
Se adesso potessi parlare al me di qualche mese fa gli direi si stare attento, di non fare cose di cui poi si sarebbe pentito amaramente, ma in cuor mio so che anche se allora avessi visto quale sarebbe stato il mio futuro non sarebbe cambiato nulla.
Sento le lacrime che stanno scendendo sulle mie guance come bollenti rivoli di lava, ma le mie labbra sono incurvate in un amaro sorriso, il sorriso di uno che come me sa bene quello che dovrebbe fare, ha solo troppa paura.
Avrei dovuto aver già scritto quel dannatissimo biglietto, avrei già dovuto lasciarmi tutto alle spalle, ma mi sto rendendo conto che sono soltanto un codardo e che non riesco a prendere in mano la penna senza iniziare a tremare come un fottuto bambino.
Pensandoci bene però: che cosa potrei mai scrivere ai miei genitori? Come potrei spiegare o giustificare la mia azione?
Riesco già a prevedere quelle che sarebbero le parole scritte nero su bianco sul foglio che lascerei in cucina:

Queste sono le mie ultime parole, quando troverete questo biglietto io avrò già esalato il mio ultimo respiro. Si, mi sono tolto la vita e la colpa, in gran parte, è solo vostra. Voi non mi conoscevate davvero, lasciate che mi presenti: ciao, mi chiamo David, ho 17 anni e sono gay. Si mamma, hai letto bene, sono gay: grazie per aver sempre ripetuto ad alta voce quanto ti saresti vergognata ad avere un figlio omosessuale, grazie per avermi chiamato senza saperlo “figlio di Satana”, “malato mentale” o “finocchio di merda”. Grazie anche a te papà, grazie per aver lasciato che io cadessi sempre più in basso, grazie per avermi portato a rinnegare me stesso e a prendere di mira un compagno di scuola dichiarato. Grazie cari genitori per avermi insegnato ad esere un bullo e adesso che a scuola hanno capito chi sono davvero non so più cosa fare e capisco come si sentisse quel ragazzo costantemente bulizzato. Mi sono ucciso perchè non sono riuscito a gestire le cose e perchè forse, in realtà, non mi sono mai accttato. Questo lo devo a voi, grazie per avermi spinto a tanto.”

Rido al solo pensiero: no, suicidarmi non è una delle opzioni; dovrò solo essere forte e far smettere certe voci, tenere per me il mio segreto e continuare come sempre.
Sarà dura, ma ce la farò.
Sento un'ambulanza arrivare a tutto fuoco nel parcheggio e i medici che corrono fuori: forse qualcuno non è stato così forte, penso.
Mi sporgo e vedo sulla barella un ragazzo col segno di una fune al collo, un tentato suicidio, credo.
Sorrido amaramente quando vedo il suo volto impaurito e spaesato e sento un brivido quando sento la voce del medico.
“David è stato trovato dal padre in camera da letto con la corda intorno al collo. Pressione e battito bassi, la situazione è grave..”
Scuoto la testa e penso un attimo a quello che sta succedendo: quello sono io, forse non sono stato così forte come avrei dovuto o forse non lo sono mai voluto essere veramente.



Note dell'autrice:
Ciao a tutti ragazzi e buona sera.
Vorrei spiegarvi prima di tutto il perchè di questa mini mini OS di 5000 caratteri.
Nella mia scuola hanno indetto un concorso chiamato, per l'appunto, "Brevità" e dobbiamo presentare un racconto di al massimo 5000 caratteri; vorrei tanto partecipare con questa storia (o al massimo con minime modifiche), ma prima vorrei avere qualche parere da altri, per esempio se è scorrevole, se è resentabile e cose del genere.
Vi sarei veramente grata, quindi, se mi lasciaste qualche parere in merito, così che io possa capire se è fattibile o meno.
Ringrazio chiunque mi voglia aiutare in ogni modo, anche tramite messaggio privato o semplici recensioni.
Un bacione e grazie di cuore in anticipo.

Giulia Pierucci

 

   
 
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