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Autore: Elena Ungini    29/04/2017    2 recensioni
L’agente speciale Steve Rowling lavora da due anni al Progetto A.I.R.E.S.S., con lo scopo di risolvere casi legati al mondo del paranormale. UFO, streghe, vampiri e affini sono all’ordine del giorno, per lui. Nel bel mezzo di un’indagine, si ritrova fra i piedi la giornalista Livienne Parrish, venticinquenne avvenente e disordinata. Nonostante l’odio atavico che Steve prova nei confronti dei giornalisti, è costretto a collaborare con lei, mentre gli intrighi, intorno a loro, si fanno sempre più fitti e pericolosi. Ma il pericolo più grande, per Steve, sono gli immensi occhi verdi di Livienne…
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL DOPPIO
 
Filadelfia, Venerdì 7 aprile 2000, ore 23.30
 
L'orologio appeso alla parete segnava ormai le 23 e 30 quando la giornalista Livienne Parrish iniziò a lavorare al suo articolo sul raduno dei barboni, avvenuto nel pomeriggio e conclusosi da poche decine di minuti. Per la verità, alcuni dei barboni in questione stavano ancora facendo festa, dato che il sindaco aveva deciso di concedere loro un pranzo gratis e birra a volontà, ma Livienne aveva pensato di approfittare del fatto che molti di loro si erano addormentati sui gradini di pietra della piazza per svicolare e ritornare al suo ufficio, nella redazione del City Magazine, dove lavorava ormai da due anni. Con un sospiro sollevò lo sguardo e, dalla porta aperta, sbirciò nell'ufficio di Christopher Hocchins, scoccando una furtiva occhiata al giovane, intento a riscrivere l'avvenimento del momento: la fiera del libro di Seattle, dove Cris aveva soggiornato per tutta la settimana a spese del giornale. Livienne si chiese se avrebbe mai avuto il successo del collega: a lei toccavano sempre gli argomenti più ridicoli e, nonostante il loro capo, il signor Roger Been, la ritenesse molto in gamba, le rifilava sempre degli articoli da ultima pagina, per nulla interessanti.
La porta dell'atrio d'ingresso si spalancò e apparve Roger in persona, la camicia a quadri slacciata, la pelata rilucente e l'immancabile sigaro puzzolente tra i denti. L'espressione sul viso era quella delle grandi notizie e anche la foga con la quale si diresse verso l'ufficio di Hocchins non lasciava dubbi in merito: era accaduto qualcosa di grosso. La voce di Been tuonò nel corridoio, mentre rivolgeva a Christopher la parola:
“Lascia stare tutto! Dirigiti immediatamente al porto: una nave passeggeri, la Pretty Princess, è andata a fuoco. Voglio un servizio entro domattina”.
Il giovane alzò dal lavoro i grandi occhi neri e rivolse al capo un sorriso forzato: evidentemente gli scocciava di doversi occupare anche di quell'articolo. Livienne, invece, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al suo posto. Alla fine, Cris chiese:
“Avrò bisogno di qualcuno che scatti le foto”.
“Ines! Chiama Atos e fallo venire subito qui!”, ordinò il capo alla segretaria, che si precipitò a rintracciare il collega di Cris.
“Signore…”, intervenne timidamente Livienne.
“Potrei andare io con lui: so fare delle ottime fotografie”.
“Livienne! Te l'ho detto mille volte! Tu qui sei l'ultima arrivata e non puoi certo pensare di fare da spalla al miglior giornalista della città! Trasferisciti nell'ufficio di Cris e finisci di trascrivere il suo articolo. E sbrigati, hai capito?”
Lei annuì, stringendo i denti.
“Sempre la solita storia”, bofonchiò fra sé e sé.
“Che cos'hai detto?”, tuonò Been.
“Niente. Mi stavo solo chiedendo chi  finirà il mio articolo, se io devo copiare quello di Cris”.
“Lo finirai tu, quando avrai terminato questo lavoro. Se vuoi fare carriera devi cominciare dalla gavetta, ragazza”.
Lei si trasferì nell'ufficio del collega, chiedendosi quanta gavetta avesse fatto Christopher prima di arrivare a quel livello. Naturalmente non trovò una risposta alla sua domanda e si sedette, iniziando a decifrare le zampe di gallina che il collega aveva tracciato su un mare di foglietti.
“E non cambiare una virgola, intesi?”, le ordinò ancora il capo.
“Gli errori, almeno, posso correggerli?”, chiese ironicamente lei, constatando che sul video del computer Cris aveva commesso diversi errori di ortografia e di battitura.
“Cris non commette mai errori”, l'apostrofò il capo, dal corridoio.
“Già, come no”, sussurrò lei, cancellando e riscrivendo le parole correttamente.
“Un'altra cosa: domattina presentati entro le undici a quest'indirizzo”, disse ancora Roger, entrando nell’ufficio e porgendole un foglietto.
“C'è una mostra di articoli per cani. Voglio un pezzo spiritoso e frizzante, imperniato sulle stranezze. Ai nostri lettori piacciono queste cose”.
Che Been fosse un esperto conoscitore dei gusti dei suoi lettori non vi era alcuna ombra di dubbio, ma che si potesse scrivere un pezzo "spiritoso e frizzante" sugli articoli per cani, beh, quello era tutto da sperimentare. Livienne si ripromise di fare comunque del suo meglio, chiedendosi però in che stato si sarebbe trovata la mattina seguente, dopo aver ultimato il lavoro di Cris e il suo. Scrisse quasi per tutta la notte e fu solo verso le quattro del mattino che riuscì a tornarsene a casa, a piedi, poiché gli autobus a quell'ora non circolavano. Fortunatamente abitava poco distante dal giornale. Una volta giunta al suo appartamento crollò sfinita sul letto e si addormentò immediatamente.
La sveglia dovette suonare diverse volte prima che si svegliasse. Quando riuscì a tenere aperti gli occhi si rese conto di essere in ritardo: la mostra chiudeva alle undici ed era dall'altra parte della città. Si affrettò ad alzarsi e vestirsi, prese al volo un taxi e si fece portare in centro, saltando la prima colazione. Non ebbe neppure il tempo di sfogliare la copia del City Magazine che il postino le recapitava a casa ogni giorno. Nonostante il solito traffico, giunse al luogo dell'appuntamento in tempo per farsi una cultura sulle ultime novità del mondo a quattro zampe, dai giochini in gomma a forma di cellulare ai collari personalizzati, dalla linea specializzata per il bagno, comprensiva di balsamo, gel e mollettine, all'agenzia matrimoniale on line. Poté conversare con una simpatica signorina che le spiegò il funzionamento delle briglie per portare a spasso il cane, le mostrò i nuovi, divertentissimi – così li aveva definiti lei – modelli di palette raccogli-sporco e alla fine le diede pure un simpatico omaggio: una ciotola con i nomi degli sponsor.
"Peccato non avere un cane…", pensò ironicamente Livienne uscendo dal negozio, ancora assorta nei problemi della vita quotidiana: aveva tutto quello che le occorreva per stilare il suo articolo… eccetto la voglia di sedersi a scriverlo.
“Lei è del City Magazine, non è vero?”
La domanda la sorprese e alzò gli occhi da terra per guardare la sua interlocutrice, chiedendosi come facesse a saperlo. Poi ricordò di portare sempre la targhetta del giornale agganciata al vestito. Forse era solo quello a darle l'impressione della giornalista.
La donna la guardava, evidentemente in attesa di una risposta.
“Sì. Sono del City Magazine”.
“Allora mi deve ascoltare: ho una storia appassionante da raccontarle”.
“Una storia?”
Livienne la guardò, un po' imbarazzata. La signora era chiaramente anziana, anche se non riusciva a stabilirne l'età con precisione: di media statura, i capelli ormai canuti le incorniciavano un viso segnato da rughe poco profonde e gli occhi erano velati da quella stanchezza che si può notare spesso nello sguardo delle persone di una certa età. Per un istante, temette di essersi imbattuta in una di quelle mitomani che, ogni volta che vedono un giornalista, famoso o meno che sia, si affrettano a inventarsi una storia qualsiasi pur di essere nominate.
“Sì: una storia che riguarda la Pretty Princess, andata a fuoco ieri sera”, spiegò la donna.
Livienne cominciò a prestare più attenzione alla cosa: forse quella donna sapeva qualcosa riguardo alla nave bruciata la notte precedente; qualcosa che quel mezzo analfabeta di Cris, magari, non sapeva.
“C'è un posto dove possiamo parlare tranquillamente?”, chiese, rivolta alla donna.
“Certo! Venga, io abito proprio qui di fronte”.
La donna l'accompagnò nel suo appartamento, dove la fece accomodare su una morbida poltroncina rivestita di velluto rosso.
“Posso offrirle qualcosa da bere?”
Di solito Livienne non amava perdere tempo in chiacchiere, ma quel mattino era veramente stanca, così accettò volentieri un decaffeinato. La donna accese la macchina per il caffè e si sedette in fronte a lei, mentre attendeva che si scaldasse.
“Mi chiamo Margot Bryte e sono una professoressa in pensione da alcuni anni. Lavoravo qui in città, alla Philadelphia School”, incominciò la donna.
“Tempo fa, decisi di andare a trovare mia sorella, che non vedo da anni e che vive a Norfolk. Decisi di andarci in nave. Così, prenotai un posto sulla Pretty Princess. La partenza era fissata proprio per ieri sera. Ma ieri, nel pomeriggio, è accaduta una cosa che mi ha convinto a rinunciare al viaggio. Una cosa molto, molto strana”.
Si alzò e preparò il caffè, lo offrì alla ragazza e ne prese una tazza anche per sé.
Dopo aver sorseggiato la bevanda, Livienne, che non stava più nella pelle, cominciò:
“Parlava di una cosa strana…”
“Sì, strana come non mi era mai capitata prima d'ora”.
“Che è successo?”
“Stavo qui, seduta a guardare fuori dalla finestra, quando ho sentito una presenza alle mie spalle. Mi sono voltata, pensando di sbagliarmi: da anni vivo sola; invece, c'era una donna di fronte a me”, si fermò per bere un sorso di caffè ma, a giudicare dal pallore delle guance e dal tremore improvviso delle mani, Livienne pensò che, forse, un goccio di acquavite avrebbe sortito di più l'effetto desiderato.
“Una donna, ma non in carne e ossa. Era evanescente e contornata da un alone di luce. Mi spaventai terribilmente. Mi guardava e io mi sentivo pietrificata, terrorizzata. Avrei voluto fuggire, urlare, forse, ma non riuscivo a fare nulla. Continuavo a fissarla senza riuscire a proferire parola. D'improvviso, lei esclamò:
“Non prenda quella nave, miss Bryte! Ne va della sua vita”. Poi l'immagine scomparve piano piano. Io rimasi lì a guardarla svanire, incredula”. La donna sorseggiò di nuovo il caffè attendendo una risposta dalla giovane.
“E così, non è salita su quella nave?”, chiese infine Livienne.
“Già. Non ci sono andata. Sono convinta che se fossi salita sulla nave, a quest'ora sarei morta. Quella visione mi ha salvato”.
“È davvero una storia molto strana”, affermò la giovane giornalista, ma il tono della sua voce dovette suonare vagamente scettico alle orecchie dell'anziana signora, che si affrettò ad aggiungere:
“Lo so: è difficile credere a questo genere di cose. Probabilmente lei pensa che io sia pazza, oppure un'imbrogliona che tenta di rifilarle una storia fasulla e devo dire che, ieri sera, quando ho deciso di non partire, io stessa mi davo della pazza. Ma quando ho sentito della Pretty Princess, questa mattina al radiogiornale, mi sono quasi sentita male. Le dirò la verità: non volevo raccontare a nessuno questa storia, perché sapevo già che non sarei stata creduta, ma stamane ho letto sul giornale la testimonianza di quel Ricky Award e così ho pensato che fosse importante farvi sapere che anch'io avevo avuto un'esperienza simile”.
“Ricky Award? E chi è?”, chiese perplessa Livienne.
“Come? Non ha letto l'articolo sul City Magazine?”
“No, mi spiace. Ho finito alle quattro di lavorare, questa notte, e stamattina non ho fatto in tempo a sfogliare il giornale”.
“Ecco, guardi qui”. La signora le porse una copia spiegazzata del City Magazine e lei scorciò l'articolo. Cris aveva interrogato i superstiti e anche i parenti delle vittime. Uno di questi, Ricky Award, appunto, aveva raccontato una storia molto simile a quella della signora Bryte. L'uomo asseriva che, il pomeriggio precedente, aveva avuto una visione: una donna gli era apparsa e gli aveva detto di avvertire la figlia Agata di non salire sulla nave, altrimenti sarebbe potuta morire. L'uomo, spaventato, aveva subito chiamato al telefono la figlia, pregandola di non partire, ma la ragazza aveva voluto imbarcarsi comunque. Purtroppo, la funesta previsione si era avverata: Agata era morta nell'incendio della Pretty Princess.
“Povera ragazza! Pensi un po': era stata una mia allieva, parecchi anni fa. E ora, questa strana visione viene a informarci entrambe di non partire!”
“Già. Una coincidenza molto strana”.
Livienne ripiegò il giornale e fissò la signora. Ora era veramente interessata alla faccenda. Certo, poteva darsi che la donna si fosse inventata tutto, ma a che scopo? Che genere di pubblicità avrebbe potuto darle l'essere protagonista di una notizia come quella? La donna interpretò male lo sguardo evasivo di Livienne, tutta assorta nei suoi pensieri.
“Lei ancora non mi crede, vero? Ecco, guardi qui!”, disse Margot, togliendo dal cassetto dello scrittoio il biglietto di andata per Norfolk che portava il nome della Pretty Princess e la data del giorno prima. Dopo averlo guardato, Livienne le chiese:
“Saprebbe dirmi chi è la donna che le è apparsa?”
“No, anche se la voce aveva un che di familiare, ora che mi ci fa pensare”.
“Saprebbe descrivermela, per cortesia?”
“Aspetti”, disse, alzandosi. Aprì ancora il cassetto dello scrittoio e ne estrasse un foglio, poi lo porse a Livienne. Vi era disegnato un volto di donna, carina, forse sulla quarantina, con capelli ricci e lunghi orecchini pendenti.
“È lei? È la donna della visione?”, chiese Livienne, la curiosità dipinta negli splendidi occhi verdi.
“Sì. L'ho disegnata ieri sera, dopo averla vista. Era mora e i suoi occhi erano castani”, specificò, poiché il disegno era fatto a matita e non colorato.
“A che ora è avvenuto l'incontro?”
“Alle tre”.
“Ci sono altre cose che ricorda di questa donna?”
“Come le ho già detto, aveva una voce familiare. Inoltre, mi ha chiamato miss Bryte. È così che mi chiamavano le mie allieve. Può darsi che fosse una di loro, anche se spero di no: dopotutto, se ho visto un fantasma, è chiaro che quella donna è morta e mi rincrescerebbe molto sapere morta un'altra delle mie alunne”.
“Sarebbe in grado di riconoscerla guardando un annuario?”
“Temo di no. Ho insegnato a centinaia di ragazze ed erano tutte di undici, dodici anni. Lei capirà: ora sono delle donne fatte! Spesso ne incontro alcune per la strada, ma sono sempre loro a riconoscere me”.
“Già, lo immagino. La ringrazio molto, signora Bryte. Mi sa tanto che andrò a fare una visitina a questo Award per saperne qualcosa di più. Potrebbe prestarmi questo disegno?”
“Certo. Leggerò il suo articolo prossimamente, allora?”
“Non glielo garantisco, ma tenga d'occhio il City Magazine”.
Salutò la signora e telefonò al servizio abbonati telefonici per conoscere l'indirizzo del signor Award, poi prese al volo un taxi e si fece portare lì.
Ricky Award abitava in una villetta in periferia, accanto a un parco. Davanti alla casa era parcheggiata una vettura nera. Livienne pagò il taxi e suonò il campanello, augurandosi che ci fosse qualcuno. Un uomo alto e grigio venne ad aprire e la squadrò, con gli occhi arrossati dal pianto.
“Lei è il signor Award?”
“Sì. Ho già parlato con un suo collega”, disse, notando la targhetta di riconoscimento del giornale.
“Sì, lo so. Ma dovrei farle ancora alcune domande, se non le dispiace”.
“Oggi lei è la terza persona che vuole farmi delle domande  e io non ho nessuna voglia di parlare”, commentò mestamente lui, facendosi da parte per farla entrare.
“La terza?”, chiese, stupita. A parte Cris, chi altri si stava interessando alla faccenda?  La risposta non si fece attendere: seduto al tavolo della modesta cucina c'era un uomo, che stava tracciando dei segni su un foglio. Era piuttosto giovane, forse sulla trentina. Aveva capelli castano scuro e occhi tra l'azzurro e il grigio. Livienne li notò quando la fissarono, seccati.
“Che cosa vuole?”, le chiese, senza tanti preamboli, il piglio accigliato di chi non ha tempo da perdere.
“Sono qui solo per rivolgere alcune domande al signor Award, a proposito della visione che ha avuto ieri pomeriggio”, rispose confusa Livienne.
“Le domande le faccio io, ora. Lei è pregata di tornare più tardi, se crede”.
Bastò il suo tono duro e senza repliche a far imbestialire Livienne:
“Ma chi si crede di essere? Non so per quale giornale lavora ma so che ho diritto a restare qui esattamente come lei! Non può cacciarmi via, ha capito?”, esplose, decisa a tirar fuori le unghie, pur di scrivere il "suo" articolo.
“Io non lavoro per alcun giornale”, rispose, pacato, mostrando il distintivo.
“FBI?”, chiese la giornalista, sempre più confusa.
“Già. Sto lavorando a questo caso. Ora se ne vada, per favore”.
Il cervello di Livienne cominciò a lavorare freneticamente: se l'FBI si interessava al caso, doveva esserci sotto qualcosa di grosso; qualcosa che quel superficiale di Cris non aveva fiutato. Se ci sapeva fare, lo scoop poteva essere suo. Ma doveva farsi amico l'agente dell'FBI, che pareva non essere molto incline a sopportare i giornalisti.
Livienne gettò un'occhiata sul tavolo, dove l'uomo aveva disegnato un identikit della donna della visione: era molto simile al disegno che aveva fatto la Bryte. La ragazza decise di giocare tutte le sue carte.
“Okay, me ne vado. Mi permetta solo di mostrare al signor Award un disegno”.
“Quale disegno?”, chiese lui, cercando di non mostrare il proprio interesse. Ma il sopracciglio leggermente piegato e lo sguardo penetrante tradirono i suoi veri pensieri.
“Questo”.
Livienne mostrò il disegno della Bryte e Ricky riconobbe subito la donna.
“È lei! È la donna della visione!”, esclamò.
“Dove ha preso quel disegno?”, chiese l'agente dell'FBI, ora senza più preoccuparsi di mascherare il proprio interesse.
“Oh, non importa! Ora devo andare, altrimenti intralcio il suo lavoro”.
“Tornerò più tardi”, aggiunse, rivolgendosi ad Award. Aprì la porta, per uscire senza voltarsi indietro. Un istante dopo la porta si spalancò di nuovo e l'agente la raggiunse, costringendola a fermarsi.
“Le ho chiesto dove ha preso quel disegno!”
Aveva alzato la voce, inviperito.
“E io le rispondo che questo non la riguarda!”, non cedette Livienne.
“Mi riguarda eccome! Lei sta ostacolando le indagini, così facendo!”
“D'accordo. Allora vediamo: potrei dirle che ho trovato questo disegno nella mia cassetta delle lettere o che l'ho fatto io stessa spinta da una rivelazione notturna e improvvisa... oppure potrei dirle la verità, sempre a patto che lei sia disposto a cedere qualcosa in cambio”.
“Che cosa vuole?”, chiese, con rabbia.
“Voglio ogni particolare del caso. E voglio seguirla nelle indagini, da questo momento in poi”.
“Se lo scordi!”
“E lei si scordi il disegno”.
Livienne fece per andarsene, ma lui la fermò. Aveva poco tempo: le sue informazioni gli potevano essere preziose.
“E va bene. Avrà quello che vuole! Ora mi dice come ha avuto quel disegno?”, accettò, finalmente.
“Me l'ha dato una donna, una sopravvissuta, direi. Ieri pomeriggio ha avuto una visione, molto simile a quella del signor Award. Ero scettica ma, dopo aver confrontato il suo identikit con questo disegno, ogni dubbio è scomparso: i due dicono la verità e hanno visto la medesima donna”.
“A meno che non si conoscano e abbiano inscenato la cosa”, ipotizzò lui.
“Non credo. In questo momento Award non mi sembra in vena di scherzi”.
“Già, devo ammettere che su questo ha ragione”.
“Beh, visto che dovremo lavorare insieme, mi permetta di presentarmi: mi chiamo Livienne Parrish, ho venticinque anni e lavoro al City Magazine”.
“Io sono Steve Rowling, lavoro all'FBI da cinque anni e non mi piacciono i giornalisti”.
“Lo avevo capito. Perché si interessa a questo caso?”.
“Le spiegazioni a più tardi. Ora interroghiamo Award”.
Rientrarono in casa, dove scoprirono che la visione di Ricky era apparsa alle tre del pomeriggio, lo stesso orario in cui era comparsa alla Bryte. Anche Award parlava di un alone evanescente intorno alla donna. Per tutto il tempo, Livienne prese appunti sul suo taccuino e fece domande, esattamente come Steve. Alla fine, i due uscirono insieme e raggiunsero l'automobile di Steve.
“Ha la macchina?”, chiese lui.
“No. Contavo di tornare a casa in autobus”.
“Venga. La accompagno io. Così avremo modo di parlare”.
“D'accordo”. Salirono sulla vettura e, quando furono partiti, lei incominciò:
“Sarà meglio che ci diamo del tu, non crede?”
“Sì, forse”. Non sembrava molto entusiasta della cosa.
“Come sei venuta in possesso di quel disegno?”
Gli raccontò del fortuito incontro di quel mattino, senza tralasciare i particolari, anche i più insignificanti. Steve si rese conto della perfetta descrizione che lei gli aveva fatto e si trovò a pensare che se tutti fossero stati così precisi e dettagliati il suo lavoro sarebbe stato molto più semplice.
“Così, abbiamo tre persone che, alla stessa ora, ieri pomeriggio hanno avuto una visione”, commentò Steve.
“Tre persone? E chi è la terza?”
“James Holter, assicuratore. Stamattina è venuto da me, chiedendomi di lavorare al caso: la sua compagnia ha assicurato la nave per un sacco di soldi. Se non si riesce a dimostrare che non si è trattato di un incidente, dovranno sborsare il gruzzolo al proprietario della nave, il signor Ferguson.
“Cosa ti fa pensare che non si sia trattato di un incidente?”
“James mi ha raccontato che ieri, alle tre in punto, ha sentito una presenza strana nella stanza, e ha avuto anche lui la medesima visione. Ha udito la voce della donna che lo ha avvertito di quello che sarebbe accaduto sulla Pretty Princess, dicendo che qualcuno l'avrebbe sabotata. Holter è corso al porto e ha fatto ispezionare la nave, senza trovare nulla di sospetto. Così la nave è partita ma, dopo solo mezz'ora di navigazione, ha inspiegabilmente preso fuoco. Alcuni dei passeggeri si sono salvati gettandosi in mare con le scialuppe di salvataggio. Gli altri sono bruciati nelle loro cabine”.
“Non è possibile stabilire le cause dell'incendio?”
“La Pretty Princess sta ancora bruciando e quello che ne resterà quando avranno spento il fuoco potrebbe essere insufficiente per stabilire l'accaduto. Inoltre, ho dei motivi personali per seguire questo caso: da due anni sono stato assegnato al "progetto A.I.R.E.S.S.", e lavoro a tutti i casi che hanno a che fare con il paranormale, gli UFO e ogni altro tipo di fatti inspiegabili”.
“Interessante”. Sembrava sinceramente colpita.
“Già. Ma ora non perdiamo tempo: hai detto che la donna potrebbe essere un’allieva della Bryte. Inoltre, è chiaro che conosce la figlia del signor Award, quindi potrebbe essere una compagna di scuola di Agata Award. Andiamo a dare un'occhiata agli annuari della Philadelphia School”.
“C'è una cosa che non capisco: se questa donna ci teneva così tanto a salvare la vita di Agata, perché non è apparsa direttamente a lei? Perché apparire al padre?”
“Forse il padre era più ricettivo. Ci sono persone che sembrano essere più portate per questo tipo di visioni”.
Steve la accompagnò nel suo ufficio, accese il computer e in breve ebbe accesso agli annuari della scuola. Per prima cosa controllò la lista delle compagne di scuola di Agata e le confrontò con la lista dei deceduti.
“Strano: nessuna delle compagne di Agata risulta essere deceduta. Eppure, Ricky e la Bryte hanno visto un fantasma”, commentò Steve.
“Forse abbiamo sbagliato pista”.
“Non lo so. Voglio provare a fare una cosa…”.
Inserì il disegno della Bryte nello scanner, lo scannerizzò e, utilizzando il computer, ricostruì il volto della donna all'età di dodici anni. Infine lo confrontò con le foto degli annuari scolastici.
“Ecco qui! La signora in questione potrebbe essere questa Jennifer Last: è l'unica che somiglia al prospetto del computer. Inoltre, ha frequentato la Philadelphia School dal 1970 al 1974; gli stessi anni della Award, ed era in classe con lei. Ora vediamo chi è”.
Digitò il nome sulla tastiera, attese qualche secondo, poi apparve una serie di dati relativi alla signora Last.
“Bingo!”, esclamò Steve.
“Indovina chi è la nostra fantasma”, continuò.
“Jennifer Last, moglie dell'armatore Jonathan Ferguson, proprietario della Pretty Princess!”, esclamò Livienne, leggendo sul video del computer.
“Ma com'è possibile? Non doveva essere morta, per apparire come un fantasma?”, chiese, stupita.
“Evidentemente si è trattato di un doppelganger, ovverosia un "doppio". Si tratta di persone che riescono a sdoppiarsi, proiettando la propria immagine in luoghi e in atteggiamenti diversi da quelli in cui si trovano in quel momento. A volte questo sdoppiamento avviene inconsapevolmente. A ogni modo, ora abbiamo la certezza che Jennifer sapeva del sabotaggio della nave”.
“Già, ma come faremo a provarlo?”
“Dovremo bluffare: non possiamo portare a un eventuale processo le testimonianze di tre "visionari". Non sarebbero accettate come prova”.
Steve chiamò un agente di polizia, suo amico, che stava indagando sul caso:
“Michael, ho bisogno di un'informazione: che mi dici della signora Ferguson?”
“È stata interrogata, ma non sa nulla”.
“Dov'era ieri, verso le tre del pomeriggio?”
“Aspetta un attimo, ora controllo”. Michael diede una rapida occhiata ai suoi appunti:
“È stata vista verso le tre allo studio del marito, presso il porto. Poi afferma di essere tornata a casa, ma nessuno lo può confermare. Comunque, non abbiamo nulla contro di lei. Per quello che ne so, potrebbe essere davvero all'oscuro di tutto”.
“Ho capito. Ti ringrazio, Michael”.
Steve riattaccò, poi fece una capatina nell'ufficio di Ferguson, sempre seguito da Livienne. Qui trovò una copia della lista passeggeri, appoggiata sulla scrivania, e intuì come dovevano essere andate le cose.
“Hai un registratore, non è vero?”, chiese a Livienne.
“Sì: lo porto sempre con me”.
“Quando saremo a casa della Last, dovrai tenerlo acceso”.
“D'accordo”.
Dallo stomaco di Livienne si alzò un brontolio sommesso e la ragazza si ricordò improvvisamente che non mangiava dalla sera precedente. L'orologio alla parete segnava le 14 e 40: l'ora di pranzo era passata da un pezzo.
“Ti va di mangiare qualcosa?”, chiese Steve, in un improvviso slancio di generosità.
“Volentieri!”
L'accompagnò in un fast food, dove mangiarono dei panini e bevvero una birra, tranquillamente seduti a un tavolino appartato. A quell'ora, comunque, il locale era quasi vuoto: solo un gruppo di ragazzi stava giocando con i videogiochi e un inserviente lavava il pavimento.
“Che cos'è, esattamente, il "progetto A.I.R.E.S.S."?”, chiese Livienne, quando ebbe finito il suo panino.
“A.I.R.E.S.S., alla lettera sta per Alien Intelligence Research (and) Events Supernatural Studies. In pratica, è un progetto del governo atto a studiare tutti quei casi che non sono scientificamente spiegabili, o perlomeno che sembrano essere tali. In due anni che ci lavoro mi sono imbattuto in cose stranissime. A volte ho risolto i casi, a volte mi sono limitato a riportare i fatti com'erano accaduti, senza trovare alcuna spiegazione logica alla cosa”.
Si fermò per bere un sorso di birra, poi le chiese:
“E tu? Di che genere di notizie ti occupi?”
“Delle più stupide. Questa è la prima volta che mi imbatto in un caso interessante. Per questo non voglio mollare fino in fondo: può essere la mia grande occasione, capisci?”
“Può darsi. Ma dovremo riuscire a incriminare la Last, altrimenti tutto si risolverà in un buco nell'acqua”.
Steve si alzò, pagò il conto, raggiunse la sua macchina insieme a Livienne e si diresse verso la casa della Last, che era a letto con un terribile mal di testa. La donna si alzò e aprì loro la porta. Un istante prima, Livienne accese il registratore, che tenne nascosto nella borsetta aperta.
“Salve, signora Last. Sono un agente federale e devo rivolgerle alcune domande”, spiegò Steve, mostrandole il distintivo.
La donna li fece entrare, visibilmente preoccupata.
“Che cosa volete sapere? Ho già risposto alle domande di un poliziotto”, incominciò, seccata.
“Ora risponderà alle mie. E le consiglio di essere molto convincente, nonché disponibile, se non vuole che la porti direttamente in prigione”. Steve non aveva nessun capo d'accusa per poterla portare in prigione, ma doveva spaventarla a dovere.
“In prigione? Io non ho fatto niente”, sussurrò, spaventata.
“Dove si trovava, ieri pomeriggio, fra le tre e le quattro?”, tagliò corto Steve, il tono minaccioso di chi non ammette repliche.
“Ero qui, nella mia casa”, farfugliò lei.
“C'è qualcuno che l'ha vista, o che ha parlato con lei?”
“No. Ero qui sola”.
“Signora Last, ci sono due persone pronte a testimoniare di averla vista, ieri pomeriggio, fra le tre e le quattro, in casa loro: tutte e due affermano che lei sapeva del sabotaggio della nave e che ne ha parlato con loro”.
“Cosa? Ma non è possibile! Io non mi sono mai mossa di qui, ieri!”
“Questo non è vero: lei è stata vista verso le tre aggirarsi nei pressi dello studio di suo marito, accanto al porto. C'è una testimonianza che lo prova”.
“Sono stata allo studio, ma prima delle tre. Poi sono tornata a casa”.
“Già, ma prima si è recata dalla signora Bryte e dal padre di Agata Award, non è così?”, insinuò Steve alzando ancora di più la voce in tono accusatorio.
“Io non sono stata da nessuna parte!”, urlò la donna, che cominciava a perdere il controllo.
“Allora le dirò io come sono andate le cose: lei era d'accordo con suo marito per sabotare la nave! Voleva i soldi dell'assicurazione: la vostra impresa era sull'orlo del lastrico e questi soldi avrebbero risanato le vostre entrate e ripagato i debiti. Ma, all'ultimo momento, ha scoperto che sulla nave c'erano anche due sue conoscenti: la sua ex professoressa Margot Bryte e la sua amica e compagna di scuola Agata Award. Improvvisamente preda del rimorso, è corsa a casa della professoressa, per avvertirla di non partire, poi è andata dal padre di Agata. Non poteva andare direttamente dalla figlia, perché sapeva che lei l'avrebbe riconosciuta! Purtroppo, l'espediente non ha funzionato e Agata è morta ugualmente nel rogo! È questo che è accaduto, non è vero, signora Last?”, sputò fuori Steve, in un crescendo di toni minacciosi.
“No. Io non sono mai andata dalla signorina Bryte! Io…”, si fermò: le lacrime e i singhiozzi le impedivano di parlare.
“Lei non ha nessuna prova”, disse infine.
“Invece sì: questo disegno lo ha fatto la Bryte, dopo averla vista, ieri pomeriggio. Non può negare di essere lei la donna del disegno: ha persino gli stessi orecchini che ha ancora indosso! Lo guardi!”, urlò, mettendole il disegno sotto il naso.
A questo punto la donna crollò: scoppiò in un pianto irrefrenabile, poi incominciò a parlare.
“Non doveva finire così. I passeggeri dovevano salvarsi. Mio marito non voleva la loro morte, e neppure io. Ma le cose sono andate diversamente. Io lo sapevo: la notte precedente avevo fatto un sogno. Avevo sognato che la nave ardeva e la gente moriva carbonizzata. Nel sogno vidi la Bryte, e anche Agata. Andai allo studio, per parlarne con mio marito, che mi tranquillizzò: diceva che non sarebbe successo, che i passeggeri sarebbero stati portati tutti in salvo. Però mi capitò fra le mani la lista dei passeggeri e notai fra gli altri il nome della Bryte e della Award. Capii allora che era stato un sogno premonitore. Non sapevo cosa fare: se ne avessi parlato, avrei incriminato mio marito. Se avessi tenuto il segreto, molta gente sarebbe morta. Mi sentii male e svenni, battendo la testa. Non so per quanto tempo rimasi priva di coscienza ma, quando rinvenni, notai che sulla Pretty Princess c'era uno strano movimento. Me ne tornai a casa e solo dopo venni a sapere che il nostro assicuratore aveva fatto perquisire la nave, senza trovare nulla di sospetto. Pregai ancora mio marito di rinunciare all'impresa, ma lui mi disse che ero paranoica e che non dovevo preoccuparmi di niente. Solo quando la tragedia era ormai successa mio marito si è reso conto dello sbaglio. Quello che non capisco, è come ho fatto ad andare da quelle due donne, e avvertirle, se ero a terra svenuta!”
“Glielo spiego io, signora. Lei era divisa da sentimenti contrastanti: non voleva incriminare suo marito, ma non voleva neppure la morte di quei passeggeri, in particolare della sua amica e della professoressa. Così, non sapendo cosa fare, ha inviato loro la sua immagine. E ha fatto di più: l'ha inviata anche all'assicuratore, nella speranza che lui potesse fermare la nave. Tutte e tre le persone hanno visto la sua immagine, o, per meglio dire, il suo doppio, che li avvisava del pericolo. Probabilmente il fatto che lei fosse priva di sensi, nel momento in cui ha proiettato il doppio, deve averle agevolato la cosa. Il suo subconscio ha agito liberamente, poiché nulla in quel momento lo tratteneva, e ha lanciato l'allarme”.
“È una storia incredibile”, commentò la donna, prendendo il fazzoletto che Livienne le porgeva.
“Mi dispiace, signora Last, ma devo chiederle di venire con me”, annunciò Steve.
La fece salire in macchina, poi telefonò a un collega:
“Inoltra un mandato di cattura per Jonathan Ferguson. È accusato di frode, omicidio plurimo, danni materiali e un sacco di altre imputazioni”.
Dopo aver accompagnato la signora Last alla più vicina centrale della polizia e aver consegnato loro il nastro con la confessione, Steve accompagnò Livienne alla sede del giornale. Lungo la strada, la ragazza ultimò l'articolo utilizzando il registratore portatile.
“Ora hai il tuo scoop”, commentò Steve, salutandola.
“Grazie di tutto, Steve. Se avrò successo sarà anche merito tuo”. Gli sorrise scendendo dall'auto e lui rispose al suo sorriso. Livienne pensò che, dopotutto, non era poi così male, anche se non poteva soffrire i giornalisti.
Entrò nel portoncino che dava accesso al giornale e percorse il lungo corridoio che portava agli uffici. Fu qui che incontrò Been.
“Dove diavolo ti eri cacciata, Livienne? Hai finito l'articolo sulla mostra dei cani?”, abbaiò, furioso.
“Non proprio… se vuole glielo scrivo, ma, fossi in lei, darei un'occhiata a questo, prima”, disse, mostrandogli il registratore ed entrando nel suo ufficio.
“Quello? E perché?”
“Ripassi fra mezz'ora e lo capirà, il perché”, rispose semplicemente. Si sedette a scrivere, sotto lo sguardo attonito di Been, che decise di fare come lei aveva detto. Il giorno dopo, l'articolo di Livienne era in prima pagina.
   
 
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