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Autore: Fed    04/05/2017    1 recensioni
La libreria si liberò dall'affanno di un libro un po’ liso, gettandolo via con livore. Il pavimento, pavido, urlò per la sorpresa.
[...]
"Ora l'hai visto, il tempo?"
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il poeta matto era seduto al centro della stanza, la testa ciondolante e gli occhi chiusi.
La luce del sole, filtrando dalle tende, arrivò a sfiorarlo alle nove e zero tre.
 
“Chi sei?” chiese il poeta sgranando gli occhi.
“Il tempo” sussurrò la luce distratta, mentre si tendeva a sfiorare l’avambraccio scoperto dell’uomo.
“Il tempo non esiste” dichiarò il poeta, più tranquillo, le rughe del viso scavate da un piccolo sorriso.
“Ottimo,” rispose la luce “allora puoi comportarti come se non ci fossi”.
 
Sembra sensato, pensò il poeta, quindi richiuse gli occhi e sotto alle palpebre tornò a scorrere il mare, prima il suo sale, quindi il suo rumore. L’uomo li assaggiò entrambi e decise di seguire il secondo. Ciondolò la testa e il mare si mosse, il verso di una balenottera gli percorse la calotta cranica.
 
“Hai sonno?” chiese la luce.
“No” rispose il poeta indispettito.
“Hai sete?”
“No. Smettila.”
“Hai tempo?”
 
Il mare scomparve e tornò la stanza vuota, e la luce, e le tende.
Non era davvero il caso di rimanere per troppo tempo con gli occhi aperti, però, altrimenti la stanza avrebbe iniziato a sussurrargli di nuovo inutili allitterazioni.
 
“Smettila” ripeté il poeta alla luce che gli si stava arrampicando addosso.
“Ah, sei ermetico.”
 
Le mura della stanza erano opache, di un grigio tenue: sfuocavano le ombre corte dei mobili creando giochi di profondità. La libreria si liberò dall’affanno di un libro un po’ liso, gettandolo via con livore. Il pavimento, pavido, urlò per la sorpresa.
 
“Oh, no!” disse il poeta drizzando la schiena “Non di nuovo, no”.
“Ora l’hai visto, il tempo?”
“Ho visto un libro cadere” soffiò via l’uomo, ma la risata della luce lo interruppe, facendolo irrigidire.
“Ci ha messo del tempo” spiegò la sua interlocutrice, ormai protesa sulla manica destra della sua t-shirt rossa. “Devi averlo visto!”
 
E, in effetti, il tempo gli passò davanti quando l’ennesimo libro venne buttato giù.
Il fastidio era evidente nello sguardo dell’uomo, ma ormai il gioco era iniziato e non c’era più modo di uscirne: le allitterazioni andavano sistemate e quella stupida luce uccisa, una volta per tutte.
 
La scrivania scricchiolò.
Il poeta si alzò e andò a lisciarne la superficie.
 
“Adesso l’hai sentito?” chiese la luce.
“Cosa? Cosa?” sbraitò l’uomo mentre cercava di calmare la sua mobilia.
“Il tempo, il peso del tempo sulla tua scrivania!” urlò lei cercando di raggiungerlo “Possibile tu non l’abbia sentito sulle mani?”
“Smettila. Smettetela tutti!”
 
La stanza si acquietò per un istante, ma riprese presto a rumoreggiare.
Il divano divelse il battiscopa dal muro in un battito di ciglia, la porta si portò lì accanto e, Posso?, chiese, passando sopra al tappeto, che si tappò il naso e prese a soffiare polvere sul soffitto.
Il poeta si profuse in parole morbide, carezzò il divano e diede qualche pacca al tappeto. Recitò una poesia al soffitto e poi ancora a sedare l’animo della poltrona e ancora ad ascoltare i lamenti del cactus.
 
Terminato il lavoro, si accorse che il fascio di luce era ormai piccolo e morente. Se ne compiacque.
“Finalmente anche tu mi lascerai in pace!”
“Non l’hai colto per tempo” mormorò l’ultimo baluginio, nascondendosi dietro le tende.
“Cosa?” chiese l’uomo inseguendo la luce sul davanzale della finestra.
“È passato il giorno, è passato il tempo. Tu non l’hai colto e ora non ti resta che sfiorire.”
 
E così accadde.
Il tempo passò e lasciò il poeta indietro.
A nulla valsero le allitterazioni dei mobili che cercarono di consolarlo, anche quelle divennero inutili esercizi di stile.
 
Il poeta matto attese allora l’arrivo del giorno nuovo, ma la notte, cattiva, prima dell’alba se lo mangiò.

 
  
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