Serie TV > Pretty Little Liars
Ricorda la storia  |      
Autore: KatWhite    09/05/2017    0 recensioni
Hanna sorrise come non aveva mai sorriso, mostrando tutti e trentadue i denti, come ti dicono di fare a scuola quando devi fare la foto per l’annuario per sembrare la più bella; ed era così che si sentiva con Caleb: bella, al sicuro e l’unica nel suo cuore, come la principessa per il suo principe. Come aveva potuto fare a meno dell’unica cosa che desse minimamente senso alla sua vita per più di due anni? Come poteva starsi per sposare con Jordan sapendo di stare rinunciando a tutto questo?
«Mi assicuravo che tu fossi reale, che tu fossi veramente qui, con me»
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caleb Rivers, Hanna Marin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
You even liked my clumsy moments
But I wonder if I even deserve that love
You always waited for me at that spot
You embraced me with your arms, so thankful to you
[…]
Just like the saying, we are one
 
Mani che si baciavano, labbra che si cercavano, corpi che si bramavano, urla e gemiti sussurrati, altri invece urlati senza pudore, odori che si confondevano e mischiavano, pelli che tremavano non per i brividi di quella notte di luna fredda ma per le emozioni, le sensazioni che entrambi gli amanti stavano provando per la prima volta.
Il corpo di Hanna sussultò nel dormiveglia, mentre poteva ancora sentire le carezze di Caleb sulla sua schiena, i brividi che scivolavano lascivi lungo la spina dorsale, il peso caldo del corpo dell’amante sul suo petto. Tenne ancora gli occhi chiusi mentre respirava regolarmente, non voleva lasciare quell’immagine di loro due, perfetti e solitari, contro il mondo. Era sveglia, ma voleva che la favola e la magia durassero ancora un po’, prima di tornare alla cruda realtà e affrontare quella pazza di sua madre e quell’altra pazza di -A.
Sorrise stirando le labbra, stiracchiandosi leggermente e provando anche a girarsi, ma sentiva la testa di Caleb e i suoi capelli -quasi più belli dei suoi!- sparsi sulla sua clavicola, perciò si costrinse a rimanere immobile. Nella sua testa non rimbombava che lo stesso nome: Caleb, Caleb, Caleb. L’uomo che l’aveva resa donna, l’uomo che era riuscito a cancellare per sempre l’etichetta stampata indelebilmente nel suo cuore di “Hanna la grassona”, che l’aveva presa, accettata e amata così com’era: rompiscatole, pettegola e gentile; colui che aveva ricevuto tanto dolore e delusioni dalla vita, esattamente come lei, ed, esattamente come lei, la combatteva e la voleva affrontare, cercava un appiglio a cui aggrapparsi.
Aprì finalmente gli occhi, e li spalancò sorpresa: credeva di essere stata la prima a svegliarsi, ma gli occhi mogano di Caleb, perfettamente svegli e vigili, la fissavano con attenzione, osservando e studiando un qualunque movimento, anche il più piccolo dettaglio insignificante, della bionda.
«Sei sveglio, Rivers» borbottò Hanna, sorridendo di quel sorrisetto che voleva sembrare provocatorio e sornione, ma che risultò solamente tenero ed impastato dal sonno.
Caleb non le rispose a parole, ma a gesti: si chinò su di lei, e le baciò dolcemente le labbra che sapevano di fresco e fragole. Hanna ricambiò lentamente, e dopo pochi istanti si separò da lui. Lo fissò dritto negli occhi, incatenandoli ai suoi: cielo e terra si scontravano e si univano, legandosi indissolubilmente all’interno delle loro iridi. «Che cosa stavi facendo?» domandò la Marin, curiosa come al solito di sapere tutto di tutti.
«Ti guardavo» rispose semplicemente il ragazzo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Le guance di Hanna esplosero all’improvviso e si tinsero di rosso: «C-che vuoi dire, pervertito?» domandò fingendosi offesa per nascondere l’imbarazzo.
Caleb sospirò, e le passò una mano sui capelli color oro. «Sei bellissima» disse in un soffio, come rapito da quella rappresentazione celestiale, ma era esattamente questo per lui la sua Hanna: un bellissimo angelo, un po’ imbranato, un po’ buffo, un po’ civettuolo, ma allo stesso tempo forte e impetuoso. Possedeva la bellezza delle onde del mare che si frantumano contro gli scogli, fermezza in quegli occhi cerulei travolgenti ed irruenti, l’oro nei capelli ondulati e setosi, il profumo di fragola che si insinuava pericoloso nel suo corpo. Tutto quanto per fargli perdere il controllo, per farla desiderare ancora più di quanto già non la desiderasse. «Voglio ricordarmi tutto di te, voglio imprimermi ogni tuo piccolo movimento, spasmo o rumore nella mente, così da non sentire troppo la tua mancanza quando tornerai a casa».
Hanna, sentendo quelle parole, trattenne le lacrime con forza, e allungò le labbra nel sorriso più dolce che Caleb ebbe mai visto. Si sentì onorato di essere l’unico a poter vedere quella parte indulgente e fragile di Hanna, ed in quel momento seppe che doveva proteggerla: non era un obbligo imposto come fidanzato o una voglia passeggera, era un bisogno impellente, quasi fisico: niente e nessuno avrebbe mai dovuto toccare e far sparire quello splendido sorriso da quelle labbra rosee e soffici. Hanna Marin era sua, e nessuno l’avrebbe mai toccata.
«Ti amo» confessò Hanna, con le guance in fiamme e il cuore che le martellava prepotente nel petto, e immediatamente dopo le loro bocche si trovarono, incastrandosi alla perfezione come due pezzi di un puzzle; come se quelle bocche fossero state fatte apposta per incontrarsi, ancora, e ancora, e ancora.


 
At some point, it seemed like you were crying even when you were smiling
You couldn’t love me with a peaceful heart
[…]
I know I can’t turn back a promise that I’ve already broken
But I want to live and breathe next to you for all my life
 
Un potente quanto insolito raggio di sole trapassò le tende color lilla della stanza da letto di Hanna Marin e Jordan Hobart. La cosa sorprese non poco la bionda, dato che nella grande mela era tanto insolito vedere della luce trafiggere le nuvole nere cariche di smog, quanto trovare un ago in un pagliaio.
La Marin dava le spalle al suo promesso sposo e allungò leggermente le braccia prima di girarsi, per poi scoprire il talamo freddo e vuoto: dove ci sarebbe dovuto essere il corpo caldo e muscoloso di Jordan c’era invece la sua ombra allungata. Fece quindi un mezzo sospiro di sollievo e si rigirò dall’altra parte, verso quel tiepido calore solare, raggomitolandosi in se stessa come quando faceva da piccola per affrontare tutte le paure del mondo e le prese in giro: aveva ormai messo da parte la sua controparte infantile, ma certe abitudini erano dure a sparire, specie quelle che riguardano la protezione di noi, di ciò che ci è più caro. Ripensò a come si era stretta a sé quella sera, sola, sotto la pioggia, in lacrime quando seppe che Caleb l’aveva abbandonata: le sue braccia tremavano, le unghie -perfettamente smaltate di rosso- graffiavano i lembi delle maniche del cappotto con quanta più forza potevano avere, il suo corpo era scosso da mille fremiti e bruciava di quella lama a doppio taglio che era l’amore: a volte dolce e benefico come il miele, altre volte venefico e letale come il morso di un serpente. Quello stesso coltello ora era intinto nel veleno, e le scorreva nelle sue vene, la corrodeva e la distruggeva, sia dentro che fuori.
Si era convinta ad accettare la proposta di Jordan, credendo ingenuamente che così sarebbe stata in grado di cancellare l’immagine di Caleb dalla sua mente, cosicché Jordan sarebbe riuscito a rimettere insieme ciò che restava dei frammenti del suo cuore, di ricucirli assieme e di permettere così che ribattesse di nuovo, per un uomo diverso. Eppure quei frammenti erano sempre lì nel suo petto e facevano male come delle schegge di vetro che ogni secondo penetravano sempre più in profondità nella carne; era come se stesse morendo, al rallentatore, di una morte lenta e atroce.
Hanna stessa non poteva credere che proprio lei stava soffrendo per amore: prima, era stata messa da parte una vita intera coperta dalla ombra di Alison che aveva causato in lei seri problemi di fiducia e relazione col prossimo avendo anche delle conseguenze sul suo fisico, e di conseguenza inizialmente pensava che mai nessun ragazzo si sarebbe potuto interessare a lei; poi, dopo la scomparsa di Ali, la vera Hanna aveva iniziato ad uscire piano piano fuori dal guscio e non aveva più bisogno del cibo come sfogo per non riuscire ad essere se stessa: sempre con pazienza e tenacia, Hanna era dimagrita e aveva lavorato anche sul suo carattere, diventando la ragazza in e trendy del liceo, la classica ragazza da sogno che ogni capitano della squadra da football dovrebbe avere. Queste erano le aspettative di Hanna Marin, e Caleb Rivers era stato un imprevisto: non pensava mai che qualcuno si sarebbe davvero potuto innamorare di lei e, ovviamente, di poter ricambiare tutto questo amore in ogni singola goccia.
E Jordan? Jordan era il capitano della squadra di football: ‘è naturale che due come loro stiano insieme’. Questa era la doxa, il senso comune: ‘un’aspirante stilista bella e perfetta come Hanna Marin non può stare con un nerd fissato dei computer come Caleb Rivers’.
E ora, dato che lei per prima aveva rinunciato a lui, a loro (e per cosa? Per una cosa stupida come il lavoro? Quanto può contare la carriera se c’è in gioco l’amore della tua vita?) non poteva fare altro che piangersi addosso e rimpiangerlo per sempre: d’altronde la colpa era sua, e forse si meritava tutto questo dolore per aver scelto la carriera.
E mentre la Marin rifletteva su tutto questo in quel letto freddo e troppo grande per uno scricciolo come lei, si fissò le mani che stringevano veemente le ginocchia. Il luccichio dell’anulare catturò all’improvviso la sua attenzione e alzò apaticamente la mano sinistra, quasi come se ogni dito pesasse almeno un quintale. Se la portò davanti al viso, gli occhi le pizzicavano mentre, presa da uno scatto tanto repentino quanto inaspettato, la mano destra si levava lesta e veloce, posandosi sull’anello di diamanti ed estraendolo forzatamente, a volte bloccandosi, come se stesse facendo uno sforzo immane.
«Tesoro buongiorno» arrivò squillante la voce di Jordan.
Hanna si girò di scatto cercando di rilassare il proprio corpo e rinfilando più veloce che poteva la fede. Si concesse qualche secondo per assumere un’espressione normale e assonnata guadagnando tempo strofinandosi gli occhi, e poi finalmente i suoi occhi incontrarono la figura di Jordan sorridente davanti all’ingresso con un vassoio in mano.
«La colazione a letto, che lusso» scherzò la bionda forzando una risatina.
«È per farmi perdonare amore, stasera purtroppo non sarò a casa perché ho un meeting» arrivò la voce di Jordan, che si sedette al capezzale della ragazza.
«Ah» rispose Hanna.
Jordan si avvicinò e la baciò, un breve contatto umido. Dopodiché si staccò e, accarezzandole il mento con la punta del pollice, fissò la bionda in quegli occhi color ghiaccio: si accorse che erano solcati da un velo di amarezza. «Non essere triste piccola, appena questo affare sarà concluso, giuro che ci dedicheremo completamente al matrimonio» asserì con voce colma di speranza Hobart.
«No amore, lo so. Solo che…» la voce di Hanna si interruppe bruscamente, cercando le parole più adatte per concludere quella frase. «Ho fatto un brutto sogno e sono un po’ triste» mentì la piccola bugiarda bionda.
«Sono solo un po’ triste» ripeté Hanna mentre Jordan cercava di decifrare il suo sguardo. Ma la Marin non glielo permise perché si alzò subito e andò in bagno.

 
 
I’ll promise you, I won’t disappoint you
(I’ll promise you, I’ll always make you smile)
Promise me, just stay like you are right now
(Promise me so I can see you)
Your heart that must have been in such pain
I will hold it tight
I’ll hug you, I’ll hold your hands
If we can be together forever
I’ll give you my all
I promise you
 
I capelli scarmigliati e boccolosi di Hanna ricadevano pigramente sulle spalle della ragazza che, sdraiata su un fianco, si teneva la testa col gomito del braccio appoggiato sul letto, fissando meditabonda il petto di Caleb alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, come le note di una melodia, la sua preferita.
Le iridi lapislazzuli della ragazza si spostarono lungo tutto il corpo, e le labbra si stirarono in un sospiro di sollievo: nulla di Caleb era cambiato. Nulla di lei era cambiato. Nulla era cambiato: sempre loro, sempre una stanza, sempre un letto, sempre il loro amore eterno ed imperituro. E forse proprio questo era il trucco: era tutto troppo bello per essere reale. Era successo talmente tante volte che avesse sognato che a stringerla fossero le braccia di Caleb, e non quelle di Jordan, che oramai aveva perso il conto. Allungò la mano sinistra ormai libera della fede nuziale e stampò un pizzicotto sull’avambraccio disteso dell’uomo. Il corpo di Caleb si mosse leggermente, come a voler dire “dà fastidio, piantala” ma Hanna doveva scoprirlo subito se si trattava dell’ennesimo sogno che l’avrebbe fatta risvegliare e soffrire riscoprendo la dura e amara realtà.
Gliene diede un altro, questa volta più forte e violento, e la testa di Caleb si girò di scatto nella sua direzione: i suoi occhi erano un misto di confusione, stupore ed indignazione.
«Hanna, che cosa hai in mente?» biascicò sospettoso, ancora più dormiente che sveglio.
Hanna sorrise come non aveva mai sorriso, mostrando tutti e trentadue i denti, come ti dicono di fare a scuola quando devi fare la foto per l’annuario per sembrare la più bella; ed era così che si sentiva con Caleb: bella, al sicuro e l’unica nel suo cuore, come la principessa per il suo principe. Come aveva potuto fare a meno dell’unica cosa che desse minimamente senso alla sua vita per più di due anni? Come poteva starsi per sposare con Jordan sapendo di stare rinunciando a tutto questo?
«Mi assicuravo che tu fossi reale, che tu fossi veramente qui, con me». Le parole della Marin non erano mai state pronunciate con voce più ferma e seria. Parlare con Caleb era così semplice e spontaneo, non era faticoso e complicato come con Jordan. «L’ho sognato talmente tante volte che quasi non ci credevo» disse Hanna mentre accarezzava delicatamente la guancia di Caleb. Gli occhi di questi erano attenti, concentrati completamente sul suo angelo, perso, ma per fortuna ritrovato. Valeva ancora ciò che aveva pensato nella tenda, tanto tempo fa: Hanna Marin era sua, e l’avrebbe protetta ad ogni costo.
Rivers prese con dolcezza la mano della ragazza e intrecciò le sue dita con le proprie. Poi alzo leggermente il busto andando verso il viso della bionda, e annullò la distanza minima che c’era ancora tra di loro, poggiando le proprie labbra sulle sue. Velocemente Hanna dischiuse la bocca facendo sì che le loro lingue si intrecciassero, mentre con la mano libera spingeva il capo di Caleb più vicino, attirandolo a sé più che poteva.
«Non ho mai smesso di amarti, Hanna» confessò il ragazzo, e la Marin sapeva che non stava mentendo. Nonostante ciò, le pesava come un macigno che prima ci fosse stata Spencer. Ma allo stesso modo doveva sentirsi Caleb per via di Jordan, perciò erano, in un certo senso, alla pari. Magari aveva amato Spencer quanto lei, oppure meno di lei; ma questo non lo sapeva, e non le interessava saperlo: ciò che contava era che ora si erano ritrovati di nuovo, e mai più si sarebbero lasciati andare.
«Non voglio più passare nemmeno un giorno senza te» disse con voce rotta e supplicante e una lacrima ribelle e silenziosa che le scivolava sulla guancia.
Riprese a baciarlo con ardore e passione, facendo aderire i loro corpi e sentendo battere all’impazzata il cuore, non seppe se il suo o quello dell’amante. Voleva sentire Caleb su di sé, dentro di sé. Lo voleva e lo desiderava come non mai, non per un puro e semplice desiderio carnale, ma perché aveva la necessità di sentirsi sua, di appartenergli come mai prima di allora.
Non capì se fu il suo respiro a farsi più ansante o l’aria più rarefatta, ma presto Caleb fu in lei e di nuovo si sentì completa. Giurò di vedere e toccare le stelle mentre lo baciava ancora, ubriacandosi quasi dei loro profumi che si mischiavano, delle loro pelli che si toccavano, delle loro mani che si intrecciavano, di tutto quell’amore che sentiva pulsare in lei, in ogni cellula del suo corpo che godeva di quel piacere, in ogni neurone del suo cervello che inviava impulsi elettrici impazziti lungo la spina dorsale pervasa da mille brividi.
Caleb boccheggiò trattenendo a stento un gemito, e allora Hanna lo baciò ancora, ancora e ancora, come se quelle bocche fossero state fatte apposta per incontrarsi e non lasciarsi mai.





KitKat says- author's corner
Qualcuno si era chiesto se KitKat era viva? Se ve lo siete domandato vi siete guadagnati una caramella al limone perchè mi avete pensata <3 e sì, so che oramai l'unico modo per sapere se sono morta o meno è leggere quella fanfiction sminchietta che pubblico una volta all'anno, ma così è la vita. Sono in pausa prima degli esami e la nuova stagione mi sta regalando troppi feels NON E' TRASH E NOIOSA e i miei istinti Haleb si sono risvegliati <3 
Davvero shippo troppo questa coppia, sono quasi OTP perchè amo entrambi i personaggi presi singolarmente, e insieme sono veramente perfetti e invece la Spaleb...... no.
La canzone che ha accompagnato questa fiction halebbosa è "Promise" degli EXO (sì, sono una disagiata che ascolta il K-POP and I don't care yeah) ed è tipo la perfezione. 
Non ho molto da raccontare se non che non sto praticamente leggendo nulla che mi piaccia se non testi universitari, eppure mi piace quello che ho scritto. sono soddisfatta, Davvero, pensavo di aver perso di più.
Ah, penso che sia abbastanza intuitivo che il titolo indica appunto differenti risvegli della vita di Hanna, e che il finale dell'ultimo risveglio riprende volutamente il finale del primo risveglio.
eeeeee that's all folks. Ci risentiamo l'anno prossimo.

Baci stellari e caramelle al limone,
Kat.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Pretty Little Liars / Vai alla pagina dell'autore: KatWhite