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Autore: Red_Coat    06/05/2017    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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- Marzo -

Midgar, bassifondi del settore 5.
Zona del Mercato.
Ore 01.34 a.m.

Faceva freddo, quella sera, un freddo umido di quello che ti entra nelle ossa fino a fartele marcire, e il cui ricordo fatica non poco a farsi dimenticare.
Cloud Strife camminava attentamente per la sua via, districandosi tra i vicoli e gli anfratti affollati di quella zona di città, la più malfamata e poco raccomandabile della città, guardandosi intorno e chiedendosi con sempre maggior angoscia e sospetto perché mai una ragazza come Tifa avesse avuto interesse a raggiungere un postaccio come quello, a quell'ora della notte per giunta, e da sola.
Lei non era affatto una persona di quelle che si mettevano nei guai senza motivo, e con Victor in giro ad architettare trappole sempre più sofisticate per adescarlo Cloud non l'avrebbe seguita, se non l'avesse vista uscire direttamente da casa appena qualche minuto dopo essersene andato.
Aveva dimenticato il portafogli, perciò era tornato indietro per prenderlo e allora l'aveva vista.
Si era affacciata alla porta d'ingresso guardandosi furtivamente intorno per controllare che non ci fosse nessuno (incluso lui, che si era nascosto dietro il muro di una vecchia casa), quindi era uscita ed aveva raggiunto in fretta quello squallido luogo, inconsapevole di averlo alle calcagna.
Più volte si era guardata le spalle, forse avendo la sensazione di essere seguita, ma lui era riuscito a sfuggire quegli sguardi confondendosi tra la folla o nascondendosi dietro una parete abbastanza grande da proteggerlo.
Ma adesso che erano giunti al centro del mercato, la seguì verso la periferia ovest, fino a giungere in una zona quasi completamente disabitata e priva d'illuminazione, e la vide addentrarsi dentro una vecchia cascina a due piani abbandonata, scostando la vecchia porta in legno cigolante e venendo inghiottita dell'oscurità.
"Che stai combinando, Tifa?" pensò, seguendola a ruota, e sentendo solo allora, quando immerso nell'oscurità si guardò intorno e si accorse di trovarsi in una catapecchia abbandonata che un tempo doveva essere stata una locanda, uno strano e inquietante presentimento insinuarsi nella sua mente.
Si guardò con attenta circospezione intorno, ponendo nel frattempo una mano sull'elsa della Buster Sword appesa alla sua schiena.
Quel posto era così dannatamente pieno di anfratti utili a nascondersi, scale e scorciatoie nascoste, e così buio, lontano dalla civiltà che ... solo dei contrabbandieri avrebbero potuto usarlo. O un soldato astuto in cerca di un duello.
Storse le labbra in una smorfia di rabbia e disgusto.
Ormai era chiaro che, oltre a lui, non vi era nessuno lì dentro. Neanche Tifa, seppur sprezzante del pericolo quando si trattava di buone cause, avrebbe acconsentito.
Era stata tutta un'illusione, l'ennesima. E lui ...
Lui c'era cascato in pieno, che stupido!
Sganciò la spada dalla sua schiena e si preparò a combattere, ma ancor prima che potesse intercettare il nemico rumore di spari risuonò alle sue spalle, due proiettili colpirono gli spallacci della sua divisa da first, uno sfiorò pericolosamente il fianco e il quarto andò a segno, ferendolo nello stesso punto e inducendolo a vacillare dolorante, premendosi con una mano la ferita mentre la spada cadeva al suolo.
Tremò, più per la rabbia di essere stato giocato ancora che per il dolore. La ferita al suo orgoglio era meno sopportabile di quella fisica appena ricevuta.
Guardò di fronte a sé, la vista appena un pò annebbiata, mentre una voce giunse da quella direzione alle sue orecchie, ponendo definitivamente fine a quell'inganno.
La sua.

<< Ops, ti sei fatto male pulcino? >> chiese, sarcastico e falsamente dispiaciuto.

Poi rise, e proprio allora seguendo quel suono Strife riuscì ad individuarlo, sopra il soppalco che costeggiava tutto il secondo piano, facendo da corridoio.
Nascosto dal buio della notte, si ergeva altero nel suo soprabito nero, con in mano ancora la pistola fumante e negli occhi scintillanti di mako la soddisfazione più cupa.
Cloud digrignò i denti, sentendo il cuore accellerare i battiti e la rabbia aumentare. Lentamente si chinò a raccogliere la sua arma, resistendo al dolore del proiettile che spinto in dentro lacerò ancor di più le sue carni.
Strinse il manico, continuando ad osservarlo. Victor Osaka sembrò aspettarlo tranquillamente lì dove si trovava, godendo di quell'attimo di dolore inflittogli.
Oramai Cloud cominciava a sospettare che quegli incontri avessero il solo scopo di torturarlo e studiare il suo modo di comportarsi, visto che quel first continuava a cambiare ogni volta strategia e a cercare di fargli sempre più male, mentre lui si affannava a cercare di portarli a buon fine e riuscendoci quasi sempre per un soffio.
Era migliorato, sia in combattimento che in astuzia, ma Victor ... lui era l'allievo di Sephiroth, con lui non bastava. Mai. E quando credeva di aver individuato un suo punto debole, ecco che invece quello si rivelava proprio essere il più intoccabile, quello in cui traeva maggiore forza.
Era come combattere con un illusionista, un mago del travestimento e dell'inganno. Ogni duello era come un gioco di prestigio, in cui lui invece di rivelare le carte le nascondeva camuffandole, e appropriandosi invece delle sue.
Lo stava studiando, questo era chiaro. Ma sembrava anche volerlo addestrare, il che suonava strano, molto strano. Per questo continuava non capire. Se avesse voluto ucciderlo lo avrebbe già fatto da un pezzo, perciò adesso ...
Per quanto tempo ancora, si chiese Strife guardando quella nera figura, avrebbe portato avanti quel rompicapo snervante? Gli occhi di Osaka scintillarono più sinistramente e il ghigno si accentuò, quando lo vide rialzarsi con in mano la spada e rivolgergli uno sguardo irato.

<< Tu ... >> ringhiò, sommessamente.

Osaka gli rivolse un acceso sguardo colmo d'impazienza, quindi tornando tranquillo a mostrare la sua pistola riprese, osservandolo e allargando le braccia come a volersi scusare.

<< Scusa per quello. Questa piccola bastardella ha la sicura difettosa. L'ho fatta riparare, ma ... >> si fermò, ghignando ancora e fissandolo negli occhi << ... è testarda. A volte continua a fare ancora come gli pare, e questo non va bene. >> quindi inclinò di lato la testa, e appoggiò la canna dell'arma sulla sua spalla destra continuando a tenere il dito sul grilletto, palesemente libero da qualsiasi tipo di precauzione.

Questa fu l'ultima provocazione che la pazienza del biondo fu disposta a sopportare.

<< Ridicolo bastardo! >> urlò, quindi riagganciò la sua arma, estrasse una materia dalla piccola bisaccia che portava al fianco e abilmente la usò, chiudendo gli occhi per concentrarsi, incrociando le mani di fronte a sé e scagliando contro il nemico una tempesta di fulmine abbastanza forte da metterlo KO, illuminando per qualche istante la stanza a giorno coi bagliori argentei di quei lampi.

Ma, contrariamente a ciò che erano stati i suoi piani, l'attacco non andò a buon fine perché con magistrale abilità quello scomparve dal luogo in cui si trovava, glitchando dietro di lui e sferrandogli un calcio che lo fece finire dritto contro la parete a pochi passi da loro.

<< Vuoi giocare con la magia, eh? >> ghignò, mentre Strife si rialzava, barcollante ma pronto a difendersi, lanciando rapide occhiate al suo spadone che era finito sotto la suola dello stivale del nemico << Ti consiglio di non provarci con me, stronzetto. >> concluse quindi Victor, riempiendo le sue mani di fuoco e alla fine scagliandoglielo contro e costringendolo ad evitare l'attacco rotolando via, verso il bancone alla sua sinistra << Sono abbastanza ferrato in questo, purtroppo per te. >> concluse quindi Osaka, con l'ennesimo ghigno stampato in faccia, prima di afferrare rapido la Buster Sword riportandola su con calcio e scagliarsi contro di lui, che si vide costretto a parare il colpo usando solo le mani e il guanto di Mithril che gli proteggeva la destra.

Si ritrovarono occhi negli occhi, ognuno a davvero un palmo di naso dall'altro. La vicinanza di quegli occhi, quella dualità delle ciocche bianca e nera che scivolavano su di essi ... ancora una volta, un atroce dolore alle tempie lo fece vacillare, le immagini si confusero e Strife strinse i denti, mentre Victor per incrementare la tensione incendiò di nuovo le sue mani di fuoco freddo e ghignò, incagliando i suoi occhi magnetici a quelli del ragazzo che gli stavano di fronte, deciso a non lasciarlo andare neanche per un solo secondo.
Ma il pulcino stavolta non aveva intenzione di abboccare all'amo della paura.
Divincolò lo sguardo, cercando con tutto sé stesso di mantenere il controllo e non cedere in nessun caso alla marea di sensazioni, immagini e odori che lo sommerse, rendendogli difficile perfino respirare.

<< Smettila! >> disse, aggrappandosi al manico della sua arma e sentendo sotto la sua mano la pelle ruvida del guanto in pelle che copriva quella dell'altro.

Un altro colpo al cuore.
Victor rise.

<< Di fare cosa? >> chiese, fingendosi ingenuo.
<< Di provare a confondermi e spaventarmi! Non ci riuscirai! >> replicò sempre più determinato lui.

In risposta, il first class lo respinse oltre il bancone, facendolo atterrare con la schiena a terra e con la Buster Sword sorprendentemente di nuovo nelle sue mani.
Una risata ancora più sadicamente divertita risuonò nell'oscurità intorno a lui, mentre si rialzava impugnando la sua spada a due mani in posizione di difesa Cloud vide l'ombra nera tornare glitchare per poi ricomparire di nuovo sopra di lui, sul soppalco in legno con una fiamma ardente in mano e il divertimento più puro negli occhi.

<< Ma sentilo! >> disse, sghignazzante << Povero piccolo ragazzetto inutile. Allora è così ... è così che ti senti, hai paura. >> concluse, spegnando il sorriso e abbassando il tono di voce in uno più cupo, tornando a guardarlo con avidità << Hai paura e ti senti confuso, e credi che sia io a farlo? >>
<< Vuoi provare a dirmi che non è così? >> sbottò a quel punto Strife, spazientito e ancora più arrabbiato.

Le labbra del moro si sollevarono impercettibilmente all'insù, arricciandosi in una smorfia di disgusto e divertimento.
Tornò a guardarlo dritto negli occhi, senza spegnere la fiamma ch'era nelle sue mani.

<< Si. >> annuì, serio << Esatto. >> concluse << Io non sto facendo nulla. >> quindi s'interruppe, sorridendo appena e rizzando la schiena, e concluse altero toccandosi coll'indice della mano destra la tempia << È tutto nella tua inutile mente, idiota. Tutto questo ... >> disse, allargando le braccia e poi indicando lui col stesso dito << Tutto questo è solo colpa tua. >>

Quindi scomparve, semplicemente, e solo allora Cloud si accorse della strana luce che lo illuminava, riscaldando anche troppo il suo viso.
Lentamente riacquistò consapevolezza di sé, e solo allora guardandosi intorno si accorse di essere circondato dalle fiamme, che aumentavano sempre di più, e col loro fumo invadevano ogni cosa, inclusi i suoi polmoni.
Inorridì, la mente iniziò a riportarlo indietro, a quella notte di quasi cinque anni fa in cui tutto era cambiato, e per un attimo immobile in mezzo a quell'inferno ebbe timore di scorgere lui, la sagoma inquietante dell'eroe di SOLDIER che avanzava tra le fiamme con negli occhi quello sguardo omicida e pazzo, e tra le mani la fedele spada sporca di sangue.
Nel frattempo, voci di gente allarmata che gridava alle fiamme iniziarono a farsi udire fuori dalla casa, ma lui non le riconobbe come qualcosa del presente, anzi le scambiò per l'ennesimo scherzo della memoria e questo mandò in frantumi anche l'ultimo tentativo di resistervi. L'aria si era fatta irrespirabile, gli occhi cominciarono a lacrimare.
Se lo coprì con un braccio e corse fuori, sempre più lontano, senza voltarsi fino a che non fu sicuro di essere lontano.
Solo allora, esausto, si appoggiò alla parete est del palazzo a tre piani e si sedette, lasciandosi andare alle lacrime che gli servirono per tornare a respirare, mentre malediceva sé stesso, la sua ingenuità, Sephiroth e quel demonio del suo allievo, che a quanto pare aveva deciso di rovinargli completamente la vita.
"Maledetto!" pensò ad un tratto, stringendo i pugni e smettendo di piangere quasi subito "Maledetto bastardo, OSAKA!" rialzandosi e battendo un pugno sul muro per poi ritrovarsi affannato e rabbioso a guardarsi intorno. E fu solo allora che lo vide, a circa una decina o meno di metri di distanza da lui, avvolto nel suo soprabito nero con la ciocca bianca e la katana ben in vista. Victor Osaka lo fissava in silenzio, ghignante e soddisfatto, e quando fu sicuro di aver ottenuto la sua attezione sollevò di nuovo la destra verso di lui, puntandogli contro il dito.
"Sei solo tu, Strife." la sua voce tornò a risuonargli nelle orecchie, stordendolo "Tutto questo, è colpa tua."
Strinse i pugni, mostrando sul suo volto tutta la sua rabbia e il suo disprezzo, per poi scuotere il capo e replicare, dentro di sé.
"Non so quale siano le tue intenzioni, ma te la farò pagare!" replicò, senza sapere di essere in realtà ascoltato sul serio "Sappilo! Questa volta non la passi liscia, Osaka!"
E a quel punto Victor, tornando a ghignare, sfoderò rapido la pistola e sparò l'ultimo colpo che rimbalzò sullo spallaccio e lo fece indietreggiare per la violenza del colpo, spingendolo quindi subito dopo a tornare a guardarlo sorpreso e sempre più adirato.
Ghignò ancora, sempre di più, e sollevando la mano destra lo invitò a farsi avanti, puntandogli quindi contro la lama affilata e lucida della sua arma e gioendo, quando vide la rabbia deformare ancora una volta il suo volto.
"Come preferisci, pulcino. Non aspetto altro, vieni a prendermi. Questo incubo non finirà tanto presto come desideri, Cloud Strife. Ci sono ancora tante altre cose che voglio mostrarti, e quelle non sono illusioni. Posso assicurartelo."

\\\

Nascosto dietro la parete nord della vecchia cascina quasi completamente in legno, Victor Osaka osservò soddisfatto le fiamme diramarsi a divorare tutto ciò che vi era al suo interno, e Cloud Strife inorridire fino a perdere del tutto il già labile controllo delle sue emozioni, battendo così una vergognosa ritirata.
Rise dentro di sé, e Sephiroth con lui.
Quindi si mosse a seguirlo, fino a che non lo vide cadere stanco a terra vicino alla parete dell'edificio che ospitava casa sua, nel settore 7.
Pianse, come il marmocchio che era. Quindi si rialzò e cercò di darsi un tono, ma accortosi della sua presenza tornò ad opporglisi, minacciando vendetta.
Lui rise, e rispose di conseguenza in un duello di pensieri che alla fine, quando sparò il suo ultimo colpo in segno di sfida e sollevò la sua katana verso di lui, vinse magistralmente, almeno per il momento.
Subito dopo, altero e con la determinazione più folle negli occhi, gli voltò le spalle e senza più guardarlo se ne andò, con calma, tornando per la sua strada verso casa sua, con ancora addosso l'odore del fumo e l'inebriante adrenalinica ebrezza della battaglia.
Si sentiva soddisfatto. Si sentiva ... felice. Come solo un soldato vittorioso poteva sentirsi.
"Avevi ragione, Sephiroth." pensò, senza nascondere il divertimento "Quell'idiota ci è cascato in pieno, come avevi previsto."
Il Generale ghignò.

<< Mph, avevi ancora qualche dubbio che potesse essere cosi? >> chiese, sarcastico.

Il ghigno sulle labbra di Osaka si accentuò, ancora di più.
"In realtà, no." rise, in risposta.
Lo fece anche il Generale, sogghignando soddisfatto.

<< Hai fatto un ottimo lavoro oggi, Victor Osaka. >>

Riprese quindi, sentendolo già inorgoglirsi.

<< Non sarà difficile continuare su questa strada, da adesso in poi. Continua ad agire come abbiamo stabilito. >>

Victor annuì, profondamente, continuando a camminare mentre il ghigno sul suo viso lasciò il posto ad un'espressione sempre più determinata.
"Come desideri, Generale. Anche perché ... sto iniziando a divertirmi."
L'albino rise di nuovo.

<< Mph. Lo so, eheheh. Continua a farlo un altro po', allora. Almeno fino al mio prossimo ordine. >>

E Victor, in risposta, prima di entrare nel portone che lo avrebbe ricondotto a casa sua, chiuse a pugno la sinistra e se la portò sul cuore, abbassando il volto e ghignando, impaziente e divertito.
"Si, Signore. Sarà un onore e un piacere, infinito per me."

\\\

Alle due e trentacinque del mattino, la porta del locale ancora chiuso al pubblico si aprì, e sulla soglia del 7th heaven apparve la sagoma di Cloud Strife, che restò ancora qualche minuto sulla soglia dando un'occhiata in giro, e poi iniziò ad avanzare verso le scale che portavano al piano di sopra.
Tifa lo aveva aspettato seduta ad uno dei tavolini in fondo alla sala, sulla destra, fino a cadere addormentata.
I suoi passi, ritmici, decisi e lenti, la risvegliarono quasi subito. Alzò la testa, allertata, e non appena lo vide chiamò piano il suo nome, ancora un pò intontita.
Lui si bloccò di colpo, la mano già sul corrimano della scala in legno. La ragazza si alzò, e mentre l'altro continuava a voltarle le spalle uscì da dietro il tavolo al quale era seduta e gli si avvicinò, fino a portarsi di fronte a lui.
Strife alzò gli occhi, voltò la testa verso di lei rivolgendole uno sguardo gelido.

<< Dove sei stato? >> chiese a quel punto Lockhart.
<< Non credo di doverti dare spiegazioni. >> rispose severo lui.
<< Sei ferito? >> insistette lei, sollevando una mano verso il suo braccio.

Il biondo la respinse, scostandosi e voltandole le spalle appoggiando un piede sul primo gradino. Non servì a molto, perché trattenendolo Tifa riuscì ad attirarsi la sua attenzione e un altro sguardo infuriato.

<< Lo sai che sono preoccupata. Hai rivisto quell'uomo? >> tornò a chiedere angosciata.
<< Non sono affari tuoi! >> sbottò a quel punto lui, respingendola di nuovo e fulminandola con un ultimo sguardo avverso, per poi voltarle di nuovo le spalle e tornare per la sua strada, salendo le scale e lasciandola lì da sola, ad osservarlo ammutolita e sconfitta.

Era cambiato ... così tanto. E il pensiero di non esserci stata le mordeva il cuore come un tarlo insidioso e doloroso.
Non c'era stata allora, e ora lui non le permetteva di esserci in quel momento. Lo vedeva tornare a casa sempre più tardi, agitato e sudato, a volte era costretta anche a curare le sue ferite, sempre superficiali ma sempre più pericolose.
Aveva visto solo una volta quello strano uomo, quasi quattro mesi addietro. Era venuto una sera, due ore prima della chiusura al bar, ordinando un superalcolico di quelli forti, chiedendo di Cloud e presentandosi come colui che era venuto a "riscuotere un debito da lui".
Si era immediatamente allertata.

<< Debito? C-che genere di debito? >> aveva chiesto, stupita e sgomenta << P-posso pagarlo io, forse. >> si era quindi proposta << A quanto ammonta la cifra? >>

Non conosceva Cloud come uno capace di cacciarsi in guai simili, ma ... forse ... era cambiato fino a quel punto?
Il tizio oscuro ed inquietante aveva ghignato in un modo che l'aveva fatta rabbrividire ancora di più.

<< Non penso che tu ci possa riuscire ... >> aveva risposto, scuotendo il capo << È una cifra che soltanto lui può pagare. >> aveva quindi concluso, cupo, finendo il suo drink per poi alzarsi, pagare il conto lasciando dei soldi vicino al bicchiere << Vorrà dire che tornerò. >> ammonendola poi con durezza << Impara a fare i cocktail, e cambia fornitore. Quelli che fai ora sono pessimi. >>

Quindi se n'era andato, lasciandola li da sola con l'inquietudine nel cuore, e un grande, grandissimo dubbio che non l'aveva lasciata andare mai più e che era cresciuto sempre di più, alimentato da tutte le volte in cui aveva visto una ferita nuova sul corpo del suo compagno di gioco d'infanzia, da tutto il tempo passato a chiedersi chi fosse e cosa volesse davvero quell'uomo da lui, a che genere di debito si riferisse.
Ora sentiva di essere arrivata ad un punto di rottura, ma ... non ebbe il coraggio e la forza di fare nulla.
Anche se avrebbe voluto scoppiare a piangere, non lo fece. Nonostante avrebbe voluto inseguirlo e strappargli anche con la forza una risposta plausibile che riuscisse a calmare il suo animo agitato rimase lì, immobile a fissare la cima delle scale e il punto in cui la sua ombra era svanito, a chiedersi ancora una volta, inquieta e angosciata, quale fosse il significato nascosto di tutto quello che stava accadendo.
"Che succede, Cloud? Cosa ti sta succedendo, perché non vuoi parlarne? Perché non vuoi ... dividerlo con me?"

***

<< Papà, domani mi porti dalla ragazza dei fiori, a vederli? >>

Gliel'aveva chiesto Keiichi, con quella sua vocina irresistibilmente dolce e quegli occhioni supplicanti.
Proprio per questo Victor Osaka non aveva saputo dirgli di no, e così ora si ritrovava li, ad annoiarsi fuori da quella maledetta piccola chiesa, la schiena appoggiata ad una delle sue pareti esterne, quella appena alla destra dell'enorme portone d'ingresso, e le braccia incrociate sul petto.
Sbruffò pesantemente, palesemente scocciato dopo quasi un'ora e mezza a fissare il vuoto e la desolazione sotto al piatto del settore cinque. Avrebbe potuto andarsene, ma venendo non aveva potuto fare a meno di notare i turks che ronzavano intorno alla chiese e che, vedendolo, si erano allarmati non poco.
Non aveva detto nulla a Keiichi, stretto tra le sue braccia visto che non si fidava neppure di lasciarlo camminare mano nella mano con lui, e quando lo aveva lasciato con la promessa di ritornare tra un paio di ore aveva detto che sarebbe ritornato a casa da Hikari, ma ... ovviamente aveva mentito, o per meglio dire aveva cambiato idea all'ultimo minuto visto che ora si trovava lì a fare da guardia.
Sbruffò di nuovo, quindi andò a sedersi al primo scalino della rampa che conduceva al portone d'ingresso e tirò fuori dalla sua tasca la sigaretta elettronica, piccola e leggera come una vera, tenendola tra le dita e iniziando a fumare, sentendo l'impazienza crescente dentro di lui.
Avrebbe potuto già da un pezzo essere a casa, trascorrere quelle due ore che lo dividevano dall'appuntamento col maestro di musica di Keiichi assieme ad Hikari, magari aiutandola con qualche faccenda domestica oppure perchè no facendo un pò l'amore, ma ... i turk gironzolavano stranamente in molti attorno a quel luogo, e vista la pericolosità dei bassifondi lui non se l'era sentita di allontanarsi troppo.
Guardò l'orologio da polso col cinturino in vera pelle nera che portava sulla sua mano destra. L'ora concordata era quasi giunta, mancavano appena una ventina di minuti.
Si guardò di nuovo intorno, notando come quel cane randagio non avesse mai smesso, neanche per un momento, di osservarlo nascosto dietro a una vecchia cascina in fondo alla strada, mentre Reno e un'altra ragazza, dal caschetto biondo e dall'aria inesperta ma determinata, lo aiutavano da dietro il muro di una casa alla destra della chiesa, proprio dietro di lui.
Ghignò, quindi alzatosi decise. Il divertimento per Keiichi sarebbe finito qui, per oggi. Aveva sopportato anche troppo.

\\\

<< Keiichi, posso farti una domanda? >>

Erano seduti sul pavimento in legno, e stavano osservando con soddisfazione i fiori che crescevano di fronte a loro, nel grosso buco dentro la pavimentazione che lasciava spazio al terreno e all'acqua fresca con cui loro li avevano abbeverati di scorrere liberamente.
Ci avevano messo un pò, estirpando le erbacce e i fiori secchi o malati, studiandoli per bene e assicurandosi che avesso abbastanza nutrimento.
Ora, le mani sporche di terra e il viso radiante di felicità, Keiichi sollevò gli occhi verso la dolce ragazza che lo aveva accettato in quel suo piccolo angolo di paradiso e la guardò, curioso.

<< Certo. >> disse, con la sua vocina squillante << Cosa vuoi sapere? >>

Aerith abbassò il viso, arrossendo un pò. In realtà, ciò che stava per chiedere la imbarazzava molto, ma ... non riuscì a trattenersi.

<< Ecco ... il tuo papà ... >> esordì titubante, cercando di trovare le parole giuste per paura di offenderlo o spaventarlo << Com'è? Voglio dire, è sempre così ... serio? >>

Si, quello era il modo migliore per chiedere. In realtà era davvero molto curiosa di saperne di più su quell'uomo che, a prima vista, sarebbe potuto sembrare minaccioso e tetro ma che invece l'aveva salvata, ed era stato in grado di crescere bene un bambino così ben educato e intelligente. Per quel poco che aveva sentito da Keiichi, anche sua moglie doveva essere una brava donna, e loro due dovevano volersi ... davvero tanto bene, anche se all'apparenza lui sembrava un pezzo di ghiaccio, gelido e scostante.
Non era ciò che appariva, ne era certa, e voleva scoprire di più. Anche perché ... lui ... era un first class. Un SOLDIER. E forse avrebbe saputo finalmente dargli quelle risposte che aspettava da tempo.
Keiichi la guardò per qualche attimo, dapprima curioso, poi rise divertito.

<< Oh, no. >> rispose, scuotendo il capo con un sorriso << Non sempre, solo a volte, eheh. >> disse, quindi spense un pò la sua allegria e aggiunse, avvicinandosi e abbassando un poco la voce come se le stesse rivelando un segreto << Sai, quando era un SOLDIER e prima di tornare da me e dalla mamma, non è stato molto bene. >> si fermò, intristendosi << Gli sono successe tante cose tristi ... >> mormorò.

E Aerith sentì un lungo brivido freddo percorrerle tutta la schiena, prima che il piccolo potesse ritrovare il suo buon umore e con un sorriso annunciare, soddisfatto.

<< Ma adesso ci siamo noi, e lui non è più triste. >> sorrise di nuovo, quindi si sedette in ginocchio davanti ai fiori e accarezzandone i petali di uno aggiunse¡ gli occhi pieni di amore e felicità << Da quando la mamma e il papà si sono sposati, la nonna dice che non è mai stato così felice. >> quindi tornò a guardarla, e con un largo sorriso soddisfatto concluse, quasi fiero di sé << Lui è il nostro guerriero, lo ha promesso a me e alla mamma. E mi dice sempre che è merito nostro se ora sta meglio. >>

A quel punto della conversazione la ragazza dei fiori sorrise, inginocchiandosi di fronte a lui e accarezzandogli il visetto paffuto e dolce con la scusa di scostargli da davanti i piccoli e vivaci occhi appena un pò mandorla.

<< Ha ragione, Keiichi. >> rispose, appoggiandogli poi con delicatezza le mani sulle spalle larghe e sorridendo dolce << Sono sicurissima che sia stato così. >>

E volle aggiungere altro ma, proprio allora, il portone della chiesa si spalancò e dal fondo iniziò ad avanzare la sagoma alta e longilinea dell'uomo che, col suo solito passo marziale e veloce, avanzò fino a trovarsi a metà navata.

<< Papà! >> esclamò Keiichi, alzandosi in piedi e raggiungendolo di corsa per abbracciarlo forte.

Victor lo accolse chinandosi alla sua altezza e allargando le braccia, stringendolo e affondando poi il naso nel profumo dolce dei suoi riccioli scuri. Mentre li guardava, Aerith non potè fare a meno di sentirsi coinvolta. Non conosceva quasi nulla ancora, di quello strano uomo, se non che fosse un ex SOLDIER, un 1st come il suo primo amore scomparso da tempo e di cui non aveva più notizie, nonostante le avesse cercate in ogni modo.
Eppure ... non era solo questo, a renderglielo così vicino. Quell'uomo dallo sguardo di ghiaccio aveva ancora impressi sul viso e nel suo sguardo duro i segni invisibili ma evidenti di una sofferenza che la spaventava, perché sembrava essere stata davvero enorme da sopportare per un uomo solo, anche fosse stato il più forte di tutti.
Ma, nonostante tutto, aveva avuto la forza di resistere, e di riuscire ancora ad amare.
Per questo quando sorrideva a suo figlio, quel suo gesto diventava ancora più bello. Era evidente anche così, senza aver bisogno di ulteriori spiegazioni, quanto avesse faticato per arrivare ad avere tutto questo, tutto ciò a cui voleva più bene.
Le parole di Keiichi quell'oggi lo avevano confermato appieno, che in realtà l'apparenza nel suo caso nascondeva molto di più. Sua moglie ... chiunque ella fosse, era una donna davvero fortunata ad avere accanto un uomo come lui, che aveva combattuto per poter tornare da loro e riprenderseli.
Avrebbe voluto dire altrettanto di sé stessa.
Sospirò, portandosi una mano sul cuore, e immersa in quelle riflessioni non si accorse neppure che nel frattempo i due si fossero rialzati e che ora quegli occhi di un intenso verde mako avevano preso a scrutarla, atoni e severi.
Trasalì, quando la voce di lui la ridestò bruscamente.

<< Dobbiamo andare, tra poco ha lezione di piano. >> la informò, algido, squadrandola.

Lei trattenne il fiato ancora per qualche istante, la mente improvvisamente nel pallone. Quindi, per riprendersi abbassò il viso e distolse lo sguardo da quello gelido che continuava ad assoggettarlo, annuendo appena e giungendo le mani all'altezza del ventre.

<< Va bene. >> rispose, restando ancora un pò titubante sul da farsi per poi, incrociando lo sguardo del bambino che le sorrideva, tornare a fare lo stesso con suo padre che in realtà non la guardava nemmeno, troppo intento a non pensare a cosa quella donna avesse significato per le storie che avevano incrociato il suo cammino, una in particolare << Mi ha fatto piacere restare un pò con lui, qui. Non sono in molti quelli che vengono a trovarmi, sono quasi sempre sola. >> aggiunse.

"Oh, ma davvero?" pensò sarcastico Osaka "Ma pensa, poverina..." cercando al contempo di imporsi un contegno ma fallendo miseramente.

<< Verrò a trovarti ancora, allora. >> concluse allegro Keiichi << Posso papà? >>

Victor inarcò un sopracciglio e distolse altero lo sguardo.

<< Vedremo ... >> disse << Se avremo abbastanza tempo. >>

"Da sprecare."
Aerith seguitò a sorridere, e con le mani ancora unite in grembo annuì calma, accennando ad un inchino.

<< Vi aspetterò. >> disse semplicemente, rispettosa, rivolgendo più un ultimo sorriso al bambino che, stringendo ancora la mano di suo padre, annuì felice e le rivolse un caloroso saluto sventolando in aria la manina.
<< Ciao! >> concluse, prima di avviarsi con suo padre verso l'uscita.

La ragazza li osservò pensierosa voltarle le spalle, avviarsi verso il grande portone e sparire oltre esso, ascoltò rabbrividendo i passi degli stivali di lui ticchettare ritmicamente sul pavimento e quelli saltellanti di Keiichi seguirne a ruota il tempo, e una volta rimasta sola chiuse gli occhi, trasse un profondo respiro e tornò a inginocchiarsi di fronte ai suoi fuori sfiorando i loro petali con la punta delle dita.
"Midgar piena di fiori ..." le aveva detto Zack, prima di andarsene.
Non avrebbe mai creduto che inseguendo quel sogno solo in parte suo, sarebbe arrivata ad una simile svolta.

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Quella sera, una volta tornata a casa, la giovane Aerith Gainsborough non riuscì a non chiudersi in un silenzio assorto, ripensando a quel bambino, a suo padre e a quegli strani poteri di cui aveva fatto sfoggio davanti ai suoi occhi, senza sapere quanto in realtà fossero così simili a quelli che lei aveva sempre saputo di possedere.
Tornò a casa sovrappensiero, entrò salutando a bassa voce e senza ascoltare neanche il saluto che sua madre le rivolse con un sorriso cordiale se ne andò in camera sua e poi in bagno, a concedersi una lunga doccia.
Aveva bisogno ... di non pensarci troppo. Ma più ci provava, più non riusciva a non farlo.
Era l'ora di cena, e le due donne stavano mangiando un piatto di calda minestra di verdure sedute l'una di fronte all'altra al piccolo tavolo in legno della cucina, quando la voce di Elmyra la raggiunse dolcemente, riscuotendola.

<< Aerith ... >> le disse, appoggiando una mano sulla sua, allungata sul tavolo vicino al piatto ancora integro.

La ragazza sollevò lo sguardo verso di lei, confusa.

<< Mh? >> mormorò << Cosa? >> tornando subito dopo a sorridere chiedendo quasi a volersi scusare << Scusami, non stavo ascoltando. Hai detto qualcosa, mamma? >>

Elmyra sorrise nuovamente.

<< C'è qualcosa che ti preoccupa, tesoro? >> chiese, facendole poi notare << È da quando sei rientrata che non parli, sei pensierosa, e non hai neanche mangiato. >>

La giovane parve cadere dalle nuvole. Guardò gli occhi preoccupati di sua madre e le sembrò quasi di tornare a vederli per la prima volta. Si guardò intorno.
La casa era illuminata fiocamente dalla luce giallina ed elettrica delle lampadine economiche collegate al lampadario sul soffitto, l'odore fragrante e appetitoso della zuppa di verdure si espandeva riempiendo caldamente il locale, faceva un pò freddo e, oltre il vetro della finestra di fronte a lei vide che le tenebre erano calate fuori già da un bel pò, sostituendo il giorno con la notte.
Rimase a bocca aperta a fissare i vetri appannati di condensa e scuriti dalle tenebre della sera.
Quindi, decidendo finalmente di tornare in sé, tornò a sorriderle e prendendo quella mano tra le sue rispose, cercando di dimostrarsi serena.

<< No, mamma. Sta tranquilla, nulla di particolare. Stavo solo riflettendo ... >>

La donna non parve convincersi fino in fondo. La osservò con maggiore attenzione negli occhi e poi tornò a chiederle.

<< Sicura, sicura? >>

La ragazza allargò il suo sorriso, e annuì.

<< Più che sicura, mami. Non è niente, davvero. >>

E finalmente la signora Gainsborough tornò a sorridere.

<< Va bene, allora. Finisci di mangiare, mh? >>

Aerith annuì, e riprendendo il cucchiaio in mano obbedì, colmando finalmente il vuoto doloroso all'interno del suo povero stomaco.
"Non è niente, smettila di pensarci." si disse "È impossibile."
Eppure, quella notte non riuscì a fare a meno di restare ad occhi aperti, con la testa sul cuscino e le mani giunte sul cuore, pregando di riuscire a venirne a capo o in alternativa a dimenticare prima tutto quanto.

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Un semplice allegretto per principianti, dal motivetto melanconico, composto con le sette note principali del pentagramma.
La melodia lo aveva subito attratto, e ci aveva messo più o meno un mese ad imparare ad eseguirlo, ma ora che con le sue piccole dita saltellava da un tasto all'altro con rapidità, riuscendo a far scorrere la melodia esattamente così come l'aveva sentita la prima volta sul cd rom che aveva ricevuto dal maestro, Keiichi non potè fare a meno di sentirsi soddisfatto e fiero di sé, anche osservando i sorrisi contenti dei suoi genitori, che lo osservavano tenendosi per mano di fronte alla coda dello strumento, posto verso la parete destra del soggiorno, quella portante e che ospitava anche la porta d'ingresso.
Un ritornello simpatico e arzigogolato, le dita arrivarono a sfiorare appena i tasti, quindi le ultime tre note di chiusa, e quando anche l'ultimo rimasuglio di musica fu sfumato nell'atmosfera serale e accogliente della loro piccola casa il giovane apprendista musicista si godette con un po' di orgoglioso imbarazzo il soddisfatto applauso dei propri genitori.
"Meraviglioso, Keiichi!" si espresse entusiasta Hikari, gli occhi che brillavano letteralmente di felicità.
Victor invece lo prese tra le braccia, strappandolo al seggiolino in pelle, ed esclamò entusiasta e orgoglioso.

<< Fantastico! >> battendo il cinque assieme a lui e ridendo << Ora abbiamo anche un pianista in famiglia, e non da poco. >> sghignazzò, scoccandogli un occhiolino << Se continui così, alla fine della scuola potresti tentare con il conservatorio, che dici? >>

Il bimbo sgranò sorpreso gli occhi.

<< Oh, si! >> rispose entusiasta << Si, papà. Mi piacerebbe tanto! >>

Ed entrambi guardarono Hikari, che portandosi una mano di fronte alla bocca sorridente annuì, ma subito dopo cercò di spegnere un po' tutto quello zelo anticipato.
"E' un po' troppo presto per pensarci. Non trovi?" disse, rivolgendosi dapprima al bambino, e poi a suo marito, che trasformando il suo sorriso in uno più pacato ed amorevole annuì, e concluse, scompigliando i ricci del bambino che continuava a stargli tra le braccia.

<< La mamma ha ragione. Impegnati e studia tanto, così da grande potrai scegliere cosa diventare. Noi ti sosterremo comunque. >> risolse, dandogli un tenero bacio sulla guancia per poi rimetterlo a terra.

Keiichi annuì, diede un bacio dapprima a suo padre e poi a sua madre, e subito dopo entusiasta e frenetico come al solito decise, correndo via in direzione della sua stanza.

<< Vado a finire i compiti e poi a nanna, domani c'è scuola. Buonanotte! >>

Strappando un sogghigno divertito ad entrambi.
Attesero che la porta della cameretta sul fondo del corridoio si richiudesse poi, rimasti soli, i due si guardarono negli occhi con uno sguardo pieno di amore e passione e Victor, avvicinatosi, la strinse forte a sé avvolgendole con le braccia il ventre, e stampandole un breve bacio sulle labbra.

<< Se provi di nuovo a dire che mi assomiglia, adesso so quali prove portare per dimostrarti il contrario. >> scherzò, sfiorandole il naso con il suo mentre la guardava negli occhi.

Hikari sorrise di nuovo.
"E chi ti dice che questa sia una prova a tuo sostegno?" rispose. Poi, lui le prese le mani tra le sue e stringendole la trascinò di nuovo in un altro bacio, stavolta più lungo e intenso, prima di prenderla in braccio e trascinarla con sé in camera da letto, come aveva fatto il giorno delle loro nozze.
Per oggi, la giornata era finita qui per loro.
Ora solo il tempo e l'umore di Osaka avrebbero deciso se la notte sarebbe appartenuta al bravo padre di famiglia o all'allievo di Sephiroth in cerca della sua vendetta.

Ora solo il tempo e l'umore di Osaka avrebbero deciso se la notte sarebbe appartenuta al bravo padre di famiglia o all'allievo di Sephiroth in cerca della sua vendetta

   
 
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