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Autore: Benny Bromuro    05/05/2017    0 recensioni
Sono settimane che ormai la piccola cittadina di Varcaturo, nel napoletano, è vessata dalla presenza di giovani killer senza scrupoli, pronti a tutto pur di versare sangue innocente nelle strade.
Tuttavia, nella paura crescente, uomini coraggiosi, speciali, decidono di cercare di uscire dal buio in cui qualcuno li ha immersi. Per salvare il proprio domani e tenere in alto la testa, come gli eroi che sono.
[LA STORIA È SCRITTA CON TRATTI PALESEMENTE PARODISTICI IN RIFERIMENTO AL MONDO FUMETTISTICO E SUPEREROISTICO MARVEL, NON SI VOGLIA QUINDI FRAINTENDERE IL TENTATIVO DI BANALE DIVERTIMENTO CON QUELLO DI BANALE PLAGIO (dato che in tasca non mi entra una ceppa)].
Buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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III. VOI NON SAPETE NULLA
Chronicles Of A Broken Land - Gli Inconsistenti

 
 
- Varcaturo, Via Madonna del Pantano Sud –
 
“La bellezza di poterci vedere senza occhiali…” sussurrò Vincenzo, poggiando le lenti a contatto sulle pupille, delicatamente. L.O.O.P. guardava sorridente la scena, mentre sistemava il tabacco e un pezzetto di fumo su di una cartina.
“Secondo me fumi troppo” disse il primo, battendo le palpebre più e più volte e assaporando il piacere di poter archiviare quegli occhiali nel dimenticatoio.
“Se non fumo non riesco a fare le magie, Vincè...”.
“Già... a proposito di quelle...”.
“Non farmi domande” chiuse subito l’altro, seduto al tavolo. Leccò il bordo della cartina e cominciò ad arrotolarla.
“Volevo solo capire come fai...”.
“Nessuna domanda...”.
“Cioè... fai la faccia da scemo, ruoti la mano e tutti si bloccano… è un fatto davvero strano...”.
“Nessuna domanda...”.
“Ma voglio capire!” urlò poi.
Luca alzò la testa dalla canna con le palpebre a mezz’asta, quindi sospirò.
“Nessuna. Domanda”.
“Lo scoprirò! Dovesse essere l’ultima cosa che faccio!” esclamò. Poi si voltò, prendendo una Winston e accendendola.
Vincenzo non soleva fumare sigarette; non gli piaceva il sapore, fin troppo forte, talvolta amarognolo, con quel retrogusto che non lo faceva impazzire. No, rollava drum lui.
E lo faceva con metodo e precisione.
Ma da quando la grande cupola li aveva ricoperti aveva cominciato ad accontentarsi di ciò che trovava. Quel pacchetto di Winston Blu era tutto ciò aveva trovato di utile alla causa.
L’immagine riflessa nello specchio della sua stanza lo ritraeva con quella maschera stanca, in cui i suoi occhi verdi apparivano spenti. I capelli, ormai troppo lunghi per i suoi standard, erano colorati d’un castano che d’estate finiva per tuffarsi nel biondo.
Le labbra sottili abbracciavano il filtro della Winston col fumo che gli copriva il volto, una volta espirato.
“Ti ricordi com’era, prima che tutto cambiasse?” domandò a Luca. Quello aveva appena finito di chiudere il joint quando alzò lo sguardo.
“Ma certo che ricordo… Era tutto così tranquillo. Ricordo che la sera uscivo con i miei amici, girovagavo per tutta Napoli, qui e lì. Che bei tempi. Non ci resta che affidarci ai ricordi...” disse, accendendo la torcia e gettando nei polmoni quel fumo sporco che tanto lo rilassava.
Si grattò il lungo naso e poi prese un’altra boccata di relax, prima di continuare. “A meno che non riusciamo a fare qualcosa…”.
“Qualcosa per cosa?”.
“Per tutto questo, Vincè... Per la cupola e le sigarette che mancano”.
“Oh, beh...” sorrise quello. “Lo farei più per riprendere la linea internet…”.
“Ti ammazzi di porno, eh?” rise quello.
“No” rispose Vincenzo, col sorriso sulle labbra. Aspirò e poi tossì, ancora abituato al drum. “Internet serve a tutto…”.
E Luca annuì, accondiscendente. “Effettivamente. Potremmo comunicare con l’esterno del mondo… Ma se scavassimo? Se provassimo a uscire dal basso?” domandò poi.
“Sarebbe un suicidio. Senza mezzi di scavamento professionali ci metteremmo settimane. Inoltre se durante una ronda di cazzeggio gli Inconsistenti ci trovassero sarebbe impossibile sopravvivere”.
“Beh, dai, ce la caveremmo... Siamo bravi assieme” sorrise ancora L.O.O.P., roteando la mano davanti al viso.
“Saremmo praticamente in un tunnel, con le spalle al muro e con decine di nemici superforti a colpirci… non è strategicamente una buona idea, non pensi?”.
Quello fece spallucce. “Hai bisogno di rilassarti”.
“Ho bisogno  di vedere la Ferrari correre...”.
“Ti piace la Formula 1?”.
All’altro bastò guardarsi attorno, mostrando all’ospite decine di gagliardetti della scuderia di Maranello. “Ti basta come risposta?”.
Sorrise, Luca. “Direi di sì…”.
Quelle parole si sedimentarono, lasciando un silenzio imbarazzante che un tempo avrebbero entrambi snobbato prendendo il cellulare tra le mani.
Ma i cellulari non servivano a nulla, dato che non avrebbero potuto caricarli, senza corrente.
“Già che sei qui…” fece Vincenzo. “Potresti cenare con me. Ho preso tanta roba… forse c’è l’occorrente per fare una semplice pasta al pomodoro…”.
“Mi manca la pizza” disse quello.
“Anche a me…”.
“Però non voglio disturbare… Ho diverse cose, a casa mia, non mi sembra giusto mangiare le tue...”.
“Senza il tuo aiuto ora non potrei mangiare nulla perché non avrei i denti. E perché sarei morto…”.
“Esageri…”.
“È anche vero che senza di te forse non sarei neppure stato in pericolo… però mi fa piacere un po’ di compagnia. Siamo soltanto io e quel cane da troppo tempo, ormai…La casa è al centro dei terreni, ci sono vie di fuga… e poi qui c’è molto spazio…”.
“Vuoi che venga qui?” chiese quello.
“Ci sono altri quattro appartamenti in questo palazzo, totalmente vuoti. Se vuoi mi farebbe piacere…Cioè… capisci, no?”.
“Meglio quattr’occhi che due, certo…”.
“No, niente quattr’occhi, ora ho rimesso le lenti a contatto. Domattina, all’alba, prenderemo la Panda e caricheremo ciò che può servirci da casa tua…”.
L.O.O.P. sorrise a bocca chiusa e palpebre serrate, come suo solito.
“Ti ringrazio davvero molto…”.
“Ora è meglio che il cane salga sopra… Non vorrei che facendo il coglione come suo solito attiri quegli zombie dalle nostre parti…”.
 
 
- Varcaturo, Piazza San Luca –
 
Era ormai buio.
E quando era buio le cose non funzionavano mai per il verso giusto.
Antonio camminava rapido lungo il viale sporco della Piazza, che portava dritto nella chiesa. Un gruppo d’Inconsistenti era appena passato e il prossimo non avrebbe lasciato il cortile prima d’un minuto. Aveva abbastanza tempo per una manovra d’avvicinamento a quel posto.
E lo fece.
Scattò nell’oscurità, con la torcia stretta tra le mani e l’assoluta certezza che se fosse stato avvistato da qualcuno di quei mostri con le Adidas avrebbe rimpianto, per quei pochi minuti di vita che gli sarebbero rimasti, la mancanza di un’arma un po’ più efficace.
Non che una torcia fosse un’arma.
Tuttavia aveva imparato, durante i giorni in cui si addestrava assieme ai corpi speciali, sulle Alpi francesi, che qualsiasi cosa poteva uccidere un uomo.
E funzionava con tutti, anche con gli Inconsistenti.
La sua torcia andava più che bene, dal momento in cui la determinazione che lo nutriva era più che settata sul voler ritrovare la sua donna. Inoltre quella dose di rabbia che fluiva avrebbe sicuramente aiutato.
Sgattaiolò velocemente sulla destra, nascondendosi dietro una grossa palma. Si guardò attorno, controllando se la fondina della pistola fosse chiusa, sospirando poi perché avrebbe dovuto perdere quella stupida abitudine. Sì, stupida, dal momento in cui non possedeva alcuna pistola.
O almeno, non con sé.
L’aveva presa Roberta.
Sperava tanto che avesse consumato il grilletto sui suoi aggressori e lo stesse aspettando sana e salva da qualche parte.
La chioma corvina riluceva sotto i baci della luna, quella notte. La barba era diventata fin troppo lunga ma radersi col machete era l’ultimo dei suoi pensieri.
“Un’altra pattuglia…” sospirò, vedendo quattro individui, risvoltinati e con la camicia chiusa fino all’ultimo bottone, che abbandonavano l’edificio dall’ingresso principale, proprio dirimpetto ai cancelli da cui lui stesso era entrato.
“Li fanno in serie?” si chiese, mentre s’appiattì per terra, aspettando di potersi alzare velocemente e correre dritto. Cercò di non farsi vedere da nessuno.
Quando vi riuscì si gettò di schiena contro il muro. Sentiva dei rumori sinistri provenire dall’interno della chiesa e una grande finestra era aperta.
A più di tre metri d’altezza.
Aspettò che la successiva pattuglia fosse passata, prima di prendere una bella rincorsa e, aiutandosi con mani e piedi raggiunse il bordo della finestra. I muscoli delle braccia, in flessione per lo sforzo, cominciarono a bruciare. Tuttavia sopportò; doveva guardare all’interno di quell’edificio.
E quello che vide gli fece accapponare la pelle: tutte le panche della chiesa erano state riempite da automi, vuoti e senza volto. Erano seduti tutti dritti, in maniera ordinata, e mano a mano che una sirena suonava, un paio d’Inconsistenti prendevano quei gusci vuoti, molto simili a manichini d’alluminio, e li portavano in sagrestia.
“Nascono qui…” ragionò quello con la torcia, quando poi sentì qualcuno arrivare.
“Per la barba del dio di Cesenatico!” esclamò, lasciandosi cadere e rotolando agilmente verso destra.
Si nascose dietro un pilastro alla fine di un piccolo muretto, col cuore che batteva. Gli occhi si aprirono, le orecchie si tesero e perfino il cuore rallentò i propri battiti: Antonio era pronto a reagire.
Pochi secondi dopo prese coraggio per sporgersi quanto bastava, rendendosi conto che quattro Inconsistenti stessero percorrendo quella strada, alla destra del muretto. Alla sinistra, invece, stava passando la solita ronda.
Tecnicamente era in trappola.
Tecnicamente.
Ragionò con una velocità che non credeva di poter raggiungere, slacciò la cintura dai pantaloni e utilizzò la fibbia come rampino, incastrandola su di un chiodo piantato nella colonna.
“C’è qualcuno!” urlarono quei ragazzini diabolici, vedendo quella figura scalare la chiesa nella notte scura.
“Mentalità, ragà!” urlarono tutti all’unisono, correndo verso l’avventore.
Antonio non si lasciò prendere dal panico, anzi, prese lo slancio e si lasciò dondolare utilizzando il chiodo come perno, prima di darsi un ultimo colpo di reni per afferrare il cordolo della gronda, sul quale s’issò. Riprese la cintura e la fissò nuovamente ai pantaloni, salendo al centro del tetto; non sapeva che gli Inconsistenti avessero saltato sui muri della chiesa con la stessa facilità con cui un uomo comune muoveva semplici passi sull’erba.
Tuttavia non se ne accorse subito. Pensò d’esser salvo quando, col cielo totalmente nero e la grande croce che riluceva di blu davanti ai suoi occhi, poté perdere qualche istante per guardarsi attorno. Vedeva, in lontananza, decine di quegli esseri correre verso un punto non definito oltre l’orizzonte.
Non capiva il loro funzionamento. Del resto erano androidi e lui era un uomo troppo piccolo per tutta quella situazione.
Antonio voleva soltanto ritrovare la sua donna.
Abbassò gli occhi sul tetto a due falde, ricoperto di bitume verde e macchie di sporco, quando sei di quegli esseri balzarono su dal nulla.
“Avevi ragione, quggì” fece uno degli Inconsistenti rivolgendosi a quello che aveva accanto. “Qui sopra c’era proprio uno di quei taralli...”.
“Ma che devi fare, vestito in quel modo? Lo schiattamorto*?!” lo sbeffeggiò un altro.
Ci provò, l’uomo. Ci provò sul serio.
E non perché non avesse la possibilità di comportarsi in un qualsiasi altro modo, magari più violento, ma perché voleva davvero provare a dare fiducia a quei simil-ragazzi.
“Ragazzi, sto cercando una donna...”.
“E ci credo, cesso come sei non scoperai da anni!” esclamò uno nella mischia.
“... Si chiama Roberta, è alta circa un metro e sessanta, qualcosa in meno... Capelli neri, schiena dritta... L’avete vista?”.
“Ma che vuole ‘sto tarallo?!” dissero poi.
“Mentalità, fraté!”.
“Distruggiamolo! Solo per il tempo che ci ha fatto perdere dovremmo sparargli in bocca!” fece uno di quelli, citando Gomorra.
E fu lì che Antonio capì che chi nasce tondo non muore quadrato. Specialmente se sei stato programmato così. Si avvicinarono minacciosi e Antonio ebbe pochi secondi per analizzare il tetto e capire che lo spazio che aveva a disposizione per sopravvivere a quell’orda barbarica prepuberale fosse davvero poco. Difatti, nonostante la superficie calpestabile fosse ampia, la maggior parte era occupata dal grande lucernaio, che di giorno illuminava a festa la navata centrale della parrocchia.
Il più vicino a lui si gettò a capofitto, urlando minaccioso e pronto a sferrare un montante destro che Antonio evitò prontamente, dribblandolo verso sinistra. Aveva capito che dovesse mantenere quanto più possibile la lucidità e non permettere loro di metterlo con le spalle contro il vuoto.
Rapido prese la torcia dalla fondina e sbatté il calcio contro la nuca dell’individuo che l’aveva attaccato. Quella rispose con un tonfo metallico.
“Dannati androidi...” sospirò quello, dandogli un forte calcio sul fianco e lasciando che volasse oltre il bordo del tetto.
“Fuori uno... Allora, potremmo tranquillamente evitare tutti questi spargimenti di liquidi refrigeranti e rondelle se mi lasciaste andare via...”.
Suonava come una provocazione.
E gli Ingiusti non sopportavano le provocazioni. Due di loro si staccarono dal gruppo e colpirono più e più volte l’eroe in nero con pugni tremendi al torace e all’addome.
Il dolore era forte ma lui era stato addestrato in passato a non perdere la lucidità.
In nessun caso.
Afferrò la torcia con rapidità e premette il pulsante d’accensione: migliaia di lumen furono sparati alla velocità della luce, per l’appunto, nei sensori oculari degli avversari; riuscì ad  accecarli per qualche istante. Ebbe il tempo per afferrare per la camicia a quadri di uno dei due e lanciarlo oltre il bordo del tetto.
Sorrise, quando sentì il rumore di ferraglia provocato dalla caduta.
“E due. Vi avverto, sono un kru di Muay Thai che studia per diventare ajarn. Potrei rompervi tutte le ossa del corpo, se soltanto volessi”.
“Ma come cazzo parli?!” rise l’altro che aveva davanti, colpendolo sul muso con tanta forza da farlo ruzzolare indietro di quasi due metri, avvicinandolo pericolosamente al bordo.
“Porca troia...” sospirò Antonio, pulendosi dal sangue che colava dal labbro superiore, ormai spaccato. Recuperò la torcia e controllò che non fosse rotta quindi si rimise in piedi, vedendo l’ennesima carica partire dalla fazione meccanica di quella lotta.
L’Inconsistente saltò letteralmente all’assalto, al grido di “lotamma!**e Antonio non poté fare altro che ragionare nel modo più veloce che potesse: istintivamente, accese la torcia negli occhi del maligno che, accecato, non si rese conto dello spostamento che aveva effettuato il suo bersaglio, non fermandosi al bordo del tetto.
Cadde giù, distruggendosi in centinaia di pezzi. Antonio era difatti rotolato verso destra, colpendo con un calcio basso un Inconsistente, su entrambi i talloni, cadendo di schiena. L’eroe in nero si gettò come un falco sulla preda, penetrando nella cavità oculare col calcio della torcia.
“No!” urlò quello.
“Come se provassi dolore! Ditemi dov’è Roberta!”.
Il liquido di raffreddamento ormai gli colava sulle mani, e al quarto, quinto colpo di torcia, la metà sinistra del volto di quell’androide non era altro che parti di metallo ricoperte da quella pareva essere pelle sintetica.
Alta tecnologia.
Antonio perse un secondo di troppo tra i suoi pensieri, prima di ricevere un forte calcio al fianco, che lo fece ritornare al centro del tetto, molto vicino al lucernaio.
“Sicuramente sarà a fare la troia, la tua Roberta!”.
Antonio si rialzò, lontano dalla sua torcia. Il colpo che aveva subito fu davvero forte e, con ogni probabilità, gli avrebbe incrinato una costola se non avesse indosso la tenuta speciale con le protezioni.
“Siete rimasti in tre... io non voglio guai... Voglio solo sapere dov’è Roberta...” fece, quasi sussurrandolo a se stesso, col fiato corto. Inspirò profondamente, vedendo i tre attaccarlo con rabbia immane, tutti assieme.
E fu colpito.
Fu colpito forte.
I colpi al volto furono sette, due dei quali presi dritti sul naso.
“Muori, coglione!” ripetevano spasmodicamente, quasi come fosse un mantra.
Poi lo presero a calci nello stomaco.
 
Devo resistere. Devo resistere per rivedere il tuo volto, Roberta.
Devo resistere per poterti riabbracciare di nuovo.
 
Quelli furono i pensieri che attraversarono la sua mente in quell’istante, e si fermavano sul bordo di quella strada lunga e tortuosa che era la vita.
Quei ricordi, ormai legati con sottili fili di seta a quella che era un’ostinata voglia di non dimenticare, erano la benzina che mettevano in moto il suo motore.
Antonio non sarebbe morto.
Non quella notte, almeno. Non prima di aver ritrovato la sua bimba speciale.
 
Si alzò di scatto, come rinvigorito da una forza invisibile; i tre indietreggiarono, non aspettandosi quella reazione così viscerale.
“Ditemi dov’è!” urlò poi, sfondando quel muro con un calcio dritto nel petto dell’Inconsistente centrale, che cadde all’indietro.
Parò poi il calcio di quello di destra e gli afferrò la gamba, ruotando velocemente sul proprio asse e lanciandolo oltre il bordo del tetto.
“Quattro!” urlò, ormai rinfrancato. L’adrenalina fluiva nelle sue vene rapida, raggiungeva il cervello, annullava il dolore del pugno che incassò subito dopo nello stomaco e gli permise di contrattaccare, afferrando per il collo l’Inconsistente e spingendolo contro l’altro che si stava appena risollevando.
“Voi non sapete nulla! Siete soltanto dei robottini nelle mani di qualche stupido sadico!”.
Si avvicinò minaccioso ai due e li sollevò per il collo, sbattendo con rabbia le loro teste fino a quando, tra le mani, non rimase più niente di riconoscibile.
“Voi non sapete nulla...” ripeté, col fiatone. Buttò fuori l’ansia con un lungo sospiro, era tutto finito. Vide l’alba avvicinarsi lentamente oltre le case. Andò a raccogliere la torcia e sospirò.
“Gli hanno scheggiato il vetro, porca puttana...”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
* - Schiattamorto: Becchino. Si riferisce al fatto che Antonio sia vestito completamente di nero, proprio come chi lavora come impresario funebre.
** - Lotamma: anche lutamma o lota, nel gergo dialettale partenopeo rappresenta la melma, la fanghiglia. Chiaramente dispregiativo.
   
 
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