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Autore: _Nishitzu_    08/05/2017    3 recensioni
"E' lui. L'ho trovato."
"«Mio Re, vi ho trovato finalmente» disse la ragazza, piangendo, prima di cadere in ginocchio davanti ai suoi piedi.
Yugi non poté fare altro che fissarla, gli occhi spalancati pieni di stupore e sgomento, incapace di proferire parola."
Tremila anni, una maledizione, un viaggio attraverso il tempo, e tutto per permettere a quella strana giovane di accompagnare il Faraone verso il suo inesorabile traguardo; lei, che a differenza dei portatori degli oggetti del Millennio, può giocare secondo le sue regole.
Ma a quale prezzo si può combattere il Destino ad armi pari?
A cosa avrà dovuto rinunciare, lei, per cercare di ritrovare non solo il suo Sovrano, ma anche sé stessa?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Ishizu Ishtar, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yuugi Mouto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo - "Non so cosa sto cercando" 
 
"Aveva i tendini delle gambe in fiamme, era senza fiato ed ogni cellula nel suo corpo pareva dolerle, e se avesse dovuto tirare ad indovinare dalla quantità di dolore che stava provando in quel momento, ella avrebbe detto di aver appena concluso una corsa lunghissima ed affrettata E un combattimento estenuante; entrambe le cose insieme o non sarebbe stato credibile. 
 
Nonostante i crampi, la fatica e tutta quella disperazione che pareva pesarle addosso come il mondo sulle spalle di Atlante, lei non si lasciò distrarre, lo sguardo fisso sull'uomo sconosciuto e allo stesso tempo familiare che le si stava rivolgendo, parlandole dall'altro lato di un altare al centro di una stanza sfocata; sembrava un frammento di un ricordo, da come sfarfallava, andando e venendo in attimi di chiarezza e istanti di totale blur, ed ella non ebbe alcun dubbio che si trattasse, qualsiasi cosa fosse, di qualcosa di fondamentale per la sua vita, e forse anche quella di qualcun altro. 
 
«Allora, lo farai?» le domandò, con una nota di finalità nel tono scuro, cupo, l'uomo a qualche passo da lei; ella non sapeva cosa avrebbe dovuto rispondere, però le emozioni nel suo cuore, limpide e cristalline, formarono le parole al posto suo. 
 
«Si. Si. SI. Lo farò.» e anche mentre le pronunciava, il presentimento di stare per infilarsi in qualcosa di terribile che non l'abbandonava, nel suo petto bruciava un sentimento così forte da obliterare qualsiasi incertezza, qualsiasi campanello d'allarme o istinto di conservazione; l'uomo di fronte a lei, di cui ella non avrebbe ricordato il volto nemmeno se da questo fosse dipesa la sua stessa vita, le sorrise mestamente, prima di allungare un braccio sopra l'altare che li separava per accarezzarle una spalla «Farà male, "----", lo sai vero? Sarà una sofferenza tremenda...vuoi farlo lo stesso? Non hai paura?» e sì, dei del cielo, lei aveva paura, stava morendo di paura, eppure...anche al di sopra di quel terrore schiacciante dell'ignoto, di un'agonia non quantificabile, ella trovò il coraggio -o forse la stupidità- di andare avanti, di proseguire, salda nello spirito su ginocchia tremanti «Non ho paura. L'amore nel mio petto mi rende forte» "o forse stupida" pensò, riuscendo, in quel contesto, a distaccarsi qualche istante da sé stessa, il tempo sufficiente per analizzare la situazione con occhio critico. 
 
"Perché?" chiese alla propria coscienza, e tutto quello che ricevette come risposta fu l'immagine confusa, sempre indefinita come quella dell'uomo vicino a lei in quel momento, di un'altra persona, di un altro sorriso, differente; sebbene quel volto, quell'espressione, non avrebbero dovuto dirle nulla, erano tutte persone quelle che ella non conosceva dopotutto, il suo io distaccato, persino la sua presenza della veglia, sentì un bruciore insopportabile pervaderla, vestigia di una nostalgia senza età, una ricerca senza nome. 
 
Catapultata di nuovo all'interno di quella specie di sogno-ricordo, lei si ritrovò distesa sullo stesso altare di pochi istanti prima, le mani ed i piedi bloccati da quelle che parevano essere manette di ferro; in piedi alla sua destra, in linea con il suo petto, l'uomo sconosciuto e familiare allo stesso tempo alzò al cielo quello che pareva essere uno strano anello, e recitò alcune frasi in una lingua che lei non capì. 
 
Senza tempo per cercare di comprendere la situazione, ciò che stava accadendo, all'improvviso sul suo petto apparve una rappresentazione dell'anello ancora sollevato tra le mani dell'uomo, luminoso come un sole e circondato da strani glifi; nel momento in cui il simbolo apparve, ad ella mancò il fiato. 
Le sembrava di annegare; annaspò per aria, ma non ne venne nei suoi polmoni che andavano svuotandosi. 
 
"Cosa sta succedendo?" iniziò a chiedersi, in una frenesia dettata dal panico, il suo cervello deprivato d'ossigeno "Cosa MI sta succedendo?" ma nessuna risposta venne, dal momento che dalle sue labbra non uscì altro che un ultimo sospiro, la sua ultima riserva d'aria; con la vista che si stava scurendo ai lati, segno che stava per perdere conoscenza, lei riuscì tuttavia a cogliere le ultime parole dell'uomo al suo fianco, che concluso il suo compito, si era apparentemente chinato su di lei. 
«Trovalo, Nishitzu. Trova "---" e proteggilo, anche a costo della tua vita. Contiamo tutti su di te»
Con quell'ultima frase che le rimbombava nelle orecchie, lei chiuse gli occhi e si abbandonò" 


 
La giovane donna si svegliò di soprassalto, scalciando via le coperte e gettando il cuscino sul pavimento nella foga di mettersi seduta; non riusciva a respirare, l'illusione di soffocare del suo sogno che ancora le chiudeva la gola. 
Era spaventata, anzi peggio, assolutamente atterrita: "cosa le stava succedendo?"; la stessa domanda che si era più volte ripetuta, in modo lucido, nel suo bizzarro sogno, tornò ad assillarla anche nella veglia, anche se applicata ad un'altra situazione, probabilmente equamente bizzarra a quella che aveva vissuto durante il sonno.
Ansimando rumorosamente, e sforzandosi di regolare il respiro affannato per evitare l'iperventilazione, la giovane rifletté sulle particolari circostanze che l'avevano piagata nell'ultimo periodo: sogni che assomigliavano pericolosamente a ricordi che ella non riconosceva come suoi, blackout senza spiegazioni di pezzi della sua giornata, e voci che le parlavano dal retro della sua coscienza, suggerendole che aveva dimenticato qualcosa, che stava escludendo qualcosa, qualcosa di molto importante, dal suo pensiero cosciente; i segni di un evento particolare erano tutti lì, eppure la ragazza non avrebbe saputo dire di che avvenimento si trattasse nemmeno sotto tortura. 
Sembrava quasi che tutto l'universo sapesse qualcosa che lei non sapeva, e che invece avrebbe dovuto esserle ovvio. 
 
Esaurita da quel susseguirsi di avvenimenti, la giovane guardò scoraggiata lo schermo del cellulare, poggiato come al solito sul comodino cubico e anonimo, di legno chiaro, che sostava pericolosamente vicino al letto, secondo il suo parere -prima o poi avrebbe finito col sbatterci la testa durante uno di quei sogni terribili e agitati- e lesse i numeri che vi erano scritti sopra: le nove e trenta del mattino; era totalmente ed irreparabilmente in ritardo per la sua prima lezione di quella giornata. 
Guardando il calendario sempre più affranta, ella considerò per un brevissimo istante di saltare le lezioni: d'altronde come avrebbe potuto affrontare la giornata normalmente, ora che gli episodi di quello strano fenomeno che stava colpendo la sua mente si erano fatti più intensi e ravvicinati? Eppure la sua borsa di studio, che era l'unica cosa che le permetteva di usufruire degli alloggi del campus, dal momento che la giovane aveva un accesso ristretto ai suoi risparmi, la costringeva a frequentare un numero minimo di lezioni pena la sospensione di suddetto sussidio. 
Sfortunatamente per lei, la ragazza era pericolosamente vicina a quella soglia; sbuffando, dunque, ella si alzò dal materasso, si fece una doccia veloce nel piccolo bagno senza finestre annesso alla camera, reso ancora più buio e stretto dalle piastrelle blu scheggiate che lo ricoprivano, si lavò i denti al corto lavandino vecchio e malandato, e si truccò e pettinò brevemente guardandosi ad uno specchio posto troppo in basso per la sua statura. 
Quando si trovò sufficientemente decente per uscire dalla propria stanza mediocre, perfettamente in linea con gli standard che un alloggio da studente universitario dovrebbe tenere, la giovane prese la sua borsa a tracolla color mattone contenente i libri di testo che le servivano per quella giornata, e uscì, chiudendosi la porta a chiave alle spalle; la distanza tra l'edificio che ospitava i mini appartamenti -sì, alcuni, come il suo, avevano anche un piccolo cucinotto, oltre alla camera da letto ed al bagno- degli alumni e la struttura con le classi ed i laboratori era irrisoria, tuttavia per il fisico provato della giovane si rivelò una sfida ardua arrivare in aula 7, dove il professore di programmazione avanzata avrebbe tenuto il suo seminario, in meno di dieci minuti. 
Come nota positiva della giornata, la ragazza riuscì ad arrivare in tempo, evitandosi così le occhiatacce di compagni e professore. 
Per quanto la materia le interessasse moltissimo, ed il professore, giovane per l'età media dei docenti correntemente all'attivo, spiegasse divinamente e fosse coinvolgente nelle sue riflessioni, il cervello della ragazza continuava a tornare, per qualche strana ragione, alle persone e agli avvenimenti che aveva sognato la notte prima; ella, infatti, ripercorreva ininterrotta con l'occhio della mente ogni percorso fatto, ogni discorso, ogni figura misteriosa incontrata, sia nel sogno più recente che in quelli precedenti, intanto che una strana pressione iniziava a farsi strada dal retro del suo cervello.
Cosa aveva dimenticato, di così importante da sollevare un tale polverone?
Evidentemente quei pensieri la stavano portando sulla strada giusta -o forse quella sbagliata- perché successe di nuovo: un momento prima la giovane si trovava ad un seminario di programmazione avanzata, e quello dopo invece era seduta sulle scomodissime poltroncine blu imbottite del laboratorio di Architettura degli elaboratori, due piani sopra l'aula in cui lei avrebbe giurato di trovarsi fino ad un battito di palpebre prima; un altro blackout, nel quale la coscienza vigile della ragazza era stata impegnata a ripercorrere ricordi che si facevano sempre più chiari. 
Ora ricordava il giusto ordine delle cose, le caratteristiche delle persone, ed i dettagli delle stanze. 
Riusciva a richiamare l'odore della sabbia annerita dal fuoco che aveva inalato quando era entrata nella grande stanza con l'altare al centro; era chiaro nella sua testa ogni singolo particolare: le colonne fitte di geroglifici della stanza, la pelle abbronzata dell'uomo di fronte a lei, i suoi occhi scuri preoccupati, le sue mani callose, le sue vesti di ruvido lino grezzo, bianche ed in alcuni punti macchiate di sangue non suo. 
Cosa diavolo era successo, che ella aveva voluto sigillare, nel suo passato? 
Il responsabile dell'esercitazione in laboratorio annunciò la fine della lezione, spronando gli alunni a lasciare l'aula in fretta poiché avrebbe dovuto essere pulita e poi sarebbe stata chiusa a chiave, così la giovane si alzò in piedi, stringendo con forza la bretella della borsa che le occupava la spalla destra, e si avviò verso il proprio alloggio; per oggi aveva chiuso. 
Avrebbe dovuto seguire materie differenti fino quasi a sera inoltrata, eppure ella lasciò il blocco principale dell'università, una costruzione bianca e asettica, di stampo industriale/urbano, che era appena primo pomeriggio; la ragazza quindi procedette a rientrare nella sua stanza, dove si buttò sul letto e si addormentò di botto, la mancanza di un sonno di qualità che si faceva sentire. Sognò comunque, anzi, ricordò: ricordò di cose della sua vita che non le erano mai successe, di capacità che non avrebbe dovuto avere e di una chiave che scivolava in una toppa, una chiave particolare, con una inconfondibile forma a croce, la cui parte superiore però, invece di essere dritta, formava una specie di asola; la serratura che la ospitava protestò, mentre la chiave ne forzava i meccanismi arrugginiti, eppure alla fine anche quell'ultima barriera cedette, spalancandosi come una porta e liberando un fiume di informazioni che parvero riversarsi nella mente della giovane incosciente come un mare in tempesta. 
 
Quando una compagna di corso della giovane, nonché una delle sue poche amiche, bussò alla porta della sua stanza, svegliandola, la ragazza si ritrovò con una nuova consapevolezza di sé che andava formandosi, germogliando simile ad un bocciolo che in primavera spunta dai rami morti e congelati dall'inverno; tuttavia, la presenza della nuova arrivata parve disturbare il processo di nascita di quella nuova conoscenza, che si ritirò, timida, in un angolo della mente della giovane, la quale decise di ignorarla in favore di cenare con l'amica, che l'era venuta a prendere per la solita serata "sole donne" tra lei, la compagna e qualche altra ragazza che faceva parte del loro gruppo di studio. 
Il pasto passò senza alcun intoppo, il chiacchiericcio mondano e leggero che distraeva la ragazza dai suoi problemi a sufficienza da non farli manifestare, e così fecero anche le ore ad esso successive, nelle quali il gruppo di giovani donne decise di andare a vedere un film al cinema; il titolo le sfuggiva, ma la trama non era troppo sdolcinata, e le interessava abbastanza da permetterle di concentrare tutta la sua attenzione sullo spettacolo, favorendo, ancora una volta, una distrazione.
Finito anche il film, finalmente la combriccola si avviò verso le rispettive abitazioni, dopo essersi salutata in una profusione di abbracci ed auguri per l'imminente periodo d'esame; intanto che tornavano verso il campus, la ragazza e la sua amica presero a parlare svogliatamente, quasi per moda, del prossimo torneo di Duel Monsters che si sarebbe tenuto lì a Domino City. 
La compagna di corso prese a lamentarsi con passione di come quel borioso Seto Kaiba non avrebbe fatto altro che creare disagi, bloccando le aree della città ed i trasporti, ed in alcuni casi, persino le loro lezioni, e la giovane non poté fare altro che trovarsi d'accordo; tuttavia, il suo assenso nascondeva un'ulteriore ragione: infatti, era da quando Ishizu Ishtar aveva aperto la sua mostra e Seto Kaiba aveva annunciato la sua stupidissima Battle City appena due giorni prima, che lei aveva iniziato a manifestare quello strano malessere che ora era arrivato ad impedirle di vivere la sua vita. 
Come se la situazione quasi al limite dell'assurdo non fosse una beffa sufficiente, in quell'istante, l'universo decise di dare un messaggio alla ragazza: il peggio doveva ancora venire; infatti, proprio mentre la giovane salutava l'amica, che alloggiava appena oltre i cancelli del campus, nell'altra ala dedicata agli alloggi, quelli destinati ai rampolli di famiglie un po' più facoltose, grosse nuvole, così scure da sembrare nere, che erano andate accumulandosi durante il tardo pomeriggio, decisero di rilasciare il loro pesante carico sotto forma di un acquazzone epocale.
Imprecando, la ragazza corse come il vento verso il proprio alloggio, preoccupata di sporcare il bel vestito bianco che aveva sfoggiato per l'occasione; non fece in tempo, però, a togliersi scarpe e vestito bagnati ed ad asciugarsi, che un altro episodio, questa volta molto più forte degli altri, la colpì. La sua mente cedette il controllo del suo corpo ad una forza sconosciuta, che sembrava attirarla in un luogo lontano dal suo appartamento studentesco; incapace di resistere, o di opporre resistenza, dal momento che il suo io cosciente sembrava aver chiuso i battenti, rifugiandosi da qualche parte all'interno del suo cervello in pilota automatico, la giovane fu solo capace di buttarsi addosso la camicia da notte che usava per dormire, ovvero la prima cosa che si era trovata davanti rispetto a dove si trovava, lì in piedi di fianco al letto, prima di perdere totalmente sia conoscenza che coscienza di sé. 
 
"La ragazza correva a perdifiato, la paura di arrivare troppo tardi che le metteva le ali piedi, i polmoni che pompavano come mantici, pur senza essere capaci di fornire abbastanza ossigeno da supportare un tale sforzo; ella non ci badava, incurante del proprio fiato che era sempre più affannoso e rarefatto, e continuava a spingersi in avanti, sempre di più, sempre di più." 
 
Nella realtà, la giovane stava correndo per le strade di Domino City piagate dalla pioggia, i piedi nudi che battevano sull'asfalto, graffiandosi e ferendosi, e la camicia da notte ormai zuppa attaccata al suo corpo come una seconda pelle, umida e scomoda; la gente la guardava passare, lanciandole occhiate a metà tra lo stranito ed il preoccupato, senza fermarla, troppo intimorita dalla possibilità di incappare in guai grossi, troppo grossi da gestire per le loro misere vite impegnate, intanto che ella non dava cenno di volersi arrestare, quasi insensibile alle sue estremità intirizzite e sanguinanti, ed al gelo della veste zuppa. 
Lei correva senza dare alcun segno di fatica, guardandosi intorno con occhi vuoti, privi di vita e sbarrati, quasi a cercare, franticamente, qualcosa a cui non sapeva ancora dare un nome. 
 
"Ella corse senza sosta, passando molte delle infinite stanze del palazzo Reale, pregando che, prima o poi, quei labirintici corridoi la portassero doveva doveva stare: al fianco del suo Re; ad un certo punto, intanto che avanzava, scorse il parapiglia di guardie che combattevano contro spiriti senza nome, e si fermò, piena d'orrore, ad osservare quelle manifestazioni ferali. 
Lei era figlia di una di quelle creature orrende. 
Il solo pensiero la spronò ad avanzare ancora. 
Doveva trovare sua Maestà, a tutti i costi" 
 
A rapprensentare la realtà del ricordo che stava rivivendo in quegli istanti, la giovane si fermò momentaneamente di fronte ad una vetrina buia di quello che pareva essere un negozio di abbigliamento come un altro, il viso rivolto verso la superficie parzialmente riflettente che, nell'oscurità, si era trasformata in uno specchio; ella scrutò per qualche secondo la propria figura sdoppiata da quello specchio improvvisato, prima che i suoi lineamenti si contorcessero in una smorfia di orrore. Ansimando e gorgogliando di disgusto, come se avesse visto la più grottesca delle creature, la ragazza si voltò bruscamente dalla parte opposta rispetto a quella in cui aveva scrutato fino a qualche secondo prima, quasi a strappare lo sguardo da quella visione orrenda, e riprese a correre verso la sua ignota meta. 
 
"Stava correndo alla cieca, lo sapeva, aveva permesso al panico ed alla disperazione nel suo cuore di prendere il sopravvento; eppure, nel profondo del suo essere, un richiamo la stava guidando nella direzione giusta, o almeno lei lo sperava con tutto il cuore. 
Lo sentiva, sentiva il calore dell'aura del Re; percepiva il suo potere, la coltre tranquilla della sua anima. 
Sono vicina, pensò" 
 
Lo sentì anche nella realtà, il richiamo farsi più forte, impossibile da rifiutare, così alto da sovrastare tutto il resto; il suo corpo stava cedendo alla stanchezza e alla fatica, si rese vagamente conto lei, consapevole appena di poter evitare gli ostacoli più grossi che le si paravano davanti. Inciampò due volte di seguito, che si aggiunsero alle altre due durante il resto del tragitto, e si sbucciò prima un ginocchio, poi un gomito, cercando di sorreggersi alla parete di un palazzo per evitare la caduta; non ce la faceva più: iniziava a sentire il dolore dei piedi escoriati e tagliuzzati dai detriti sul marciapiedi, l'affaticamento dei muscoli, il bruciare dei suoi polmoni e le stilettate fredde della pioggia, l'acqua che le inzuppava i capelli e la camicia da notte che non faceva altro che peggiorare dieci volte tanto la cosa...eppure, lo percepiva, che la sua meta era così dannatamente vicina. 
Alla cieca come un uomo nel deserto che cerchi l'oasi, dunque, la giovane avanzò, meno spedita di prima, ogni metro che pareva infinito, intanto che nella sua mente i ricordi si facevano più prepotenti nella loro richiesta di essere uditi, vissuti. 
 
"Stramazzò a terra e non riuscì più a rialzarsi. 
Quante volte era ormai caduta? Aveva perso il conto. Non riusciva più a muovere un dito...com'era possibile che quel dannato palazzo fosse così immenso? 
Non importava quante stanze avesse il palazzo Reale o quanto lunghi fossero i suoi corridoi, ella aveva perso; non riusciva più ad andare avanti, era tutto perduto. 
Proprio quando era pronta ad arrendersi, la ragazza vide una luce fortissima giungere, insieme ad una figura che se ne stava proprio al centro di quel bagliore intenso, quasi ne fosse la fonte; e forse lo era, visto che la luce sembrava seguire ogni singolo movimento di quella misteriosa persona. 
Quando giunse più vicino a lei, e fu finalmente riconoscibile, la giovane prese a singhiozzare senza freno, ogni rantolo e gemito accompagnato da lacrime abbondanti; eccolo, sempre più vicino, il suo Re, la sua meta irraggiungibile. 
Il Sovrano si fermò solo quando le fu di fronte, tanto che se avesse disteso appena le braccia, avrebbe potuto sfiorargli le caviglie, e si chinò su di lei con un bellissimo sorriso incoraggiante, le prese le spalle in una stretta forte ma non dolorosa, e la sollevò come se non pesasse nulla. 
Fu allora che la ragazza sentì la speranza rinascere, e si rese conto che il ricordo era sfociato in sogno. 
Era quasi giunta al termine di quell'estenuante viaggio." 
 
La ragazza aveva attraversato mezza Domino City, correndo di vialetto in vicolo, e di passaggio in strada principale; aveva passato aree piene di gente che come lei correva per cercare riparo, era schizzata lungo file interminabili di vetrine, alcune illuminate e con persone che si muovevano dietro di esse, ed altre buie, che nascondevano le merci più disparate con il loro velo di oscurità, riflettendo soltanto quello che i passanti volevano vedere e niente più, ed infine era giunta in un area relativamente tranquilla, dove i grattacieli avevano lasciato spazio a palazzi più bassi, i centri commerciali si erano trasformati in piazzole aperte delimitate da piccoli café e negozi caratteristici ed erano comparsi parchi giochi ed aree verdi, con aiuole e panchine per riposarsi, allontanarsi dalla caotica vita del centro industriale. 
La sua andatura era passata da una corsa sicura, ad uno scoordinato avanzare zoppicante, ed infine ad un passo lento e trascinato; ogni cosa dentro di lei gridava di fermarsi, eppure, anche contro la sua volontà, quel richiamo continuava prepotentemente ad attirarla, tenendola avvinta in una stretta ferrea che faceva appello al sollievo di un'agonia senza tempo che la ragazza neppure ricordava di aver provato. 
Se avesse potuto fermarsi a pensare, probabilmente ella si sarebbe resa conto che la puntura nel retro della sua mente, quel prurito che non era mai riuscita a grattare nel suo io più profondo, non era altro, probabilmente, che una pallida manifestazione dell'agonia incancellabile che la giovane aveva probabilmente volontariamente sigillato lontano dalla sua mente lucida, in un vano tentativo di ridurre il dolore emotivo che l'affliggeva; tuttavia in quel momento non lei non aveva quel lusso, e le sue domande dovettero essere archiviate senza ricevere una risposta concreta.
Nonostante, però, tutti quei quesiti messi a tacere fossero importanti, alla fine la cosa veramente fondamentale era che finalmente, la ragazza aveva raggiunto la sua meta.
Dopo l'ennesima svolta, la giovane si ritrovò ad affacciarsi su un viale abbastanza spazioso, una strada a doppia corsia bordata da un marciapiede ampio ed alberato da entrambi i lati, lungo il quale correvano diversi edifici modesti ma colorati, addossati gli uni agli altri come tanti tasselli di un variopinto puzzle; con passo sicuro, seppur zoppicante, la ragazza si diresse verso una costruzione in particolare, che si trovava dalla parte opposta della strada rispetto a dove era emersa lei: era un negozio di un colore giallo acceso, che pareva allegro anche nel grigiore della pioggia battente, con il tetto verde scuro e la scritta "Game" scritta a grosse lettere rosse e tondeggianti posta esattamente sopra ad una porta a vetri che doveva dare accesso alla struttura. 
L'edificio aveva una forma particolare: era un grosso rettangolo, con un semicerchio che ospitava la fragile porta d'ingresso, mentre il secondo piano era un rettangolo più piccolo, posto esattamente al centro dell'altro, che dava un effetto "torre"; a giudicare dal suo aspetto, quella era una costruzione che ospitava non solo un'attività, ma anche la residenza dei proprietari. 
Senza curarsi troppo dei dettagli, tuttavia, la ragazza si concentrò solo sul caricare come un ariete infuriato la porta d'entrata, che con quei pannelli di vetro montati su una sottile intelaiatura di legno scuro, fu una preda facile: il battente infatti, cedette quasi subito sotto il peso di quell'attacco brutale, aiutato anche dall'adrenalina che la ragazza aveva in corpo, i pannelli di vetro che andarono in frantumi immediatamente non appena la figura si schiantò contro di essi; tolto di mezzo il vetro, la giovane, incurante degli affilati frammenti di vetro che la tagliavano, non ebbe problemi a sbloccare la serratura e ad entrare nel piccolo negozio stipato di scaffali su scaffali di giochi, pacchetti di dadi e bustine di carte, i suoi piedi sanguinanti che lasciavano impronte grottesche sulle piastrelle verde chiaro del pavimento pulito. 
 
La giovane non riuscì ad infilare più di quattro passi verso il registratore di cassa, prima che la porta di legno scuro e pesante che collegava il negozio all'area residenziale si aprisse con uno schianto; dalla cornice della porta spalancata emersero, in ordine, un uomo anziano con una mazza da baseball all mano, un ragazzo delle superiori con una capigliatura assurda, ciuffi sparati ovunque che andavano dal magenta esterno, al nero in mezzo, al biondo della frangia, ed una donna di mezza età con la faccia spaventata ed un cellulare tra le mani. 
Il signore anziano, che pareva portare una versione più ordinata della pettinatura del giovane accanto a lui, e che aveva i suoi stessi occhi color ametista, fu il primo ad avanzare verso la sconosciuta che ora se ne stava immobile al centro dello spazio, mazza sempre alzata e pronta a colpire; con sua sorpresa, però, la ragazza non si mosse, se ne rimase semplicemente in piedi a fissare il vuoto, gli occhi vitrei che guardavano senza vedere realmente. 
Percependo che la minaccia posta da quell'estranea era minima, il vecchio decise di abbassare la sua arma improvvisata, volendo evitare di ferire accidentalmente qualcuno che poteva essere innocente e cambiando il suo obiettivo da abbattere un possibile intruso ad aiutare una persona che pareva in difficoltà, stretta com'era in quegli stracci bagnati e coperta di sangue; nel vedere la figura più anziana ed esperta cambiare atteggiamento, anche il ragazzo parve rilassarsi, osando fare qualche passo a sua volta in direzione della strana donna che se ne stava dritta in piedi senza muoversi, quasi fosse una statua. 
Intanto che il signore anziano la studiava con attenzione, cercando un modo per approcciarsi a lei senza spaventarla, anche il ragazzo più giovane la valutò, decidendo, infine, che davvero quella giovane donna non era una minaccia; giunto a quella conclusione, dunque, egli si voltò verso la donna alle sue spalle, che ancora se ne stava, insicura di cosa fare, sulla soglia dalla quale erano emersi tutti e tre poco prima, per tranquillizzarla. 
«Non preoccuparti, mamma» disse, il tono tranquillo, anche se ancora velato di incertezza su cosa esattamente ci facesse quell'intrusa lì «questa ragazza è innocua, probabilmente sta solo cercando aiuto, anche il nonno pensa sia così» non appena le parole del ragazzo ebbero raggiunto le orecchie della ragazza, qualcosa dentro di lei scattò. 
"E' lui. L'ho trovato"
E' lui. Ne era sicura. L'aveva trovato. 
Il richiamo dentro il suo cuore e dentro la sua mente si alzò con un grido un'ultima volta, prima di spegnersi in un mormorio lontano, lasciando in sua vece una tonnellata di ricordi aggrovigliati e un'agonia, finalmente libera dalla sua prigionia, che pareva annientare tutto il resto; la giovane, finalmente libera dal controllo di quello strano fenomeno che l'aveva posseduta, ma comunque in preda a ricordi che parevano urlare tutti assieme per ricevere la sua attenzione, avanzò di un passo verso il ragazzo di fronte a lei, arrivandogli a meno di un braccio di distanza, e gli crollò in ginocchio davanti, quasi prostrandosi. 
«Mio Re, vi ho trovato finalmente» gli disse, alzando appena il volto a guardare l'altro in viso, lacrime copiose che le scendevano lungo le guance già bagnate «dopo questa lunga ricerca, sono finalmente giunta fino a voi, per servirvi fino alla morte» la voce le uscì roca e forzata, la gola le doleva in modo insopportabile dopo tutti gli sforzi quasi inumani che aveva compiuto per arrivare fino a lì, ma ella non ci badò; dal canto suo, nel vederla avvicinarsi il giovane aveva fatto un mezzo passo indietro d'istinto, rimanendo gelato sul posto quando la donna di fronte a lui gli era crollata davanti, quasi collassando sul pavimento, le ginocchia che avevano incontrato le piastrelle con un suono quasi doloroso. 
Gli occhi spalancati di lui poterono solo fissare quella sconosciuta pieni di stupore e sgomento, intanto che le sue parole così stentate gli penetravano nel cervello; egli rimase infatti pietrificato, incapace di fare qualsiasi cosa se non guardare intanto che la ragazza gli rivolgeva uno sguardo pieno di qualcosa...un sentimento caldo, pieno, e orribilmente infinito, che le riempì gli occhi scuri prima che si chiudessero, ed ella collassasse definitivamente per terra come un sacco di patate, priva di conoscenza. 
 
Il silenzio regnò nell'ambiente per qualche secondo, prima che l'uomo anziano lo rompesse, affrettandosi verso il nipote e chiamandolo per nome per riscuoterlo dallo stupore in cui era precipitato «Yugi! Yugi...stai bene? Conosci questa ragazza?» la voce di roca del nonno sembrò riportare Yugi alla realtà, seppure egli rimasse totalmente confuso di fronte a quella ragazza ed alla situazione in generale «Sì, nonno...io sto bene, non preoccuparti. Non credo che mi avrebbe fatto del male. In ogni caso...non possiamo lasciarla qui, no? Penso abbia bisogno d'aiuto, portiamola in casa» optò per rispondere il giovane, la voce incerta ed il cervello che si sforzava di mettere insieme una frase concreta che gli permettesse allo stesso tempo di tranquillizzare i suoi familiari e di trattenere la giovane donna lì, così da poterle farle delle domande esaustive non appena si fosse svegliata; apparentemente, le sue parole furono efficaci, e non notando la domanda brutalmente ignorata, l'uomo più anziano si limitò ad annuire, aiutando il nipote a trasportare la ragazza dentro l'abitazione, dove i due uomini la lasciarono alla cure amorevoli della mamma di Yugi. 




Nota dell'Autrice: Salve a tutti! Mamma mia...sono ancora qui! E niente! Sono tornata con la mia prima Long, su Yugioh!, oltretutto. E' un progetto che avevo in cantiere da tantissimi anni, e finalmente ho trovato le energie di cominciarlo e portarlo avanti! Spero che vi piaccia... Dunque: qualche nota esplicativa! La storia presenta la "coppia" Yami Yugi/OC/Yugi Muto e seguirà gli eventi canonici narrati con l'aggiunta del mio OC (alter ego)...è una Canon Divergence, si può dire? Il Rating Arancione è perché ci saranno, come nel canon, qualche scena di violenza non troppo cruda e accenni ad alcune tematiche sensibili, anche se non nel dettaglio...diciamo che ho voluto stare sul sicuro. Detto questo, vi lascio alla storia...se mi sono dimenticata qualcosa, che è probabile...spero di riuscire ad aggiungerla presto xD
  
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