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Autore: _NimRod_    07/05/2017    0 recensioni
La ragazza dell’appartamento dall’altra parte del pianerottolo non gli aveva mai chiesto nulla: non l’aveva guardato come se fosse il Dottor Frank-N-Furter nemmeno la prima volta che si erano trovati faccia a faccia uscendo contemporaneamente dai rispettivi ingressi, pochi giorni dopo il trasferimento di Alice. Si era presentata allegramente e aveva chiesto a Emma se ci fosse un bancomat nelle vicinanze. Che poi, a Frank-N-Furter nemmeno ci somigliava.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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"I see you shiver with antici...pation."
(The Rocky Horror Picture Show)




 



Diffidava del programma mix colorati della lavatrice.

Aveva infilato nel cestello una salviettina acchiappa-colori e poi un'altra ancora, rimanendo indecisa per qualche istante sull'eventualità di buttarcene una terza. E infine aveva ceduto.

Non contenta, si era seduta sulla tavoletta abbassata del gabinetto e si era messa a fissare intensamente i propri vestiti mossi ritmicamente dal cestello, attenta a notare ogni cambiamento di colore sospetto.

La camicetta blu scuro che aveva indossato durante la giornata era troppo blu scuro, senza ombra di dubbio. Non avrebbe dovuto buttarla in lavatrice insieme al resto. Alice sospirò sconsolata, sistemandosi la spallina del reggiseno che le era scivolata giù dalla spalla. Prese il cellulare dalla tasca dei jeans che aveva indosso e selezionò il primo numero in cima al registro delle chiamate.

Emma rispose al terzo squillo.

“Ciao, Cice! Hai bisogno?” disse Emma mettendosi il cellulare sulla spalla e piegando la testa per bloccarlo. Buttò nel bidone il guanto di lattice che aveva appena tolto per rispondere alla chiamata e ne infilò uno nuovo.

“Sei a casa?” chiese Alice mordendosi nervosamente la pelle accanto l’unghia del pollice destro.

“No, sono ancora in studio”. Si sporse di lato e sorrise alla giovane donna che se ne stava a gambe divaricate sul lettino, che ricambiò imbarazzata.

“Le salviettine acchiappa-colore funzionano?”

“A me non hanno mai dato problemi. A quanto stai lavando?”

“Quaranta gradi.”

“Roba nuova mai andata in lavatrice prima?”

“No, non credo.”

“Tranquilla, non farai disastri.” Emma estrasse lo speculum dalla paziente e lo tenne sollevato a mezz’aria, agitandolo leggermente: “Ti ricordi che stasera ti devo stracciare di nuovo a biliardo, eh?”

“Ti vengo a bussare verso le nove. Puntuale.” Emma era fisiologicamente inabile nell’arte dell’essere in orario, di conseguenza Alice avrebbe atteso le nove e trenta per attraversare il pianerottolo e bussare alla porta dell’appartamento di fronte al proprio.

“Ottimo! Ci vediamo dopo.”

Alice chiuse la chiamata, parzialmente rincuorata dalle parole di Emma. Aveva il potere di essere rassicurante in ogni situazione. Emma era la sua piccola isola felice di tranquillità sperduta in un oceano di ansia. Eppure, nonostante la voce pacata e dolce dall’altra parte del telefono le avesse appena detto di non preoccuparsi, quei vestiti variopinti che giravano tutti attorcigliati insieme non le davano ancora del tutto fiducia: prese una sigaretta dal pacchetto morbido che teneva infilato nella tasca anteriore dei pantaloni e la accese, aggiustandosi poi gli occhiali da vista sul naso e sporgendosi in avanti per controllare meglio ciò che stava avvenendo oltre il vetro dell’oblò.

Emma si sedette alla propria scrivania mentre la paziente stava finendo di abbottonarsi i jeans: diede un’ultima occhiata alla cartella clinica e al referto degli esami del sangue e cominciò a scrivere la prescrizione.

“Quando i risultati del pap-test saranno pronti ti arriverà l’esito per posta, per qualsiasi dubbio o domanda dammi un colpo di telefono oppure vieni qui senza problemi. Questa è la ricetta per la pillola, è una delle più leggere in commercio. Per qualunque chiarimento anche su questo, idem come sopra.”

“Grazie”, disse la ragazza con un filo di voce, visibilmente a disagio, prendendo i fogli che Emma le aveva porto. Frase lasciata in sospeso. Era sempre così, con le nuove pazienti che non venivano a conoscenza del suo ambulatorio privato con il passaparola. Fingevano di non vedere il suo nome scritto per esteso, peraltro in un bel corsivo, inciso sulle targhette all’esterno dell’edificio e sulla porta dello studio e stampato sulle pergamene di lauree, master e attestati di corsi di aggiornamento appesi alla parete. Volevano sentirlo da lui, per fugare ogni dubbio.

La giovane donna deglutì a fatica e fece per dire qualcosa, ma Emma la anticipò: “Dottore. Oppure Emmanuel, se ti va.”

Curiosità smaliziata, pura e semplice. Aveva imparato a gestirla per necessità fin da quando era un semplice specializzando in ospedale: non contava più sulle dita di entrambe le mani le occasioni in cui durante le ecografie due futuri genitori fossero più interessati a conoscere il sesso del dottore rispetto a quello del nascituro.

E quante volte, da quando aveva aperto l’ambulatorio privato, psicologhe o sedicenti tali gli avessero frantumato i coglioni con la storia dell’identità di genere, sesso biologico, disforie varie e stronzate simili. Era come se le persone andassero in confusione non conoscendo con esattezza il corredo genetico del proprio interlocutore. Sarebbe stato esagerato affermare che tutta quella curiosità lo infastidisse: alla fin fine, vedere la reazione delle persone trovandosi di fronte a Degliandrei Dott. Emmanuel un po’ lo divertiva. Una specie di esperimento sociologico generatosi involontariamente.

La ragazza dell’appartamento dall’altra parte del pianerottolo non gli aveva mai chiesto nulla: non l’aveva guardato come se fosse il Dottor Frank-N-Furter nemmeno la prima volta che si erano trovati faccia a faccia uscendo contemporaneamente dai rispettivi ingressi, pochi giorni dopo il trasferimento di Alice. Si era presentata allegramente e aveva chiesto a Emma se ci fosse un bancomat nelle vicinanze. Che poi, a Frank-N-Furter nemmeno ci somigliava.

 

Qualche giorno dopo il loro primo incontro fortuito, Emma si era seduto accanto a lei vedendola spaesata in occasione della sua prima riunione di condominio: aveva allungato il braccio sullo schienale della sedia di Alice, aveva inclinato la testa in direzione dell’orecchio di lei e le aveva sussurrato “Preparati, qui siamo tutti pazzi.”

Alice aveva sorriso e l’aveva guardato con inaudita serietà negli occhi chiari: “Allora mi troverò bene.”

Emmanuel godeva di una certa reputazione tra i condomini più anziani: il fatto che fosse un dottore eclissava di gran lunga il suo aspetto fisico. Le coppie o i genitori single con bambini molto piccoli lo adoravano, mentre le coppie o i genitori single con figli già grandicelli lo evitavano come la peste. I condomini che non rientravano in una delle tre categorie si dividevano equamente tra repulsione, simpatia e indifferenza nei suoi confronti.

La questione del giorno era sull’installazione di corrimano nuovi lungo le scale del palazzo. Il Dottore disse immediatamente che a lui sarebbe andata bene qualsiasi decisione e un paio di signore anziane furono d’accordo con lui. Chiamandosi fuori dalla discussione, Emmanuel ebbe modo di rivolgersi nuovamente a Alice.

“Non farti distrarre da queste inezie, sono diversivi. La vera faida sotterranea è per il monopolio del giardinaggio delle fioriere tra il Signor Disetti e il Signor Mori: il primo lo ha avuto fino a poco tempo fa, ma dopo l’operazione all’anca è stato impossibilitato per qualche mese. Allora il buon Mori ha deciso di fare le sue veci, arrogandosi il diritto di piantare le peonie senza chiedere il permesso. Un vero affronto. Ora che Disetti si è rimesso in sesto non fanno che discutere. Io sono Team Mori, le sue scelte botaniche sono più nelle mie corde.”

“Quelle peonie sono davvero splendide”, annuì Alice.

Emma sorrise: “Vero? E poi c’è il grande mistero dei sacchi di sale del depuratore spariti. La cacca umana in ascensore, quella volta la riunione condominiale sembrava una partita di Cluedo! Mi avevano proposto di analizzarla, addirittura. Il colpevole del misfatto non è ancora stato trovato, tra l’altro.”

Alice aveva sorriso in risposta, perdendosi nell’ammirare il profilo dello strano tizio che le sedeva accanto: il naso era sproporzionato rispetto al resto del volto, ma il ciuffo platino lungo fin sotto il mento che non era stato raccolto nella coda di cavallo contribuiva a stemperare il suo profilo affilato.

“Le riunioni sono in assoluto la mia sit-com preferita. Non capisco come faccia la gente a trovarle noiose.”

Transessuale.

Travestito.

Transgender.

Troppi tra.

Alice sospirò e posò lo sguardo sul piede destro di Emma, che veniva dondolato debolmente con la caviglia appoggiata al ginocchio sinistro. Così tanti tra e un modo così scazzato di accavallare le gambe. Scarpe da ginnastica e jeans, t-shirt nera e cardigan bordeaux. Nulla di strano. Il timbro della sua voce, quello era un po’ al limite: forse era sotto ormoni, o forse era semplicemente la sua voce ad essere fatta così, bassa e a tratti roca. Eppure Alice aveva sentito donne dalla parlata ben più mascolina. Impossibile dire con certezza quale fosse il suo punto di partenza e di arrivo, ma la vera sfida era capire quanti anni avesse: a giudicare dalla sua carriera doveva essere certamente oltre i trenta, ma sussisteva il mistero di quanta strada avesse o non avesse per raggiungere i quaranta.

Non era il genere di medico che si era immaginata: quando l’anziano signore che l’aveva aiutata a caricare gli scatoloni del trasloco in ascensore le aveva detto sarebbe stata dirimpettaia del Dottore, Alice aveva pensato che nella peggiore – o migliore -  delle ipotesi, si sarebbe ritrovata con una cabina telefonica blu sul pianerottolo e una storia pazzesca da raccontare in ufficio.

Fin dai primi giorni nel nuovo appartamento si era resa conto che, come vicino di pianerottolo, Emma era il non plus ultra: rientrava a orari variabili tra le sette e le dieci di sera e dal momento in cui veniva chiusa la sua porta d’ingresso un silenzio tombale calava fino alla riapertura della porta, tra le sette e le dieci del mattino. In casa aveva un supermercato sempre fornito di qualsiasi prodotto, assorbenti compresi. Aveva perfino il reparto di parafarmacia. Quando Alice la sera gli lasciava davanti alla porta le buste con gli stessi prodotti che le aveva prestato il giorno precedente, ricomprati appositamente per la restituzione, si ritrovava la busta spostata sul proprio zerbino alla mattina successiva.

 

Quando Alice bussò alla porta alle nove e mezza ed Emma le aprì, la ragazza sospirò. Era vestito per uscire, ma aveva ancora i capelli chiusi nell’asciugamano arrotolato a turbante

“Sei in anticipo”, disse Emma stupito.

“Veramente no.”

“No?”

Alice scosse la testa. Emma srotolò l’asciugamano, si legò i capelli umidi in una sbilenca coda alta e si infilò la giacca di pelle nera.

“Pronto”, sorrise prendendo le chiavi di casa e chiudendo la porta dietro di sé. Mise un braccio attorno alle spalle di Alice e la strinse delicatamente, conducendola verso le scale.

“Non andare mai più in panico per una lavatrice, ti prego. Me lo prometti?”

“Farò il possibile”, mormorò Alice.

“Come ti è andata la giornata?”

“Normale.”

Scesa la prima rampa, una delle porte del pianerottolo si aprì e un’anziana signora si affacciò timidamente.

“Dottore? La posso disturbare?”

“Mi dica, Signora Ferrari”, disse cortesemente Emma togliendosi la sigaretta ancora spenta dalle labbra.

“Ho ancora la macchia sul braccio.”

“Si è fatta visitare dal suo medico di base come le avevo detto?”

La signora lo guardò boccheggiando spaesata.

Emma si schiarì la voce: “Ne abbiamo già parlato. Il rash cutaneo può avere molteplici cause, deve passare dal suo medico di base che eventualmente la indirizzerà da un dermatologo qualora fosse necessario.”

Dopo aver annuito con rassegnazione, l’anziana indicò la sigaretta spenta che Emmanuel teneva tra le dita e si rivolse ad Alice: “Lo faccia smettere di fumare.”

La ragazza sorrise imbarazzata: “Ci proverò.”

“Siete una bella coppia”, disse la signora prima di richiudere la porta del proprio appartamento.

Alice si aggiustò gli occhiali sul naso e alzò lo sguardo in direzione del volto di Emma, il quale inarcò le sopracciglia e si strinse nelle spalle.

Superato il portone dell’ingresso principale, Emmanuel si accese la sigaretta e porse l’accendino alla ragazza, che accese a sua volta la propria. Alice osservò il rotolino di carta bianca che stringeva tra il dito indice e il medio. Diede un’occhiata fugace anche alla propria scollatura: aveva cominciato a sentirsi subdola dal momento in cui aveva scelto di indossare quella maglietta con lo scollo a V e il reggiseno più imbottito tra quelli nel cassetto della biancheria senza tuttavia degnarsi di depilarsi. Voleva soltanto scoprire se Emmanuel l’avrebbe guardata, nient’altro. Nessun altro fine.

“Potremmo provare a smettere insieme”, disse Alice camminando accanto a Emma. “Da domani.”

“Sono alle soglie delle nozze d’argento con la nicotina, non posso assicurarti di poter troncare di netto.”

“In due potrebbe essere più semplice.”

Alice sentì la mano di Emmanuel posarsi dolcemente sulla sua testa.

“Potrebbe”, sorrise lui.

 


NdA

Benvenuti all'ennesimo delirio della sottoscritta. Nonostante la penuria di tempo che mi costringe ad aggiornare piuttosto lentamente tutte le storie che ho in ballo, è ormai assodato che il massimo della mia produttività è raggiungibile solo non focalizzandomi su un solo progetto.
Questa storia in particolare sarebbe una bozza di un progetto a quattro mani, ma dato l'affetto che provo per il personaggio che ha finito con il chiamarsi Emmanuel in questo universo, ho deciso di pubblicare per ora come progetto a sé stante.
L'archetipo del personaggio in questione è nato qualcosa come dodici anni fa ed è stato in seguito scisso in due, che forse alcuni di voi conosceranno come Alexander e Cameron. Qui si ritorna alle origini, come era stato concepito inizialmente. Il primo input della me-quattordicenne nella creazione di questo personaggio è stato dato da Kitchen di Banana Yoshimoto. Ah, nostalgia dei bei vecchi tempi.
Grazie per la lettura!
A presto,

N.

   
 
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