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Autore: ten12    07/05/2017    2 recensioni
"Esistevano cinque ordini dello spirito. Alcuni di essi hanno assunto, nel tempo, l'aspetto di casate. Ogni ordine viveva in armonia con la natura ed infondeva il corpo dei suoi accoliti con il respiro dei cinque dei. Il loro obiettivo era proteggere e governare secondo i costumi e le caratteristiche della divinità protettrice. Ma negli anni gli ordini persero la loro purezza e divennero altro, opprimendo i sudditi ed uccidendosi tra loro. Finché la ribellione non scoppiò. Oggi, come sapete, l'ordine dell'Aquila, che magari voi chiamate famiglia, è distrutto e dalle sue ceneri è nato l'impero dei comuni e, come alcuni dei miei lettori forse sapranno meglio di me, esso sta battendo alle nostre porte avido di potere..." Estratto dal libro "La nascita del terrore" di joguntas Wart.
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Parabellum'
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Ed Ancore

 

La staffa cigolò sotto il peso di Lykta. Il figlio dell’orso si tirò su con decisione ed agilità. L’Orso lo osservò dall’alto della sua sella. Lo sguardo era freddo, come se quello che vedesse fosse un cibo strano. Lykta controllò che la spada fosse fissata correttamente per il viaggio. Il vecchio guardacaccia si avvicinò “Hai finito ragazzo?”  Non c’era amarezza nel tono di Jatog,  si limitò ad usare una punta di fastidio per il ritardo del giovane. Lykta alzò lo sguardo dal fodero e studiò la reazione della carovana alla silenziosa critica del vecchio maestro. Il figlio dell’Orso fissò i suoi occhi gialli in quelli grigi di Jatog, poi disse con un sorriso sfacciato “Il mio cazzo è pronto maestro. Io seguo lui” i Kjitanet sorrisero, qualcuno di loro non riuscì a trattenere una risata sommessa riprendendosi un poco, in quel preciso istante, dalla morte di Kerint. I servi all’entrata della stalla  si controllarono meno, lasciandosi andare ad una risata aperta. L’Orso e Jatog furono gli unici a non lasciar trapelare nulla “Quindi si. Direi che sono pronto!” Lykta si guardava intorno soddisfatto “Allora padre! Ordini questa dannata partenza o vuoi aspettare che il mio uccello cambi idea?” molti Kjitanet non reagirono questa volta. I servitori risero più sommessamente. L’Orso guardò il figlio con i suoi occhi dalle pupille marroni con venature gialle “Lo possiamo sempre tagliare” rispose eloquentemente il padre. Lykta tacque. Un silenzio doloroso regnò di nuovo sulle montagne. Il sole mattutino si nascose dietro agli scuri cumulonembi che si addensavano nel cielo, pronti a lasciar cadere altra neve. La foresta davanti a loro era più bianca che verde. La carovana doveva arrivare al quartier generale del sesto ordine, fino alla Voragine degli Spiriti, dove il Richiamo avrebbe avuto luogo. Avrebbero attraversato parte dei deserti del Regno dello Scorpione in due notti, per poi passare nelle pianure dei Lupi Boreali fino ai porti della Volpe. Lì avrebbero affittato delle imbarcazioni fino all’Isola dei Flutti.  L’Orso annunciò la partenza “Che arda il mondo!” “CHE ARDA IL MONDO!” proruppero i Kjitanet seguendo il loro re. Lykta guardò il padre allontanarsi, con l’umiliazione che bruciava ancora. Si accorse che Jatog stava studiando la sua reazione “Cosa c’è vecchio” non provò a controllare la sua aggressività. Il guardiacaccia fissò Lykta di rimando, impassibile, poi si unì alla carovana. Il figlio dell’orso stette silenziosamente in disparte, ad osservare la colonna di Kjitanet superare la sua posizione al trotto. Tutti chinarono il capo in segno di rispetto. Tutti. Lykta non rispose nemmeno una volta, non che fosse tenuto a farlo. Aspettò che l’ultimo dei Kjitanet raggiungesse la colonna del padre. L’inizio della carovana si era ormai perso tra le fronde della foresta, invisibile ai suoi occhi. Lykta fece muovere in avanti il cavallo, goffamente. La bestia nitrì e sbuffò ma si mise in moto. Lykta zigzagò, incapace di controllarla. La colonna dei servitori fidati dell’orso, alle sue spalle, sentì i pittoreschi improperi contro il cavallo. Qualche altra risata sommessa si alzò tra gli alberi. Lykta afferrò le redini con rabbia, tirando la testa dell’animale verso di se “Per la figa della Volpe! Sta fermo dannazione!” il cavallo la prese male. La bestia nitrì, si imbizzarrì e lo disarcionò.

 

Il mutaforma assaporò quelle emozioni senza nemmeno un moto di pietà o rispetto o amicizia. La rabbia dominava e teneva insieme quell’essere: letteralmente. Un oggetto caro l’aveva chiamato lì, come un faro nella notte più buia immaginabile. La vorticosa creatura sentì la vergogna, il ribrezzo per se stesso, l’odio persino. L’uomo davanti a lui era stato un amico di qualcuno che l’Ombra aveva già incontrato o che, addirittura, era parte di lui in quel preciso istante. Ma quella era un inezia. Quella vergogna, quell’odio per se stesso e la sua paura, la sua codardia, erano la dimostrazione che doveva pagare. Aveva guardato. Il mutaforma si infiammò a quell’idea. L’anziano non si era ancora accorto di lui. Avanzò piano. I piedi collassavano e si attorcigliavano su se stessi in volute ad ogni passo. I centinaia, migliaia di occhi che scrutavano la realtà perduta, attraverso quella creatura, agognarono rabbiosamente alla testa dell’uomo che avevano davanti. Era un professore, qualcuno si era ricordato, ma prima era stato qualcosa di diverso. Nel tumulto furioso dei mille in uno solo, ci fu una rottura. Opposizione. La bloccarono e tornarono all’obiettivo comune. Poteva ancora aiutarli! Non c’era nessuno da aiutare, nessuno, niente era salvabile a quel punto. Solo distruzione poteva essere arrecata. Comprendere per aiutare! Il mutaforma si bloccò. I mille occhi tornarono indietro nel tempo, poi fracassarono quell’immagine di loro stessi. LE AQUILE SONO MORTE! MOOOORTEEE!! Il mutaforma avanzò con foga. Mosse vari passi facendo scricchiolare gli assi della stiva ma le gambe non ressero. Piombò a terra. Joguntas si girò verso il rumore. La nave si svegliò nel cuore della notte, messa in allarme dalle grida dell’anziano professore.

   
 
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