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Autore: Lady I H V E Byron    29/04/2017    0 recensioni
Una conferenza sul cambiamento climatico.
Una possibilità di salvezza per il mondo dall'effetto serra.
Un'improvvisa esplosione.
Un caso da risolvere.
Un inganno da sventare.
Il mondo sembra essere nelle mani di un investigatore privato un po' scemo e quattro musicisti un po' imbranati.
P.S.: sia chiaro, i musicisti lo fanno solo per il loro spettacolo, non per un insensato senso di giustizia...
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una musica ad alto volume ruppe il silenzio nel salotto della casa del tenente Milanelli.
Da una coperta che avvolgeva tutto il divano, spuntò una mano, che cercava alla cieca la fonte di quella musica, fino a quando non tastò qualcosa di liscio, su cui passò il dito.
La musica smise.
Dalla coperta, vestito solo con la sua biancheria intima e con i capelli neri arruffati, uscì Francesco, sbadigliando.
Erano le sei del mattino, e la mattina era ancora buia.
L’appuntamento con i musicisti era alle 7:00, quindi dovette sbrigarsi a prepararsi per la giornata.
Prese il suo telefono e si diresse verso il bagno.
Scelse una canzone e la mise a tutto volume, intanto che si faceva una doccia veloce, cantando, seppur male.
Ettore stava ancora dormendo nella stanza accanto. Fu bruscamente svegliato dalla voce stonata del cugino.
Era l’ora di alzarsi.
Passò un quarto d’ora: i due cugini si incontrarono nel corridoio, uno appena uscito dal bagno, l’altro appena alzato dal letto.
-‘Giorno Ettore…- salutò il più giovane, sorridendo lievemente.
-Buongiorno un cacchio…- ricambiò l’altro, ancora nei fumi del sonno –Proprio i Linkin Park a tutto volume dovevi metterti a cantare…?-
-Lo sai che mi piacciono.-
-Sì, certo…- biascicò l’altro, entrando nel bagno –Visto che sei già pronto, allora prepara la colazione. Il latte è nel frigo e ci sono dei Buondì nella credenza. Serviti pure…-
Mezz’ora dopo i due Milanelli erano già vestiti e avevano appena concluso la loro colazione.
Ettore indossava la sua solita divisa, mentre Francesco si era nuovamente messo la giacca verde e il cappellino insieme a dei jeans strappati sul ginocchio e un paio di Converse.
-Io vado subito in centrale.- disse Ettore, una volta alzato –Vieni con me?-
-No, io devo andare a prendere i quattro schizzati. Gli abbiamo promesso che li avremmo fatti partecipare alle indagini, dopotutto…-
-Come vuoi. Io ti aspetto in centrale, allora. Spero che la scientifica abbia scoperto qualcosa…-
Non aveva accennato a Lisa, per fortuna.
Una notte di riposo era proprio quello che ci voleva per Francesco.
Salì in macchina e si diresse verso l’hotel indicato da Saverio e Giorgio.
Fortunatamente non era molto lontano dalla casa di Ettore.
Per tutto il tragitto, tentò a stento di rimuovere Lisa dalla sua mente, concentrandosi, piuttosto sul caso cui aveva accettato di indagare.
Dopo pochi minuti, si fermò proprio davanti all’Hotel Miramare. Nonostante le sue quattro stelle, era un albergo modesto, ma non tale da sembrarne uno da tre stelle.
La Quarta Orchestra non aveva né la fama né i soldi (soprattutto i soldi) per permettersi di alloggiare in un hotel a cinque stelle.
Fortunatamente, Luciano, Saverio e Giorgio erano usciti in quel momento. Alberto uscì qualche secondo più tardi rispetto ai colleghi. Aveva l’aria più assonnata dei quattro.
-Ma ti vuoi muovere?!- lo rimproverò il più giovane della banda –Non possiamo stare qui ad aspettarti! Già sei vecchio…-
-Scusate tanto se mi devo ancora svegliare…- protestò l’altro, sistemandosi gli occhiali e scendendo lentamente le scale, per evitare di scivolarci sopra –Odio svegliarmi presto…-
-Anch’io, ma se l’investigatore ha detto alle 7:00, ci sarà un motivo, no?-
Poi scoprirono chi era il conducente della Punto parcheggiata proprio di fronte all’hotel e si affrettarono ad entrare, dopo averlo salutato.
Fortunatamente, c’era abbastanza posto per tre persone nei sedili posteriori. Giorgio si sedette accanto a Francesco.
-Allora, come è andata ieri sera?- domandò, voltandosi verso il giovane, che continuava a guardare serio la strada, facendo una specie di slalom tra le macchine. Luciano, Alberto e Saverio, per poco, non rischiavano il conato con quei movimenti bruschi e improvvisi.
-Perché che è successo ieri sera?- domandò, senza voltarsi.
Il musicista assunse un’aria confusa.
-Beh… ma con Lisa, intendo...- disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Lisa? Ah! Lasciamo perdere! Una notte di riposo era proprio quello che ci voleva.- il ricordo delle parole scambiate con Lisa era troppo doloroso per il giovane -La cosa migliore da fare è concentrarsi tutti su questo caso.-
A questo punto, Alberto si sporse un po’ in avanti, per parlare con lui.
-A proposito… a che punto siamo con le indagini? Avete scoperto qualcosa sull’uomo che ha fatto esplodere l’Istituto Meteorologico?-
-Ma cosa vuoi che abbiano scoperto?- si intromise Luciano, incrociando le mani dietro la testa –E’ passata solo una notte.-
Erano ormai vicini alla centrale: l’entrata si trovava una volta salita una piccola scalinata, come l’hotel Miramare.
Immerso nei suoi pensieri e formulando varie ipotesi sul caso, Francesco non si era nemmeno reso conto di essere contromano, svoltando dove era presente uno “Stop” (sempre contromano).
Rallentò, senza frenare, andando, involontariamente, a sbattere contro una cabriolet con il tetto aperto, che, spinta in avanti, si scontrò contro una betoniera.
L’impatto fece aprire uno scarico di emergenza, da cui uscì tutto il cemento, che entrò dentro la Cabriolet.
Per l’investigatore sembrava una cosa normale, ma i quattro musicisti vennero brutalmente spinti in avanti: l’unico a subire danni fu Saverio, che sbatté il naso contro il poggiatesta di Giorgio.
 -Non so voi, signori…- disse il giovane, con aria determinata, senza sentire l’urlo di dolore del trombonista –Ma io non voglio che il caso di questo caso venga risolto a caso, per caso!-
Uscì dalla macchina, senza voltarsi.
Anche i passeggeri fecero la stessa cosa; apparivano confusi per il discorso dell’investigatore e allarmati per il cemento che continuava ad entrare nella cabriolet urtata.
Il naso di Saverio sanguinava: cercava di guardare in alto, tappandosi le narici.
-Ma chi gli avrà dato la patente…?- mormorò, senza farsi sentire o vedere.
Francesco, infatti, non era molto bravo a guidare: la Punto, infatti, era piena di ammaccature.
-Gli indizi a nostra disposizione sono troppo pochi.- spiegò questi, salendo le scale, seguito da loro -Non ci resta che sperare che il laboratorio abbia scoperto qualcosa, per caso…-
Non aveva nemmeno fatto caso al rumore liquido del cemento.
“Non bastavamo solo noi quattro, come fuori di testa…” pensò Giorgio, scettico nei suoi confronti “Ora ci mancava solo l’investigatore mezzo idiota…”
Nella centrale, sembrava regnare il caos; o meglio, il terrore.
L’ennesimo spacciatore era stato arrestato quella mattina: nessuno sapeva come, ma era riuscito a liberare una mano da una delle manette.
Aveva una pistola in mano, probabilmente sfilata da una fondina di un poliziotto, e la stava puntando in avanti: Ettore era proprio lì davanti, con le mani in alto. Come gli era stato insegnato nei suoi primi anni da poliziotto, non doveva mostrare alcuna paura in momenti simili, ma dare l’impressione di avere la situazione sotto controllo.
-Nessuno di voi porci mi prenderà!- esclamò il detenuto, ridacchiando.
-Stai calmo…!- lo esortò il tenente, osservandolo con aria fredda.
-Dite le vostre preghiere!-
Successivamente, il miracolo: Francesco e la Quarta Orchestra entrarono proprio in quel momento.
Saverio era riuscito a mettersi dei pezzi di fazzoletto nelle narici, per fermare il sangue.
Lo spacciatore era proprio vicino alla porta, quindi fu colpito da essa, una volta aperta dall’esterno, che lo fece cadere per terra.
Disarmato, un paio di poliziotti scattarono verso di lui, rimettendogli le manette e dandogli un paio di manganellate, come punizione.
-Cattivo! Cattivo!- gli urlarono.
-Bel lavoro, Cesco.- complimentò Ettore, camminando accanto al cugino, che, come risposta, gli rivolse uno sguardo confuso, ignaro di quanto era accaduto.
Solo i musicisti, voltandosi indietro, se ne resero conto.
La centrale non era molto grande: c’erano un sacco di scrivanie in uno spazio ridotto; persino il tavolo della scientifica era in quella stanza.
Era presente solo una persona, un uomo dai capelli grigi, camice bianco, occhiali a montatura grande, leggermente più anziano di Alberto, ma ancora costretto a lavorare lì, dopo l’ultima legge sul lavoro. Doveva rimanere lì per almeno altri 10 anni.
Era una leggenda nella scientifica: era noto persino per le sue invenzioni, che metteva sempre a disposizione per le indagini o per mantenere l’ordine.
-Senti, Franco…- disse Ettore, avvicinandosi allo scienziato; era nella centrale praticamente dai primi tempi in cui quest’ultimo era un semplice poliziotto, quindi si sentiva libero di dargli del “tu” –Puoi mostrarci i risultati che hai ricevuto dal Istituto Meteorologico?-
-Non siamo riusciti a trovare delle impronte digitali chiare…- spiegò lo scienziato, prima di mostrare un tassello di gesso su cui era incisa un’impronta di un piede molto grande –Tuttavia, abbiamo trovato delle impronte di piedi all’esterno del centro e questo è un calco di gesso. Misura 46. Stiamo seguendo questa traccia.-
I quattro musicisti, quasi allarmati, si guardarono i propri piedi, temendo di essere sospettati.
Per fortuna, nessuno di loro aveva quella misura.
-Ma è ancora più sospetta quest’impronta di dinosauro.- proseguì Franco, scoprendo con un telo un altro tassello di gesso, molto più grande di quello precedente, con un’impronta di dinosauro ivi incisa –Signori, un reperto considerevole dell’era paleolitica.-
I presenti si osservarono allibiti l’un l’altro.
-Ehm…- mormorò Francesco, una volta schiaritosi la voce –C’è dell’altro?-
-Sì, a circa sei metri da lì abbiamo scoperto del legname antico che crediamo possa appartenere all’arca di --Noè.-
-E’ magnifico, Franco, ma io mi riferivo al caso. Novità?-
-Partirò domani per Milano, dove rivolgerò un appello pressante alla società archeologica italiana.- rispose Franco, senza curarsi della domanda del giovane investigatore –Ah, mi hanno invitato a Geo&Geo la prossima settimana.-
-E tu andrai a Geo&Geo per questa roba?-
-No, mia moglie è una seguace transessuale di Satana.-
Francesco e i quattro musicisti furono come sconvolti, allo stesso tempo confusi, da quella rivelazione, soprattutto i secondi che si guardarono l’un l’altro come per dire “Ma in che posto siamo finiti?!”.
Anche Ettore non riuscì a celare la sorpresa.
-Lo so, non c’entra niente.- riprese lo scienziato, rivolto al tenente –Allora, continueremo l’analisi delle impronte, i controlli della fibra, la classificazione del DNA, la campionatura dei capelli e poi useremo le particelle di terra microscopiche di terra su questa impronta. Serve un’analisi geologica di tutta la città.-
-Potremo non avere tutto questo tempo, Franco.- disapprovò Ettore, abbassando un sopracciglio.
Anche Franco storse la bocca.
-Mmm… forse questo ci aiuterà.- disse, tirando fuori un portafoglio di pelle –Abbiamo trovato il suo portafoglio. Era fuori per terra.-
Sospirando, Francesco quasi glielo strappò di mano: tutta una riflessione e spiegazione scientifica, forse per vanto, per poi scoprire che la strada era molto più semplice.
-Non abbiamo avuto modo di esaminarlo accuratamente. Ci è stato mandato dal laboratorio solo un’ora fa.-
Giorgio, Saverio, Luciano e Alberto sembravano pensare la stessa cosa: “Sembra di essere capitati nella città degli spostati mentali…”; tuttavia, si avvicinarono ugualmente all’investigatore, mentre scrutava dentro il portafoglio, dove estrasse un pezzo di giornale, che spiegò.
C’era l’immagine di un uomo, in tenuta di arte marziale, accanto ad un paragrafo che parlava proprio di lui: corrispondeva esattamente alla descrizione fornita da Lisa sull’uomo intravisto da lei.
Ecco l’uomo che stava cercando.
-Vittorio Salverini. Di Catanzaro…- mormorò, serio -Sì, mi ricordo di questa belva. E’ stato campione di Arti Marziali Miste, qualche anno fa. Il suo vero nome era Gioele Campobasso.-
Anche Ettore ebbe come un’illuminazione.
-E’ vero…- si ricordò, schioccando le dita -Combatteva con il nome di Bimbo Trento.-
-Una volta ho visto combattere Bimbo Trento, a Firenze.- si intromise Luciano, alzando un dito, per richiamare l’attenzione.
-No, forse intendevi Bimbo Napoli.- ribatté l’investigatore -Combatteva fuori Terni.-
-Che fu ucciso sul ring di Milano.- aggiunse il cugino -Da Toro Trieste, sapete, l’assassino di Aosta.-
-Sì, quello dell’Emilia-Romagna.- disse Alberto -Non mi ricordo, però, se l’Emilia o la Romagna.-
-Emilia. Romagna era suo fratello, della Sicilia.-
-Sei un esperto in geografia, Cesco…-
-Tutto ciò che c’è da sapere è non scommettere mai su uno del Sud.-
Altri sguardi allibiti come risposta.
-Per caso c’è un indirizzo, lì dentro?- domandò Giorgio, richiamando l’attenzione sul caso.
-Beh…- fece Francesco, tirando fuori un altro pezzo di carta –Tutto quello che c’è è un biglietto con scritto “Monica di Carlo, Via Marchese De Sade 21”.-
Ettore si fece serio.
-La zona a luci rosse…- mormorò.
-Chissà perché Salverini bazzica da quelle parti…?-
-Sesso, Francesco?- domandò Giorgio.
Il giovane guardò il musicista con aria strana.
-No, non adesso, Giorgio! Dobbiamo lavorare!- rispose, facendo allibire i presenti per l’ennesima volta.
Nel frattempo, Franco stava guardando fuori dalla finestra. Ad un certo punto, sorrise.
-Ehi, venite tutti a vedere la mia nuova invenzione!- invitò, facendo avvicinare i due cugini e i quattro musicisti, incuriositi –E’ un dispositivo anti-dirottamento.-
Infatti, una donna era entrata in macchina, dalla parte del guidatore, e un uomo stava cercando di tirarla fuori, invano; infatti, ella era riuscita a chiudere la portiera. L’uomo, tuttavia, aveva già preso una pistola e gliel’aveva puntata contro, per minacciarle di uscire da lì. Ma lei non si mosse; qualcosa spuntò, invece, da sotto la macchina, diretta in mezzo alle gambe dell’aggressore, una specie di cerniera che lo strinse forte nella zona riproduttiva (a tal punto da farlo gemere dal dolore), permettendo, così, la fuga facile alla donna.
Tutti, eccetto lo scienziato, che ridacchiava, si misero nei panni dell’uomo e assunsero degli sguardi sofferenti.
-La chiamiamo la Ganascia Selvaggia!-
Saverio, ancora con i pezzi di fazzoletto nelle narici, pensò, scuotendo la testa: “Promemoria: mai più spettacoli a Rieti.”
   
 
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