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Autore: M y r t u s    24/04/2017    6 recensioni
Roma, periodo Augusteo. Claudio, il più grande gladiatore capitolino, verrà posto di fronte a una scelta fatale con la comparsa di una vecchia conoscenza.
Dal testo:
La lama sibilò fendendo l'aria e giunse a trafiggere di netto, dal collare, il cuore dello sciagurato avversario. Il pubblico esplose in un sonoro boato mentre il contendente stramazzava al suolo, chiazzando di scarlatto l'arenaria.
[Antica Roma; Magna Germania]
Genere: Avventura, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Antica Roma, Germania Magna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nos terrarum ac libertatis extremos






 



 

La lama sibilò fendendo l'aria e giunse a trafiggere di netto, dal collare, il cuore dello sciagurato avversario. Il pubblico esplose in un sonoro boato mentre il contendente stramazzava al suolo, chiazzando di scarlatto l'arenaria.
Con la coda dell'occhio, Claudio scorse il seggio dell'Imperatore oltre le tribune marmoree, ove s'agitavano numerose tuniche porpora. Il grande Augusto, scultoreo e rigido proprio come nelle effigi che marchiavano il profilo delle monete, si era alzato in piedi a tributargli un applauso d'elogio.
Elettrizzato dall'approvazione generale degli spettatori, Claudio non poté fare a meno di sbracciarsi per accogliere le lodi dell'intero anfiteatro. "Cincinnato!" ruggivano con ardore, fin quando i disciplinatori non giunsero ad acquietare il trambusto di acclamazioni.
Subito l'arbiter costeggiò il gladiatore per decretarne la vittoria. "Claudio Cincinnato" esclamò a gran voce "Campione di Roma!".

 


La taverna designata da Claudio come luogo di celebrazione era un bordello anonimo situato all'angolo di una strada. Il vino, lì, non poteva essere considerato dei migliori e l'aria che vi si respirava era greve, satura di una mistura pungente di odori, ma le donne deputate ad addolcire la notte valevano la pena di spendervi qualche sesterzio.
Appena varcata la soglia dell'edificio, uno stuolo di giovani donne si mossero verso di lui, chiocciando e rivolgendogli sguardi lascivi. Il gladiatore fu subito investito da una nube di olii profumati e dalle mani delicate delle ancelle che lo palpavano, gli sforavano il collo e l'ampio petto, avvezze a tali voluttà.
Si lasciò strattonare verso un tavolo, ebbro delle carezze roventi. Ne fece accomodare una sulle proprie gambe, probabilmente ci avrebbe trascorso le prossime ore assieme, e si beò del suo calore.
"Tutti, in città, non fanno altro che parlare della vostra esibizione di ieri" sussurrò la fanciulla, intenta nel grattargli la barba.
"È la dodicesima vittoria che colleziono, per l'appunto."
"Ed era molto grosso il vostro oppositore?"
"Era grosso come non ne avete mai visti...Ma che dico, “grosso”? Enorme! Almeno quanto un cinghiale caledoniano!"
Le donne che lo attorniavano proruppero in delle risatine acute.
"Se ancora l'Imperatore non v'ha concesso la grazia, state sicuro che al prossimo incontro col gladiatore di Capua sarà costretto a farlo!"
"Il gladiatore di Capua? E chi sarebbe?"
"Ma come, non ne siete a conoscenza?" Chiese la ragazza, dondolandosi sulle gambe dell'uomo robusto e ravviandosi i capelli. "Eppure vi sono numerosi annunci sparsi lungo la città! Informano che tra qualche mese ve la vedrete contro Ariovisto, imbattuto guerriero della scuola di Capua".
Claudio schizzò in piedi con uno scatto fulmineo, scrollandosi di dosso la giovine, che finì rovinosamente a terra. "Ariovisto, hai detto?! O dei immortales, non è possibile!". Il cuore prese a martellargli animoso in gola.
Le donne si rivolsero occhiate attonite, incapaci di afferrare la situazione. L'uomo che avevano di fronte si comportava alla pari di un cane indolente e nessuna di loro riuscì a placarlo.
"Cosa gli è preso?" piagnucolò la ragazza abbandonata al suolo, mentre l'ombra del gladiatore si assottigliava dietro la porta d'ingresso, fino a scomparire del tutto.

 

 

Doveva trovare Ariovisto e discuterci, non c'era altro modo. Ma come riuscirci?
Al diavolo l'onore, l'infamia e l'Imperatore: Claudio non avrebbe potuto vivere con quella gravosa incombenza che gli curvava le spalle e gli dava l'illusione di reggere il globo. Uccidere Ariovisto in arena, di fronte agli sguardi avidi di violenza degli spettatori, era fuori discussione. Farlo non lo avrebbe ricoperto di altra gloria, solo del sangue di un amico, seppur barbaro, e nemmeno la libertà che otterrebbe vincendolo ai munera sarebbe risultata godibile e ben meritata.
Quando era stato costretto alla schiavitù, salassato da debiti di cui tardava di volta in volta il sanamento, l'idea di riguadagnare pecunia per mezzo di un gladio lo infiammava; non disprezzava la prospettiva di diventare celebre, essere tributato di acclamazioni, di schiamazzi infantili e dalle moine delle donne. D'altronde, come rifiutare un' offerta simile quando l'alternativa si presentava essere strofinare, per il resto della sua vita, tasselli di mosaici o lucidare marmi?
Claudio aveva tutte le carte in regola per cavarsela distintamente in quei giochi truculenti che tanto dilettavano le folle: un corpo avvezzo allo sforzo fisico, ostinato coraggio e accanito agonismo, ma al di sopra tali cose vi era soprattutto l' ardore. E, paradossalmente, si fece acquistare da un lanista per affrancarsi dal proprio scomodo status sociale.
Dovette frequentare per mesi la scuola gladiatoria, adattarsi ai ritmi serrati che imponeva e, nel contempo, vi incontrò anche Ariovisto, il germanico dalle iridi lupesche.
Era un tipo schivo, che preferiva starsene per le sue; comunicava tanto quanto mangiava, centellinava parole e briciole come un pennuto. Claudio, ai tempi, riteneva che tale ritrosia derivasse dall'inesistente conoscenza del latino da parte del barbaro poiché, comunque, questi riusciva sempre a farsi comprendere in qualche modo, e non dubitava si trattasse di una semplice inclinazione caratteriale.
Ricordava il modo di Ariovisto di risultare avulso dal contesto in cui si trovava, la sua capacità di saltare all'occhio, anche se inavvedutamente. Non conforme al nugolo di apprendisti che abitava il Ludus, appariva estraneo nel modo più bello di esserlo: con l'avvenenza e le peculiarità che un cives latino avrebbe potuto solo agognare, sospirando di rassegnazione.
Spesso Claudio si soffermava a scorgerne le fattezze: la lunga chioma color dell'oro bianco, così diversa dai suoi riccioli ramati, la pelle di loto e il corpo ben piazzato, che svettava su quelli altrui. Quando meditava in solitudine, immerso in pensieri initellegibili, con le dita ficcate tra i fili d'erba, quel rozzo selvaggio pareva una quercia imperturbabile e maestosa.
Entrambi, sin dal principio, manifestarono un inconfutabile curiosità l'un per l'altro, ma senza varcare il confine di uno scambio di occhiate. Interazioni colloquiali con chi appartenesse alla popolazione barbarica non erano ben viste e, d'altra parte, nessuno si era permesso di ronzare attorno al cupo germanico, eccetto il doctores, ovviamente, che lo squadrava come se dovesse agguantargli il collo da un momento all'altro.
Accade che una tiepida notte di Marzo, Claudio, preso da una gioviale euforia, irruppe nelle cucine e trafugò da un culleus del vino, che sapeva essere conservato per uso personale del lanista, e un pugno di olive verdi. Ebbe cura di produrre meno rumore possibile, e con la stessa cauta accortezza si arrampicò sul tetto dell'infermeria ove si riusciva ad avere un'ottima panoramica della vallata. L'edificio, infatti, si trovava in una zona più elevata rispetto al resto del complesso.
L'uomo si adagiò a sedere come meglio poteva e strappò un sorso dalla bottiglia contemplando le stelle, che tremolavano flebili come fiammelle all'orizzonte.
Un lieve fruscio catturò l'attenzione di Claudio e lo fece voltare di scatto. Non era solo. Un viso emerse dalle tenebre, rischiarato dal lume pallido della luna gravida: quasi irruppe in una grassa risata nel momento in cui vide che si trattava del taciturno straniero.
"Anche tu qui, eh?" Il latino lanciò in aria un oliva, per poi riafferrarla tra i denti ed esultare con un gesto enfatico. Man mano che l'altro s'accostava, i raggi lunari lo colpivano in pieno volto lasciando emergere un uomo dall'aspetto incolto, quasi selvatico. Due occhi fulgidi e glaciali, rilucenti nel buio come quelli di un felino, lo inquadravano.
"Cos'è, ti hanno mangiato la lingua?" Di nuovo la speranza di Claudio di ricevere una risposta fu tradita. Il silenzio tra loro era così profondo che si riusciva a cogliere il frinire delle cicale in lontananza.
"Poco importa se vuoi parlare o meno, lo farò io al posto tuo. Dunque, come posso appellarmi a te? Oh, dimenticavo che l'uccellino qui non canta. Sai che giorno è oggi? Sono le idi di Marzo!" Proferì il romano allargando le braccia, "Giorno in cui Cesare assaporò il gusto amaro della congiura. Evviva la repubblica! Evviva il triumvirato!" aggiunse sardonico, ridacchiando "Di certo un dì funesto per il re di Bitinia! Si vocifera che entrambi avessero un certo affare insieme, sai? Va bene, lascia perdere... Tieni, prendi un'oliva piuttosto! Debbo dire che di contro non fu un giorno idilliaco neppure per me, quello in cui scoccò la primavera".
A Claudio giunse l'impressione che il barbaro al suo fianco si stesse tendendo impercettibilmente verso di lui per poter udire meglio. "Perfino le arretrate sono affilate quanto pugnali e i creditori malevoli come congiurati. Ti lacerano la carne coi loro becchi aguzzi e portano via tutto ciò che hai di più caro: la libertà, i beni e la famiglia. Ho visto i miei figli, due bei maschi, strappati al padre e tiranneggiati da quegli avvoltoi che mi hanno prestato del denaro, quasi fossero un mero bottino di guerra. Non li vedo da allora, i miei piccoli, e l'unico ricordo che possiedo di loro è questa". Si sfilò dal collo uno spago e lo mostrò al germano, mentre accarezzava col pollice la moneta che v'era infilata.
"Il secondogenito disse che l'aveva custodita nel caso avesse potuto tornare utile coi debiti. Il soldo in sé ha poco valore, ma il gesto ne conserva molto di più. È proprio un caro bimbo, il minore". Claudio non poté far altro che figurarsi l'espressione del figlio nel momento in cui gli depose sul palmo quel piccolo dono, le dita minute e tozze a contatto con la propria pelle callosa.
Una fitta al cuore lo costrinse a massaggiarsi il petto e ad abbandonare il suo atteggiamento borioso.
"Ariovisto".
La voce dell'altro giunse inattesa; un timbro gutturale, torbido, che suonava alla stregua di qualcosa di solenne e occulto al tempo stesso.
"Quid dixisti?" L'uomo riccioluto pose l'accento sul tono di domanda.
"Ariovisto" fece eco il biondo, battendosi una mano sul petto. "Mi chiamo Ariovisto".
Claudio rimase sbalordito per l'inedita sorpresa e sfoderò un sorriso malizioso "Ah, allora conosci il latino! Mi hai colto impreparato, devo ammetterlo. Orsù, non fare il timido adesso, beviamo in tuo onore!" A tale affermazione seguì una lunga sorsata di Claudio, e dopo che ebbe terminato, con un schiocco umido, allungò la bottiglia al germanico.
"Suvvia, bevi senza far complimenti. È roba buona, non il piscio che di solito il lanista osa servire a quei poveri diavoli dei suoi ospiti".
Ariovisto aggrottò le sopracciglia, l'aria alquanto seccata. La sua reazione ebbe l'effetto contrario a quello sperato: suscitò nuovamente l'ilarità di Claudio.
"Alla tua salute, Ariovisto! Che tu possa divenire un gran chiacchierone!".
Da lì in poi, il romano non si sarebbe risparmiato di tormentare lo straniero di motteggi, apprendendo che le repliche auspicate erano afone e prendevano forma in sguardi e gesti d'irritazione. L'uno s'era prodigato di migliorare il latino zoppicante dell'altro, mentre il secondo tirava il primo fuori dalle zuffe e gli insegnava i nomi di fiere selvatiche ed erbe medicinali.
Terminati gli addestramenti alla scuola, Ariovisto fu venduto ad un altro lanista, con inaspettato dispiacere di Claudio, che si era visto sottrarre troppe cose da sotto il naso negli ultimi anni. La notte prima di partire, Claudio trattenne il biondo sul tetto dell'infermeria come la prima volta in cui si rivolsero la parola, il giorno delle Idi.
"Blateri troppo" irruppe Ariovisto, interrompendo uno dei soliti discorsi smodati del compagno.
"E tu non blateri affatto". Il latino gli assestò una giocosa gomitata sul braccio. "Ma ti mancherò, non è così?".
"Finiscila".
"Certo che ti mancherò!" Ghignò Claudio, abbandonandosi sulle mattonelle del soffitto, le mani a reggere la nuca. "Ehi, Ariovisto, talvolta non hai nostalgia della tua Germania?".
Claudio sapeva che era così, che l'amico aveva dovuto lasciarsi alle spalle tante cose quanto lui, anche se era restio a farne accenno; ma non poteva evitare che ciò stuzzicasse la sua curiosità. Colui che lo affiancava era davvero un uomo dai grandi interrogativi, e questo lo attraeva irrimediabilmente.
"Una volta mi dicesti di avere due figli" esordì l'altro, dopo un breve istante di quiete.
"Sì, è esatto".
"Ne ho due anch'io".
Fu come se agli occhi di Claudio si fosse bruscamente spalancato un abisso. Nella sua mente si srotolarono rapide le immagini di una coppia di bambini, biondissimi, coi piedini nudi e i lumi cerulei identici a quelli del padre, che giocavano a rincorrersi in mezzo ad una fitta rete di alberi. Poteva appena ipotizzare quale destino fosse toccato loro.
"Scommetto che ti somigliano molto". Non riuscì a dire altro, ad esprimere il proprio cordoglio come avrebbe voluto. Ciò che gli fu ben chiaro al momento fu altro, ovvero la causa che aveva spinto Ariovisto a confessargli il proprio nome mesi prima: entrambi soffrivano in egual maniera, per la stessa cagione.
In tale occasione, Claudio gli fece dono del proprio pugnale, un'arma spartana dal manico d'osso, come garanzia di ritorno, dicendo che, prima o poi, avrebbe dovuto riprenderselo. Con quel medesimo coltello Ariovisto trionfò su dodici uomini nell'anfiteatro di Capua, ciascuno diverso per aspetto e provenienza, ma eguali per quanto riguardava la ferocia animalesca.
Claudio, invece, si ubriacò altrove della popolarità cui tanto anelava e fu ribattezzato "Cincinnato", il Riccioluto. Le lusinghe della vita da gladiatore lo stordirono a tal punto da fargli dimenticare d'essere un uomo semplice, e ciò che di genuino possedeva prima. Certo che i suoi due marmocchi fossero fieri di lui e che la sua ascesa avrebbe potuto rappresentare un motivo di vanto per loro, seguitò a dare incredibili circenses al pubblico di Roma.

 


Le pareti dei corridoi sotterranei, permeate d'umidità, lanciavano bagliori acquosi sotto i lumi delle torce. Ogni passo di Claudio era accompagnato dal ticchettio delle gocce, che dal soffitto roccioso scivolavano sul pavimento come piccoli acrobati.
Col mantello ad avvolgerlo quasi interamente, tollerare l'afa rivoltante e i miasmi era un'impresa ardua, e qualche colpo di tosse non tardava mai a sfuggirgli dalle labbra. Inoltre, il cappuccio calcato sul capo gli impediva la vista globale del tunnel, pur schermandolo da sguardi indiscreti.
"Dove sei, Ariovisto?" espresse farfugliando con voce arrochita. Decise di accelerare l'andatura; non poteva permettersi di perdere altro tempo. Prese a correre, esasperato dal dedalo di corridoi che gli si dispiegavano man mano davanti.
Sentiva ogni muscolo pulsare sotto la stoffa, guizzare secondo il ritmo della marcia e tendersi fino all'ultimo sforzo, e proprio nell'attimo in cui reputò di aver intravisto la meta del suo vagare, il gladiatore cozzò violentemente contro qualcuno. L'urto, in un primo momento, lo fece barcollare e poi piombare al suolo. Nel modo in cui cadde tramortito, la mole dell'uomo sollevò una nube granulosa.
"Argh, ma sei matto?" Una fitta alla schiena lo costrinse a muoversi con cautela e discrezione.
"Claudio?"
"Esatto! Spero che ti sia reso conto di chi abbia urtat-... aspetta..."
Dal polverone emerse una mano protesa in sua direzione. Claudio l'afferrò, notando che era forte e salda, e senza accorgersene fu eretto in piedi. Assottigliando lo sguardo, fu in grado di ricomporre gradualmente le fattezze di chi lo stava fronteggiando, quasi stesse allineando un mosaico.
"Ariovisto! Vecchio mio, ti ho cercato dovunque!"
"Vecchio?" Il volto del germanico si contrasse in un cipiglio familiare.
"Perbacco, sono entusiasta di vederti! Hai fatto anche carriera, bravo! Sapevo che avresti macinato strada, sei arrivato lontano, addirittura al mio livello!" Sulla falsariga del proprio infiammato monologo, Claudio ricopriva l'amico di strizzatine d'occhio e pacche poderose sulle spalle. D'improvviso, la stessa mano che lo aveva aiutato a rialzarsi si pose sulle sue labbra, ad arrestarne il flusso di loquacità.
"Taci, o mi farai venire il capogiro". L'espressione stralunata del lottatore romano strappò un sorriso ad Ariovisto, così estraneo alle manifestazioni emotive.
Claudio rimase intrappolato a guardarlo, raro com'era quell'attimo.
Dopo che l'altro si decise a liberargli la bocca, il latino riprese più pacatamente a discorrere: "Ho urgente bisogno di parlarti, Ariovisto. Presta ascolto e sii paziente." Bastò un cenno del capo per convincere Claudio a continuare: "Non voglio lottare affatto contro di te. Con te, al tuo fianco come ai vecchi tempi, lo gradirei moltissimo, ma non contro di te. Farti del male è l'ultima cosa che desidero".
Il lottatore dai folti ricci parlò in tono perentorio, con una serietà che quasi non gli si addiceva. Ai suoi figli si era curato d'insegnare che era l'amore a far durare ogni momento in eterno, a rendere immortale una storia, e non intendeva tradire quest'ultima preziosa lezione.
Il biondo rivolse il volto altrove, in un punto indeterminato del pavimento. I suoi occhi parevano essersi incupiti d'un tratto, ingrigiti da un'improvvisa spossatezza. Un mare privo dei bagliori solari, in cui si specchia un cielo livido di tempesta.
"Quindi tu saresti l'illustre Cincinnato?"
"Dove hai imparato quel termine? E comunque, sì. Si tratta di me".
Claudio si sporse a sfiorare l'incavo del gomito di Ariovisto; in qualche modo, gli premeva appagare la strana sete di percepirlo vicino. Quel muto appello finì a vuoto quando il germano scelse di ritrarre il braccio.
"Non vuoi combattere contro di me?".
"No".
"Cosa avresti in mente di fare, allora?".
"Troviamo un accordo: nessuno dei due offenderà l'altro. Niente ferite o alcuno spargimento di sangue, sarà un incontro pulito, alla pari".
Ariovisto rilassò la postura, intenerito dalla premura dell'amico. "Stai dimenticando qualcosa, idiota. Sono un barbaro e i cittadini di questo Impero si credono in diritto di reclamare la mia testa. Se lo scontro dovesse terminare senza vincitori né vinti, saresti tu quello nei guai."
Era vero. L'idea non aveva minimamente raggiunto Claudio: un selvaggio non valeva un romano, e anche se lo scontro si fosse risolto per il meglio, gli organizzatori dei giochi sarebbero stati costretti ad ingaggiare un altro gladiatore con lo scopo di depistare Ariovisto ed epurare l'infamia che Claudio, non battendo uno straniero, avrebbe gettato sull'imperatore e sull'intera città.
Doveva esistere una soluzione al suo dilemma, ma più si lambiccava, più si sentiva cogliere dalla pazzia.
"Potremmo tagliare la corda adesso, insieme".
Un sussurro flebile s'infranse sulle orecchie del latino e parve possedere la stessa sonorità del fragore di un tuono. Fuggire insieme, solo io e te. Quelle parole non smettevano di ronzagli in testa.
"Ma... come farò con la mia... prole, ricordi?"
"Torneremo a prenderli. I confini dell'impero non sono sicuri per noi, almeno non adesso. Corriamo il rischio di farci beccare".
"Dove ci rifugeremo?" Claudio soffermò la propria attenzione sulle labbra di Ariovisto, confidando che non si schiudessero ad esalare una risposta poco gradita.
"In Germania".

 


Ariovisto aveva un ingegno brillante e un raziocinio che Claudio talvolta oscurava in favore della propria esuberanza: "Vivi come fossi ubriaco" usava dire, "goditi la sbronza, e dei postumi occupati soltanto durante l'attimo in cui ti perforeranno le tempie". Tra i due, era chiaro chi impersonasse la mente e chi il braccio.
Il germanico affermò comunque che proprio grazie all'italico era giunto alla formulazione di un piano di depistaggio: se quello, infatti, non si fosse lamentato del terribile odore di fumo, Ariovisto non avrebbe pensato al diversivo del fuoco.
Senza indugiare oltre, il biondo prelevò una torcia dalla parete su cui era agganciata e ordinò a Claudio di correre a cercare dell'olio o, in alternativa, un contenitore colmo di vino.
"Hai intenzione di provocare un incendio nei sotterranei?" Ariovisto sfoggiò un sorriso malizioso, che metteva in mostra i denti.
"Sei l'uomo più folle che io conosca".
Il romano fece appello a tutte le sue forze e, dopo essersi congedato con un ironico inchino, venne inghiottito dall'oscurità di un cunicolo.

 


"Che lentezza" mugugnò Ariovisto, la fiaccola ancora stretta in mano, quasi a non volerla lasciare. La luce sanguigna delle lingue infuocate gli conferiva un aspetto austero, secondo il gioco di bagliori e ombre.
"Se avessi trasportato tu due di questi sottobraccio, sapresti quanto pesano!" Claudio poggiò a terra degli orci panciuti con un tonfo sordo.
"Ne bastava uno di quelli".
"Uno è d'olio, come mi avevi chiesto, e l'altro contiene del vino, nel caso ci venisse sete".
Il germano tirò un sospiro, profondamente spazientito.
"Come faremo ad assicurarci che non ci sia nessuno nei corridoi, mentre diamo alle fiamme qui?"
"Posso dare io l'allarme e far evaquare il posto. Quando non ci sarà nessuno potrai spargere l'olio, nel frattempo ti aspetterò allo sbocco del settore Ovest".
Ariovisto, nell'accorgersi del rischio che correvano entrambi, irrigidì di paura e temette che anche la gola potesse esserglisi intorpidita.
"Grazie" proferì, e poi sigillò le labbra.

 


Una ressa di gente, come un turbolento sciame d'api, inciampava e si spintonava furiosamente per raggiungere l'uscita in fondo ai tunnel. Nella calca, Claudio non mancò di incassare qualche gomitata e di rischiare di venir trascinato conto la propria volontà lontano dal luogo dell'incontro con Ariovisto.
Tentò di sfidare la folla andando controcorrente, caricando a spallate qualcuno se possibile, ma la meta era ancora distante. Avrebbe dovuto affrettarsi; rischiava che alcuni si sarebbero accorti dell'imbroglio o, peggio, che lui rimanesse intrappolato in una gabbia di fiamme. Corse con tutte le forze che possedeva, ansimante. Una volta che le urla divennero echi lontani, raggiungere la zona desiderata non gli costò ulteriori sforzi.
D'un tratto, Claudio s'accorse che da uno dei tanti varchi fuoriusciva un fumo denso e lento. Possibile che il germanico avesse teso una trappola anche a lui? E se fosse accaduto qualcosa là dentro?
Senza fermarsi a riflettere, l'uomo imboccò la via sotterranea, accettando ogni pericolo che si annidava nelle sue viscere. Sentiva il sangue ronzargli nelle orecchie e la testa farsi leggera; difficilmente avrebbe potuto dire da quale parte gli pulsasse il cuore. Ne percepiva il martellio cadenzato ovunque.
"Ariovisto!" La bocca gli si riempì di fumo, costringendolo a dare colpi di tosse. "Ariovisto, dannazione!"
Inoltrandosi più a fondo, un unico corpo di fuoco irrorava ampie striscie di terra. Per fortuna le fiamme erano ancora basse e le loro lingue arrivavano a sfiorare le coscie del romano.
Le esalazioni, però, erano diventate insopportabili. Claudio dovette coprirsi mezzo volto con la stoffa del mantello. Le lacrime uscivano copiose e anch'esse ardevano, e la fronte prese a inumidirsi per il calore prepotente.
"Claudio, scappa!" Un ringhio giunse da oltre il muro infuocato, accompagnato da un clamore metallico. Si trattava di spade.
Qualche gladiatore doveva essersi reso conto della truffa e Ariovisto non aveva potuto far altro che porre la torcia a contatto con l'olio.
Non poteva conclusersi così, quell'impresa. Perché gli dèi lo punivano a quel modo?
Esaminando l'ambiente circostante, il latino notò che la traiettoria delle fiamme s'interrompeva per un grosso tratto, lasciando la via per l'uscita sgombra. Ciò significava che il compagno non era arrivato a colare il combustibile in tutta l'area, come pianificato.
Claudio si sfilò la collana con gesti convulsi e febbrili e posò un bacio sulla moneta. Era un gesto folle, quello che si apprestava a compiere, ma anche temerario. Di gran lunga l'atto più prode che avesse mai osato compiere. Per la libertà, per la vita, per Ariovisto.
Preso qualche passo di rincorsa, con un agile guizzo valicò la barriera rovente.

 


Claudio sorprese i duellanti, atterrando perfettamente diritto a pochi centimetri dall'amico.
Ariovisto grondava sangue, pareva indossare un velo scarlatto che lo ricopriva da capo a piedi. Unica nota stonata in quel fiume rosso era il ghiaccio intenso dei suoi occhi, sbarrati dallo stupore. Nella mano stringeva un pugnale, lo stesso che Claudio gli aveva donato tempo addietro.
L'aggressore era un tipo tarchiato e grassoccio, privo di capelli, malconcio quasi quanto il germanico. Da alcuni sfregi rettilinei sul viso, si evinceva che il biondo potesse averlo graffiato. Probabilmente, ciò aveva accresciuto l'ira del ciclopico gladiatore, che si era scagliato senza pietà contro l'avversario.
L'uomo bufalino azzardò un affondo a due mani, che Ariovisto, il suo Ariovisto, seppe liquidare, scansandosi. Tuttavia, l'andatura traballante del barbaro faceva presagire che presto avrebbe esaurito la facoltà di opporsi.
Claudio, indotto ad agire, assestò un colpo di gomito nello stomaco del bestione. Quello prese a ululare dal dolore e, infastidito, agitò l'arma a destra e manca, come a voler scacciare un insetto.
In questa maniera poteva ingranare: Il latino riccioluto continuò a provocare il colosso pestandogli i piedi o schernendolo verbalmente, in attesa che Ariovisto lo colpisse.
Claudio indietreggiava piano mentre il nemico cercava di ghermirlo, e quando il momento si rivelò propizio gli caricò una potente testata sul mento, abbastanza forte da intontirlo. Ariovisto colse l'occasione al balzo, si avventò fulmineo alle spalle dell'anonimo gladiatore e ne lacerò le carni con colpi profondi e ripetuti.
Prima che il fuoco ingoiasse l'uscita, Claudio prese in braccio Ariovisto, ignorandone le deboli proteste, e stretto a lui si fiondò dentro il varco.
 


Claudio infagottò il ferito col proprio mantello e lo trascinò lungo quello che si era rivelato essere un canale fognario. Non passava attimo in cui si fermasse ad ascoltare il cuore del compagno palpitare, e se mancava un battito il suo prendeva a indurirsi, a riempirsi di calce.
Se qualcuno gli avesse chiesto come fossero riusciti a uscire entrambi vivi da una disavventura simile, Claudio non avrebbe saputo cosa rispondere: "Un miracolo, forse. Mi trovi impreparato".
Di quei giorni rimembrava solo le fatiche, gli stenti, quella Germania che pareva un miraggio nel deserto.
Ariovisto guarì a rilento. Teneva il passo, ma c'erano giorni in cui la sua salute fece temere a Claudio il peggio. Claudio, che non lasciò mai il suo fianco, neanche quando il tempo gli aveva solcato le facce di rughe.
Ogni volta che il germanico s'ammalava di febbre lungo il tragitto e nulla ne acquietava i dolori, l'amico li si sedeva accanto mormorando: "Lo senti il vento sulle fronde? È il suono della libertà".
Dopo interminabili mesi di peregrinazioni, raggiunsero i boschi vergini della terra barbara, incontaminati templi di purezza.
"Casa" sussurrò il biondo alla vista di quei custodi dal tronco altissimo, riempiendosi i polmoni di un'aria amica."Ora è anche casa tua, Claudio".
Nessuno dei due mise di nuovo piede a Roma, o ciò che ne appariva come il ricordo sbiadito, e nessuno dei due si era mai voltato indietro, anche se le domande e i dubbi continuavano incessanti.
Crebbero insieme, imparando l'uno dall'altro e guarendosi a vicenda fin quando piacque agli dèi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice (odio definirmi così, ma ehi):

Selva a tutti amici di efp e del fandom hetaliano!
Eccomi tornata con una storica che bramavo scrivere da tempo immemore. “Troppo corta”, direte voi.
Sono ben consapevole del fatto che una fanfiction di tale portata si sarebbe dovuta svulippare nell'arco di più capitoli, ma ho comunque preferito non farlo a fronte di due motivi:
Primo, facendo un breve calcolo, ho realizzato di non avere il tempo necessario per occuparmi di una long, vista l'incombenza della maturità e il tempo prezioso che dovrò ineluttabilmente dedicare allo studio. Ergo ho potuto dedicarmi alla stesura di questa “mini long” solo durante le vacanze di Pasqua, perdendoci anche ore di sonno. Secondo, non sono ancora pronta a dedicare anima e corpo a un lavoro duraturo in più capitoli.
Comunque sia ringrazio voi lettori, il beta reader che si è gentilmente offerto di correggere tale aborto e le innumerevoli tazze di caffè che mi hanno tenuta abbastanza in forze da poter continuare a scrivere giorno per giorno.

Detto questo vi lascio qui sotto alcune note fondamentali per la comprensione completa degli elementi storici presenti nel testo:
Ariovisto= Magna Germania.
Claudio= Antica Roma.
Cincinnato= Cognomen che significa “Riccioluto”, qui utilizzato come soprannome da gladiatore di Cesare. Originariamente apparteneva al politico di età repubblicana Lucio Quinzio Cincinnato (denominato in tal modo per la chioma folta di riccioli, appunto).
Disciplinatore= L'Impertore Augusto, poiché l'esultanza nelle arene spesso e volentieri rischiava di esplodere in acclamazioni violente, introdusse questo tipo di addetti il cui compito era semplicemente quello di informale il pubblico quando dovesse cominciare e terminare l'applauso.
Capua= Città antica, la cui notorietà derivava dalla prestigiosa scuola gladiatoria che ospitava.
O dei immortales”= esclamazione latina (traduzione: “O dei immortali!”).
Munera= Spettacoli gladiatori organizzati dagli editor.
Mosaici e Marmi= Gli schiavi usavano alzarsi alle cinque del mattino per pulire i pavimenti delle Domus, le case romane appartenenti ai loro padroni. Che vitaccia!
Lanista= Secondo Sua Santità Wikipedia:”Il lanista era, sostanzialmente, un imprenditore che faceva commercio di gladiatori e li affittava all'organizzatore (editor) degli spettacoli gladiatorii, traendone il proprio profitto che non veniva meno neppure se il gladiatore fosse morto durante il combattimento”.
Ludus= Palestra di proprietà dei lanisti, dove i gladiatori apprendevano il loro mestiere.
Doctores= Ex gladiatore che si occupa della formazione di apprendisti gladiatori.
Culleus= Sacco di cuoio adibito al contenimento dei liquidi (acqua, vino, olio, ecc...).
Quid dixisti?”= espressione in latino (traduzione: “Cos'hai detto?”).
Circenses= Letteralmente "divertimenti".

Ultima cosa da aggiungere: “Ai suoi figli si era curato d'insegnare che era l'amore a far durare ogni momento in eterno, a rendere immortale una storia, e non intendeva tradire quest'ultima preziosa lezione.” → Questa frase si riferisce ampiamente alla canzone “How does a moment last forever”. Mi è rimasta così tanto nel cuore, che inserirla, per me, era quasi un dovere morale.

Bene, sta volta ho terminato per davvero! Se avete domande da rivolgere o bestemmie storiche da farmi notare, fate pure!
Alla prossima :3

M y r t u s

 

 

 

  
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