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Autore: Sineala    04/05/2017    1 recensioni
Quando Tony ha dodici anni, il nome della sua anima gemella appare sul suo polso. Sfortunatamente è difficile trovare qualsiasi tipo di informazione su Steve Rogers.
E dietro c'è un motivo ben preciso.
[TRADUZIONE, SOULMATE!AU, STONY, ONE-SHOT, GIA' IN CORSO DI REVISIONE xD]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: OOC, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Approccio l'introduzione a questa storia con una certa titubanza e mettendo subito le mani avanti: io della Marvel non so niente. Sì, ok, so che ci sono dei film, qualche fumetto e svariati telefilm, ma qui finiscono le mie conoscenze.

Perché ti è venuto in mente di tradurre questa storia, quindi?, vi chiederete voi saggi lettori. Beh, non è colpa mia, si tratta solo di un regalo di compleanno per una persona che sopra le Stony ci sbava come fossero l'ingrediente primario della sua esistenza. In origine doveva essere qualcosa di privato, solo fra me e lei, poi, parlando con l'autrice della fan fiction, mi è sembrato di intuire che avrebbe avuto piacere a vedere la sua opera pubblicata anche in italiano. Quindi eccomi qui, a condividerla con voi.

Data la mia ignoranza in materia, sono aperta a qualsiasi suggerimento. Se volete propormi delle soluzioni traduttive migliori o dirmi "guarda che in italiano questo personaggio si chiama così, non cosà", sarò più che disposta ad accogliere i vostri suggerimenti, dopotutto il mio è solo un maldestro tentativo e non sono per niente certa di essere riuscita a trasmettere i sentimenti dell'opera originaria.

Per ora vi lascio alla storia, e ci si rivede in fondo con altri sproloqui.


Auguri, Vero, spero che questa breve fan fiction ti piacerà almeno una parte di quello che è piaciuta a me!


Buona lettura a tutti.



***

Seguendo le tue orme

 

Il nome compare raggiunta la pubertà. Tony lo sa non perché i suoi genitori si siano mai seduti insieme a lui e ne abbiano discusso, come farebbe una normale famiglia, ma perché legge tanto e nei libri sulla pubertà c’è sempre un capitolo dedicato all’anima gemella, appena dopo quelli sulla crescita dei peli, sul cambio di voce e sulla necessità di sostituire le coperte una volta al giorno. In più, beh, gli altri ragazzi ne parlano, e possono anche sbagliarsi su un sacco di cose, ma non su questa.

La tua anima gemella. Un nome sul tuo polso, scritto nella grafia dell’altro. Potrebbe essere romantico, come potrebbe non esserlo. Potrebbe essere vivo, come potrebbe non esserlo. Non è una scienza esatta. I film mostrano tutti come ti senti diverso quando la incontri, dicono che è amore a prima vista, ma Tony pensa che quello sia solo il solito Hollywood. O almeno questa è l’opinione che esprime in pubblico.

Tony ha dodici anni e frequenta il collegio quando il nome appare sul suo polso. È nero, in un corsivo tutto elaborato. Uno degli altri ragazzini lo vede, ride, lo chiama finocchio e Tony – un bambino così adorabile, silenzioso e studioso, dicono i professori – ringhia, in modo basso e cattivo, e gli sbatte la testa contro il muro. Dalla lotta che segue, durata giusto il tempo di essere separati dagli insegnanti, il ragazzino ne esce con il naso sanguinante e Tony con gli occhi neri.

È seduto in corridoio, calcia l’aria e ha la maglia sporca del sangue di qualcun’altro, mentre aspetta che chiamino Howard. Si rende conto che lo strano sentimento che gli galleggia in petto è orgoglio. Sta difendendo la sua anima gemella. Anche se è gay cosa importa? La sua anima gemella lo amerà comunque.

 


 

Quando infine arriva, Howard è raggiante.

È compiaciuto che Tony sia stato beccato a fare a botte, perché questo è il genere di cose che fanno i veri uomini. È per questo che Tony frequenta il collegio da cinque anni. Era debole. Era una pappamolla. Era una principessina. Stanno facendo di te un uomo, ragazzo, gli dice. È felice di constatare che i suoi soldi sono stati ben spesi.

Poi vede il nome sul polso di Tony e, beh…

A Tony non piace ricordare cosa è successo dopo.

 


Ci sono dei database sulle anime gemelle. Ovvio che ci sono dei database sulle anime gemelle. Come farebbero le persone a trovarsi senza? Tony può solo vagamente immaginare come funzionassero le cose prima dei computer. Sa che la gente finiva col viaggiare molto di più.

La maggior parte delle persone è inserita in questi database.

Ma Tony non è la maggior parte delle persone. Anche tralasciando i dettagli sul nome che ha al polso, lui è l’erede delle Industrie Stark. Un sacco di gente sarebbe disposta a falsificare il proprio polso per l’opportunità di ottenere i suoi soldi. Quindi Tony non è nel database. La maggior parte delle celebrità non lo è. Gli pare una cosa piuttosto ironica, considerando che, a seconda di quale tipo di giornali scegli, puoi imbatterti in diverse celebrità in vari stadi di svestizione. Si vede tutto escluso il nome sul loro polso. Tony adesso ha quindici anni. È fissato con l’ironia. Con l’ironia e con la progettazione di circuiti integrati.

La vera ragione per cui non è nel database è che Howard non gliel’ha permesso. Nessun figlio mio sarà mai una checca, ha detto, come se, insistendo, il nome sul suo polso o i suoi sentimenti potessero cambiare. E, diavolo, Tony non sa neanche se la sua anima gemella ricambia la natura del suo amore, ma ha annuito comunque ed ha evitato di rispondere che forse è lui quello che non vuole essere suo figlio. Sua madre è rimasta seduta, immobile, con l’espressione di qualcuno che sta per piangere, ma ha lasciato che Howard lo fermasse. Forse non ha avuto scelta.

Ma Tony cerca ancora. In silenzio. Anonimamente. Howard non lo scoprirà mai. 

Quando compirà ventun’anni potrà mettere il suo nome nel database, Howard non potrà fermarlo allora, non legalmente. Sa che qualcuno mentirà. Che ci saranno degli impostori. Ma da qualche parte nel profondo del suo ironico, cinico, ateo cuore, sa anche che lo riconoscerà subito. Incontrerà Steve Rogers e in quel momento saprà. Ha immaginato di incontrarlo in un centinaio di modi diversi. Un migliaio. Steve Rogers – alto, basso, grasso, magro, bianco, nero – se ne starà in fila davanti a lui in un bar, e si guarderanno, e si sorrideranno, e sapranno.

E lui sarà felice. Loro saranno felici.

Si domanda proprio come dev’essere l’amore incondizionato.


Per quando compie diciassette anni, ha provato qualsiasi Stephen, Steven e Steve Rogers nel database. In tutti i database. In tutto l’elenco telefonico. In tutti i registi che è riuscito a trovare. È piuttosto certo che non ci sia nessuno Steve Rogers attualmente in vita con il nome di Tony sul suo polso.

Niente.

A questo punto ci sono due opzioni: Steve Rogers non è ancora nato, oppure Steve Rogers è già morto.

Beh, può impegnarsi per depennare una delle due.

 


 

Trovare la gente morta è più difficile. Gli obitori di solito non hanno liste sulle anime gemelle – almeno non delle persone che non hanno trovato la loro. A proposito di cose tragiche e di cattivo gusto.

Tony ha diciott’anni anni quando gli viene in mente di provare con gli archivi militari. I soldati, quando si arruolano, hanno l’obbligo di registrare il nome della loro anima gemella sin dalla Prima Guerra Mondiale. Se Steve Rogers è mai stato un soldato, si troverà in un qualche database. Potrebbe essere in un file riservato – e se questo fosse vero, spiegherebbe perché non è inerito in nessun altra banca dati –, ma essere Tony Stark delle Industrie Stark vorrà pur dir qualcosa e Tony conosce persone che conoscono altre persone che possono procurargli quello che desidera, sempre che riesca a inventarsi una balla credibile da rifilare a Howard.

Diavolo, se ha partecipato alla Guerra del Vietnam o a qualche conflitto successivo, ci sono buone speranze che Steve Rogers sia ancora vivo.

Con l’eccitazione che sale, si dirige al computer e apre l’Archivio Nazionale, perché tanto vale cominciare con le informazioni pubbliche. Nessun indizio dal Vietnam, ma alcuni file possono essere riservati, ci tornerà dopo. Nessun inizio dalla Corea.

Prova con la Seconda Guerra Mondiale, inserisce Rogers, Steven – che è la sua ipotesi migliore per quale sia il nome completo – e, nel campo riservato all’anima gemella, Tony Stark. Potrebbe essere Anthony, ma ne dubita, il nome sul suo polso è un soprannome, dopotutto, quindi perché la sua anima gemella non dovrebbe aver scritto Tony?

Quando clicca sul pulsante di ricerca, non si aspetta davvero dei risultati. Fino ad ora non ce ne sono stati. Non ce ne sono mai stati in tutta la sua vita.

La pagina si aggiorna.

Hai trovato 1 documento parziale su 8.706.394

Oddio. Oddio. Oddio. È lui.

ROGERS, STEVEN, c’è scritto. Residenza: New York City, New York. Luogo di arruolamento: New York City, New York. Data di arruolamento: 1940. Anno di nascita: 1920. Segue un numero seriale.

Tony sta tremando.

Clicca sul documento per espanderlo e di fronte a lui si dispongono i frammenti di una vita. Steven Rogers, apprende Tony, era bianco, un civile, aveva completato quattro anni di istruzione superiore e prima di arruolarsi era un artista. Era single, nessuna persona a carico. Era un soldato semplice nell’Esercito degli Stati Uniti. E lì, proprio in fondo, sotto il campo nome dell’anima gemella c’è scritto Tony Stark.

È reale.

Ok, quindi Steve Rogers molto probabilmente è morto, ma Steve Rogers era andato in guerra con il nome di Tony sul suo polso. Forse chiedendosi chi fosse Tony. Forse chiedendosi come fosse fatto questo Tony, proprio come Tony si è chiesto come fosse fatto lui. Forse si era chiesto se Tony lo avrebbe mai amato. Era un artista, forse si era immaginato le fattezze di Tony e lo aveva disegnato. Anche lui era di New York, proprio come Tony. Forse si sarebbero potuti incontrare, se non ci fossero stati decenni a dividerli. Tony sente una lacrima rigargli la guancia. Gira il polso e accarezza il nome all’interno. Il suo Steve.

È arrivato così lontano ormai. È meglio sapere, no?

Ha un nome, un grado e un numero di serie. Può scoprire cosa è accaduto. Se Steve è riuscito a tornare. Se è ancora vivo.

Scrive al Dipartimento degli Affari dei Veterani, all’esercito, al Centro Nazionale di Archiviazione. Invia una richiesta al FOIA. E aspetta. Aspetta. È fortunato che lo sta facendo dal Massachusetts Institute of Technology, così Holland non verrà mai a saperlo.

Poi le informazioni cominciano ad arrivare. Il soldato semplice Steven Rogers si arruola a New York, poi compare di nuovo in un luogo chiamato Camp Lehigh, in Virginia. Il soldato Steven Rogers è alto 188 cm e pesa 54 chili, Tony inarca le sopracciglia perché, cielo, se è magro! Il soldato semplice Steven Rogers ha tutta una serie di patologie che, Tony ne è piuttosto certo, butterebbero chiunque fuori dall’esercito, ma a quanto pare si sbaglia. E poi… ci sono dei vuoti. Ci sono file corretti e cancellati, pagine completamente annerite a eccezione di single parole. Nei documenti non c’è niente. Non dice se è in congedo, se è disperso o morto in azione. C’è solo… niente, se non censure. Il soldato semplice Steven Rogers è entrato nell’esercito nel 1940 e non ne è mai uscito. È come se dopo di allora non fosse più esistito.

C’è una pagina, più o meno all’inizio, a cui Tony tiene particolarmente. Dev’essere una stampa di una scansione di una pellicola, qualcosa che è passato attraverso tre diversi mezzi di riproduzione, sfocata dagli anni. È una copia del documento d’arruolamento di Rogers, redatto con l’inchiostro, contiene le stesse informazioni del sito. In cima c’è scritto Steven Rogers, nella stessa grafia del nome che Tony ha sul polso, e Tony traccia la firma con dita tremanti. C’è un indirizzo. E in fondo c’è il nome di Tony. Questo è il massimo della vicinanza che riusciranno mai ad avere. È il massimo che riuscirà mai a sapere su di lui.

Ma è reale. Steve è reale, il suo Steve. E questo vorrà pur dire qualcosa.

Ciò non gli impedisce di piangere.

 


 

Poi Tony riceve una chiamata.

“Sì?” chiede distrattamente, ancora concentrato sugli ultimi e più grossi errori di cui lo sta informando il compilatore.

La voce dall’altro capo è sia autoritaria che sconosciuta. “Sto parlando con Anthony Stark?”

“Sì” risponde con un po’ più di cautela. “Chi parla?”

“Sono il colonnello Nicholas Fury” dice l’uomo, e oh, cazzo, che ha combinato adesso?

Ripensa agli eventi più recenti. Non riesce a ricordare niente che possa meritare una chiamata da un dannato colonnello. Non ha fatto nulla di illegale ultimamente, se si esclude l’alcool. Che stia cercando di contattare le Industrie Stark e gli abbiano dato il numero sbagliato? Sì, sicuramente è così.

“Signore,” dice Tony, perché ha passato abbastanza tempo nella stanza in cui Howard lavorava sui contratti militari da sapere che ai tizi dell’esercito piace essere chiamati signore. “credo stia parlando con la persona sbagliata. Delle questioni relative agli affari delle Industrie Stark se ne occupa mio padre, posso darle il numero…”

“No, no,” lo blocca Fury. “sono certo di avere la persona giusta. Sto cercando Anthony Stark che ha richiesto informazioni sul soldato semplice Steven Rogers”.

Che diavolo sta succedendo? Già la storia dei file riservati è di per sé abbastanza strana. Che gli abbiano mandato per sbaglio qualcosa che non avrebbe dovuto vedere? Non è possibile. È praticamente tutto censurato.

Tony si chiede se le prigioni militari siano davvero come le immagina e se per caso non stia per scoprirlo in prima persona.

Fury mugugna. “Non hai fatto niente di sbagliato” concorda, e lo stomaco di Tony si rilassa un po’, prima di contrarsi di nuovo quando Fury continua a parlare. “Ma diciamo che sono… curioso… per il tuo improvviso interessamento a Rogers”.

Tony ingoia rumorosamente. È il momento della verità. Di dire cose che non ha mai detto a nessuno.

“Quando avevo dodici anni” comincia. “il nome Steve Rogers è apparso sul mio polso. Non sono riuscito a trovarlo da nessuna parte fino ad ora. Ho cercato nei database militari e ho avuto un riscontro: Steven Rogers ha servito nella Seconda Guerra Mondiale e aveva un certo Tony Stark segnato come sua anima gemella. Lui… lui è la mia anima gemella. Deve esserlo. E io…” le parole gli si fermano in gola. “Io volevo solo sapere di più sul suo conto”.

Segue un lungo silenzio, così lungo che Tony si chiede se non sia caduta la linea. Poi Fury impreca di cuore con voce bassa e borbottante.

“Beh,” dice poi, sembrando sorpreso. “questo cambia le cose”. C’è un'altra pausa. “Quanti anni hai, ragazzo?”

“Diciotto, signore” risponde, confuso.

“Dio,” mormora Fury. “diciotto”. Tony quasi riesce a immaginarselo, questo sconosciuto senza volto, che si mette le mani in testa per la disperazione. “Ok. Va bene. Ti andrebbe di venire a Whashington DC?”

“Come?”

Whashington DC” ripete Fury. “Abbiamo… alcune cose che ti appartengono. E c’è una conversazione che mi piacerebbe avere con te, ma sono disposto solo faccia a faccia”.

Beh, detto così suona davvero poco misterioso.

“Certo” risponde. “Non vedo l’ora”.

 


 

Durante la settimana che precede il viaggio, Tony non riesce a pensare a altro. Si è più o meno immaginato come andrà: questo Colonnello Fury gli farà leggere i documenti originali, senza censure, o quasi. Probabilmente gli dirà qualcosa sull’operazione in cui era coinvolto Steve, così dannatamente segreta da richiedere riservatezza ancora oggi.

Prende un volo di linea per Washington DC. Una volta lì sale su un taxi per raggiungere l’indirizzo che gli ha dato Fury. Firma e passa attraverso un metal detector. Nessuno dei presenti sembra avere le fattezze da Colonnello Nicholas Fury. C’è solo una donna in uniforme. Quando Tony le dice il suo nome, lei gli passa dei moduli da firmare. Tony gli dà un’occhiata rapida. Dichiarazione dello Status di Anima Gemella. Ormai è ufficiale, pensa, mentre scarabocchia la firma. La donna la compara con quella nella foto sul suo tablet, che lui è in una posizione tutta sbagliata per riuscire a vedere, e annuisce.

“Il tuo polso, per favore” dice.

Ed è così che il nome della sua anima gemela finisce con l’essere fotografato e registrato dall’esercito degli Stati Uniti d’America. Dio, se solo Howard sapesse, sarebbe furioso. Ecco perché non verrà mai a saperlo.

“Abbiamo fatto” dice. “Prego, da questa parte, Signor Stark”.

Nella stanza in cui lo porta non c’è nessun Colonnello Nicholas Fury. Ci sono un paio di sedie, un tavolo e una scatola al centro di suddetto tavolo. C’è anche un proiettore a bobine.

“Il Capitano Rogers non ha lasciato nessun testamento” disse la donna e Tony sbatte le palpebre perché era la prima volta che sente il nome di Roger associato a un grado che non sia quello di soldato semplice. “La persona a lui più vicina – ha insistito per inserire un collega come legatario – è stata dichiarata disperso in azione durante la stessa operazione in cui abbiamo perso il Capitano Rogers. Non aveva nessun familiare in vita”.

Dio. Non… non ha mai fatto ritorno a casa. Egoisticamente, Tony si chiede se Steve ha pensato a lui, poi prega Dio che non lo abbia fatto. Non vuole immaginarselo mentre muore da solo, sapendo che non incontrerà mai la sua anima gemella.

“Come sua anima gemella” continua la donna. “hai ereditato tutti gli averi e gli effetti personali del Capitano Rogers. Ovviamente molto di quello che resta è al momento in possesso dello Smithsonian, e per la maggior parte è già in esposizione, in qualità di anima gemella sei più che benvenuto a prendere un appuntamento per prendere visione del resto dei suoi lasciti. Sei legalmente abilitato a prendere qualsiasi cosa tu voglia, anche se, naturalmente, ci farebbe piacere se fossi disposto a lasciarli in prestito allo Smithsonian”.

Sta scherzando, vero? Deve essere per forza uno scherzo. Ok, forse alcune parti del suo armamento possono far parte di una qualche esposizione sulla Seconda Guerra Mondiale. Avrebbe senso. In parte.

La donna picchietta sulla scatola. “Quello che abbiamo qui è la sua documentazione completa e i suoi restanti effetti personali. Questo è materiale che non può essere reso pubblico, sia perché alcuni dettagli sull’operazione sono ancora segreti, sia perché contiene collegamenti sull’identità civile e su quella professionale del Capitano”.

Niente ha senso.

“Mi dispiace,” comincia Tony. “io… cosa? Non capisco. Cosa vuol dire identità professionale?”

La donna inclina leggermente il capo da un lato. “Il colonnello non te l’ha detto?” chiede e Tony la guarda confuso. “Steve Rogers era Capitan America”.

“Ma che cazzo…?” dice Tony.

 


 

Tutti conoscono ogni cosa su Capitan America. Cavolo, persino Tony conosce ogni cosa su Capitan America. Da bambino era il suo eroe. Era l’eroe di tutti. Capitan America aveva preso a pugni i nazisti, fermato i supercattivi, salvato l’America infinite volte. Aveva subito un qualche trattamento scientifico ed era diventato il primo e unico supersoldato, un uomo la cui forza era più che umana, le cui ferite si curavano alla velocità della luce, munito di sensi e riflessi che avevano dell’incredibile. Era stato uno dei primi supereroi, aveva combattuto al fianco degli Invasori. Era la personificazione di una divinità. Era libertà e giustizia.

E tutti sapevano cosa gli era successo. Appena prima della fine della guerra, non aveva fatto ritorno. Un aereo rubato. Un tragico incidente. Capitan America e il suo aiutante Bucky Barnes erano scomparsi nell’oceano.

In tutte le foto, in tutti i filmati d’epoca, Capitan America è sempre in uniforme, il cappuccio sempre calato in testa. Nessuno conosce il suo volto. E di certo nessuno pronuncia il suo vero nome.

Tony apre la scatola con foga. Ci sono dei documenti – nessuno revisionato – e fotografie, un sacco di fotografie. Quella in cima è la foto di un braccio – un polso sottile e ossuto – un polso sul quale si trova il nome di Tony scritto nella sua stessa grafia. Ci sono bobine, etichettate con serie di lettere incomprensibili e le parole PROGETTO RINASCITA. E in fondo alla scatola, in una sacchetta, c’è una lettera.

Sulla busta c’è scritto Tony Stark scritto dalla stessa mano che ha compilato il modulo di arruolamento. Una lettera. La sua anima gemella gli ha scritto una lettera.

“Qualcuno,” comincia, poi la voce lo abbandona e deve provare di nuovo. “Qualcuno l’ha letta?”

La donna scuote la testa. “È tua” dice e accenna un piccolo sorriso.

Tony si schiarisce la gola. La sua vista diventa liquida. “Mi… mi piacerebbe restare per un po’ da solo, per favore” dice.

“Certo, fammi sapere se hai bisogno di aiuto con il proiettore”.

E così se ne va e Tony siede al tavolo insieme a tutto ciò che resta della sua anima gemella. La sua anima gemella, che era Capitan America. Dio. Non sta succedendo davvero.

 


 

Non comincia dalla lettera. Sa che sarà la parte migliore – una lettera scritta dalla sua anima gemella per lui – e vuole tenerla per ultima.

Quindi parte dai documenti. Steven Rogers era un orfano, che sopravviveva a stento e dipingeva poster per la WPA, mentre tentava di arruolarsi e veniva ripetutamente rifiutato. Ci sono foto di lui prima della Rinascita. Tony non crede sarebbe mai riuscito ad associarlo a Capitan America. Steve è appena più vecchio di Tony, fa quasi strano pensarlo. È alto, magro, ossuto e ha l’aria di uno pronto a fare a botte, a cui non importa se finisce per essere lui quello steso a terra. Tony, in un certo senso lo ammira. E deve ammettere che ha sembra adorabile. C’è qualcosa in lui che lo eccita. Anche se un paio di panini in più non gli avrebbero fatto male. Tony fissa la foto di un uomo del 1940 e vuole portarlo a casa per rifilargli un panino, e… e…

Si rende conto che gli sta fissando le labbra. Scuote la testa e passa oltre.

Alle pressioni dello scienziato a capo del programma, che aveva visto in Steve qualcosa di speciale, lo avevano accettato per il Progetto Rinascita. Tony scorre in fretta i dettagli tecnici, che sono fastidiosamente assenti anche in questo file; il documento spiega che solo lo scienziato a capo del progetto era a conoscenza di tutto, e che era morto qualche minuto dopo la procedura. Steve doveva essere il primo supersoldato di una serie. Alla fine era rimasto l’unico.

Ci sono foto che seguono la Rinascita, e Tony può compararle quelle che la precedono. Ci manca poco che l’intero file gli sfugga di mano perché, Dio, sembra una foto soft porno questa! Steve sta in piedi, indossa solo dell’intimo attillato, e cielo, guarda quei muscoli. Se non avesse saputo che era reale, non lo avrebbe creduto possibile. Ma poi Tony guarda oltre i muscoli, e vede che la faccia di Steve è la stessa. Sembra meno arrabbiato, ma ha la stessa determinazione. Forse è un po’ sopraffatto dalle emozioni. Tony non può biasimarlo. Probabilmente ha la stessa espressione al momento.

Forse è una cosa buona che non si sono incontrati. Capitan America non lo avrebbe di certo voluto. Perché, a conti fatti, cosa ha Tony da offrirgli?

Poi vengono le foto in uniforme, sia in quella dell’esercito che in quella di Capitan America, in posa e senza il solito scudo triangolare. Lo scudo di vibranio è scomparso con lui. Ma ora che può mettere le foto in ordine cronologico, sa che si tratta dello stesso uomo; non riuscirà più a guardare una foto di Capitan America senza vedere gli occhi di Steve, il suo volto sotto il cappuccio.

Il resto dei documenti riguarda le missioni di Capitan America, con Bucky e con gli Invasori. Tony, da bravo fan boy, ne conosceva già la maggior parte. Ma ci sono altre foto pinzate alle pagine, scatti spontanei. Steve con il cappuccio abbassato, mentre ride con Bucky. Steve e gli Invasori in abiti più o meno civili. Steve che legge. Steve che scarabocchia su un quadernino lo studio di un corpo umano, mentre la Torcia Umana e Toro posano schiena contro schiena. Le mani tremanti di Steve insieme a un uomo dalla mandibola squadrata con i colori di un sergente su una manica. Nessuno dei libri su Capitan America e nessuna mostra le hanno mai fatte vedere, perché questo è Steve Rogers, l’uomo la cui identità è ancora oggi un segreto.

Tony cerca di immaginarsi lì con lui. Non ci riesce.

L’ultima foto è di Steve di nuovo a petto nudo, la maglia sulle ginocchia. Sembra stia riparando l’uniforme. E l’angolo è perfetto per mostrare il polso nudo di Steve, mentre solleva in alto l’ago. E Tony sa, sa che quello è il suo nome. Può vederlo. Proprio lì. Dio.

Fruga nella scatola e tira fuori una bobina a caso. Dopo alcuni tentativi, riesce a mettere su il filmato. Preme un pulsante e il proiettore ronza, mentre si accende, luminoso e lampeggiante.

È in bianco e nero e produce uno strano scoppiettio. C’è Steve, prima del siero, che siede a un tavolo da interrogatorio. Non indossa l’uniforme, e anche se Tony sa che Steve è sempre stato alto, adesso incurva un po’ la schiena. È così vivo, in movimento, i suoi occhi che corrono lungo la stanza e per un istante Tony immagina che Steve riesca a vederlo.

“C’è la questione del tuo polso” dice un uomo fuori dall’inquadratura e Tony capisce che deve trattarsi di una qualche intervista, mentre il suo stomaco si attorciglia, perché c’è il suo nome sul polso di Steve e di certo diranno che c’è qualcosa di sbagliato. C’è qualcosa di sbagliato con Tony. C’è sempre qualcosa di sbagliato con Tony.

“Cosa c’è che non va?” chiede Steve e Tony vuole ridere, perché per qualche ragione non si era mai immaginato Capitan America con il più stereotipico accento newyorkese. È piuttosto adorabile.

Steve accarezza il nome sul suo polso, proprio come è solito fare Tony.

“Beh,” dice l’uomo. “Di certo saprai che Stark è un cognome di origine tedesca. E che Tony potrebbe essere l’abbreviazione del nome italiano Antonio”.

Tony aspetta che Steve annuisca, che dica non c’è problema, non è che di lui mi porti qualcosa.

Ma Steve solleva il capo e sorride di un sorriso tutto denti e dice: “Signore, so bene che lo scienziato a capo del progetto è anche lui di origine tedesca. Dovrei giudicare la mia anima gemella basandomi solo sul suo nome?”

“Sei fantastico” gli dice Tony. “Sei fantastico e io non ti merito”.

Comunque non è che Steve lo avesse amato, giusto? Steve neanche lo conosceva. Steve non lo conoscerà mai.

“Sei consapevole” continua l’uomo “del regolamento che riguarda gli uomini che hanno un altro uomo come loro anima gemella, vero?”

Lo stomaco di Tony si contrae e non vuole ascoltare. Sa cosa dirà Steve, e lo sa anche Steve.

“Gliel’ho già detto” dice Steve. “Seguirò il regolamento dell’esercito come richiesto”.

Non vuole vedere Steve mentre spiega quanto è disgustato da lui, o qualsiasi altra cosa sia necessaria per passare l’esame. È successo e basta. Tony spegne il proiettore a metà di una frase, nauseato.

Contempla la lettera ancora nella sacchetta. Non vuole sapere, ma è meglio strappare il cerotto in fretta, no?

Si rovescia la busta in una mano, la apre e con attenzione fa scivolare fuori la carta piegata e scricchiolante.

 

Caro Tony,

Se stai leggendo questa lettera, vuol dire che non ce l’ho fatta. So che è un modo buffo di cominciare una lettera quando io e te non ci siamo mai neanche incontrati, ma al momento questa è la cosa più importante che sai su di me. Se ti ho incontrato, se sono stato così fortunato da incontrati, non leggerai questa lettera. Ne riceverai una diversa che parlerà del tempo che abbiamo trascorso insieme, dei ricordi che preferisco, di quanto tu significhi per me. Ma non posso scrivere quella lettera, quindi sto scrivendo questa. Ho chiesto al Sergente Fury di tenerla per me e di farla arrivare in America, se verrai a cercarmi nell’esercito, riuscirai a trovarla.

Ma c’è una cosa che devi sapere più di ogni altra, Tony: ti amo. Ti amo con tutto il cuore, con tutta la mia anima, e ogni notte ti sogno. Sogno di incontrarti. Ti sto aspettando da tutta una vita e so che se stai leggendo questa lettera, saprai anche che in questa vita per noi non era destino. Ma sono convinto che ci saranno altre opportunità.

Sono certo che tu sia fantastico, e meraviglioso, e voglio che tu sia felice. È questo che voglio sopra ogni cosa.

Mi chiedo cosa pensi di me. Nel momento in cui stai leggendo dovresti già sapere che sono Capitan America. Servire il mio paese, proteggere questo mondo erano per me la cosa più importante. Ho dovuto mentire per riuscirci. Ho mentito così tante volte mentre cercavo di arruolarmi, poi ho continuato a mentire. Ho dovuto dire che per te non provavo niente di romantico. Ma non era così, non è così, non sarà mai così. Mi dispiace, e mi vergogno, e spero che troverai in te la forza di perdonarmi. Se ci fosse stato modo di dire la verità e di potermi comunque arruolare, l’avrei fatto. Puoi dire alla gente di me, se vuoi, se, Dio voglia, abbiamo vinto la guerra e non viviamo sotto Hitler. Ti prego, parla di me. Voglio che sappiano che ti amavo. Sarai più coraggioso di quanto lo sia stato io. Sono certo che sei coraggioso. Come potrebbe essere il contrario?

Fa freddo stanotte, e vorrei fossi qui. Non in questa dannata guerra – non è qualcosa che augurerei a nessuno – ma vorrei fossi qui, al mio fianco. Ho così tanta voglia di stringerti a me che mi prudono le mani di desiderio. Voglio baciarti. Voglio disegnarti. Voglio sussurrarti ogni mio segreto e voglio raccontarti battute scadenti, solo per vederti sorridere. Scommetto che hai un sorriso bellissimo. Ne sono certo.

Ma se stai leggendo questa lettera, non potrò mai saperlo, e ormai mi sono rassegnato. Qualsiasi cosa mi sia successa, la mia morte ha avuto un senso. Sono morto per quello in cui credevo. Sono morto per il mio paese. Suppongo tu sappia cosa mi sia successo. Ma qualsiasi cosa sia, ho sempre pensato a te. Ti ho sempre amato, Tony, e ti amerò sempre. Chiunque tu sia, qualunque cosa tu abbia fatto, sei la mia anima gemella e io ti amo.

Ricordatelo sempre.

Tuo,

Steve

 

Una lacrima cade sul bordo dell’ultima pagina, macchiando il foglio.

Poi la maniglia della porta sferraglia e entra un uomo in uniforme. È un uomo di mezz’età, con una mascella dall’aria familiare. I capelli sono grigi sulle tempie e ha una benda su un occhio.

“Tony Stark?” chiede. “Sono Nick Fury” fa una pausa e lo osserva. “È un brutto momento?”

Tony tira su col naso. “No, sto benissimo” dice, perché se le sue emozioni sono tutte in subbuglio, tanto vale che ne renda partecipe il resto del mondo. “Si sieda”.

Fury si siede, poi annuisce verso il foglio di fronte a Tony. “L’hai letta”.

“L’ho letta” anuisce Tony, la sua voce trema. “Lui… lui mi amava”.

E Fury lo guarda come se capisse. “Sì,” dice piano. “ti amava davvero. Non poteva dirlo a nessuno perché Dio non voglia che Capitan America sia gay, ma ti amava. Ci riempiva di chiacchiere su cosa sarebbe successo quando finalmente vi sareste incontrati”.

Ne parla come se fosse stato presente. Ma non è possibile.

“Nella lettera viene nominato un certo Sergente Fury” dice Tony. “e c’è un tizio in una delle foto che le assomiglia… suo padre? Suo nonno?”

“Sono io, ragazzo” risponde Fury. “Porto solo bene i miei anni”.

“E poteva dirmelo” dice Tony “ma poi avrebbe dovuto…”

“Ora capisci, ragazzo” continua Fury e la cosa spaventosa è che Tony non sa se stia scherzando. “Ho servito nell’esercito con Cap. Io e gli Howling Commandos. A volte ci accoppiavano con gli Invasori, o solo con Cap e Bucky, fatto sta che l’ho incontrato diverse volte”.

“Lui com’era?”

Fury sospirò pensieroso. “Sapevo me lo avresti chiesto, e per due settimane ho cercato una risposta da darti, ma non l’ho trovata. Lui era… è l’uomo migliore che abbia mai conosciuto. L’uomo migliore che tutti noi abbiamo mai conosciuto. Non ci sarà mai nessun altro come lui. Se lo avessi chiesto a lui, probabilmente ti avrebbe detto che non era speciale, ma non è questo che dicono i migliori? Lui era… era così dannatamente bravo, è stato un onore conoscerlo.” abbozza un sorriso. “Gli saresti piaciuto”.

“Neanche mi conosce”.

“Ti ho cercato su Google” Fury solleva un sopracciglio. “Ho letto quello che ti riguardava. Ho fatto un controllo sul tuo passato. Sei un genio, Stark. Gli saresti piaciuto. Gli era sempre piaciuta la gente intelligente. La gente capace di tenergli testa, che non aveva paura di affrontare Capitan America, ma che comunque lo rispettava. Sareste andati d’accordo. Siete anime gemelle. Non fare lo stupido”.

Tony grugnisce. “Ok, ok, non farò lo stupido” pensa a quello che gli ha detto Fury. “Aveva dei piani per me?”

“Cap era un romantico” rispose Fury. “Lo prendevamo tutti in giro per questo, per il fatto di non voler ammettere che… Uh…” tossisce. “Comunque, era davvero dolce quando si trattava di te. Parlava di come sarebbe tornado a New York e di come ti avrebbe incontrato per caso, di come ti avrebbe invitato a cena e al cinema. Eravamo sempre informati sulle ultime uscite e lui continuava a chiederci se pensassimo che questo o quell’altro film ti sarebbe piaciuto, come se potessimo avere una opinione in proposito. Namoruna volta gli tirò  un dannato pesce in testa e lui non si tappò comunque la bocca”.

Tony ride. “Mai letta questa storia nei libri di storia”.

“Sì, beh,” disse Fury. “non avresti potuto”.

“No,” concorda Tony. “immagino di no”.

La sua anima gemella è nei libri di storia. La sua anima gemella è Capitan America. Che diavolo di vita!

Fury si riaccomoda sulla sedia e passa in rassegna i fogli sparsi sul tavolo. “Posso chiederti cos’hai intenzione di prendere? Immagino la mia assistente ti abbia detto che tutto ciò che era di Steve adesso appartiene a te. Tutto ciò che è in questa scatola è tuo senza ombra di dubbio. Ma anche tutto il resto ti appartiene comunque. Steve avrebbe voluto che avessi le sue cose. Anche lo Smithsonianvuole continuare ad averle, e mi hanno chiesto di riferirti il loro desiderio, ma sei liberissimo di fare come preferisci”.

Onestamente, ciò che Tony vuole è qualcosa di fisico. Qualcosa di Steve. Qualcosa che aveva toccato, o tenuto, o indossato. Qualcosa che possa toccare e pensare che una volta era stato fra le mani della sua anima gemella. Le medagliette sarebbero l’ideale, ma le medagliette di Steve sono insieme al suo corpo, e il suo corpo è disperso da qualche parte nell’Atlantico. Non può averle.

Tony solleva la lettera. “Posso prendere questa?”

“Ragazzo,” dice Fury. “tengo stretta quella lettera dal 1941, ti sembra che voglia continuare a farlo? Sarà meglio che la prendi”.

Tony ride. “E una foto?” chiede con un po’ di esitazione. “Posso avere una foto?”

“Ti faccio un fottuto album fotografico” dice Fury, ed ecco come Tony si porta a casa un USB con dentro la versione digitale di tutte le foto, tutti i documenti e tutti i filmati.

Lo Smithsonian può anche tenersi Capitan America. Lui avrà Steve Rogers.

 


 

Sa che Steve voleva fosse coraggioso. Che Steve voleva dicesse alla gente di lui. Di loro.

Ma Tony non può dirlo ad Howard. Non può. Se lo dicesse a Howard macchierebbe quello che c’è fra loro. Howard non sarebbe felice di sapere che Capitan America è la sua anima gemella.

Lo dice a Jarvis e pensa che in qualche modo questo conti lo stesso.

Quando quell’anno torna a casa per natale, lo dice anche a sua madre e lei sorride e lo abbraccia, e gli dice che gli vuole bene, e che è fiera di lui, e che avrebbe tanto voluto che lui e Steve si fossero incontrati.

È uno dei ricordi migliori che ha di sua madre.

 


 

Quando Tony a vent’anni i suoi genitori muoiono.

Meno parla della cosa, meglio è.

 


 

Quando ha ventun’anni, calpesta una mina. Ed è tutta colpa sua, davvero.

Non ricorda granché della cosa, il che è probabilmente positivo, solo un ciclo di sonno e veglia senza fine, in cui Yinsen cerca di tenerlo fermo mentre gli tira fuori frammenti dal petto.

Gli pare di aver delirato roba sul morire vergine, un pensiero piuttosto divertente, considerando che Steve è morto e che non sa davvero cosa stia aspettando, perché mica uno può aspettare la sua anima gemella se tale anima gemella è bella che andata. Ma sa anche che nessuna delle persone con cui è uscito lo ha amato tanto quanto il ragazzo che gli ha scritto quella lettera.

A un certo punto gli pare persino di aver chiesto a Yinsen se Steve stesse bene. Yinsen ha risposto di sì. Ha detto che Steve stava bene, ha detto che tutti loro sarebbero stati bene, ed è in quel momento che capisce che Yinsen è un bugiardo.

 


 

Tony tiene due foto di Steve nel portafoglio. Nessuna in cui indossi l’uniforme, nessuna che possa aiutare a identificarlo come Capitan America, perché l’esercito vuole ancora tenere il fatto segreto. In entrambe le foto è senza maglia, che nessuno dica che l’aspetto di Steve lo lascia del tutto indifferente. Una è prima del siero, l’altra dopo. È la dichiarazione tutta personale di Tony: ti avrei amato a prescindere.

Gli piace guardare quelle foto e chiedersi: cosa farebbe Steve?

In questa situazione in particolare non sa bene se la risposta sarebbe stata costruisci un’armatura e vola verso la libertà, ma beh, Steve non era un ingegnere.

Tony è certo che non avrebbe approvato se avesse saputo.

 


 

Tony ne esce vivo. Yinsen no.

Non è proprio il suo anno migliore, fino ad ora.

E il mondo sta più o meno impazzendo e c’è questo folle dio nordico e, beh, Tony ha un armatura volante e sa esattamente cosa farebbe Steve. Steve farebbe il dannato supereroe.

“Gli Avengers!” dice Jan van Dyne, e Tony solleva il pugno in aria, insieme a tutti gli altri.
O la va o la spacca.

 


 

Quindi apre la sua casa agli Avengers, e lui è Iron Man, ed è anche Tony Stark, e pensa che forse così può essere felice. Non troverà mai la sua anima gemella, ma non importa. La sua vita non deve per forza ruotare attorno a quello. Ha una squadra a cui tiene. Può prendersi cura di loro. Mantenerli in vita. Salvare il mondo.

È piuttosto certo che è una cosa che Steve amerebbe.

Se lo farà bastare.

 


 

 

Due mesi dopo Hulk è fuori dalla squadra e loro sono in un sottomarino e c’è un corpo in mezzo all’acqua. Un corpo in un iceberg.

Giant-Man si ingrandisce e si protende, tirando il corpo a bordo, e quando Tony lo vede pensa che il cuore, adesso, gli si fermerà davvero. Può anche morire nell’armatura. Il resto della squadra non se ne accorgerà fin quando non cadrà in ginocchio.

L’uniforme è lacerata, rossa, bianca e blu. Lo scudo di vibranio giace sul suo petto. Il cappuccio è tirato all’indietro e quello è il volto di Steve, Dio, il volto di Steve, un volto che Tony ha memorizzato a forza di foto e filmati, un volto di cui ha tracciato i contorni su carta migliaia di volte. Ma ora è pallido e immobile. Se potesse toccarlo sarebbe rigido e freddo.

Tony non è certo di ricordare come si respira e il cuore gli martella in petto tanto forte che è certo possa esplodere, è piuttosto sicuro che sta piangendo, e se non sta attento le lacrime manderanno in corto circuito metà dei dannati transistor della tuta.

Tony è immobile, incredulo, mentre Jan realizza che quello è Capitan America e lo annuncia al resto della squadra.

Almeno possono portarne il corpo a casa. Fury sarà felice di saperlo, pensa Tony. Almeno possono finalmente seppellirlo.

Poi…

“Sentite!” dice Jan, concentrata, protesa sopra il corpo di Steve. “Non è morto! Respira!”

Oddio, pensa Tony. Oddio, oddio, è un miracolo. È un miracolo e cosa ha fatto nella sua vita per meritarselo, oh, ti prego, ti prego, fa che Steve stia bene, farà qualsiasi cosa, rinuncerà a qualsiasi cosa per lui…

Steve apre gli occhi ed è la cosa più bella che Tony abbia mai visto.

All’inizio sembra confuso. Vuole sapere dove si trova. Chi sono loro.

Tony non riesce a parlare. Non ci sono parole, perché Steve è vivo, perché Steve non può essere vivo ma lo è, proprio lì…

“Ha dormito a lungo, Capitano” dice Jan, e grazie a Dio, qualcuno ha ancora il dono della parola. “Noi siamo gli Avengers. Io sono Wasp, e questi sono Giant-Man, Thor e Iron Man”.

“No.” dice Tony. “No, aspetta.”

La squadra lo fissa.

Ha una sola opportunità, un solo primo incontro e ha intenzione di farlo nel modo giusto.

Sblocca il casco e se lo leva, poi fa lo stesso con i guanti.

Jan spalanca gli occhi. “Tony?” dice incerta. “Sei…”

“Tony?” ripete Steve, e i suoi occhi risplendono di una fragile speranza, e Tony sa esattamente cosa desidera Steve, ed è vero. È tutto vero. Adesso possono averlo.

È proprio come promettono I film. È anche meglio che nei film. Mio, dice qualcosa dentro di lui. Mio, mio, mio. Come io sono tuo.

“Sono Tony Stark.” dice e ha paura, ma non riesce a smettere di sorridere. “E tu sei Steve Rogers. È un sacco di tempo che ti aspetto”.

Poi Steve lo guarda, sorride luminoso e felice, il più bel sorrido del mondo, e Steve è fra le sue braccia e lo bacia, e sono insieme finalmente, sono insieme e sono vivi.



 ***

Grazie per essere arrivati fin qui. 

Sarò breve questa volta: mi farebbe molto piacere se voleste lasciare un piccolo commento, non tanto per me, che questa storia l'ho solo tradotta e anche piuttosto male, ma per l'autrice originaria che ci ha messo anima e corpo nella sua stesura. Mi preurerò di passarle ogni vostra parola e di rendervi partecipi della sua risposta. 

Prima di chiudere, solo un paio di link utili:

Link alla storia in inglese su AO3

Link alla pagina dell'autrice su AO3

Link alla mia pagina su EFP

Link al mio profilo Facebook, che potete aggiungere senza problemi qualora foste interessati a sapere quali altri progetti ho in ballo.

Qui finisco e vi ringrazio ancora.

 

   
 
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