Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: WillofD_04    01/05/2017    2 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi stiracchiai con cura prima di decidermi a scendere dal letto e dirigermi in cucina. Essere un’eroina aveva decisamente i suoi lati positivi. Law mi aveva molto gentilmente concesso un paio di giorni di riposo prima di ritornare ai lavori pesanti, così da potermi occupare al meglio dei miei pazienti, ancora convalescenti. Le cose non erano ritornate del tutto a posto tra di noi, ma se non come persona, almeno ero riuscita ad ottenere di nuovo la sua stima come medico. Ero fiduciosa che prima o poi avremmo seppellito l'ascia di guerra e saremmo ritornati ad essere quello che eravamo prima, ammesso che fossimo qualcosa.
Non era male la vita sul sottomarino, messa in quei termini. Se non altro non c’era astio o rancore tra nessuno di noi, chirurgo compreso. Una volta mi aveva perfino sorriso mentre ci eravamo incontrati nel corridoio.
Scostai le coperte e mi alzai, andando alla ricerca della divisa. La sera prima io e i miei fidati compagni di bevute ci eravamo scolati un po’ troppa birra e ora non mi ricordavo dove avevo gettato l’odioso indumento. La ritrovai in bagno, la indossai e raggiunsi il resto dei miei compagni in cucina. Per fortuna quella mattina non avevo i tanto temuti postumi della sbornia. Avevo solo la gola un po’ secca, ma a quello avrei rimediato prendendo il caffè. Affrettai il passo. Sapevo di dover arrivare presto, o in quattro e quattr’otto avrebbero svuotato la caraffa.
«Buongiorno!» trillò Ryu con voce allegra.
«Buongiorno a te» gli risposi sorridente mentre mi avviavo verso la brocca con il caffè.
Mi sporsi per prendere la mia tazza – quella arancione – dal ripiano in alto e ci versai il liquido scuro dentro, soffiandoci subito dopo per farlo raffreddare. Non feci in tempo a prenderne un sorso, che qualcuno mi chiamò concitatamente ed io fui costretta a girarmi verso quella voce trafelata. A chiamarmi era stato uno dei medici.
Sbuffai. «Ci sono problemi, vero?» chiesi, immaginando già quale fosse la risposta.
Il mio interlocutore annuì e a quel punto fui costretta a posare la tazza – malvolentieri – sul tavolo e dirigermi verso l’infermeria.
Quando entrai, notai che due dottori stavano cercando di tenere fermo il ragazzo che avevamo imbarcato clandestinamente qualche giorno prima, che si dimenava come se fosse posseduto da un demone e tentava di togliersi di dosso tubi e attrezzature varie. Continuava a dire che non voleva avere nulla a che fare con “noi sporchi pirati”. Aveva una grande energia, non c’era dubbio. Tuttavia non gli avrei permesso di fare il diavolo a quattro, non sotto la mia supervisione, almeno. Rischiava di far riaprire le ferite.
Sospirai e mi strinsi il ponte del naso tra pollice ed indice. Ormai senza caffè carburavo poco ed ero più aggressiva di quanto non fossi in realtà. Ma proprio perché avevo urgenza di andare a bere il mio espresso, ero anche più sbrigativa.
«Tu!» sputò il ragazzo con disprezzo guardando nella mia direzione «perché mi hai salvato!?» mi chiese mentre i due dottori cercavano di bloccargli le braccia.
Alzai un sopracciglio ed incrociai le braccia. «Mi dispiace, ma non parlo con gli sconosciuti» risposi, calma «e se fossi in te non mi dimenerei troppo. I punti potrebbero saltare e così facendo la ferita si riaprirebbe. Tu sentiresti molto dolore per nulla e potresti anche perdere del tutto la vista» gli spiegai poi mentre prendevo una sedia e mi ci sedevo. Il mio avvertimento parve funzionare, perché lui si calmò e i miei compagni poterono tirare un sospiro di sollievo.
«Odio i pirati» affermò ad un certo punto.
«Questo lo vedo, non fai altro che ripeterlo» dissi io sbuffando una risata.
Il ragazzino osservò i due medici che ancora lo tenevano fermo con sguardo truce. Io feci loro un cenno del capo in direzione della porta. Loro mi guardarono titubanti, come a chiedermi se fosse una buona idea lasciarmi sola con lui ed io annuii.
«Mi chiamo Jasper» esordì il ragazzo quando fummo soli.
«Un bellissimo nome» commentai sorridendo lievemente.
«Ho quattordici anni» annunciò, poi abbassò la testa «e la mia famiglia è stata sterminata da una maledettissima ciurma di pirati» mi confessò a bassa voce.
Mi umettai le labbra con la punta della lingua ed incrociai gambe e braccia.
«Mi dispiace per la tua famiglia» mi pronunciai, sinceramente addolorata.
«Tu sei un pirata. Quindi perché mi hai salvato?» domandò, ignorando le mie – se così si potevano chiamare – condoglianze. Non si poteva dire che non arrivasse subito al punto.
«È vero, io sono un pirata. Ma ancora prima di essere un pirata, sono un medico. E in quanto tale è mio dovere soccorrere i malati e i feriti e provare a salvare loro la vita. Non mi interessa razziare ed uccidere per il semplice gusto di farlo. Non mi interessano i tesori e come vedi non ho una gamba di legno, né una benda sull’occhio. E purtroppo non ho nemmeno un pappagallo da tenere sulla spalla» gli spiegai. Lo vidi trattenere una risata alle mie ultime parole.
«Non puoi fare di tutta l’erba un fascio. I pirati che conosco io non sono come te li immagini tu. E anche la mia amica, quella lì» indicai il letto accanto al suo, in cui c'era Maya che si stava riposando amabilmente – era un miracolo che non si fosse svegliata con tutti quegli strepitii – con il dito «ha voluto portarti qui perché sapeva che ti avremmo salvato e che ci saremmo presi cura di te. Non tutti i filibustieri sono brutti, grassi e cattivi» lo ammonii «alcuni di noi ti sarebbero perfino simpatici».
«Ne dubito» commentò, freddo.
«Sei libero di non credermi. Ma comunque non ti devi preoccupare. Nessuno su questo sottomarino ti farà del male» lo rassicurai, alzandomi e rimettendo a posto la sedia «nel pomeriggio passerò a controllarti le medicazioni e parlerò con il mio capitano affinché tu possa ritornare su Kaitei» gli annunciai mentre mi dirigevo verso la porta. Gli diedi un’ultima occhiata prima di uscire e notai che era un po’ più rilassato. Ero sicura che da grande sarebbe diventato un bel ragazzo. Aveva due meravigliosi occhi blu che sembravano due zaffiri, tanto erano brillanti. Era anche per questo che ci tenevo a salvargli l’occhio sinistro. I capelli, biondo caramello e di media lunghezza, erano mossi ed un po’ arruffati. Il naso era piccolo ed armonioso, leggermente all’insù, mentre la bocca era carnosa e a forma di cuore. Mentre correvo in cucina pensai che avevo fatto proprio bene a salvarlo.
Varcai la soglia della stanza che ci faceva anche da sala da pranzo e mi diressi a passo svelto verso la mia tazza. Vuota. Era vuota. Mi avvicinai alla caraffa del caffè. Era vuota anche quella. Era finito il caffè. Allargai leggermente le braccia per poi lasciarle ricadere rapide lungo i fianchi. Mi voltai con sguardo estremamente minaccioso verso le uniche due persone che potevano essere responsabili di una tale atrocità.
«Non bastava il vino. Anche il caffè dovevate finire!?» tuonai, furiosa.
Ryu rise, mentre sia Shachi che Penguin tentarono di riparare al danno con un sorriso innocente stampato sul volto. Lanciai un’occhiataccia a tutti e tre. Il cuoco smise di ridere all’istante, mentre i cretini si misero con il corpo in posizione di difesa.
«Se non l’avessimo bevuto si sarebbe freddato!» cercò di giustificarsi l’orca, portandosi le mani ai lati del viso in segno di resa.
Annuii con veemenza e mi passai la lingua sulle labbra prima di prendere la parola.
«Freddato, eh?» feci io, sorridendo sadicamente appena prima di avvicinarmi ai loro volti «la prossima volta vi ci faccio un clistere. E vediamo se il caffè si raffredda o meno, nei vostri colon» sussurrai loro con sguardo tremendamente truce.
Mi raddrizzai, scossi la testa e sospirai. Quei due non sarebbero mai cambiati. Ma se avessero osato finirmi di nuovo il caffè – o il vino, era sottinteso – gliel’avrei fatta pagare cara.
 
«Ecco fatto. Come te le senti?» chiesi a Jasper dopo che gli ebbi cambiato le bende. Lui alzò il pollice per dirmi che le fasciature andavano bene, ma non disse niente. Sospettavo che non gli piacesse parlare in presenza di altre persone di cui non si fidava.
Quando ebbi controllato che anche il resto fosse a posto, lo salutai, sorrisi a Maya – che si era ripresa alla grande ma era ancora in convalescenza – e ad Omen, che da quando la sua amica era stata "ricoverata" gravitava sempre da quelle parti, ed uscii dall’infermeria.
Mentre ritornavo nella mia stanza incontrai uno dei miei compagni, che aveva un’aria estremamente infastidita.
«Guarda!» esclamò, mettendomi a due centimetri dal naso la divisa che aveva in mano. Allontanai il viso e la presi in mano. «C’è una macchia! Che cazzo Cami, potevi lavarla meglio!»
Osservai il capo d’abbigliamento. Era bianco immacolato, eccetto per una minuscola macchia – sbiadita, tra l’altro – di sugo di pomodoro appena sotto il simbolo dei Pirati Heart. Gli restituii l'indumento e mi portai la mano sinistra sul fianco. Poi, iniziai a sventolargli l’indice dell’altra mano sotto alla faccia.
«Se non ti sta bene il modo in cui lavo la tua divisa, lavatela da solo!» urlai, pungolandogli la spalla con il dito «Oppure comprati un bavaglino, così eviti di sbrodolarti mentre mangi!» gli strillai adirata. Il giorno in cui avevo fatto il bucato e lavato quella divisa doveva essere quello in cui avevo litigato con il Chirurgo della Morte. Effettivamente non si poteva dire che avessi prestato particolare attenzione al lavaggio dei vestiti, in quella peculiare giornata. Ma ciò non mi rendeva responsabile per la sua incapacità di chiudere la bocca quando masticava il cibo.
«Smettila di discutere con i miei sottoposti e vieni con me» la voce tagliente ed affilata di Trafalgar Law mi arrivò dritta alle orecchie. Mi sporsi oltre il mio compagno per osservare la sua figura scomparire lungo il corridoio. Spintonai l’idiota che contestava i miei metodi di lavaggio per levarmelo di torno, senza dargli tempo di fare o dire altro e mi affrettai a seguire come un cagnolino obbediente il mio capitano. Non sapevo cosa volesse, ma quando mi aveva ordinato di seguirlo non aveva usato un tono troppo duro, né sembrava arrabbiato. Non sembrava niente, a dire la verità. Non sapevo mai cosa aspettarmi da lui. Ma in fondo, questa sua velata imprevedibilità mi piaceva. Era un continuo stimolo per me, che mi spingeva a cercare di addentrarmi sempre di più nella sua mente e nei suoi pensieri.
Aprì la porta del suo studio e, senza perdere tempo, andò a sedersi sulla sua sedia. Sul tavolo di fronte a lui, al posto dei soliti enormi tomi di medicina, c’era un giornale. Lo fece scorrere sulla superficie liscia e lignea finché non arrivò a me. Poi reclinò la schiena, si intrecciò le mani dietro la nuca e portò i talloni sul bordo della scrivania, appoggiando un piede sopra l’altro.
Rigirai il giornale dalla mia parte e piegai la testa. Quando finii di leggere il titolo dell’articolo in prima pagina, non potei fare a meno di sorridere e gioire.
 
“Cappello di paglia colpisce ancora e ritorna a causare scompiglio nel Nuovo Mondo:  Jack ‘la siccità’, una delle punte di diamante dell’Imperatore Kaido delle 100 Bestie, dato per morto tempo addietro, è stato sconfitto. Fonti non confermate sostengono che sul posto dello scontro fosse presente anche il Capo di Stato Maggiore dell’Armata Rivoluzionaria, il nuovo possessore dei poteri del frutto Mera Mera, Sabo.”
 
Quel malandrino ce l’aveva fatta, finalmente. Guardando il lato positivo – l’unico della situazione –  questo significava che a breve ci saremmo ricongiunti con quegli scalmanati. E a quanto pareva, Cappello di Paglia aveva fatto prima a ricongiungersi con suo fratello. Quella notizia mi fece sorridere. Ero felice che quei due si fossero rivisti. Mi chiesi se stessero tutti bene o se fossero ridotti male. Jack mi era parso fin dal primo momento un osso duro. Non tutti sono capaci di combattere giorno e notte per cinque giorni di fila contro i due combattenti più forti della Tribù dei Visoni. L’articolo conteneva una sua foto. La osservai meglio e inorridii leggermente. Nei suoi occhi c’era una tale follia che sarebbe stata impossibile da spiegare. Le sue iridi erano ferme e spavalde, non aveva paura di niente e nessuno. Avevo avuto modo di apprendere della sua irrazionalità, ma vederla da “vicino” era un altro paio di maniche. In cuor mio, per quanto orribile fosse, sperai che quella specie di mammut fosse morto una volta per tutte, seppure l'articolo non spiegasse quali fossero le sue reali condizioni. Era deceduto? Era stato mandato in prigione? Era ancora in libertà nonostante le gravi ferite? Non si sapeva. In momenti come questo odiavo profondamente il Governo Mondiale e il loro maledetto bisogno di censurare le notizie.
Spostai lo sguardo su Law, che durante il tempo che avevo impiegato a leggere il trafiletto mi aveva osservato con espressione impassibile.
«Sai che cosa significa questo, vero?» mi chiese dopo un po’.
Abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo subito dopo.
«Sì, lo so» risposi. Dopo l’iniziale gioia, era arrivata la consapevolezza. La consapevolezza che, a causa dell’alleanza che ci legava alla ciurma di Cappello di Paglia, a breve saremmo dovuti andare a Wa ed avremmo dovuto affrontare la furia distruttrice di Kaido. Non solo Rufy lo aveva privato dei suoi amatissimi Smile e dello scienziato che gli forniva il materiale per poterli ricreare, ma adesso gli aveva anche portato via uno dei suoi sottoposti più promettenti ed in gamba. Non per niente, l’occhiello recitava:
 
“Come reagirà l’uomo più forte del mondo a questo affronto da parte della Supernova?”
 
E la verità era che non ne avevo idea. Nessuno ce l’aveva. Ma ero piuttosto sicura che tutti sperassero di riuscire a cavarsela in qualche modo. Io per prima speravo di non dover affrontare un Imperatore, ma la realtà dei fatti differiva di molto dalle mie speranze. Finora il mondo se ne era rimasto tranquillo a guardare, ad aspettare che qualcuno facesse qualche mossa. E questo era il risultato. Qualcosa era scattato ed ora sia il mio capitano che Rufy, dovevano agire e prendersi la responsabilità di quello che avevano combinato. Li avrei sostenuti come avevo promesso di fare, ma ciò non significava che io volessi prendere parte a quella battaglia impossibile da vincere. Era un gioco al massacro e tutti ne erano più che consapevoli. La fortuna non ci avrebbe aiutato, dovevamo diventare più forti se volevamo sopravvivere. Questo erano i Quattro Imperatori, era inevitabile che alla fine si finisse con il non avere scelta.
«Pensi di essere pronta?» mi domandò il chirurgo con tono piatto.
Non dovetti pensare nemmeno un secondo alla risposta.
«No. Ma ormai non posso più farci niente» affermai «non c’è via di scampo» cercai di sdrammatizzare. Era l’unica cosa che potevo fare, vista la situazione.
«Non sei obbligata a partecipare ad una battaglia che non ti appartiene» mi disse Law, calmo.
«Ti sbagli. Questa battaglia è anche mia» lo corressi «sei il mio capitano. Che razza di subordinata sarei se scappassi a gambe levate di fronte al primo ostacolo che incontriamo?»
Sul suo volto vidi comparire un ghigno.
«Se questa è la tua decisione, ho solo una cosa da dirti» dichiarò poco dopo. Mi misi in ascolto, seria. «Diventa più forte.» mi consigliò, anche se il tono con cui lo disse mi faceva pensare che la sua fosse più un’imposizione.
Annuii con convinzione. Non c’era bisogno che me lo dicesse lui, sapevo benissimo da sola di dover diventare più forte. Ma apprezzai il suo gesto, questo voleva dire che in parte ci teneva a me.
«Puoi andare» mi congedò. Feci per andarmene, ma poi mi ricordai.
«A dire il vero vorrei parlarti di una cosa» gli annunciai, titubante.
Fece un lieve cenno del capo per incitarmi a continuare.
«Il ragazzo che abbiamo curato, Jasper, dovrebbe ritornare su Kaitei» gli feci presente.
«Non vedo quale sia il problema» ribatté il chirurgo.
«Beh, dovremmo accompagnarlo. Non possiamo lasciarlo andare da solo» replicai io, alzando le sopracciglia e piegando appena la testa.
Parve rifletterci un attimo, giusto quei tre secondi che gli ci vollero per arrivare alla soluzione.
«Bene, allora lo accompagnerai tu» mi comunicò in tutta tranquillità.
A quelle parole aggrottai la fronte e spalancai gli occhi.
«Io!?»
Mi rispose alzando un sopracciglio. Quello era il segnale che la sua decisione sarebbe stata irrevocabile ed incontestabile. Qualsiasi cosa avessi detto sull’argomento, da quel momento in poi non avrebbe più sortito alcun effetto. Sospirai. Non sarebbe servito a niente protestare, dovevo rassegnarmi al mio destino. Avrei accompagnato Jasper su Kaitei.
 
***
 
Ero appena uscita dalla doccia dopo essere tornata dall’addestramento di Bepo, che improvvisamente aveva deciso di smetterla di lavorare sulla flessibilità ed iniziare a lavorare sulla forza. Da circa una settimana mi toccava sollevare pesi. Da elegante ed aggraziata ginnasta sarei diventata una lottatrice di sumo. Ma era giusto così. Dovevo diventare più forte. Per me stessa, ma anche per tutte le altre persone coinvolte nell’alleanza. Non volevo essere un peso per nessuno. Feci appena in tempo ad avvolgermi uno striminzito asciugamano intorno al corpo, che sentii la porta della camera aprirsi. Di sicuro erano quei due idioti di Shachi e Penguin, che avevano sentito lo scroscio dell’acqua della doccia e volevano venire a “controllare che stessi bene” nella speranza di vedermi nuda. Ancora non avevano capito che non avrebbero comunque potuto vedermi nuda, visto che per fare la doccia toglievo la cintura. Era vero, avrei potuto chiudermi a chiave, ma la verità era che mi piaceva troppo osservare le loro espressioni deluse quando scoprivano di non poter vedere le mie grazie. Ogni volta era sempre la stessa storia, eppure loro non demordevano mai.
«Pagina sette» fece una voce dall’altra parte della sottile porta che separava la stanza da letto dal bagno. Corrugai le sopracciglia. Non erano Shachi e Penguin, era Law che era entrato di straforo.
«Cosa?» chiesi quasi strillando. In parte non ero sicura di aver sentito bene e in parte non avevo capito a cosa alludesse.
Prima di uscire dal bagno mi assicurai di aver legato bene l’asciugamano per evitare eventuali figuracce, visto che lui poteva vedermi anche senza cintura. Ma quando varcai la soglia della porta, il chirurgo se n’era già andato. Sul letto mi aveva lasciato qualcosa. Mi avvicinai all’oggetto in questione mentre mi frizionavo i capelli con un altro asciugamano.
«Ah, un giornale» esclamai sorpresa quando lo identificai. Iniziavo a capire che cosa volesse dirmi il capitano.
Mi sedetti sul bordo del letto e feci come mi aveva consigliato il chirurgo. Andai a pagina sette e quando lessi la notizia il mio cuore quasi scoppiò per la gioia. Alzai le braccia al cielo ed esultai con un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia.
 
“Secondo alcune fonti non confermate, pare che sull’isola Red Fushi, nel Nuovo Mondo, ci sia stato un incontro ravvicinato tra l’Imperatore Shanks il Rosso e l’ex Comandante della Prima Flotta di Barbabianca, Marco la Fenice. Sull’isola sembra che fossero presenti anche le rispettive ciurme. Sia il motivo del loro incontro, sia le parole che si sono scambiati, sono sconosciuti.”
 
L’articolo sosteneva che le fonti non fossero confermate, ma a me non importava più di tanto, perché era pur sempre qualcosa! Insomma, Marco non era il tipo di persona che si confondeva facilmente con qualcun altro e Shanks nemmeno. Volevo credere che l’incontro fosse avvenuto realmente e che Marco fosse sulla buona strada – anzi, rotta – per ritornare ad essere un pirata. Forse, le mie parole lo avevano fatto rinsavire e si era finalmente deciso ad iniziare la sua rinascita, proprio come fanno le fenici. Mi piace pensare che fu così che andarono le cose. Che in qualche modo io fossi in piccola parte responsabile per quella sua scelta. Che fosse merito mio – o colpa mia – se il mondo avrebbe potuto di nuovo tremare nel sentir pronunciare il suo nome. Certo, l’articolo non diceva niente sulla natura dell’incontro avvenuto con l’Imperatore, ma in cuor mio speravo che fosse stata una visita amichevole da parte del biondo, probabilmente per discutere di alcune questioni rimaste in sospeso tempo prima. Che si fosse deciso, insieme agli altri comandanti, ad accettare la proposta del Rosso di entrare nella sua ciurma?
Quale che fosse la risposta alla domanda, ringraziai mentalmente Law per la sua premura. E perché si era ricordato del meraviglioso rapporto che avevo instaurato con Marco. Anche se il suo gesto mi confermava quello che già pensavo da tempo. Lui sapeva, molto probabilmente. Se ne era accorto. E chissà che non ci avesse messo lo zampino anche lui. In quei due giorni in cui io ero rimasta bloccata a letto, quei due potevano essersi incontrati e aver chiacchierato tra di loro. E forse il mio capitano dagli occhi di ghiaccio aveva contribuito a convincerlo. Sogghignai al pensiero. Ogni tanto anche il Chirurgo della Morte faceva delle opere buone. Ma se fosse stato l’artefice di quella oppure no, supponevo che non lo avrei mai saputo.
 
***
 
«Buongiorno!» esclamò allegro Ryu non appena varcai la soglia della cucina. Non capivo perché al mattino fosse sempre così vivace.
Feci un lieve cenno del capo nella sua direzione e poi mi precipitai verso la caraffa del caffè. Presi in fretta e furia la mia tazza e poi diedi una gomitata a Shachi, facendolo spostare di lato, per impedirgli di finire di nuovo quel poco caffè che era rimasto.
«Ehi!» protestò lui. Lo fulminai con lo sguardo e lui capì che era meglio starsene buono ed andare a sedersi, ma non prima di commentare qualcosa sul fatto che il caffè sarebbe stato contaminato dal veleno una volta che lo avessi bevuto io, ottenendo il consenso di Penguin.
Scossi la testa ed alzai gli occhi al cielo per poi soffiare sul liquido scuro per raffreddarlo.
«Sei stanca?» mi chiese il cuoco, che aveva notato che tenevo gli occhi aperti a malapena. Annuii debolmente prima di prendere un abbondante sorso di espresso dalla tazza.
«Spero che la tua stanchezza non sia a causa dei miei allenamenti» commentò serio Bepo, quasi risentito.
«No» risposi «è perché ieri ho riaccompagnato Jasper a casa. E già che c’ero, ho visitato tutta Kaitei» spiegai, sbadigliando.
«Com’era?» domandò incuriosito Ryu.
A quella domanda i miei occhi si illuminarono. Iniziai a raccontargli tutto quello che avevo visto su quell’isola, di quanto fosse particolare e meravigliosa. Gli raccontai che un po’ mi era dispiaciuto separarmi da Jasper, perché dopo una decina di giorni che era stato con noi avevo iniziato ad affezionarmi a lui. Dopotutto, tra medico e paziente si crea un legame che nessuno potrebbe spiegare; anche se io vedevo Jasper più come un fratellino che come un semplice paziente. In qualche modo mi sentivo responsabile per lui e non mi ero allontanata dall’isola finché non mi ero accertata che fosse tutto a posto e che lui stesse effettivamente bene. Poi, feci sapere a Ryu con entusiasmo che finalmente avevo comprato il vino! Ne avevo preso in abbondanza, così non sarebbe finito. Non subito, almeno. Ma stavolta col cavolo che lo avrei lasciato alla mercé di tutti. Non lo avrei condiviso mai più con quei due ingordi.
«Oh, e poi c’è una fontana, nella piazza principale. Non so come facciano, ma la fontana spruzza acqua colorata! Non sembra nemmeno acqua quella che sprizza! È come se la polla schizzasse l’arcobaleno!» esclamai elettrizzata, memore di quello spettacolo fantastico e quasi inverosimile.
Tutti i presenti mi ascoltavano attentamente con un sorriso stampato sulla faccia. Sembravano quasi rapiti dal mio racconto.
«L’intera isola è colorata, è vibrante, è...» cercai di accompagnare la mia spiegazione con dei gesti delle mani. Non riuscivo a trovare le parole per descrivere quanto quel mondo potesse essere affascinante. Tuttavia mi interruppi notando che Law aveva smesso di ascoltarmi. Tutti si erano voltati a fissarlo, estremamente sorpresi. Assottigliai gli occhi per capire se quello che stavo vedendo non fosse un miraggio. Forse c’era davvero del veleno nel mio caffè ed ora stavo avendo le allucinazioni.
Per la prima volta nella mia vita, stavo osservando il Chirurgo della Morte completamente sconvolto. Era impallidito all’improvviso, sudava freddo ed aveva gli occhi spalancati, la mascella serrata ed il respiro affannoso. Stringeva la carta del giornale che teneva in mano con così tanta forza che i bordi si erano accartocciati e le sue nocche erano diventate bianche. Le sue iridi grigie si erano svuotate e fissavano un punto imprecisato davanti a lui. Se fosse stato qualcun altro avrei persino detto che fossero piene di terrore.
«Capitano, stai bene?» chiese Bepo estremamente preoccupato.
Shachi e Penguin erano scattati in piedi e lo osservavano seri. Accanto a me, Ryu aveva smesso di cucinare. Con la coda dell’occhio lo vidi irrigidirsi e tendere i muscoli del collo.
«Capitano» lo chiamarono a turno tutti i suoi sottoposti presenti nella stanza.
«Law...» tentai di richiamarlo io. Cominciavo ad essere ansiosa. Quel comportamento sarebbe stato preoccupante per qualsiasi essere umano, ma dal momento che si trattava di lui, c’era da agitarsi ancora di più.
Niente. Sembrava precipitato in una sorta di trance, era totalmente assente. Per la prima volta, avevo il “privilegio” di vedere dal vivo il temibile Trafalgar Law in totale shock. Mi chiesi che cosa potesse aver letto sul giornale che lo avesse ridotto così. Provai ad avvicinarmi a lui, ma nel momento in cui mossi un passo, non solo sembrò riprendersi, ma si alzò anche in tutta fretta dalla sedia e uscì dalla stanza, portando con sé il quotidiano.
 
Avrei agito di notte, mentre tutti dormivano. Per tutto il giorno ero stata a scervellarmi sul motivo della reazione di Law. Lui non solo non aveva voluto dirlo a nessuno, ma aveva anche messo sottochiave nel suo studio l’unico giornale che avevamo a disposizione. Doveva essere qualcosa di grosso, di molto grosso, se aveva fatto vacillare perfino lui. Per questo dovevo assolutamente scoprire di cosa si trattava. Non era solo un mio desiderio egoistico, era anche un modo per capire se tutta la ciurma avrebbe dovuto temere quell’infausta notizia o meno. Sapevo che il capitano non avrebbe mai fatto qualcosa che avesse potuto metterci in pericolo, ma allo stesso tempo in quell’occasione non mi fidavo molto di come aveva intenzione di gestire le cose. Ecco perché avevo deciso che avrei compiuto un’operazione estremamente pericolosa.
Recuperai una torcia dal cassetto del mio comodino e mi diressi verso la cabina di Law. Sapevo che non era nel suo letto a dormire come un angioletto. L’ultima volta che lo avevo visto stava sorseggiando un bicchiere di vino sul ponte – per non dire tutta la bottiglia, bottiglia che avevo comprato io e che gli facevo la gentile concessione di bere solo ed esclusivamente perché sembrava il fantasma di se stesso, e sapevo quanto il vino aiutasse in questi casi – sotto la tenue luce della luna. E sospettavo che ci sarebbe rimasto ancora per qualche ora. O almeno, lo speravo, perché se mi avesse scoperta sarebbero stati guai. Avevo la scusa pronta – ovvero quella di dover prendere delle medicine – qualora mi avesse colta in flagrante, ma temevo che non sarebbe stato tanto facile mettere nel sacco proprio lui.
Premetti l’interruttore all’interno della sua cabina e accesi la luce. Il suo profumo mi invase le narici e mi fece sorridere impercettibilmente. Andai a passo svelto verso il cassetto del suo comodino e cercai la chiave. Ci misi un paio di minuti, ma finalmente la trovai. La presi in mano e la fissai vittoriosa, poi, uscii in fretta dal luogo del misfatto per dirigermi verso lo studio del chirurgo. Infilai la chiave che avevo recuperato con tanta cura nella serratura e quando la sentii scattare aprii la porta. La luce della lampada illuminò la stanza. Sembrava tutto in ordine, come al solito. Ci impiegai una buona mezz’ora per trovare il tanto agognato quotidiano. Se c’era una persona scrupolosa quella era proprio Trafalgar D. Water Law. L’aveva nascosto proprio bene. Ma con me ogni suo sforzo di tenere all’oscuro gli altri dei suoi affari era vano.
Dispiegai il giornale e mi apprestai a leggere. Meno di due minuti dopo, il rotocalco cadde a terra con un tonfo sordo. Lo shock fu tale che dovetti appoggiarmi ai bordi della scrivania per continuare a sorreggermi. Mi portai una mano alla bocca con espressione estremamente angosciata, per poi passarmela su tutta la faccia, come a scacciare via quell’orribile sensazione. Non era possibile. Non poteva essere. D’improvviso capii perché il mio capitano aveva reagito in quel modo. A stento trattenni le lacrime. Iniziai a soffiare fuori l'aria dalla bocca e a picchiettare nervosamente il piede sul pavimento, sperando che quanto ci fosse scritto sul corriere uscito quella mattina non fosse vero. Dei passi provenienti dal corridoio mi fecero allertare. Mi affrettai a raccogliere da terra il giornale e a poggiarlo dove lo avevo trovato, premurandomi di rimetterlo nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato Law.
Ecco come aveva agito Kaido. Mi sarei aspettata una reazione estrema da parte sua, ma mai quello. E se da una parte questo poteva voler dire che probabilmente non avremmo dovuto affrontare le sue ire, dall’altra stava a significare che eravamo nel mirino di qualcun altro, la cui sete di sangue – soprattutto nei confronti del chirurgo – era inimmaginabilmente grande. E per quanto l’idea di non dover combattere contro un Imperatore mi rassicurasse, non ero affatto sicura che il destino che ci attendeva fosse migliore. Ci trovavamo tra l’incudine e il martello. Non c’era davvero via di scampo. Eravamo spacciati. Fottuti. Caput.
Mi richiusi la porta dello studio alle spalle, rabbrividendo ancora al ricordo delle parole scritte nell’articolo.
 
“Impel Down di nuovo nel caos: violata la sicurezza della fortezza – non così – inespugnabile. Necessario l’intervento degli Ammiragli della Marina e di diversi Cipher Pol.
L’Imperatore Kaido delle 100 Bestie irrompe nella prigione con tutta la sua furia.
Molti i feriti, tra cui Direttore e Vice-direttore del penitenziario.
Ad oggi, stando al calcolo dei prigionieri, si conta un solo evaso. Secondo le fonti pare che sia proprio questo il motivo per cui l’Imperatore si sia voluto intrufolare nel carcere di massima sicurezza. Infatti, sebbene Kaido abbia fatto una toccata e fuga, sembra che sia riuscito a far evadere uno dei carcerati. Sono ancora apparentemente sconosciuti i motivi che legano i due.”
 
Mi trascinai fino in camera, ancora sconvolta. Kaido era riuscito ad introdursi in una prigione sotterranea di massima sicurezza con un'incredibile disinvoltura. Sembrava stesse andando a fare scampagnata, più che a fare una crociata in un territorio nemico ed estremamente ostile. Era veramente un mostro di potenza, e questo era innegabile. Ma non era tanto quella la notizia che mi rendeva estremamente angosciata, quanto le parole dell’articolo che compariva appena sotto.
 
“Il mondo è in subbuglio. Il broker malavitoso più famoso ed influente del Nuovo Mondo torna in attività.
Grazie all’aiuto di Kaido, che ora lo tiene sotto la sua ala protettiva, Donquijote Doflamingo è riuscito ad evadere di prigione.
Né il governo, né la Marina sembrano intenzionati a catturarlo. Il ritorno sulle scene del ‘Demone Celeste’ ha causato non pochi problemi alle istituzioni in queste ore, e per scongiurare il peggio, un Ammiraglio del Quartier Generale della Marina è stato inviato a Dressrosa. Per ora, tuttavia, pare che l’ex membro della Flotta dei Sette non abbia tentato di rivendicare quelli che una volta erano i suoi possedimenti. Le sue intenzioni sono ancora sconosciute.
Non resta che chiedersi: quale sarà la sua prossima mossa?”
 
Fine seconda parte.
 



Angolo autrice

Eccomi qui con un altro capitolo! Capitolo ricco di informazioni succulente, che va a concludere la seconda parte di questa Fanfiction. Come sempre spero che vi sia piaciuto e invito chiunque ne abbia voglia a darmi il proprio parere. :)
Nello scrivere questo capitolo mi sono immaginata un Kaido furioso che per pura "ripicca" decide di far evadere Doflamingo di prigione. Non so se nell'opera di Oda agirebbe davvero così, ma dopotutto, chi può dirlo? Dell'Imperatore sappiamo ben poco, purtroppo (o per fortuna). Nella mia testa ho pensato che avesse potuto decidere di fare così nella speranza di riuscire ad ottenere di nuovo i suoi tanto agognati Smiles, dopo che ha perso anche uno dei suoi sottoposti più promettenti. E chissà che il Demone Celeste e la Bestia non stiano tramando anche qualcos'altro...Ovviamente per avere ulteriori sviluppi bisognerà aspettare e stare a vedere che succederà. Nel frattempo ringrazio di cuore chi ha avuto la voglia e la pazienza di leggere fino a qui. Avete tutta la mia stima, credetemi! <3 Mi auguro che da qui in poi la mia storia non vi annoi, ma anzi, che vi entusiasmi e vi regali qualche emozione! :)
A presto!
Un bacione,
WillofD_04 <3
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: WillofD_04