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Autore: crazy lion    02/05/2017    6 recensioni
Il mio gatto, Bizet, ha vissuto con me per poco meno di un anno. Non mi vergogno affatto a dire che per me era come un figlio. Purtroppo è stato investito il 29 settembre 2015, un martedì. Questa è una lettera che ho scritto per lui, ma in realtà si tratta di una vera e propria storia, la nostra, dal momento in cui è arrivato a quello nel quale non c'è stato più. Un racconto nel quale parlo del rapporto con il mio gatto e della sua evoluzione, ma non solo. L'ho scrito sottoforma di lettera per ricordargli ancora una volta quanto io e la mia famiglia l'abbiamo amato e che non lo dimenticheremo mai.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                    UNA LETTERA CHE VIENE DAL CUORE
 
Bizet, mio dolcissimo gattino,
mi sento un po' strana a scriverti una lettera ora che non ci sei più, ma stamattina ti pensavo e ho sentito il bisogno di farlo, quindi eccomi qui.
 
Mentre le mie mani volano sulla tastiera (sai quanto sono veloce), il mio nuovo gatto, Furia, dorme tranquillo nel suo cestino sopra la mia scrivania.
 
Piccolo mio, ti ammiro tantissimo perché sei stato un gatto eccezionale. Hai affrontato con coraggio l'abbandono di qualcuno, un vigliacco che non ti voleva o non poteva tenerti e ti ha lasciato su una strada assieme alla tua sorellina, anziché portarvi ad un'associazione animalista che, sicuramente, si sarebbe presa cura di voi. Non riesco nemmeno ad immaginare la paura che dovete aver avuto, lì soli, così piccoli! Per fortuna poi siete stati trovati da una persona che conosciamo. La tua sorellina che poi, ho saputo, è stata chiamata Nelli, è rimasta con quella ragazza, mentre tu sei arrivato da noi.
 
Come sai, sei entrato nelle nostre vite in un momento molto particolare, brutto e delicato. La mia migliore amica, Vittoria, era appena morta e più di una volta, in quel periodo, avevo detto ai miei genitori che mi sarebbe piaciuto avere un animale, un gatto precisamente. Ero sicurissima che mi avrebbe aiutata a stare meglio; e così, sabato 15 novembre del 2014, mentre ancora il dolore e i demoni del passato si facevano strada in me (era passato solo un mese, in fondo), poco dopo aver avuto l'ennesimo attacco di panico ed essere, come accadeva spesso in quel periodo, caduta sul pavimento della mia camera priva di forze, ho sentito mio papà rientrare a casa. Mi ha chiamata e mi ha detto:
"Scendi, Giulia!"
Io non volevo vedere nessuno, ma lui continuava ad insistere. Allora gli ho detto che ero in pigiama, una scusa vera ma assurda, perché avrei potuto vestirmi, ma non mi andava. La risposta è stata:
"Ti devo far conoscere qualcuno a cui non interesserà come sei vestita, credimi."
Sbuffando sono scesa, ma devo ammettere che ero anche incuriosita. Mio padre mi ha detto di sedermi sul divano e di aprire le mani; e poi ha depositato tra le mie braccia uno dei batuffoli più morbidi e minuscoli che io avessi mai visto, dicendomi:
"È tuta tua."
Io avevo infatti chiesto una gattina e per una settimana abbiamo pensato che tu lo fossi! Ti ricordi? Ti avevamo chiamata Eveline - ero stata io a decidere il nome -, come la ragazza di quel racconto di James Joyce, che a me piace tanto.
È stata la veterinaria a dirci:
"È un lui",
lasciandoci per un momento senza parole. In ogni caso, per noi non faceva nessuna differenza. Io, mia mamma, papà e Filippo ti abbiamo amato con tutto il nostro cuore e lo facciamo ancora adesso, mentre parliamo di te. Ogni tanto ci vengono in mente alcuni ricordi, di com'eri, di quel che facevi.
 
Il primo giorno che abbiamo passato insieme ti ho parlato di Vittoria, del fatto che si era tolta la vita, ho pianto con te tra le mie braccia; e tu miagolavi, probabilmente percepivi il mio immenso dolore che mi stava lentamente distruggendo il cuore e l'anima.
 
Per alcuni mesi non ho parlato molto, o meglio,sì, lo facevo, ma per dire cose inutili. Non riuscivo più a dare affetto alle mie amiche. Beh, non è che ne avessi, a parte Vittoria; ma c'erano delle ragazze che desideravano starmi vicine e invece io chiudevo sempre loro la porta in faccia. Non lo facevo per cattiveria. Era solo che non volevo avere altre amiche, per paura di perdere anche loro, in un modo o in un altro. In quel periodo tu eri l'unico che riusciva ad aiutarmi davvero, a far breccia nel mio cuore, ad entrarci senza che io ti sbarrassi la strada.
 
Il destino ha voluto che a dicembre del 2014 se ne andasse mio nonno; e, a giugno 2015, mia nonna. Sono stati dolori molto grandi, perché avevo un rapporto speciale con i nonni. Come sai sono stata malissimo, così tanto da saltare anche alcuni esami attirandomi la rabbia di mio padre. Voleva che io reagissi in fretta, ma non ce la facevo. Le mie amiche grazie al cielo mi capivano, mi stavano accanto; e poi c'eri sempre tu, Bizet, a coccolarmi con le tue dolcissime fusa. Ho letto da qualche parte che le fusa dei gatti aiutano contro la depressione. Allora non sapevo ancora di soffrirne. Certo era che stare con te era come un elisir di vita.
 
Nel quartiere tutti ti adoravano, anche quella coppia che sta vicino a noi e che non sopporta i gatti. In particolare, una mia vicina di casa,, mia grandissima amica, parlava di te in continuazione. Ti voleva molto bene, nonostante tu e la sua gatta non andaste d'accordo. Non ho mai capito perché non siete diventati amici, ma tant'è.
 
Dopo alcuni mesi dalla morte di mio nonno, quando finalmente ho lasciato spazio all'amicizia e ci ho creduto di nuovo, tu sei sempre e comunque stato la mia ancora. C'eri nei momenti nei quali mi sentivo un po' meglio e in quelli in cui, invece, piangevo e non riuscivo ad alzarmi dal letto. Venivi a trovarmi in camera mentre studiavo, volevi giocare con me, mi graffiavi e mi mordevi le braccia lasciandomi i segni, ma a me non importava perché sapevo che per gli animali il gioco è una forma d'amore.
 
Tutti adoravamo quando cucinavamo il pollo e tu ce lo chiedemi con quei miagolii espressivi che non ho mai sentito fare a nessun altro gatto. La mamma diceva:
"Gli manca solo la parola"
ed era vero. Quando miagolavi ti facevi sempre capire.
Mangiavi la carne come se fosse stata la cosa più buona del mondo! Ti piaceva persino leccare la vaschetta ormai vuota del gelato! Te ne davamo pochissimo, ovviamente, perché agli animali non fa bene, ma ogni tanto capitava. Una volta hai persino mangiato quello al limone! La mamma ha detto che facevi mille smorfie, ma che l'hai leccato lo stesso.
 
Ricordo quando venivi a svegliarmi la mattina. Se eri in casa salivi sempre con mia mamma per darmi il buongiorno. Stare con te mi dava coraggio, quello necessario per affrontare le dolorose ed eterne giornate all'università. Senza Vittoria, quello mi sembrava un luogo triste e pieno di ricordi, che però non sovrastavano mai la sofferenza. Solo la presenza delle mie amiche riusciva a farmi sentire meglio, ma la verità era che, per quanto bene io volessi loro, non vedevo l'ora di tornare a casa da te. Quando ti vedevo ero completamente diversa, più tranquilla.
 
Con il passare dei mesi il dolore ha cominciato a diminuire un pochino e l'università per me era sempre un luogo pregno di dolore, ma concentrandomi sull'affetto delle mie amiche e sullo studio sono riuscita a sentirmi davvero meglio. In particolare una di queste ragazze (e tu sai di chi sto parlando) mi è   stata sempre accanto; e quando è venuta a casa nostra a conoscerti, ti ha adorato fin da subito!
 
Ad ogni modo, per quanto mi sforzassi, per circa un anno non sono riuscita più a scrivere una riga; stavo per riprendere, a settembre 2015, ma qualcosa me l'ha impedito.
 
Era il 28, un lunedì. Io stavo ancora molto male per tutti i lutti che avevo subito, ma avevo molto sostegno da parte di tutti e questo mi faceva sentire un po' meno sola. La sera ero scesa in taverna con i miei genitori per capire quale treno avrei dovuto prendere il giorno successivo. Mio papà ha acceso il computer e tu, curioso com'eri, sei sceso con noi. A proposito di curiosità, mi ricordo che ti infilavi dappertutto, in ogni buco, negli armadi, nei cassetti; e non so perché, quando mio padre lavorava al computer, tu eri molto attratto dal PC. Chissà, forse ti piaceva solo schiacciare i tasti, del resto non capivi cosa fossero ovviamente. Lo facevi anche quando io studiavo, premendo lettere a caso quando io ero distratta e facendomi rischiare di perdere tutto il materiale più di una volta; ma non mi sono mai arrabbiata con te per questo. Con i tuoi dolci miagolii riuscivi sempre a farmi sciogliere il cuore.
Quella sera hai gironzolato per la taverna per un po', poi hai miagolato perché volevi uscire. Ti tenevamo dentro la sera, ma comunque, fino ad un certo orario, tu restavi fuori. Non ti allontanavi mai troppo da casa, quindi eravamo tranquilli. Ti avevamo fatto una porticina dalla quale potevi entrare e uscire a tuo piacimento. Spesso portavi lucertole, cavallette, una volta un topo (che grida ha fatto mia madre!) e un'altra, purtroppo, un uccellino già morto. D'altronde tu eri un gatto, non te ne potevo fare una colpa. Per quanto mi dispiacesse, quella era la tua natura.
Scusa, sto divagando.
 
Quella sera, stavo dicendo, sei uscito e io sono andata a letto tranquilla, certa che poi saresti tornato; ed è successo, infatti. Generalmente dormivi in salotto, sul divano o su una sedia, oppure nella cuccia che ti avevamo comprato. Ti piaceva molto stare lì. Io sono andata a letto senza vederti più, ma come facevo sempre, ad un certo punto ho chiesto a mia mamma se eri rientrato. Mi ha detto di sì. Il giorno dopo lei ti ha fatto uscire alle 6:00, quando si è alzata. Quella mattina io mi sentivo strana. Avevo addosso un'ansia, un'angoscia… Mi veniva quasi da vomitare e facevo fatica a respirare. Non capivo cosa fosse, ma non mi piaceva per niente. Era come se sentissi che sarebbe successo qualcosa di brutto. Non ti ho mai visto tornare quella mattina e di solito tu rientravi sempre, cinque o sei volte e miagolavi per farti sentire. Non sono riuscita a studiare molto a causa della preoccupazione. Quando mamma è tornata dal lavoro le ho spiegato la situazione e lei mi ha detto:
"Aspettiamo, magari poi rientra."
Alle 16:00 lei e mio fratello sono andati a cercarti; io sono rimasta tutto il tempo seduta in poltrona, pregando la mia amica Vittoria che ti aiutasse, se ti era successo qualcosa, che ti facesse tornare da me. Pensavo che magari fossi solo ferito o che ti fossi perso; poi ho sentito il cancello aprirsi. Una debole speranza ha ricominciato ad illuminarmi. Mia mamma e Filippo sono entrati, hanno chiuso la porta e lei, piangendo, ha detto:
"È morto, Giulia! È morto!"
Io allora non ce l'ho fatta più. Avevo avuto ragione, era successo qualcosa… ed era stato molto peggio di quanto mi aspettassi. Sono corsa di sopra in preda alla disperazione più totale, piangendo e tremando violentemente. Per un momento ho pensato:
Ora mi butto dal balcone.
Solo quel poco raziocino che mi restava mi ha fermata e ringrazio Dio per questo.
 
Papà è tornato a casa prima dal lavoro per stare con noi che non abbiamo fatto altro che piangere. Lui non l'ha fatto, o almeno non per quanto io ne sappia, ma ha sofferto moltissimo. La mamma ti aveva trovato davanti ad una casa in costruzione. Gli operai avevano detto che eri lì dalla mattina, che probabilmente eri stato investito ed eri riuscito a giungere fino a quel luogo, dove ti eri sdraiato ed eri morto.
Non sono riuscita a venire a prenderti, come invece hanno fatto i miei genitori. Non ce l'ho proprio fatta, scusami amore. Volevo ricordarti così com'eri. Vederti morto sarebbe stato un ulteriore shock. Papà quando è tornato a casa mi ha detto che ti aveva seppellito in un campo qui vicino e io sono venuta a trovarti tante volte, come sicuramente sai. Inoltre ha aggiunto:
"L'ho accarezzato e poi l'ho abbracciato, perché avevo paura che, anche se non c'era più, avesse freddo."
Inutile dire che ho pianto fiumi di lacrime sentendo quelle parole, ma sono stata grata a mio padre per il suo gesto. Sicuramente in quell'abbraccio ti ha dato anche l'amore mio e di Filippo, che eravamo rimasti a casa.
 
Mi auguro che chi ti ha investito, chiunque egli sia, non l'abbia fatto apposta (perché c'è gente così, credimi). Comunque, a costo di sembrare cattiva, ti dico sinceramente che, se trovassi quella persona, vorrei dirle che ci ha fatti soffrire tantissimo. Mia mamma ha detto che lei le metterebbe anche le mani addosso. Non penso che io arriverei a tanto; ma vorrei che mi guardasse negli occhi e che ascoltasse le mie parole, cariche di quel dolore che non passerà mai del tutto.
Come ci ha detto più tardi la veterinaria:
"Perdere un animale è comunque un lutto."
Ho incontrato ragazzi all'università che mi dicevano:
"Dai, è solo un gatto, non essere triste!"
Cazzate! Chi parla così lo fa perché non ha mai avuto animali e non può capire, o perché non è abbastanza sensibile da farlo. Non provo rancore nei loro confronti. In fondo, non hanno voluto farmi star male apposta.
 
In quei giorni, quando scendevo all'università, o andavo in macchina per altri motivi, o ascoltavo la televisione o la radio e sentivo le pubblicità dei croccantini, che di solito fanno udire anche le fusa o i miagolii dei gatti, mi veniva sempre da piangere. Vicino ad una delle sedi dove studiavo c'è una signora che, ogni giorno, dà da mangiare a sei gatti. Io e mia mamma ci fermavamo sempre a guardarli e ti pensavamo. Ogni volta che incontravamo un gatto era così. La mente volava subito a te, a quanto ci mancavi, al fatto che non c'eri più. Ti rivedevamo in ogni micio.
 
Io… io spero che tu non abbia sofferto troppo. Perdonami, se puoi. Bizet! Perdonami per non essere riuscita a proteggerti da tutto questo! So che non avrei potuto fare niente, ne sono consapevole; eppure ci sono dei momenti nei quali non riesco a non pensare che, se forse ti fossi stata più vicina, tu non ti saresti allontanato tanto. Se ti avessi voluto ancora più bene… Okay, quest'ultima frase non ha senso. Il mio amore, per quanto grande, non avrebbe potuto aiutarti in alcun modo in quella situazione. Certo, con i "se" e con i "ma" non si risolve niente. Eppure non riesco a liberarmi da questa cosa.
 
Una mia carissima amica mi ha detto che secondo lei Vittoria è venuta a prenderti, quando sei andato in Paradiso. Mi consola sapere che ora tu sia con lei. Sicuramente sarai appallottolato sulle sue gambe, oppure starete correndo e giocando insieme felici. È bello sapere che non sei solo. Mi ha anche detto che, se Dio mi stava dando tutte quelle prove da affrontare, era perché aveva in serbo per me qualcosa di meraviglioso. Sai una cosa? Le cose belle sono arrivate, ma più avanti. Le scriverò tra poco.
 
Io e mamma non abbiamo dormito per una settimana dopo la tua morte. La prima sera ci siamo trovate in salotto, a mezzanotte e abbiamo pianto e parlato. Mio fratello il giorno dopo non è andato a scuola. Ricordo ancora che a un certo punto mio papà, che era nel suo studio a prepararmi del materiale per l'università, è venuto di sopra e mi ha detto:
"Faccio da mangiare, perché mi era sembrato di sentir miagolare e non ce l'ho fatta a rimanere giù."
Quella mattina io ero scesa in salotto verso le 9:00, dopo aver dormito poco e male. Mi era sembrato di udire il tuo miagolio dalla mia camera, così avevo deciso di alzarmi. Una volta in sala, avevo sentito, toccando con le mani, che non c'erano più né la tua ciotola dei croccantini né quella dell'acqua, né la cuccia; che la porticina che avevamo fatto perché tu entrassi e uscissi era chiusa e la tenda della portafinestra sulla quale questa si trovava abbassata.
È tutto finito ho pensato. Come farò adesso?
Ho provato un dolore indicibile in quel momento. Mi sentivo soffocare, così debole, talmente tanto sola! Non so cosa mi abbia impedito di svenire.
Quel giorno io e mio papà ti abbiamo dedicato alcuni versi di una poesia di Giosuè Carducci, che l'ha scritta per il suo bambino, morto da piccolo. Recita:
Tu de' l'inutil vita
eterno unico fior
sei ne' la terra fredda,
sei ne' la terra negra,
né il sol più ti rallegra,
né ti risveglia amor.
 
Nei giorni seguenti, quando rientravo dall'università, mi buttavo sul divano e dicevo:
"Mi sento vuota."
Io adoro la mia famiglia, la amo con tutto il cuore. Eppure, tu eri l'animale che io avevo amato più al mondo e Vittoria la persona per la quale avevo provato una sorta di amore, perché l'amicizia è comunque questo. L'ha detto la mia psicologa, ma lo penso anch'io. C'era un legame fortissimo tra di noi, quello che si può costruire solo con una migliore amica. Ho perso entrambi, quindi credo fosse normale che mi sentissi come smarrita.
 
Dopo due settimane dalla tua morte, un sabato se non ricordo male, i miei genitori, durante il pranzo, ci hanno chiesto:
"Abbiamo pensato di prendere due cuccioli di gatto; avete qualcosa in contrario?"
Entrambi abbiamo detto di no.
All'inizio io mi sono sentita in colpa (sì, anche in questo caso, sai che sono una ragazza molto complessa). Non volevo sostituirti con nessun micio e pensavo che tu credessi questo. Nelle ore seguenti, riflettendoci, mi sono però resa conto che tu in realtà avresti voluto che noi andassimo avanti, dando ad altri gatti lo stesso, incondizionato amore che avevamo dato a te.
È stato così che Furia e Stella sono arrivati nelle nostre vite. Era un venerdì sera, io ero appena tornata a casa dall'università e i miei genitori mi hanno detto che sarebbero andati a prendere i gattini. Filippo ha detto loro che avrebbe preferito o un maschio e una femmina o due femmine. Io ero d'accordo, in quanto so che i maschi, anche se fratelli, crescendo litigano per il territorio e rischiano di farsi male.
Quei due gatti sono bellissimi. Avevano 46 giorni quando sono arrivati da noi, quindi erano un po' più piccoli di te che avevi circa due mesi. Io li adoro, sono meravigliosi e mi riempiono la vita e il cuore!
Tempo fa ho pubblicato una storia dedicata a loro, "Due gatti meravigliosi", ma era giusto che lo facessi anche con te e così ti ho scritto una lettera, che mi sembrava più efficace ed incisiva di un racconto.
 
Sappi che, anche se ora ho Furia e Stella, loro non sostituiranno mai te, anche perché sarebbe impossibile. Inoltre pretenderlo, da parte mia o di chiunque altro, sarebbe scorretto. Ogni persona, così come ciascun animale, è unica e insostituibile; ed è proprio questo che rende speciali tutti gli esseri del mondo.
 
Né io, né Filippo, né i nostri genitori ci scorderemo mai di te, Bizet. Ti abbiamo amato così tanto! Con questa lettera volevo solo ripetertelo e farlo sapere a chiunque vorrà leggere tale scritto. La mia è una lettera venuta dal cuore, come dice il titolo, in quanto per scriverla mi sono lasciata guidare dai miei sentimenti più veri e profondi.
 
Ti voglio bene, cucciolo e te ne vorrò per l'eternità! Non scordarlo mai.
 
Giulia
 
 
 
NOTA:
avrei voluto scrivere a Bizet questa lettera molto tempo fa, ma non ci sono mai riuscita. Ci ho messo due giorni, ma alla fine ce l'ho fatta, l'ho finita e ho deciso di pubblicarla e di condividerla con voi. Non è stato facile nemmeno in questo caso decidere di postare uno scritto tanto personale, ma sono felice di averlo fatto.
 
La poesia, della quale ho scritto alcuni versi, si intitola "Pianto antico".
   
 
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