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Autore: Yuki Delleran    10/05/2017    1 recensioni
« Com'è potuto succedere?! »
La voce di Shiro, resa sferzante dalla frustrazione, risuonò per il ponte di comando del castello. Il Paladino Nero lo stava percorrendo a grandi passi ormai da diversi minuti, i pugni stretti lungo i fianchi e l'espressione tormentata. Keith sapeva che non lo avrebbe mai accusato direttamente, ma poteva leggere nel suo sguardo tutta la fiducia che aveva riposto in lui venire tradita.
« Avrei dovuto esserci io con lei! »
Keith s'irrigidì e distolse istintivamente gli occhi: non riusciva a sostenerne lo sguardo, non con quel senso di colpa a gravargli sulla coscienza. Si era offerto di andare al posto di Shiro per tenerlo al sicuro, ma mai si sarebbe aspettato un risvolto del genere. Pidge era dispersa, non riuscivano a raggiungerla nemmeno con il canale di comunicazione del castello, e la cosa peggiore era che lui aveva avuto solo una minima esitazione prima di abbandonarla al suo destino. Avrebbe potuto affermare che era rientrato per seguire gli ordini, per essere di supporto a tutti loro, ma la realtà era un'altra: non era stato all'altezza del suo compito.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: What we save, saves us (prima parte)
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: giallo
Personaggi: Pidge Gunderson/Katie Holt, Takashi "Shiro" Shirogane, Keith Kogane, Lance McClain e tutti gli altri.
Pairings: Shiro/Pidge, Keith/Lance
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Beta: Lillabulleryu & MystOfTheStars 
Word count: 7550  (fdp)

Il Castello dei Leoni stava attraversando una fitta nebulosa in quel periodo. Da giorni non vi erano avvistamenti di navi Galra e regnava un'atmosfera tranquilla. Fin troppo tranquilla a dire il vero. Gli abitanti iniziavano a provare una certa ansia da mancanza di notizie. Non era mai bene ignorare dove si trovasse il proprio nemico e cosa stesse architettando, a maggior ragione se il nemico in questione era l'aspirante conquistatore dell'intero universo.
Hunk passava il suo tempo chiuso in cucina a preparare quanto di più interessante potessero fornire le risorse gastronomiche del castello. Keith si era concentrato così tanto sul programma di allenamento che persino lui ne aveva avuto abbastanza. Pidge aveva fatto almeno quattro volte la scansione completa dei sistemi d'attacco e di difesa del castello, correggendo tutti i possibili bug, le imperfezioni e gli eventuali problemi, finendo poi per mettersi di nuovo a studiare l'alteano. Lance aveva scoperto che la piscina della nave non era poi così male, per quanto bizzarra, ed era diventato il suo rifugio preferito in quei giorni strani. Persino Allura, di solito sempre pronta a dispensare consigli su come impiegare al meglio il tempo che avevano a disposizione, dava segni d'insofferenza. Tutta quella calma era inspiegabile.
Per questo motivo, la notizia, portata da Shiro, che dalla sala comandi era stata captata una richiesta d'aiuto, venne accolta quasi con sollievo: la possibilità di fare qualcosa di concreto per soccorrere chi fosse in difficoltà era del tutto preferibile a quella quiete apparente.
Il pianeta in questione, nella cui orbita stavano transitando, prendeva il nome di Silvarboris ed era abitato, secondo le informazioni del database, da una razza pacifica. L'80% delle terre emerse era ricoperto di foreste e, per qualche motivo, ricordava il pianeta dove per tanti anni era stato occultato il Leone Verde. Anche gli abitanti in qualche modo richiamavano alla memoria quelli che avevano incontrato precedentemente.
« É strano. » commentò Allura davanti al segnale, codificato chiaramente come una richiesta di soccorso. « Su questo pianeta non dovrebbero essere presenti tecnologie tali da permettere la comunicazione spaziale. »
« Forse il database del castello non è aggiornato? Dopo diecimila anni... » ipotizzò Lance dubbioso, attirandosi un'occhiataccia generale.
« Il database è a posto, e anche lo scanner planetario, li ho controllati almeno due volte nei quattro check-up che ho fatto. » obiettò Pidge scuotendo la testa. « Non capisco perché non rilevi la provenienza di quel segnale, forse c'è una barriera o qualcosa di simile... »
« In ogni caso si tratta di una richiesta d'aiuto, qualcuno potrebbe essere stato attaccato dai Galra ed essere in pericolo. É nostro dovere intervenire. » chiarì Shiro e tutti si trovarono d'accordo.
Senza dati su cui basarsi non era però possibile preparare un piano d'azione, quindi stabilirono di mandare qualcuno in avanscoperta.
« Andrò io! » esclamò Pidge. « Su Green è montato un sistema di rilevazione molto sensibile ed in grado di captare anche i segnali più deboli e disturbati. Di certo potrà essere utile a capire da dove proviene questo messaggio. »
« Verrò con te. » si offrì subito Shiro, consapevole del fatto che non fosse sicuro mandarla da sola su un pianeta inesplorato, per quanto il suo leone fosse in grado di sostenere qualunque scontro. « In due sarà meno pericoloso e potremo scandagliare una superficie maggiore in meno tempo. »
Proprio mentre finiva di parlare, Keith fece un passo avanti con espressione seria.
« Se si tratta di velocità di ricognizione, allora lascia che sia io ad andare. Red è una scheggia e insieme a Green è il più piccolo dei leoni, daremo meno nell'occhio e torneremo presto per studiare un piano d'azione. »
Shiro fu sul punto di obiettare, ma vedendo che il resto del gruppo e soprattutto Allura non avevano rimostranze, non insistette oltre e lasciò che fosse il pilota più giovane ad uscire. In tutta sincerità, un po' l'idea lo preoccupava. Avrebbe preferito essere presente per ogni eventualità, ma si fidava di Keith ed era certo che sarebbe stato in grado di proteggere Pidge in caso di necessità. Anzi, a ripensarci, si disse sorridendo tra sé, era quasi più probabile il contrario: quella ragazzina non si era posta remore nemmeno quando aveva affrontato un Galra grosso tre volte lei.

Silvarboris avrebbe dovuto essere ricoperto di foreste, invece, man mano che si avvicinavano, si rivelava molto più brullo di quanto si aspettassero. Le acque rivestivano una percentuale del pianeta decisamente inferiore a quanto il database del castello indicava e le parti verdi erano limitate ad una zona verso nord. Sembrava che sulla maggior parte della superficie emersa fosse in atto un'allarmante desertificazione.
« Ricevi qualcosa? » chiese Keith, comunicando direttamente con il Leone Verde che volava a fianco del suo.
« Ancora niente. » rispose Pidge.
Dal tono era chiaro quanto fosse concentrata sulla scansione del territorio. Proprio per questo motivo, Keith si stupì di sentir chiamare il proprio nome di lì a pochi minuti, con un'inflessione del tutto differente.
« Che c'è? Hai visto qualcosa? »
« No, solo... volevo ringraziarti per essere stato così premuroso verso Shiro. »
Quelle parole lasciarono il ragazzo perplesso. Aveva agito principalmente d'istinto, come faceva sempre, e basandosi sull'effettiva realtà dei fatti. Certo, poteva essere interpretata come una premura, e in parte era davvero così, ma...
« Ultimamente Shiro mi sembra molto stanco, è sempre teso e preoccupato e tutta questa situazione gli pesa un sacco. Quindi mi ha fatto piacere che tu gli abbia dato la possibilità di riposarsi un po'. »
Keith sviò lo sguardo verso il basso, come se lei potesse vederlo, vagamente imbarazzato dalla piega che stava prendendo il discorso.
« No, ehm... Voglio dire, sì, certo, è bene che Shiro riposi a dovere. É il nostro leader, non possiamo permetterci che abbia dei... cedimenti. »
« Anch'io sono più tranquilla quando so che è al sicuro. »
Le parole di Pidge lo raggiunsero insieme ad una risatina sommessa ma priva di scherno che allentò il suo disagio: raramente lui e il Paladino Verde avevano parlato davvero, ma sapere di avere entrambi a cuore la sorte di Shiro glielo faceva percepire molto più affine.
Per il resto della discesa non toccarono più l'argomento e Keith gliene fu grato: aveva la sensazione che, se avessero proseguito a parlare, sarebbe arrivato a porsi delle domande che, prive delle dovute risposte, avrebbero finito per diventare scomode.
« Tu esplora l'emisfero sud, io vado a nord. » si limitò ad indicare Pidge, di nuovo completamente concentrata sulla missione. « Teniamoci in contatto. »
« Roger. »
Keith fece virare il proprio leone verso sud ed attivò la visione periferica dagli schermi. Davanti a lui si apriva un'immensa distesa rocciosa dove non spuntava neanche un filo d'erba. A prima vista si sarebbe detto un oceano prosciugato e l'aspetto desolato dell'intero paesaggio non lasciava presagire  la presenza di vita.
Compiendo la ricognizione in cerchi concentrici sempre più ampi, giunse a vedere anche oltre l'equatore del pianeta, ma la situazione non sembrava migliorare: ovunque era solo terra secca e brulla, roccia scura e polvere.
« Pidge! » chiamò, sperando di ricevere notizie migliori. « Hai trovato qualcosa? Qui è tutto morto.»
La voce della compagna gli giunse bizzarramente in lontananza, come se si fosse allontanata dalla console di comando del suo leone.
« C'è una piccola zona verde al polo nord del pianeta. » la sentì dire. « É incredibile, Keith! É una foresta circondata dal deserto! Non avevo mai visto niente di simile! Scendo a dare un'occhiata più da vicino! »
« Aspettami, ti raggiungo. Non fare mosse avventate. »
Keith fece appena in tempo a rispondere che un'esplosione nel cielo sopra di lui lo fece irrigidire e voltare di scatto. Era successo qualcosa al castello?
La risposta giunse un istante dopo tramite la voce di Allura dal canale di comunicazione principale.
« Keith! Pidge! Rientrate immediatamente! Una nave pattuglia di Galra ci sta attaccando, abbiamo bisogno anche del vostro supporto! »
Bastò il tono della principessa a chiarire che la situazione non era rosea e il suo istinto reagì prima della razionalità, azionando il comando che fece spiccare un balzo al Leone Rosso verso l'atmosfera.
« Pidge, andiamo! Hanno bisogno di noi! »
Le esplosioni nell'atmosfera si susseguivano una dopo l'altra ad un ritmo troppo serrato e, lì per lì, nella foga di accorrere in soccorso dei compagni, Keith non badò alla risposta che tardava di troppi minuti. Solo quando realizzò di essere solo nell'orbita attorno a Silvarboris, frenò l'avanzata del leone, allarmato.
« Pidge? » chiamò di nuovo. « Pidge, ci sei? Mi ricevi? »
Il silenzio pesante dall'altra parte era preoccupante.
« Pidge! Che sta succedendo?! »
Invertendo la rotta, indirizzò nuovamente Red verso l'atmosfera, ma la voce di Allura lo raggiunse di nuovo, pressante.
« Keith, Pidge! Rientrate immediatamente, è un ordine! »
« Allura! Non riesco a mettermi in contatto con Pidge! Non è... »
« Cosa? Keith- »
Il rombo improvviso di un'esplosione interruppe la comunicazione e il pilota del Leone Rosso si ritrovò con solo un forte ronzio nelle orecchie.
« Allura? Allura! »
Doveva essere successo qualcosa di grave che aveva interrotto il collegamento e Keith si ritrovò a dibattersi nel dubbio: tornare da Pidge per vedere cos'era capitato o precipitarsi dai compagni in difficoltà? Shiro era là e stava combattendo, molto probabilmente era in pericolo e gli unici a poterlo aiutare erano Lance e Hunk. Non che non si fidasse dei compagni, dopo tante battaglie affrontate insieme sapeva che si trattava di persone su cui poter contare, ma questo non cambiava il fatto che avrebbe preferito essere presente. L'indecisione durò una manciata di secondi, dopodiché invertì di nuovo la traiettoria di volo e si lanciò verso il castello, sperando ardentemente che non fosse successo niente alla compagna e che si trattasse solo di un problema alle comunicazioni.

« Com'è potuto succedere?! »
La voce di Shiro, resa sferzante dalla frustrazione, risuonò per il ponte di comando del castello. Il Paladino Nero lo stava percorrendo a grandi passi ormai da diversi minuti, i pugni stretti lungo i fianchi e l'espressione tormentata. Keith sapeva che non lo avrebbe mai accusato direttamente, ma poteva leggere nel suo sguardo tutta la fiducia che aveva riposto in lui venire tradita.
« Avrei dovuto esserci io con lei! »
Keith s'irrigidì e distolse istintivamente gli occhi: non riusciva a sostenerne lo sguardo, non con quel senso di colpa a gravargli sulla coscienza. Si era offerto di andare al posto di Shiro per tenerlo al sicuro, ma mai si sarebbe aspettato un risvolto del genere. Pidge era dispersa, non riuscivano a raggiungerla nemmeno con il canale di comunicazione del castello, e la cosa peggiore era che lui aveva avuto solo una minima esitazione prima di abbandonarla al suo destino. Avrebbe potuto affermare che era rientrato per seguire gli ordini, per essere di supporto a tutti loro, ma la realtà era un'altra: non era stato all'altezza del suo compito.
Affranto, chinò la testa, pronto a ricevere qualunque accusa, ma non fece in tempo a dire nulla che già l'altro si stava scusando.
« Perdonatemi, ho esagerato. Non volevo dire che... » iniziò passandosi una mano sul volto, evidentemente segnato dalla fatica della battaglia e dall'ansia.
« Paladini, andate a riposare. » li interruppe Allura. « Lo scontro è stato pesante e, mentre tentiamo di ripristinare le difese del castello, farò partire una scansione di Silvarboris alla ricerca del Leone Verde. Vi chiamerò appena avrò notizie. »
Keith avrebbe voluto protestare che non intendeva starsene con le mani in mano mentre un suo compagno poteva essere in pericolo, e Shiro stesso diede voce a quell'intento.
« Non lascerò questa sala finché non sapremo qualcosa! » esclamò, ma l'espressione della principessa era irremovibile.
« Non è un consiglio. Mi riferisco soprattutto a te, Shiro. »
Il suo tono era asciutto, vibrante di comando, tanto che nemmeno il Paladino Nero poté obiettare ulteriormente.
Non potendo far altro che fidarsi di lei e degli scanner del castello, Keith si risolse quindi ad obbedire all'ordine di ritirarsi nella propria stanza. Mentre attraversava l'ultimo corridoio che portava agli alloggi, venne raggiunto da Lance, con ancora addosso la tuta da pilota e il casco blu in mano.
« Ehi, amico, non fare quella faccia. Mi hai salvato la pelle là fuori, ti ringrazio! »
Era raro che Lance ammettesse di aver avuto bisogno dell'aiuto di qualcuno, a maggior ragione se si trattava di Keith, e ancora più raro era che lo ringraziasse. Tuttavia, la situazione era stata lungi dall'essere rosea finché il Leone Rosso non era intervenuto in battaglia.
La nave Galra citata da Allura si era rivelata più agguerrita del previsto e armata di tutto punto, compreso un cannone a ioni simile a quello utilizzato da Sendak e svariati piccoli caccia. Quando Keith era giunto sul posto, uno dei propulsori del castello era completamente in avaria e Shiro, a bordo del Leone Nero, stava facendo tutto il possibile per difenderlo. Hunk e Lance erano stati divisi e messi alle strette dai caccia. Lance, in particolare, stava passando un gran brutto quarto d'ora, circondato dai Galra e con il raggio congelante del Leone Blu fuori uso. Keith era arrivato appena in tempo per evitare che il cannone a ioni lo colpisse, ma la battaglia era stata comunque ardua da vincere. Per sconfiggere agevolmente la nave Galra sarebbe stato sufficiente formare Voltron, ma senza Pidge e il Leone Verde era impossibile, quindi si erano ritrovati a combattere tutti allo stremo delle forze. Era stato un mezzo miracolo che ne fossero usciti solamente con guasti e danni tecnici.
« Keith...? »
La voce di Lance lo riportò alla realtà. Certo, era felice che lì al castello stessero tutti bene, ma questo non cambiava la realtà dei fatti.
« Non sono riuscito a proteggerla... » si ritrovò a mormorare, abbattuto.
« Oh, andiamo, quello che è successo non è affatto colpa tua. E lascia che te lo dica uno che non esiterebbe ad incolparti dell'esistenza del male nel mondo. » ribatté Lance con espressione condiscendente.
« Ah, no? E di chi lo sarebbe allora? »
« Senti un po'...! »
Un rumore di passi nel corridoio interruppe l'esclamazione del Paladino Blu, inducendolo ad afferrare Keith per un braccio e a trascinarlo nella propria stanza, bloccando la porta.
« Non è il caso di discutere di responsabilità a portata di orecchio di qualcuno che potrebbe fraintendere. » si giustificò. « E smettila di fare l'eroe tragico e tormentato della situazione. In quel momento non potevi fare altro, le circostanze erano abbastanza disperate e l'ordine di Allura è stato chiaro. Non hai abbandonato nessuno. »
Keith rimase immobile, lo sguardo basso a fissare il pavimento: Lance poteva dire quello che voleva, le circostanze non cambiavano. Anzi, molto probabilmente lui sarebbe tornato indietro a vedere cos'era successo a Pidge – con conseguenze potenzialmente tragiche per chi aveva invocato soccorso.
« Shiro non la pensa così. » riuscì infine a dire. « Si fidava di me e io... »
« Dunque stiamo parlando di Shiro? » lo interruppe Lance più bruscamente di quanto si aspettasse. « Dici di sentirti in colpa ma il problema non è l'aver abbandonato Pidge su un pianeta sconosciuto, bensì cosa ne pensi Shiro? Perché se è questo il problema, allora... »
« No! »
« Sì, invece. Ascoltami bene, Kitty-boy, non so se l'hai notato, ma le reazioni di Shiro a qualunque cosa coinvolga Pidge ultimamente non sono, per così dire, particolarmente pacate. » continuò Lance ammorbidendo il tono.
Non sembrava più così seccato, quanto piuttosto preoccupato, ed era così strano, dal punto di vista di Keith, che una persona come Lance lo fosse, che non poté fare a meno di prestare attenzione. Lasciò addirittura che, con le mani sulle sue spalle, lo inducesse a sedersi sul proprio letto e finì per sentirsi come un bambino di fronte all'ennesima ramanzina.
« É perché si sente responsabile... » tentò di rispondere, nonostante una certa titubanza. « Anche verso la sua famiglia dispersa. »
« Sì, sì, come ti pare, tante belle parole, ma non credo che sia quello il punto. » lo zittì Lance con un gesto della mano che sembrava voler spazzare via qualcosa di poco conto. « Quello che volevo dire è: Pidge ha la testa sulle spalle, più di tutti quanti noi messi assieme, e sa cavarsela. Sono convinto che se fosse davvero in pericolo avrebbe già trovato un modo per togliersi dai guai. É forte, quella ragazza, l'abbiamo vista fare cose incredibili. Questo non significa che ce ne laveremo le mani, ovviamente, ma fasciarsi la testa prima del tempo è inutile, dovrebbe capirlo anche Shiro. E adesso smettila di farmi fare quello assennato, non è il mio ruolo! »
Lance incrociò le braccia sul petto e mise il broncio, atteggiamento così fuori contesto che strappò a Keith un sorrisetto.
« Ora resta qui e vedi di riposare un po', sarebbe un problema se collassassi durante la missione di salvataggio. » lo sentì borbottare ancora.
« Qui? In camera tua? »
Lance si voltò di scatto, leggermente rosso sulla punta delle orecchie.
« Perché? Che problema c'è? Io starò... starò lì, su quella sedia! »
Si lasciò cadere con malagrazia su un sedile in un angolo, tornando ad incrociare le braccia.
« Non voglio sentir volare una mosca! »

Quando Keith riaprì gli occhi, la stanza era avvolta dalla penombra, tanto che impiegò qualche istante a realizzare di non trovarsi nella propria. Se quella era la stanza di Lance, era probabile che fosse stato il compagno ad abbassare le luci o forse, più semplicemente, si trattava del sistema di regolazione automatica del castello. Lentamente spostò lo sguardo alla propria destra e scoprì di non essere solo nel piccolo letto: a pochi centimetri dal suo viso si trovava quello di Lance, le lunghe ciglia abbassate e le labbra appena dischiuse in un respiro leggero. Keith rimase a fissarlo, ancora intontito dal sonno, tentando di razionalizzare la situazione: si trovava nel letto di Lance, sdraiato tra il muro e il corpo dell'amico e non ricordava assolutamente quando quest'ultimo lo avesse raggiunto. Probabilmente doveva essersi coricato facendo attenzione a non svegliarlo, cosa assai complicata, considerando il suo sonno leggero. Quindi ora se ne stava lì, ad un palmo dal suo naso in quel letto troppo piccolo per due, pacificamente addormentato come chi non ha un problema al mondo. Quel pensiero gli riportò bruscamente alla mente il motivo per cui era stato spedito a riposare e tutto quello che era successo, costringendolo a trattenersi dal balzare in piedi e correre nella sala comandi in cerca di notizie. Avrebbe potuto spingere Lance giù dal letto o scavalcarlo ma era anche vero, rifletté, che se l'altro si trovava lì significava che nel frattempo non vi erano stati aggiornamenti allarmanti. Chissà quanto tempo era passato?
Mentre rifletteva su come muoversi, un bussare ripetuto alla porta della stanza attirò la sua attenzione.
« Lance! Lance, ci sei? Non dirmi che stai ancora dormendo? Datti una mossa, la principessa ha trovato qualcosa! »
Era la voce di Hunk, non potevano perdere altro tempo a poltrire. Keith si alzò a sedere ma, invece di spintonare con malagrazia il compagno, si ritrovò, quasi senza rendersene conto, ad appoggiargli una mano sulla spalla e a scuoterlo leggermente.
« Lance... svegliati. »
In quell'atmosfera ovattata non se la sentiva nemmeno di alzare la voce, nonostante l'urgenza.
L'altro ragazzo batté le palpebre un paio di volte e, di riflesso, distese un braccio per stiracchiarsi mentre si girava sulla schiena.
« Mmmh...? Keith... »
Gli occhi azzurri di Lance misero a fuoco il volto dell'altro e Keith si stupì di vedergli accennare un mezzo sorriso.
« Buongiorno. Beh, non so se sia esattamente giorno ma... ben svegliato. Meno male che non volevi riposare, sei crollato come un sacco di patate. »
Si stiracchiò di nuovo, allontanandosi i capelli dagli occhi.
« Bene! Sorgi e brilla, l'universo ha bisogno di noi! Andiamo a sentire che novità ci sono. »
Keith avrebbe potuto rispondere con le peggiori battute pungenti del suo repertorio ma, in quel momento, non gliene veniva in mente nemmeno una. Avrebbe potuto precipitarsi fuori, ignorandolo, ma non stava suonando nessun allarme e Hunk non sembrava angosciato, quindi non avrebbe avuto nessuna scusa per farlo.
« Sì, diamoci da fare. » fu tutto quello che riuscì a dire, mentre l'altro riaccendeva le luci toccando un paio di pulsanti e si rassettava i vestiti.
Erano già sulla porta quando si trovò a mormorare uno stentato: « Lance... ti ringrazio. »
« E di che? Non eri tu a dire che avevamo legato? » fu la risposta, seguita da un occhiolino e da un sorrisetto ironico. « Su, diamoci una mossa! »
Quando giunsero sul ponte di comando erano già tutti presenti e Allura stava spiegando la situazione ad un sempre più teso Shiro.
Il Leone Verde era stato rintracciato dallo scanner planetario del castello e risultava trovarsi proprio nel polo nord di Silvarboris, dove era situata la foresta in mezzo al deserto che Pidge aveva individuato. Inoltre, sembrava che anche la richiesta d'aiuto, captata in precedenza, provenisse dallo stesso punto: quello che non era chiaro era come fosse possibile che ora fosse individuabile e in precedenza no.
« Pidge sta bene? Hai parlato con lei? » intervenne Shiro, visibilmente ansioso.
La principessa scosse la testa, desolata.
« Mi dispiace, non riesco a mettermi in contatto con lei. Probabilmente non è a bordo del suo leone e non indossa il casco. Ma lo scanner rileva la presenza di vita biologica in quella zona, se è abitata può essere che siano entrati in contatto. »
« Oppure che si sia trattato di una trappola. »
Il tono di Shiro era cupo, i pugni stretti lungo i fianchi.
« É anomalo che non si faccia sentire per così tanto tempo, se i sistemi di comunicazione fossero stati danneggiati so che sarebbe stata in grado di ripararli. Dobbiamo andare a prenderla! »
Quando si voltò per avviarsi verso l'hangar del proprio leone, Keith ne incrociò inavvertitamente lo sguardo: aveva un'aria tremendamente stanca e delle profonde occhiaie. Nonostante questo, gli si avvicinò sollecito.
« Keith, stai bene? Sei riuscito a dormire un po'? »
Il ragazzo sviò istintivamente il suo sguardo, mentre le parole dette in precedenza gli tornavano alla mente. L'idea di aver deluso Shiro lo faceva sentire male, ma il pensiero che, nonostante tutto, quest'ultimo si preoccupasse ancora per lui era anche peggio. Avrebbe dovuto rispondergli e rassicurarlo, dire che andava tutto bene o il loro lavoro di squadra avrebbe finito per risentirne, ma le parole non ne volevano sapere di uscire.
« Ha dormito come un sasso, garantisco personalmente! »
L'esclamazione di Lance fece voltare tutti nella sua direzione con espressioni stupite.
« Che c'è? » fece il pilota del Leone Blu, come se non ci fosse stato nulla di strano nella sua uscita.
« Siete arrivati insieme... » commentò Hunk alzando un sopracciglio.
Se Keith iniziava a sentirsi a disagio, Lance, probabilmente, non conosceva il significato di quella parola.
« E allora? Ha dormito nella mia stanza, volevo assicurarmi che riposasse davvero. É un modo come un altro per legare, no? » ribatté allargando le braccia. « Piuttosto, Shiro, sei tu ad avere l'aria di non aver chiuso occhio. »
Il Paladino Nero sospirò.
« Riposerò come si deve quando Katie sarà di nuovo con noi. »
Katie. Certo, si disse Keith realizzando solo in quel momento il vero motivo delle reazioni esasperate del compagno, ora era tutto chiaro.
Mentre tutti prendevano posizione per raggiungere i rispettivi leoni, Allura si premurò di raccomandare loro la maggiore attenzione possibile.
« Lance, ricorda che il raggio congelante è ancora fuori uso, hai solo i laser. Per sistemarlo avremmo avuto bisogno dell'aiuto di Pidge. Hunk, fai attenzione all'armatura, il suo rinforzo non è stato bilanciato. Servivano i calcoli nel computer di Pidge. E, Shiro, i propulsori del Leone Nero... »
« Immagino che per bilanciarli fosse necessario l'aiuto di Pidge. Non preoccuparti, me la caverò. »
Allura sorrise mestamente.
« Mi dispiace, ma sono sicura che stia bene. Vedrai che presto sarà di nuovo con noi. »
« La riporterò a casa, costi quel che costi! » esclamò Shiro, e senza aggiungere altro azionò il meccanismo che l'avrebbe portato all'hangar.

Dopo aver comunicato a Keith le sue intenzioni, Pidge aveva fatto planare il Leone Verde verso la foresta e, più scendeva, più si meravigliava di quanto questa fosse rigogliosa, nonostante si trovasse nel bel mezzo di un deserto. Nel momento in cui si era avvicinata alle prime fronde, aveva avuto la stranissima sensazione di aver attraversato qualcosa di inconsistente, come un piccolo schiocco risuonato vicino all'orecchio. Lì per lì vi aveva badato poco e aveva proseguito la ricognizione, finché non aveva captato la richiesta d'aiuto che era giunta al castello. Attivando il codificatore del Leone Verde, era riuscita a decifrare alcune parole, riconoscendo termini come “armonia perduta”, “Signora della foresta” e “soccorso”. Laggiù doveva esserci davvero qualcuno in pericolo.
« Keith, ho trovato il segnale! Dovremmo davvero scendere a vedere. Keith? Keith, ci sei? » aveva chiamato, non riuscendo però più a rilevare nessuna traccia del Leone Rosso e del suo pilota.
In realtà non riceveva più nessun tipo di comunicazione, quindi aveva tentato, non senza un certo senso di ansia, di tornare indietro. Il problema era sorto nel momento in cui il Leone Verde aveva cozzato contro qualcosa di invisibile che sembrava ricoprire l'intera zona e gli aveva impedito di allontanarsi. Pidge aveva addirittura tentato di spararvi contro con i laser, ma non era servito a niente: era ormai chiaro che si trattasse di una sorta di barriera che lasciava entrare ma non uscire. Il dubbio che si trattasse di una trappola le era balenato in mente come una spia d'allarme ma, allo stesso tempo, pensava che una richiesta d'aiuto così accorata non potesse essere che autentica. Era un azzardo, ma in quel momento non poteva fare altro che scendere con il Leone Verde fino ad atterrare in una piccola radura, ed avventurarsi a piedi con l'idea di esplorare i dintorni.
Sentendosi osservata, era rimasta all'erta finché non aveva notato, ai margini della radura, alcune creature che la scrutavano dal riparo delle fronde. Non riusciva a vederli bene a causa della penombra, ma avevano una forma vagamente umanoide e sembravano ricoperti da una folta pelliccia chiara.
« Non abbiate paura, non ho cattive intenzioni. » aveva tentato di rassicurarli. « Avete mandato voi la richiesta d'aiuto? Sono qui per portarvi il soccorso che cercate. »
Le sue parole dovevano averli rassicurati, perché le prime bestiole avevano iniziato a strisciare fuori dai nascondigli, sempre fissandola con i grandi occhi rotondi. La creatura più grande, forse quella più coraggiosa del gruppetto, si era fatta avanti e, goffamente, si era inchinata davanti a lei.
« Venuta cielo, tu. » aveva detto con un forte accento che rendeva difficoltoso distinguere le parole. « Dea Silva salva noi, tutti salva.»
In un batter d'occhio, Pidge si era trovata una ventina di alieni pelosi prostrati ai suoi piedi e aveva capito che la situazione stava diventando più complicata del previsto.

Pidge alzò lo sguardo verso il cielo e si chiese quanto tempo fosse passato. Di certo gli altri erano in pensiero per lei e non riuscire a mettersi in contatto con loro nemmeno tramite i trasmettitori del casco aumentava il suo senso di ansia: sembrava che quel luogo fosse inaccessibile a qualsiasi tipo di comunicazione radio. Le sarebbe piaciuto studiare il tipo di barriera che lo proteggeva, ma al momento aveva problemi ben più urgenti.
Una ventina di alieni pelosi si stava affaccendando attorno a lei, porgendole cesti di frutta, mazzi di fiori, oggetti fatti a mano, presumibilmente preziosi e ricoprendola di attenzioni. Uno di essi, timoroso di toccarla finché lei non aveva accennato un sorrisetto esitante, le aveva posto sulle spalle un mantello di un materiale che non aveva mai visto, di un verde traslucido ed infinitamente morbido. Sul capo le avevano posato una corona di fiori dall'aspetto strano ma dai colori sgargianti. Da una parte, poteva capire che, per una civiltà ipoteticamente poco evoluta, veder arrivare dal cielo un enorme leone meccanico guidato da una persona, fosse facilmente fraintendibile e associabile ad una divinità; ma era anche vero che la loro apparenza era in forte contrasto sia con l'S.O.S. inviato nello spazio, sia con la barriera che isolava quella zona. Inoltre, era sempre più convinta che, rimanendo ferma dove si trovava, non avrebbe scoperto niente.
« Scusate! » esclamò, tentando di attirare l'attenzione delle creature che le si affaccendavano attorno.
Appena aprì bocca, tutti s'irrigidirono e si voltarono a guardarla con espressioni che potevano apparire agitate anche sui loro musetti pelosi.
« Mi chiedevo se non fosse possibile dare un'occhiata in giro, visitare i dintorni, sapete? » continuò, gesticolando in modo da tentare di far capire loro che non avevano da temere.
« Visitare? Dintorni...? » fece eco il portavoce del gruppetto con aria confusa.
« Sì! La foresta, i prati, per vedere com'è la situazione. E parlare con il vostro capo. Avete un capo?»
Agli sguardi confusi che le vennero rivolti, Pidge sospirò rassegnata.
« Un... uhm... re? Anziano? Saggio? »
A quell'ultima parola, tutti iniziarono ad agitarsi, annuendo vigorosamente.
« Sì! Saggio! Lass! Vieni, vieni! Grande onore! » esclamò l'unico che, a quanto sembrava, aveva il coraggio di rivolgerle direttamente la parola.
La invitarono ad alzarsi e, formando una specie di corteo, qualcuno addirittura lanciava petali sul suo cammino, la guidarono attraverso la vegetazione sempre più fitta. In quella zona la terra sembrava fertile; Pidge non era un'esperta per quanto riguardava la salute delle piante, ma a colpo d'occhio non vedeva nessun genere di problema ed era ancora più strano, se si considerava che il resto del pianeta era completamente desertico.
Forse, questo fantomatico saggio avrebbe potuto darle qualche spiegazione convincente e, magari, mostrarle un modo per riuscire a comunicare con il castello. Il pensiero che gli altri non avessero più ricevuto sue notizie e quanto potessero essere preoccupati le faceva stringere un nodo allo stomaco. L'idea che Shiro stesse in pena, che potesse in qualche modo pensare di avere qualche responsabilità in quello che era successo, faceva crescere l'urgenza di parlare con lui: doveva essere certa che stesse bene, fargli sapere che lei stessa stava bene, prima che a qualcuno venisse qualche brutta idea. Un angolo della sua mente si chiese anche che cosa potesse aver pensato Keith, se fosse tornato al castello, come gli altri potessero aver reagito. Sperava che non lo avessero incolpato e che non avesse finito per discutere con Shiro. Tutto sommato, l'accaduto era stato causato da un suo capriccio spinto dalla curiosità. Più rifletteva, più il pensiero tornava sempre a lui, a Shiro, a come potesse sentirsi, a cosa stesse provando: era stata una sciocca, si era ripromessa di averne cura e invece lo aveva messo in difficoltà. Doveva tornare presto da lui e scusarsi per aver fatto di testa sua. Era la prima volta, si arrovellò, che quel genere di desiderio prendeva il sopravvento sulla sua curiosità scientifica e questo le provocava una dolorosa stretta la petto.
A distrarla da quei pensieri penosi, giunsero le esclamazioni delle creature che, con ampi gesti, le indicavano l'ingresso di quella che sembrava una comune caverna.
« Posto sacro. » disse la bestiola che conduceva il gruppetto. « Solo dea. Lass è sacerdote. »
Sperando di ottenere finalmente delle spiegazioni, Pidge avanzò di un paio di passi e lanciò un'occhiata oltre l'ingresso in penombra. Nessuno si mosse per seguirla. Se quello era una sorta di tempio dedicato alla fantomatica divinità che quegli esserini adoravano, allora era comprensibile che ne avessero un reverenziale timore. Questo, però, non poteva fermarla; per ogni evenienza, sotto il mantello aveva ancora la tuta spaziale di Voltron e il bayard a portata di mano.
Si lanciò solo una breve occhiata alle spalle, poi avanzò con passo sicuro verso l'oscurità. Le ombre l'avvolsero; l'unica fonte di luce proveniva dalla tuta e dalla sua rifrangenza. A malapena riusciva a  camminare senza inciampare sulle rocce. Non appena svoltò il primo angolo della galleria, ai suoi piedi si accesero una serie di luci azzurrine e chiaramente artificiali: sembravano volerla guidare in una particolare direzione, nonostante i bivi che si aprivano davanti ai suoi occhi. Anche sulle pareti di roccia rilucevano incisioni fosforescenti; ad uno sguardo più attento, le ricordarono i simboli visti nella grotta dove avevano ritrovato il Leone Blu e, successivamente, sul pianeta dov'era nascosto il Leone Verde. Che quel luogo avesse qualcosa a che fare con Voltron e i leoni?
« Vieni avanti, mia cara, non temere. »
La voce stupì Pidge al punto da farla sussultare: aveva un tono caldo, completamente diverso da quello raschiante degli altri abitanti del pianeta, le parole perfettamente comprensibili. Incuriosita, spinse ancora qualche passo avanti: quello che vide oltre l'ultima curva della galleria, la lasciò completamente senza parole. Si sarebbe aspettata un altare o un monumento celebrativo alla fantomatica dea, mai e poi mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti al ponte di comando di un'astronave. Anche il saggio aveva un aspetto differente dalle creature che l'avevano accompagnata: il suo fisico era più longilineo, meno animalesco, e l'unica pelliccia che portava era il mantello che aveva sulle spalle. In generale appariva più simile ad un umano che ai piccoli bradipi all'esterno.
« Sei un Paladino di Voltron, non è vero? » proseguì in tono pacifico. « Io sono Lass ed è un onore per me darti il benvenuto su Silvarboris. »
« Che posto è questo? » si ritrovò a chiedere Pidge, prima di ricordare che le buone maniere prevedevano almeno una presentazione in risposta. « Io sono Pidge e sì, sono un Paladino di Voltron. Quello con cui sono atterrato è il Leone Verde. »
« Il Leone Verde è protagonista della più importante delle nostre leggende. » proseguì Lass indicando una parete alla propria destra. « Il suo Paladino ci ha già salvati una volta, era destino che accadesse di nuovo. »
Le incisioni rupestri, ripassate con una bizzarra tintura luminescente, rappresentavano il leone meccanico che scendeva dal cielo acclamato dalla popolazione e che, grazie al suo raggio speciale, faceva ricrescere le piante su un terreno all'apparenza brullo. L'incisione successiva mostrava il pianeta rifiorire e tornare alla vita; gli abitanti, gioiosi della nuova abbondanza, inneggiavano al Paladino e al suo leone, mentre sullo sfondo di stagliava la sagoma di Voltron a vegliare su di loro come una divinità benevola.
« Cos'è successo? » chiese Pidge, curiosa. « Sono stati i Galra ad indurre quella... siccità? Carestia?»
L'alieno abbassò appena lo sguardo, prima di rispondere.
« Mi vergogno profondamente ad ammettere che no, non fu una crudele razza conquistatrice a mettere in ginocchio il pianeta, quella volta, ma il mio stesso popolo. Avevamo perso la via, ci consideravamo onnipotenti per l'avanzata tecnologia che avevamo sviluppato e ci sentivamo in diritto di prosciugare ogni fonte di energia in favore di essa. Eravamo stupidi ed arroganti. »
Sentire Lass parlare in quel modo della sua stessa gente fece annodare lo stomaco a Pidge, mentre un vago senso di colpa s'impossessava di lei: anche gli esseri umani erano così, anche loro da tempo ormai immemore prosciugavano indiscriminatamente le risorse della Terra, che già stava morendo senza essere presa di mira da una razza aliena guerrafondaia.
Non notando, o soprassedendo al suo disagio, l'alieno proseguì il suo racconto: si trattava di avvenimenti di millenni prima, se si parlava del precedente Paladino Verde, di certo nell'ordine dei diecimila anni, come aveva narrato loro Allura parlando dei tempi della nascita di Voltron. La razza che abitava Silvarboris si era via via estinta a causa di lotte interne, della tecnologia più potente utilizzata a scopo bellico e, non ultimo, della vita che andava esaurendosi nella terra su cui si trovavano. Un'altra razza aveva preso il sopravvento con il trascorrere dei secoli, gli attuali silvarboriani, ignari della tecnologia e di ciò a cui il suo uso smodato poteva portare. Un popolo mite, legato alla terra e ai suoi frutti, ed era ad essi che il Paladino Verde e il suo leone avevano restituito il pianeta salvandolo dal completo collasso.
« Io non sono né una divinità, né un sacerdote di qualche culto magico. » proseguì Lass. « Sono solamente l'ultimo discendente della stirpe primigenia, che ha mantenuto le conoscenze necessarie per tenere al sicuro il piccolo paradiso che l'antico Paladino Verde ci aveva donato. Il nostro pianeta è sopravvissuto così per diecimila anni, trasformando la storia in leggenda, finché non sono giunti i Galra e la loro sete di conquista. Una sete di potere troppo simile alla nostra... »
Il tono di Lass si abbassò di nuovo, mentre i suoi occhi scuri sembravano guardare oltre il tempo.
« Le barriere non hanno retto contro i loro cannoni e da solo non potevo fare nulla di fronte ad una potenza bellica di quella portata. Hanno risucchiato la quintessenza del pianeta, i dati tecnici dicono chiaramente che il suo nucleo è morto. Ho potuto mantenere in vita solamente questa piccola porzione di territorio grazie alla barriera che scherma qualsiasi tipo di comunicazione, filtrando solamente la richiesta d'aiuto che ho lanciato nello spazio, ma ora anche quest'ultima oasi sta soccombendo. I silvarboriani dicono che accade perché il guardiano del nucleo non ha più la forza di crearne una nuovo, ma temo che anche questa non sia altro che una leggenda: non esiste nessuna entità sovrannaturale, semplicemente il pianeta si è esaurito. »
C'era una profonda tristezza in quelle parole, una rassegnazione che Pidge non pensava di poter sentire e che la portava a chiedersi cos'avrebbe potuto fare lei per poter essere d'aiuto in una situazione del genere. Aveva visto dall'alto in che condizioni versava l'intero pianeta e, anche con il potere speciale del suo leone, non pensava di essere in grado di far rinascere un ecosistema distrutto. Forse, se fosse riuscita a mettersi in contatto con il castello, avrebbero potuto trasferire i silvarboriani su un altro pianeta, come avevano pensato di fare con i balmeriani a suo tempo.
Strinse i pugni, frustrata: possibile che non ci fosse altro da fare? Possibile che, nonostante avesse captato la richiesta d'aiuto di quella gente, non fosse in grado di fare nulla per loro? Forse, se fosse tornata al suo leone, avrebbe potuto trovare qualche indizio. Forse Green possedeva una sorta di memoria di quanto fatto dal suo precedente paladino, o magari avrebbe potuto trovare notizie su questo fantomatico guardiano: se i silvarboriani avevano trasformato in leggenda un fatto realmente accaduto, non era da escludere che anche l'esistenza di questa creatura misteriosa non fosse interamente una favola.
Stava per comunicare a Lass le proprie intenzioni, quando dall'esterno sentirono levarsi grida ed esclamazioni allarmate. Il clamore era tale da giungere fin nella parte più profonda della caverna, unito al frastuono che Pidge riconobbe immediatamente come il suono di un velivolo spaziale che stava attraversando l'atmosfera. Ormai aveva vissuto nello spazio a sufficienza per distinguerne la natura. Che fossero navi Galra? Oppure...?
Senza attendere la reazione di Lass, si precipitò fuori dalla grotta così com'era, agghindata come la dea che gli indigeni credevano che fosse; quando alzò gli occhi al cielo, riconobbe immediatamente le quattro sagome colorate degli altri leoni di Voltron. Il Leone Nero, alla testa del gruppo, guidava l'avanzata come se fosse stato nel bel mezzo della più aspra delle battaglie.
« Shiro... » si ritrovò a mormorare tra sé, improvvisamente più preoccupata per il compagno che per l'effettivo impatto che quell'arrivo poteva avere sui piccoli alieni attorno a lei. Alieni che, in quel momento, sembravano tutt'altro che entusiasti di quel nuovo arrivo. A differenza del suo, i restanti leoni sembravano terrorizzarli.
« Dea Silva arrabbiata! Punisce noi! Suoi inviati distruggono! » ripetevano sgomenti, finché non iniziarono di nuovo a gettarsi ai suoi piedi. « Perdona noi, dea Silva! Perdona noi! Perdona noi! »
Pidge non aveva idea di come fare a calmarli e, non avendo con sé il casco, non sapeva nemmeno come mettersi in contatto con Shiro e gli altri. Poteva solo sbracciarsi per attirare la loro attenzione nella speranza che la vedessero.
« No, loro... Non sono qui per distruggere nessuno, dovete credermi! » esclamò nel vano tentativo di placare quell'isteria collettiva.
Lass, alle sue spalle, sembrava a sua volta troppo scosso per intervenire.
Fu in quello stato di totale caos che la voce di Shiro echeggiò nell'aria sopra di loro, amplificata dal comunicatore del suo leone.
« Siamo i paladini di Voltron e siamo qui per riprenderci il nostro compagno. Non abbiamo cattive intenzioni, ma non esiteremo a fare fuoco su chiunque minacci la sua incolumità. »
Era un discorso meno diplomatico di quanto si aspettasse da Shiro, segno di quanto la tensione dovesse essere alta tra i suoi compagni. Pidge riprese ad agitare le braccia e a chiamarlo a gran voce, sperando che la vedesse: se si fossero accorti che stava bene, che nessuno la teneva prigioniera, di certo tutto si sarebbe aggiustato.
Il Leone Nero atterrò nell'ampia radura di fronte alla grotta, imponente come non mai in un luogo del tutto estraneo a quel tipo di presenza; gli altri tre lo seguirono a ruota riempiendo tutto lo spazio rimanente. I silvarboriani, ormai impazziti dalla paura, erano schizzati a nascondersi tra le fronde, lasciando solamente lei e Lass nello spiazzo. I secondi passavano inesorabili e Pidge avrebbe voluto correre avanti e arrampicarsi sulle enormi zampe meccaniche per raggiungere Shiro.
Ma non fu necessario, perché un attimo dopo il leone chinò la testa e fu il Paladino Nero stesso ad uscire dalle sue fauci. A poca distanza, anche gli altri lo seguirono, armi in pugno.
« Dov'è Pidge? » lo sentì chiedere in tono minaccioso.
Il suo braccio destro brillava di una luminescenza violetta.
Solo allora ricordò di avere ancora addosso il mantello e le varie corone di fiori che le avevano dato i piccoli indigeni e che probabilmente non rendevano immediatamente chiara la sua identità. Se ne liberò e corse in direzione degli amici.
« Shiro! Ragazzi!! »
La prima sensazione fu quella di un abbraccio che le tolse il fiato e un attimo dopo si ritrovò circondata dalle voci di tutti e quattro, che la riempivano di domande ed esclamavano il loro sollievo.
Spiegare la situazione lì su due piedi fu abbastanza complicato, specialmente perché ad ogni parola seguivano ulteriori domande, ma infine Pidge riuscì a dare agli altri un quadro generale di come stessero le cose e a scusarsi per aver creato problemi al gruppo per un suo sfizio. A maggior ragione in un momento di crisi come l'attacco di una nave Galra.
« Puoi dirlo forte che hai creato problemi! Hai tolto il sonno al povero Shiro e per far dormire Keith c'è voluta la mia ninna nanna speciale! » esclamò Lance con enfasi, attirandosi le occhiatacce degli altri ed uno strepito indignato da parte di Keith che minacciò di colpirlo con il proprio bayard.
Pidge, invece, sospirò di sollievo: se Lance ci scherzava sopra, significava che, anche se erano tutti preoccupati per lei, non dovevano essere troppo arrabbiati per quel suo colpo di testa.
Di comune accordo, decisero di far atterrare il castello, in modo da potersi consultare anche con Allura riguardo quanto avrebbero potuto fare per aiutare quella gente e, grazie all'intervento di Lass, la barriera protettiva venne modificata per permettere ai leoni di comunicare tra di loro e con la base. Il castello atterrò poco al di fuori della cerchia della vegetazione, scatenando sulle prime il panico tra i Silvarboriani. Ci volle un po' perché Lass riuscisse a spiegare loro che ciò che era giunto non era un mostro inviato dalla dea Silva per punirli, ma semplicemente la dimora di qualcuno che li avrebbe aiutati, qualcuno che era molto amico della dea stessa. Ovviamente, i nativi stabilirono che il minimo che potessero fare era offrire una degna accoglienza a questa nuova creatura divina.
La serata al polo nord di Silvarboris, un pianeta disperso in un punto imprecisato di un'imprecisata galassia, mentre la sua stella tramontava lentamente oltre l'orizzonte lasciando dietro di sé riflessi azzurrini, venne quindi interamente dedicata ai festeggiamenti.
Nel frattempo che i paladini si divertivano e venivano coinvolti in danze e banchetti a base di frutta, Allura e Coran ebbero modo di conferire con Lass e avere chiara la situazione in cui versava il pianeta: non era affatto favorevole e l'unica soluzione che veniva loro in mente per far sì che la terra tornasse alla sua antica fertilità era riattivarne il nucleo. Per farlo, sarebbe stato necessario raggiungerlo e sperare che l'energia di Voltron, insieme al potere rigenerante alteano, fosse sufficiente.
Venne stabilito che l'indomani avrebbero provato a calarsi nella voragine lasciata dai Galra quando avevano assorbito l'intera quintessenza di Silvarboris. Nel mentre, Allura avrebbe tentato una cerimonia simile a quella tenuta sul Balmera per restituire forza alla terra. Se tutto fosse andato bene, ci sarebbe comunque voluto del tempo, probabilmente decenni, prima che il pianeta tornasse ad essere rigoglioso come prima, ma sarebbe stato comunque un inizio. Inoltre, c'era da tenere presente l'eventuale esistenza del guardiano del nucleo e ogni possibile legame con il loro progetto.
Nonostante l'indomani li attendesse una missione impegnativa e fossero tutti consci di dover essere riposati, prendere sonno quella sera, al termine dei festeggiamenti, sembrava impossibile.

 

 

 

 

 

Yuki - Fairy Circles

   
 
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