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Autore: Makil_    24/04/2017    12 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

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La salita lungo la stradina sterrata e scoscesa non fu certo delle più facili. Ogni due passi Bart aveva rischiato di schiantarsi con le natiche al suolo, ed aveva stretto i denti ogni volta che aveva posato piede su un sasso fasullo o un rovo spinoso.
Quantomeno, la faticosa salita fu remunerativa. Non appena ebbe scavalcato l’ultimo anfratto del suolo, seppe di essere arrivato nel luogo che gli aveva indicato ser Dayn. Poco lontano da quel punto s’innalzava una garitta caduta a pezzi, vicino ad un porticato abbandonato e distrutto. Lì, come fosse un luogo infetto o fatiscente, nessuno aveva posizionato il proprio padiglione. Non c’erano neppure alberi o casse piene di vettovaglie, né cavalli o altri animali. Non si udiva il continuo mormorio di mille voci intenti a preparare l’essenziale per i combattimenti, né i mugolii dei cani lasciati a perire la fame o il cozzare delle lame contro l’acciaio. Tutto in quel piccolo angolo di campo era secco, libero, semplice. Un luogo puro, appartato, ancora per poco incontaminato dalla mano degli sfidanti. Bartimore avrebbe pensato che fosse stato bruciato da poco, dato il colore riarso della terra su cui posava i piedi. Ma a cancellare questo pensiero della sua mente fu proprio la sonnecchiante figura dell’unica presenza in quel posto: un fabbro. Senza alcun dubbio, pensò, quello doveva essere Garmold.
L’omaccione giaceva per terra, le spalle posate contro la fredda casupola mal dipinta di bianco, il cui tetto spiovente era fatto di tegole di argilla scura e in perfetto stato di degradazione. Aveva un petto possente, solcato dalle varie lineature scolpite dalla muscolatura pompata e gonfia, ricoperto dappertutto da peli ispidi e neri come tizzoni arsi. Non indossava altro che le braghe, tenute al bacino da una spessa cintura di cuoio. Stava passando la cote sulla lama di una grossa ascia, quando alzò il volto verso Bart, che si era fermato ben poco lontano dalla sua bottega. Con tutta la delicatezza di un fabbro ferraio, l’uomo si alzò dal terreno lasciando precipitare l’ascia e la cote per terra.
«Come posso servirti?» gli domandò passandosi una mano tra i capelli folti e scuri. Sul suo volto cresceva incolta una barba ispida come i peli del petto.
Bart posò una mano dentro la casacca che teneva con la sinistra, giusto il tempo per constatare la presenza delle monete. «Mi servirebbe un’armatura per il torneo.» spiegò. «Una delle più resistenti che hai, se è possibile.»
«Le armature di Garmold non peccano mai di resistenza, buon vecchio mio.» gli disse portando una mano sul bancone. Dietro di lui un ragazzino sudaticcio stava lavorando di incudine e martello su un’arma lunga ed affilata. «Vieni da questa parte ché Terry ti prende le misure.»
Il ragazzo che pareva chiamarsi Terry si mosse immediatamente dalla sua postazione, andando alla ricerca fugace di tutto l’occorrente. Ritornò subito dopo con un metro di fettuccia bianca arrotolato sul braccio ed un piccolo sgabello tondo sulle spalle. Bart raggirò la casupola per avvantaggiare il lavoro del ragazzino senza capelli che ne uscì, mingherlino e tutto bagnato di sudori sulla fronte e sotto le ascelle.
«Alza il braccio, cavaliere». Bart fece come gli era stato ordinato. Il fanciullo si mise sopra lo sgabello e gli misurò la lunghezza del braccio. Poi continuò: «Adesso lasciami misurare la gamba». Bart avanzò di poco portando avanti la gamba. Il ragazzo gli disse anche di piegarla un po’, affinché prendesse le dovute misure del ginocchio. Poi fu la volta delle mani, che gli fu detto di aprire e chiudere tre volte.
«Piedi grandi, eh, Terry?» mormorò Garmold che nel frattempo aveva acceso una pipa.
«Davvero» fece il ragazzino continuando a dargli le spalle e accingendosi a prendere la misura dell’apertura del braccio. Eseguì altre operazioni lungo tutto il suo corpo, per dire, solo infine, di aver concluso il suo lavoro.  
Bart si rivolse nuovamente a Garmold, al bancone, lasciando che Terry tornasse dentro la casupola di legno.
«È da sedici.» disse al fabbro, mentre rimetteva al suo posto lo sgabello. «Massimo mezzo punto di più.»
«Soltanto sedici?» domandò meravigliato Garmold. «Ti avrei dato di più, giovanotto.»
Bart non aveva idea di cosa stessero parlottando quei due, ma non lasciò che loro notassero ciò. Si limitò, pertanto, ad annuire e dare conferme di cui neppure conosceva la risposta.
«Allora» borbottò Garmold grattandosi la barba scura. «Fammi un po’ vedere qui cosa posso darti.»
Garmold diede un calcio ad un mobile di legno scuro che intralciava i suoi passi mandandolo dall’altra parte della bottega. Poi afferrò una lunga spranga di ferro chiaro e si servì di quest’ultima per fare forza sull’anta di un armadio incassato alla parete. Quando finalmente riuscì ad aprirla, il fabbro si esibì in un soddisfatto sorriso a trentadue denti. Da quel guardaroba celato caddero giù alcuni pezzi d’acciaio, appartenenti ad armature adagiate su qualche scaffale più lontano, o incastrate in qualche piolo nella parete. Tra le tante cose che Garmold tirò fuori vi erano due ginocchiere lucide, due cosciali, due guanti, un usbergo appena intaccato, quattro schinieri, tre placche pettorali, due manopole, una panziera poco più scura e sei elmi.
«Il resto lo acciuffo dopo» assicurò sorridendo. «C’è tutto da Garmold.»
Bart ricambiò il sorriso di approvazione e iniziò ad osservare le condizioni dei pezzi che il fabbro voleva vendergli. In effetti, notò, erano tutte in perfetto stato. Nessuna di quelle parti d’armatura sembrava intaccata dagli eventi, distrutta dalla pioggia o, peggio ancora, dal tempo.
Garmold afferrò qualcosa da un piolo agganciato ad una trave sulla sinistra.
«Ecco qui la piastra frontale da sedici» disse adagiando quella parte d’armatura sul bancone accanto agli altri pezzi accatastati l’uno sull’altro. «Questa ti protegge meglio di un miracolo di tutt’e cinque le Grazie.»
«Non ho dubbi» rispose scherzoso Bart, che in realtà, per quell’argomento, ne aveva più di no.
«Bene, vediamo un po’» cominciò il fabbro «Quale tra questi elmi preferisci? Non che ti dispiacerà sapere che quel bacinetto lo abbiamo preso ad un morto, suppongo.»
L’espressione di Bart si contrasse in un misto tra il ribrezzo e il disgusto. E Garmold parve notarlo fin troppo bene.
«Va bene, niente bacinetto allora». Un colpo secco col braccio e l’elmo volò via dal bancone, passando oltre l’incudine e Terry. Garmold si passò la pipa tra le mani e la portò dall’altro lato della bocca, poi riparlò: «Il resto va bene? È tutto su tua misura. Non ti propongo di farti fabbricare qualcosa di nuovo soltanto perché non avrei il tempo di farti avere quello che richiedi. Devi sapere che stiamo già lavorando per Ariston Rowland, per Cristabar Sunrayse, per Pereghyn Moppin e per altri della loro bella risma. Non avevo mai lavorato tanto in vita mia. Lui lavora per Corbran Roosevelt, sai? Diglielo, Terry!»
Il ragazzino annuì silenziosamente.
«Sì» rispose Bart. «Prendo tutto il resto, se mi accerti che non è appartenuto a nessun un cadavere.»
«Ci giuro la mano» disse lui mettendo in mostra le cinque dita grosse, tozze e piene di peli neri sulle nocche. «E io con le mani ci lavoro.»
L’uomo afferrò un grosso pezzo di legno con due lunghe aste simmetriche sui lati che sembravano delle braccia, e lì dispose per lungo i vari pezzi dell’armatura.
«Sarà difficile da portare con te, magro come sei. Se vuoi lui ti può dare una mano o due, eh, Terry?»
Il ragazzo annuì distrattamente, intento molto di più a continuare a battere il martello sull’incudine, dove la lama che stava lavorando era ormai divenuta incandescente.
«Posso fare da solo.» disse, pensando invece a quanto sarebbe stato arduo riscendere dalla collinetta scoscesa con in mano quel pilastro d’acciaio e legno.
«L’alternativa sarebbe indossarla. E non credo ti convenga.»
«No, infatti.»
«Per ultima cosa, buon giovane, scegli l’elmo che ti piace di più». Garmold ne avvicinò uno spesso, scuro, dalla larga visiera bucata e rigonfia. «Questo ti costerebbe più degli altri». Gli diede un paio di leggeri colpetti sopra. «Ma ne vale due, ti dico io. Lo ha fatto lui con le sue manine, sai? Sei diventato più bravo, eh, Terry?»
«Lo prendo allora». Bart si concesse un momento per osservare il giovane Terry compiaciuto dal suo gesto, orgoglioso della sua scelta, gratificato.
«D’accordo.» disse Garmold dandosi una pacca sulla pancia sormontata da addominali prorompenti. Poi adagiò il grosso manichino di legno coperto d’acciaio sul pavimento dietro di sé. «Ti do tutto a quattro ori e centotrentadue argenti. Un prezzo che non trovi d’altre parti, ti assicuro. E poi è tutto così forte quello che hai preso. C’è chi ti chiederebbe perfino di più.»
Bart portò avanti la sua casacca ed estrasse il sacchettino di cuoio pieno di monete che gli aveva lasciato Dalton, gettandolo, poi, a capofitto sul bancone di legno. Quando il laccetto si sciolse, il contenuto straripò sul legno come avrebbe fatto l’acqua di un fiume dopo un mese di pioggia copiosa. Il suono che produsse quel gesto, la dolce musicalità prodotta dallo scontrarsi delle monete, meravigliò Garmold e Terry a tal punto da fargli dimenticare il loro lavoro. E ciò che più li fece trasalire fu il colore di quel denaro: oro, completamente oro, luccicante e splendente come la luce delle stelle.
«Cavaliere! Giovane, giovanissimo amico» cominciò il fabbro con la salivazione quasi del tutto assente. Garmold non riusciva a distogliere lo sguardo da tutto quel bene caduto sul suo bancone. «Tu ci proponi più di quanto ti chiediamo. Quante sono tutte queste monete?»
«Molte, signore.» disse lui. “Quel povero Terry ha proprio bisogno di una nuova maglia di seta. E anche tu hai bisogno di una camicia, ora come ora.” pensò. “Amisa parlava di voce dei deboli. E tu, Terry, non hai più una voce. Ora, è necessario che tutti ne abbiamo una. E forte.”
«Prendetele tutte. E prendetele tutt’e due». Bart fu compiaciuto dal vederli sorridere sempre di più, mortificati e sorpresi l’uno più dell’altro. «Voi ne avete bisogno proprio come io ho bisogno di un’armatura.»
Bart, in effetti, non necessitava più di monete. Peraltro, ne aveva ancora un paio dentro le tasche interne della casacca, ma sapeva già che non le avrebbe utilizzate. “Ho usato quelle che dovevo usare per ciò che Dalton me le aveva date. Le monete erano destinate all’armatura e al torneo. Non appena sarà finito, le rimanenti torneranno ad Amisa, a Sette Scuri.”. «Sii altruista anche la notte.» diceva sempre Dalton. Quale miglior azione per dimostrargli che lui aveva imparato dal migliore?
«Ragazzo, credo proprio che non ci sia il bisogno di… insomma…» iniziò Garmold, ma i suoi occhi luccicanti contraddicevano ogni sua parola.
«Non ho finito.» disse Bart fermandolo in partenza. «Voglio anche una spada, una delle tue più grandi, forti e robuste.»
Garmold si guardò alle spalle e si scambiò un’occhiata con Terry. «Te ne darei tre, di spade, se le avessi.»
«Me ne basta una.» replicò Bart.
«L’unica che ho. Oh, e ti darò anche uno scudo!» fece Garmold. Poi si girò verso l’atterrito Terry, il martello ancora in mano. I suoi occhi passarono lungo la lama appena forgiata dal suo giovane compagno. «Il vecchio Corbran Roosevelt potrà pure aspettare, eh, Terry?»

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Note d'autore
In questo periodo sono estremamente impegnato, talmente tanto da non essere riuscito a rispondere a tutte le vostre magnifiche recensioni, né a molti dei messaggi privati che mi sono stati inviati. Ci tengo a scusarmi per questo, nonché per un aggiornamento a quest'ora... non potevo fare altro. 
Per me, scrivere questo capitolo è stato piuttosto divertente. Finalmente, rivediamo quel lato dell'animo di Bartimore che lo contraddistingue: la sua straordinaria bontà (cosa con cui eravamo entrati in contatto già precedentemente [vd. cap. II]). Che impressione vi ha dato il giovane e gracile Terry? E cosa pensate del gesto di Bartimore? Il cavaliere si è fatto dare una spada in cambio, riuscite ad ipotizzare per quale motivo? Ricordiamo che lui possiede già Lungacresta, l'ancestrale spada affidatagli da Dalton Kordrum!
Devo proprio scappare ora, un ringraziamento a tutti e ancora tante scuse!
Makil_
   
 
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