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Autore: _Alexis J Frost_    06/05/2017    1 recensioni
«Oh, insomma, Gintoki! E' solo un messaggio. Mandaglielo e poi comincia a bere!» Incitò così sè stesso, estraendo dalla tasca l'apparecchio elettronico. Apparentemente sembrava pronto ad inviare quel messaggio senza perdersi ancora in un mare di dubbi.
Peccato che lì davanti a lui, lontano giusto pochi passi, vi fosse proprio il festeggiato.
Era appoggiato al muretto di pietra davanti il parco, con in mano una sigaretta che lentamente fumava. Non sembrava essersi accorto della sua presenza.
Il tuttofare l'osservò, incerto sul da farsi. Non premette invio a quel messaggio ormai completo ed, ancora una volta, il cellulare venne riposato in tasca.
A quanto pareva, forze superiori avevano deciso che quell'augurio non dovesse apparire su uno schermo in alcun modo. Inspirò profondamente e giocando al gioco del destino, si avvicinò a all'altro con un sorriso sfacciato a curvare le labbra.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gintoki Sakata, Toushiro Hijikata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let's raise a glass or two and Happy Birthday to you.
 
Gintoki percorreva distrattamente le strade di Kabuchi-cho, in ricerca di qualcosa di interessante che potesse, in un qualche modo, sostituire la noia che in casa incombeva con l’assenza dei ragazzi e quella di un lavoro da svolgere. Del resto, era ormai nota a chiunque l’incredibile varietà di soggetti presenti in quel bizzarro e vivace distretto; impossibile era non trovar qualcosa per intrattenersi. Talvolta ci si ritrovava a pensare che vi fosse in realtà un meccanismo sconosciuto sempre pronto a far accadere qualcosa, come se fosse inconcepibile l’idea di una Kabuchi-cho tranquilla. Giammai sarebbe dovuto accadere, soprattutto quando si trattava dei loro abitanti più noti, gli stessi tra cui, naturalmente, spiccava la figura dell’albino dagli assenti occhi rossastri.
Come confermando questa teoria, la figura di un ragazzo in corsa occupò il suo campo visivo, portandolo a scansarsi di lato per non essere travolto.
«Ma dico!» aveva esclamato il tuttofare, osservando quello che si era rivelato essere Yamazaki, uno dei membri della shinsengumi. «Un poliziotto dovrebbe dare il buon esempio, non rischiare di travolgere le persone!»
«Scusami!» Yamazaki aveva chinato il busto in avanti in segno di scuse, tra le mani aveva una busta sulla quale era inciso il logo di una pasticceria. «Ma sono di fretta, devo subito correre alla Shinsengumi prima che arrivi il vicecomandante!»
Gintoki inclinò il capo di lato, le braccia incrociate al petto. Aveva appena trovato in Yamazaki un ottimo oggetto di gioco, soprattutto se serviva a stuzzicare quell’insopportabile maniaco della maionese.
«Huh? E ora perché il bastardo proclama ordini a destra e a manca ottenete il diritto di fare tutto ciò che volete? »
Yamazaki sospirò. «No, lui non sa niente. La vedi questa? E’ una torta, oggi è il suo compleanno. Per questo devo nasconderla prima che torni.»
Si inchinò ancora una volta, accennando un sorriso prima di scappar via ed urlare: «Scusami ancora ma adesso devo correre!»
A Gintoki non era stata data occasione di rispondere. Rimase semplicemente lì, con in mente quella nuova informazione.

«Gin-chan, Gin-chan, tutto okay?»
Kagura gesticolava la nivea mano dinnanzi il volto dell’albino. Da minuti ormai ricercava la sua attenzione senza ottener alcun risultato.
Gintoki si riscosse solo in quel momento, sbattendo le palpebre come risvegliatosi da un sonno ad occhi aperti.
«Cosa c’è?»
«Dovrei chiedertelo io, non mi dai alcuna risposta! Sei completamente in aria da cena-aru!»
«Ah! Oggi sono troppo stanco per ascoltarti, devo ancora assorbire la sbronza di ieri.» Si giustificò così, Gintoki, cercando di sembrar quanto più naturale possibile.
Forse era anche una scusa pronunciata a sé stesso e per tale motivo doveva risultare davvero convincente.
Ma Kagura non la bevve, i suoi occhi di zaffiro mostrarono subito il suo non credere alle parole dell'uomo a lei dinnanzi e, con le labbra arricciate in un piccolo broncio, incrociò le braccia al petto.
«Ieri non sei uscito ad ubriacarti», annuì con il capo, assottigliando lo sguardo.  «Cos'hai, Gin-chan?»
Questo sorprese alquanto Sakata, il quale la osservò confuso per degli attimi in realtà veloci ma, a parer suo, interminabili. Poi una risata abbandonò le sue labbra, lasciando sgomenta Kagura che non comprese per nulla quella reazione, seppur tipica da parte di una persona come Gintoki.
«Allora devo subito rimediare!» Esclamò l'uomo, gesticolando una mano con noncuranza. «Forse è questo che mi manca, già.»
Si alzò dal divano, ancora con quel sorriso lasciato lì, come residuo e maschera della precedente risata.
«Non ho nulla, Kagura.» proseguì, rassicurante nel tono di voce.
«Devo crederti?»
«Oh, insomma! Perché dovrei mentirti?»
La ragazzina l'osservò in silenzio; indagava con lo sguardo alla ricerca di un indizio a favore della sua teoria.
Nulla. Gintoki appariva il solito, sciocca lei ad essersi preoccupata.
«Va bene-aru, perlomeno non dovrò litigare con te su cosa guardare alla televisione.»
Pronunciate quelle parole, la giovane aliena si sdraiò sul divano, prendendo possesso del telecomando e di quella magica scatola dai comuni mortali chiamata "televisione."
Quella  reazione fu di grande sollievo all'albino che espresse quel sentimento con un sospiro prima di abbandonare davvero la propria dimora, ricercando svago nell'alcool che tutto risolve seppur per poco.
Era una notte stellata, limpida. Non vi era traccia della luna ma, in compenso, le stelle erano molte, piccoli diamanti su un'infinita distesa scura. L'aria era fresca, piacevole al contatto con la pelle che si deliziava di un clima così mite.
Una serata perfetta che, purtroppo, aveva dovuto equilibrare la sua bellezza con un elemento negativo -sebbene non sia propriamente la giusta definizione- che martellava insistente la mente del tuttofare. Era naturale, infondo: reale tranquillità non può esistere, pochi erano i giorni eletti che portavano in dono una completa perfezione.
O forse...oh, certamente, forse la reale perfezione delle cose sta in quei preziosi difetti che i ricordi futuri tramuteranno in gioie maggiori.
Gintoki non avrebbe saputo dar risposta. Con tutta probabilità non aveva neanche provato a cercarla e, con in mano una bottiglia di liquore, altri erano i pensieri che cercava di scacciare.
«Il compleanno di quel bastardo. Molto bene, perché dovrebbe interessarmi?» Imprecò contro il cielo, stizzito dal non riuscire a trovare soluzione.
Quel pomeriggio lo aveva trascorso chiedendosi se fosse giusto o meno far gli auguri ad Hijikata, inviare anche solo un messaggio di gentilezza.
Puntualmente, guardando lo schermo, si fermava e riappoggiava il telefono sul tavolo.
Cominciava così a pensare al perché avrebbe dovuto farlo, del resto ad ogni incontro loro due altro non facevano se non litigare. Senza alcuna esitazione avrebbe detto di non sopportare quel maledetto, irascibile vicecomandante.
Ed ecco che altri ricordi si aggiungevano. Ricordi che lo mostravano fianco a fianco con quell'uomo, ricordi felici della sua presenza. Come quella sera prima della partenza, quando aveva ricevuto in dono un liquore, quando dalle loro bocche disgustate dal piatto preferito altrui fuoriuscì una risata sincera.
Insieme ne avevano vissute tante, molte di più di quanto avrebbero mai potuto immaginare. Gintoki non avrebbe potuto mai negare questo, perlomeno non a sé stesso. E, proprio dinnanzi lo specchio della sua persona, impossibile gli era anche negare quanto complicato gli riuscisse pensare a quell'uomo senza provare una confusione che appositamente, per auto costrizione , fingeva non esistesse.
«Oh, insomma, Gintoki! E' solo un messaggio. Mandaglielo e poi comincia a bere!» Incitò così sè stesso, estraendo dalla tasca l'apparecchio elettronico. Apparentemente sembrava  pronto ad inviare quel messaggio senza perdersi ancora in un mare di dubbi.
Peccato che lì davanti a lui, lontano giusto pochi passi, vi fosse proprio il festeggiato.
Era appoggiato al muretto di pietra davanti il parco, con in mano una sigaretta che lentamente fumava. Non sembrava essersi accorto della sua presenza.
Il tuttofare l'osservò, incerto sul da farsi. Non premette invio a quel messaggio ormai completo ed, ancora una volta, il cellulare venne riposato in tasca.
A quanto pareva, forze superiori avevano deciso che quell’augurio non dovesse apparire su uno schermo in alcun modo. Inspirò profondamente e giocando al gioco del destino, si avvicinò a all'altro con un sorriso sfacciato a curvare le labbra.
«Guarda chi si vede. Il rompipall- il vicecomandante della Shinsengumi.»
Hijikata realmente era ignaro della sua presenza fino a quel momento; l’osservò come riscuotendosi da un mondo mentale differente da quello in cui il suo corpo era.
Si era allontanato appositamente per rifugiarsi nei suoi pensieri senza che vi fosse alcun disturbo, quella sera. Lo aveva fatto senza tener conto delle sfortunate casualità.
«Sei una visione dall’inferno, dico davvero.»
Commentò l’uomo dagli occhi blu. Gintoki notò che alla notte, illuminato solo dalla luce di un lampione, quello sguardo sembrava più profondo e intenso.
«Potrei dire la stessa cosa di te. Uno desidera bere in santa pace e gli compari davanti proprio tu.»
«Avresti potuto anche ignorarmi e tirare dritto per “bere in santa pace”. La mia presenza te la sei cercato da solo.» Ribatté acidamente Hijikata, sbuffando. «Ma ti diverte rompermi l’anima, come si suol dire.»
Gintoki rise. «Beccato! Effettivamente è divertente. Peccato che è facile scocciarsi con uno come te, sei insopportabile.»
«Allora vai via da subito, dato che già sai che ti scocci. E l’insopportabile tra i due sei certamente tu.»
«No, prima devo avere il mio divertimento e insultarti a dovere. Poi potrò bere tranquillo e dormire sereno.»
«Dio, sei una tortura!» Esclamò l’altro, alzando il tono di voce. Era facilmente irascibile, lo sapevano tutti. «Arriverà il giorno in cui ti affogherò nell’acido!»
«Che crudele.» Gintoki sospirò. «Piuttosto, cosa ci fai tu qui? Mi sembrava di aver capito che oggi ci sarebbe stata festa alla Shinsengumi.»
Hijikata aggrottò le scure sopracciglia in un’espressione interrogativa. «Tu come fai a saperlo?»
«Il grande Gintoki sa tutto! Sono come un Dio, dovresti venerarmi, sai?»
Le iridi altrui vennero roteate verso l’alto. «Ma ti prego. Preferisco non aver risposta piuttosto che sentirti dire scemenze.»
«Allora tu dovresti essere muto. Che dici, vuoi che ti taglio la lingua?»
«Ora la taglio io a te se non la smetti.»
«Come no.» L’albino era chiaramente sarcastico. «Comunque, stamani ho incontrato Yamazaki. Non s’è lasciato sfuggire l’informazione.»
«Comprendo.»
«E quindi?»
«Quindi cosa?»
«Non è carino isolarsi nel bel mezzo di una festa. Lo dico io che non meriti niente!»
L’espressione che presto designò il volto del vicecomandante mostrava un’evidente rassegnazione; Sakata Gintoki sapeva davvero essere il peggior incubo dei suoi già fragili nervi.
«Ancor di meno meriti tu!» disse lui, voltandosi indietro verso il parco. Un sospiro per calmarsi ed ecco che dalle sue labbra emerse la frase: «Ho capito, sediamoci. Sperando te ne vada presto, ovvio.»
Gintoki lo seguì verso la prima panchina libera, sedendoglisi accanto.
Pensò fosse piacevole quella tranquillità. Non vi era il vociare dei ragazzi, i rumori giornalieri. Non vi erano persone intorno per la quale erano necessarie maschere che avrebbero portato lui e l’uomo sedutagli accanto a stare ben distanti a priori.
«Erano già tutti ubriachi quando me ne sono andato. Non sono stato poco educato con nessuno.»
Hijikata riprese il pacchetto di sigarette accendendosene l’ennesima.
«E tu sei sobrio? Dannazione, le feste sono fatte per ubriacarsi!»
«Non mi andava di ubriacarmi.»
«Certo che sei strano.»
Grigio fumo abbandonò la bocca dell’altro quand'egli rispose, esso si disperse verso l’alto fino a sparire nell'aria della notte. «Da che pulpito la predica.»
Gintoki scrutò quel volto nel tentativo di comprendere cosa gli passasse per la testa. Alla fine, si ritrovò invece a constatarne la bellezza. Già, la fama di Hijikata Toshirou rispecchiava la realtà dei fatti: quei lineamenti marcati, gli occhi chiari a contrasto con il nero dei capelli, creava un’immagine affascinante e –immaginava- per le donne irresistibile.
Forse non solo per loro.
Scosse il capo e gli porse la bottiglia di liquore che aveva comprato. Era raro, pensò, che comprasse una bottiglia. Tendeva ad ubriacarsi direttamente nei locali in cui andava per lasciar, spesso, debiti che ripagava dopo molto tempo.
Chissà se non fosse stato tutto solo un caso. Le coincidenze erano decisamente troppe e troppi erano i suoi bizzarri pensieri che si ritrovava prontamente a scacciare poiché fin troppo assurdi.
«Bicchieri non ce ne sono, un sorso ciascuno senza barare.»
Hijikata fu sorpreso da quel gesto. Tuttavia, questo non lo fermò dal rispondere al solito modo che tanto gli si addiceva.
«Cosa ti fa pensare che io voglia bere con te se non l’ho fatto con la Shinsengumi?»
Gintoki accennò un sorriso. «Perché con me non puoi avere dubbi su cui rimuginare, né sei costretto a mantenere un’autorità. Avanti, bevi e non fare storie.»
Il vicecomandante era ancora esitante quando prese quella bottiglia e bevve un sorso del liquido che vi era all'interno. Non seppe neanche perché alla fine avesse ceduto.
«Ho apprezzato molto il loro gesto.» Disse pochi attimi dopo. «Ogni anno non me lo aspetto mai, eppure è quasi una tradizione. I compleanni vengono festeggiati sempre, a maggior ragione quando si tratta di me, Kondo e Sougo.»
Gintoki riprese la bottiglia che Hijikata stava porgendogli. Prima di rispondere, mando giù il sorso che gli spettava.
«Eppure senti di non meritare quei festeggiamenti, in un qualche modo. E' così, non è vero?»
L'altro fu sorpreso da quella risposta. Il tuttofare aveva centrato appieno il bersaglio senza esitazione, lasciando lui senza parola alcuna.
Da sempre provava la sensazione di non meritare alcunché. Svolgeva solo il suo lavoro, viveva per esso e per coloro che lo attorniavano, giacché la Shinsengumi era anche la sua famiglia. Ma cosa faceva, in realtà, per essere festeggiato? Non si sentiva quasi degno di tutto quell'affetto, sebbene lui ne provasse altrettanto -pur non dimostrandolo a dovere- per quei ragazzi.
Prese ancora una volta la bottiglia.
«E' così evidente?»
«Solo per qualcuno che prova le stesse cose quando tocca a lui.»
I loro sguardi si incrociarono; Hijikata curvò le labbra in un accennato sorriso divertito.
«Non dovrebbero tutti venerarti come un Dio?»
«Dovrebbero, non significa che io senta di meritarmelo.»
«Chiudi la bocca adesso, l'alcool ti sta già circolando in corpo. E di cose strane ne dici abbastanza anche normalmente.»
«Ma senti chi parla!»
 Hijikata sospirò. I pensieri ritornarono a quella piacevole serata.
Lui che entrava per cenare e gli altri tutti attorno ad un tavolo che cominciarono a cantare quella canzoncina del buon compleanno. La torta era piena di maionese, la sua preferita; accanto ve ne era un'altra normale, al cioccolato, tutta per loro, perché neanche al suo compleanno avrebbero mangiato mai una torta alla maionese. Peccato che questa fosse assurdamente piccante, tutta colpa di quel maledetto Sougo che mai gli dava tregua. Il suo era un lavoro che comprendeva 365 giorni completi e, naturalmente, doveva fargli andare di traverso anche quella torta che altrimenti sarebbe stata celestiale.
Spenta la candelina e mangiate le torte, tutti poi cominciarono a bere fino a crollare dovunque od intasare i bagni per sputar fuori anche l'anima. Solo a quel punto lui si era allontanato, ricercando un poco di solitudine che alla fine non trovò.
«Dovresti semplicemente non pensarci e limitarti a gioire del loro pensiero. Tu tieni a loro e loro a te.» proseguì Gintoki, destando così Hijikata dai suoi pensieri, «Che tu senta di meritarlo o meno, non bisogna fare altro che apprezzare le persone che ti stanno vicino. Credimi, è la cosa migliore.»
Il vicecomandante annuì, guardando la bottiglia di liquore su cui poggiò le labbra ancora una volta. Ci rifletté un attimo e pensò alle ragazzine che reputavano un'azione simile un bacio indiretto. Secondo quest'inutile teoria, lui e quell'uomo si sarebbero già baciati circa quattro volte.
Che stupidaggini. Chissà perché ci aveva pensato.
«Segnatelo sul calendario: sarà la prima ed ultima volta che concordo con te.»
«Cosa?» Gintoki scoppiò a ridere. Le candide guance erano ora ornate di un simpatico rosa come segno dell'alcolico che stava ormai facendo effetto. Anche quelle di Hijikata avevano assunto la stessa tonalità e, dal calore che provavano su esse, sapevano entrambi che altri due sorsi al massimo e avrebbero potuto ritenersi ubriachi a dovere. «L'Apocalisse è vicina! Portatemi Ana Ketsuno in una camera d'albergo, prima di morire devo esaudire il mio ultimo desiderio!»
Il vicecomandante si lasciò sfuggire una lieve e breve risata che sorprese lo yorozuya a lui di fianco. Doveva essere tutta colpa dell'alcool ma era inevitabile pensare che, quando la freddezza di quell'uomo crollava d'improvviso,  ciò che si intravedeva era tanto sconvolgente quanto...bello.
Gintoki non poté che rimanere a fissarlo, catturando quell'immagine così come aveva fatto la prima volta in cui lo aveva visto ridere; poi, mando giù l'ennesimo sorso.
«Ecco, dovresti essere così più spesso, sei più simpatico.»
«E tu non dovresti barare. Hai bevuto due volte di seguito!»
«Cosa? No, non è vero.»
«Sì, lo hai appena fatto.»
«Te lo stai sognando!»
«Non negare l'ovvio!»
Gintoki sbuffò. «E va bene! Ho appena bevuto due volte!»
Il vicecomandante annuì soddisfatto, alzandosi dalla panchina. Barcollò per un momento e scosse il capo alla ricerca di un minimo di lucidità, quella che bastava per tornare a casa con le sue gambe. Quella parte della serata, per quanto gli dolesse ammetterlo, era stata ben più che gradevole. Proprio per questo era ora di andare. Sentiva di doverlo fare, prima di tornare a sentirsi fin troppo a proprio agio con quell'uomo, molto più di quanto avrebbe dovuto.
Vi erano cose a cui doveva porre dei limiti prima di possibili perdite di controllo.
Perché lui lo sapeva, sarebbe stato difficile frenarsi una volta aver premuto l'acceleratore, per sbaglio o meno.
Ma, dato che Gintoki Sakata era nato per essergli quasi sempre in contrapposizione, si alzò anche lui.
«Aspetta», gli aveva detto, senza lasciargli il tempo di rispondere, o anche solo muoversi.
Senza dargli il tempo di capire cosa, con una velocità disarmante, stava accadendo.
Gintoki lo aveva attirato a sé, annullando ogni distanza. Ad occhi socchiusi aveva congiunto le loro labbra, stuzzicandolo affinché schiudesse le proprie e potesse avere la possibilità di approfondire il contatto fino in fondo.
A primo impatto, Hijikata non seppe come comportarsi dinnanzi tale incredibile azione. Fu il corpo a reagire da solo, assecondando il ritmo incalzante di quel bacio al sapor di liquore, per niente dolce bensì intenso, incontrollato.
Fu come riportare i loro comuni comportamenti in quel bacio; i loro battibecchi, il perenne desiderio di prevalere l'uno sull'altro. Solo che adesso...oh, adesso questi erano affiancati dalle parole negate ed i sentimenti repressi; le frasi non dette e i pensieri distolti. Sì, era emerso tutto ciò che loro preferivano soffocare, quel che dinnanzi al primo indebolimento era sfociato da solo fino a condurli alla totale mancanza di respiro.
«Buon compleanno.» Mormorò Gintoki, allontanandosi da quell'uomo. Sembrava confuso, sorpreso anche.
Sorpreso di sé stesso, sorpreso di Hijikata che lo aveva ricambiato a quel modo.
Confuso da tutto quello e da ciò che provava.
Riprese la bottiglia e tracannò ancora liquore, con tutto l'intento di terminarlo. Stava già raggiungendo lo stadio di completo sbronzo.
«Grazie.» Aveva risposto Hijikata, confuso anch'egli. Provava esattamente le stesse emozioni dell'albino, né una di più, né una di meno. «Ora devo andare.»
Gintoki l'osservò con la coda dell'occhio mentre gli diede le spalle, seppur solo per pochi passi. Tornò subito a voltarsi, ricercando lo sguardo altrui, quegli occhi di rose rosse che si scontravano con i suoi petali blu. Eppure, più che uno scontro, quel loro sguardo aggrovigliava i rovi comuni in una tacita promessa.
Nessuno avrebbe saputo mai quanto era accaduto. L'indomani, tutto avrebbe seguito il suo corso. La normalità non avrebbe mostrato mutamento alcuno e, per quel che li riguardava, non si erano mai incontrati quella sera.
Se mai, in futuro, sarebbe accaduto qualcos'altro tra loro, avrebbero taciuto in un riservato silenzio. Si sarebbero dati quel tempo che lungo immaginavano per poi decidere come agire.
Ma prima di quegli eventi a cui loro si ostinavano ad aggiungere se e ma, quell'episodio sarebbe stato chiuso a chiave nel cassetto di una memoria pronta a giustificare ogni azione incolpando l'alcool ed affermando cocciutamente di non ricordare davvero l'esito di quel compleanno, nonostante fosse garbato ad entrambi.

 
  
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