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Autore: ArtistaMaeda    11/05/2017    0 recensioni
"Un viaggio in macchina, nella nebbia. Il mistero. La noia. L'imprevedibilità. L'ansia. Poche cose hanno senso. Dev'essere per forza un sogno, eppure è così reale... E' come se qualcuno o qualcosa mi parlasse dal profondo di un abisso..."
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Indiana Deons'
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Non è molto chiaro… Fuori dal finestrino vedo la nebbia, cupa, densa. Non riesco a vedere neanche granché la strada, ma sento gli uccelli frignare, uno stormo, li vedo a malapena, degli scarabocchietti nel nulla color latte andato a male. Sembrano aver fretta di andare da qualche parte, o fuggire via da qualche pericolo.

I cartelli mi appaiono troppo tardi perché io li legga con chiarezza ma so che ci troviamo in mezzo alla boscaglia. Ci sono delle curve e qualche saliscendi ma niente di troppo estremo. Se potessi disegnare la noia la farei come la nebbia: una distesa di niente, nessun colore, un foglio bianco con qualche manata di lapis sfumata con il dito. Nient’altro. Papà ci si mette anche con il fumo. L’ho sempre odiato, sentire quell’odore fastidioso, che mi entra in gola e lì rimane troppo a lungo. Devo aprire il finestrino. Vedo il mondo scorrere lì fuori, ma sono troppo basso persino per sbirciare oltre il cruscotto senza alzarmi. Poi la cintura mi tiene incollato al sedile, se voglio vedere oltre mi devo pure sforzare. Ma la curiosità è troppo forte: c’è un cartello, sfreccia via sulla destra, non faccio in tempo a seguirne il movimento che stiamo già girando e rallentando. Ora c’è un piazzale, ci fermiamo in una stazione di servizio. Le porte dell’edificio sono automatiche. Non so come fanno ad aprirsi proprio quando mi avvicino, so solo che loro lo sanno e allora gentilmente si aprono. Ho sempre paura che non si aprano quando trovo delle porte automatiche. Questa volta va tutto bene e riesco ad entrare. Non c’è umidità dentro, ma invece una temperatura ideale e secca, che è pure piacevole. Fuori è appiccicoso, non particolarmente caldo, ma si sente proprio a tatto l’umidità. E poi c’è la nebbia, quindi…

C’è un jingle che suona in sottofondo, una di quelle canzoncine che nei film americani mettono nei centri commerciali e negli ascensori. Una volta sono stato in un enorme centro commerciale, credo fosse a Birmingham, e c’era una di queste canzoncine. Mi piacciono, sono simpatiche da ascoltare, ma alla lunga vengono a noia. Grazie a dio viene interrotto dal notiziario della radio. Non sono ineressato ad ascoltare le ultime sul terrorismo, sui risultati delle partite, sul rischio inondazioni, e sulle previsioni meteo, ma è comunque un piacevole cambiamento. Sugli scaffali c’è di tutto, e la gente fa gli acquisti come niente fosse. C’è chi parlotta tra sé e chi invece, se pure in compagnia, resta zitto muto. Forse comunicano tra di loro telepaticamente. Io al momento non ho bisogno di comunicare affatto, ho solo bisogno di mangiare, ho una fame! Mi piacerebbe mangiare le barrette di cioccolato con il riso soffiato, ma papà non me le comprerà mai, perché lui dice che costano troppo e non si sprecano i soldi, ma io so che è perché a lui non piacciono e una cosa solo per me che non è indispensabile non me la compra. A volte mi da l’impressione che il bambino sia lui. Io fossi in lui spenderei un po’ dei miei soldi per accontentarlo. Le prendo lo stesso, non resisto, la confezione è troppo bella da guardare, sarà che la fanno apposta così colorata e con questi caratteri simpatici ma a me piace e la voglio prendere, non so perché. Ho come un presentimento, una voce interiore che mi dice di prenderla. Cioè, le barrette che ci sono dentro mi piacciono un sacco, ma pure la confezione… Insomma la prendo, la stringo forte al petto in un abbraccio e m’avvio alla cassa.

Lui è già lì che si guarda intorno, alla ricerca di me probabilmente, e io gli sbuco da dietro il fianco e poso la confezione di barrette sul rullo nero che usa il commesso per “cosare le cose”. Papà mi guarda male, e so anche perché, ma un sorriso riesce alla fine a intenerirlo e così il commesso può continuare a cosare quello che ha preso papà e anche quello che ho preso io.

Una volta di nuovo in macchina posso finalmente sgranocchiare le mie barrette. Siamo di nuovo per strada, con la nebbia tutt’intorno e una destinazione a me ignota. A dire il vero non so neppure dove siamo, quindi se dovessi uscire e trovare la strada di casa mi perderei. Anche se in effetti c’è una sola strada e mi basterebbe percorrerla al contrario. Ma mi perderei lo stesso. Io continuo a mangiare anche quando siamo fermi, in coda ad altre macchine. Papà l’avrà previsto con i suoi poteri da guidatore professionista, perché con questa nebbia non lo so come ha fatto a riconoscere le macchine davanti a noi. Sta cominciando anche a piovere, sento il ticchettio della pioggia sul tettino. Il finestrino è chiuso e si è riempito di goccioline come il parabrezza. Ma io continuo a mangiare le mie barrette di cioccolato e riso soffiato.

Un viaggio in macchina, nella nebbia. Il mistero. La noia. L'imprevedibilità. L'ansia. Poche cose hanno senso. Dev'essere per forza un sogno, eppure è così reale... E' come se qualcuno o qualcosa mi parlasse dal profondo di un abisso...

C’è qualcosa che non va. Siamo fermi da troppo tempo. Ho il sospetto che sia successo qualcosa, e secondo me lo ha anche papà, che continua a provare a sbirciare oltre la macchina che precede. Ma secondo me deve uscire e avviarsi a piedi per vedere qualcosa, perché io non riesco a vedere neanche gli alberi che in teoria dovrebbero riempire tutto il paesaggio intorno. Sì, è davvero nebbioso oggi. Anche se il motore è spento sento qualcosa. Forse è qualcosa che ha a che fare con la mia respirazione. Forse ho un cancro. Alla TV sento spesso parlare di cancri, ma non sono sicuro, non credo sia la stessa cosa del segno zodiacale Cancro. E poi io sono Bilancia. Allora non ho un cancro e non sono Cancro. Ma allora che cos’è? Diventa più forte ogni attimo che passa. Ho smesso anche di mangiare, per sentirlo meglio. È come una vibrazione che viene da dentro.

Guardo papà, anche lui sembra strano, come distratto da qualcosa. Forse la sente anche lui. Non mi so davvero spiegare che cosa sia, ma è così penetrante, la sento dappertutto, che l’adrenalina e l’ansia mi tengono zitto e fermo. Ne avrei di domande se no, da fare.

Cominciano a vibrare i finestrini. Si sapeva che erano traballanti in ogni caso, ma ora sono chiusi, e quando sono chiusi di solito non traballano. Ora invece vibrano, come il vetro della finestra in cameretta e in salotto quando passa un grosso camion o un pullman giù in strada, o quando ci sono i tuoni. Sempre più forte, sempre più forte, senza tregua. Comincio anche a sentire un suono molto basso, come il suono del terremoto, o il cupo brontolio di un enorme gigantesco drago che sta per eruttare alito di fuoco. Viene dalla mia destra. Non faccio in tempo a girare la testa per guardare che una mano mi spinge la nuca verso le ginocchia, tanto improvvisamente che la cintura si blocca e mi strangola. Vorrei poter dire qualcosa al riguardo ma tutto ciò che mi esce fuori è un «Eeeheeergh».

Non fo in tempo neanche a prendere fiato per pronunciare le parole, che quel rumore crescente si trasforma in una forza prorompente e ci investe con la violenza di una valanga. Mi sento schiacciare allo sportello e sbatto anche braccio e testa, mentre sopra di me, oltre la nuca, percepisco il caos, la fine del mondo sfiorarmi. Non so cosa succede, forse è meglio che non lo sappia, perché devo concentrarmi, devo pensare al mio dolore, e a rimanere in quella posizione, difficile impresa, perché il movimento della macchina mi vuol far aprire come un libro e schiacciare contro lo sportello. Improvvisamente mi sento la schiena bagnata, una sensazione gelida. Avviene tutto così in fretta, tante di quelle forze in gioco che comincio ad andare in confusione.

Qualcosa di morbido mi urta il braccio sinistro: non so cos’è. E poi sento l’acqua sulla schiena e ora alle caviglie anche. Risale. Mi sento assalito dall’acqua, ma da dove arriva? La pioggia? Naah, dubito. Sento dolori sparsi dappertutto. Ora che la macchina è di nuovo ferma provo a stendere il busto, in posizione eretta. Ma… Siamo sott’acqua? Neanche me ne sono accorto e sto trattenendo il respiro. Forse lo stavo trattenendo già da quando papà mi ha fatto piegare su me stesso. Ma tutta quest’acqua da dove è entrata? Forse è la macchina che è stata calciata dalla zampa del drago gigante fino in acqua. Ma non c’era l’acqua prima, cioè, in teoria dovevamo essere dentro a un bosco. Ciò che importa è che comincio a sentire il bisogno di respirare. Sento lo stomaco in subbuglio e la gola mi brucia. Il naso anche. Per non parlare dei dolori alle braccia e alla schiena. La testa non mi fa molto male.

Devo uscire dalla macchina. Forse papà è già uscito, è così tutto scuro che non riesco a vedere bene. La cintura non è così facile da slacciare sott’acqua, è difficile muovere le braccia sott’acqua, specialmente se fanno male. Sto pure per affogare, quindi è ancora più difficile riuscire a slacciarla. Le mani mancano il pulsante rosso una decina di volte prima di riuscire a spingerlo, e la linguetta di metallo vien via fin troppo lentamente, la devo infatti tirar via di forza per liberarmi della cintura. Normalmente si riavvolgerebbe frettolosa, stavolta invece non ha voglia di farlo e devo liberarmene io come se mi trovassi all’interno di una grotta piena di ragnatele. Consideriamo che sono aracnofobico, mi fanno paura i ragni e schifo le ragnatele, quindi se in questo momento la cintura è come una ragnatela, mi sto allora contorcendo come un anguilla pur di liberarmene.

Ci riesco ma ho faticato per essere libero. Provo ad aprire la porta, ma la maniglia non gira. Solitamente si solleverebbe la linguetta di plastica, ma è incollata con la colla: non si muove di un millimetro. Ci faccio caso solo adesso: il finestrino è aperto. Non ricordo di averlo aperto, ricordo che era chiuso e c’erano le goccioline d’acqua. Forse è un illusione ottica. Provo a farci passare il braccio, che fa male, e in effetti passa attraverso un vetro che non c’è. Forse la sorpresa, forse il bisogno d’aria, mi escono delle bolle dalla bocca, che scappano frenetiche verso l’alto. Forse anche io devo seguirle se voglio vivere.

Sbircio dal finestrino verso l’alto e vedo più chiaro. Allora con una spinta mi c’infilo dentro. Ma non ce la fo più, sono stanco e voglio respirare ma non posso. Sono tentato di spalancare la bocca e aspirare, ma sono cosciente del fatto che sarebbe un errore, perché mi entrerebbe l’acqua nei polmoni e morirei affogato. Ma non resisto, una boccata la prendo, e bevo acqua, che caccio giù in gola a forza. Mi stringo il collo con le mani. Mi esce anche un

 «Mmmmmh!»

come un richiamo verso qualcuno che possa aiutarmi con una spinta, o una mano dall’alto. Sbatto le gambe, nella speranza che mi crescano le pinne o una coda come i delfini, ma ciò non accade, non sono in un film. Sono ancora accanto alla nostra Clio nera, nel profondo di un mare sbucato dal nulla e cerco di respirare ma non ci riesco.

È allora che la vedo: occhi scuri, come i capelli, che fluttuano nell’acqua torbida come i tentacoli di una medusa. Sguardo severo, quello che lei ha sempre avuto, con me, con tutti. Tranquilla, indifferente, vorrei gridare qualcosa, ma non ci riesco, o meglio, non lo faccio apposta, perché so che tanto non servirebbe a nulla, se lei vuole lo fa senza bisogno che glielo chiedo io, questo lo so. Allora perché non fa nulla? Perché mi guarda? Perché mi guarda e non fa nulla? Anche se continuo a ripetere a me stesso che prima o poi raggiungerò la superficie, è sempre più chiaro che sto già affogando, che sono già affogato, che ho già bevuto l’acqua, che ho già sostituito aria con acqua.

Che sono morto.

Affogato.

Come faccio a vederla, allora? Perché lei è lì se io sono morto? Io non dovrei essere in cielo? No, sono ancora nel profondo di una melma scura e torbida, dove ci filtrano a forza i raggi di un Sole che già fa fatica a passare attraverso la nebbia, poi gli ci metti pure l’acqua torbida… Non sono ancora morto. Ma le braccia non mi si muovono più, fluttuano come i capelli di lei. Ma le gambe non mi si muovono più, fluttuano come i capelli di lei. Neanche gli occhi li sbatto più, sono fermi, fissi come quelli di lei, su quelli di lei. Tutto fa un male cane. Specie il petto. Il dolore è insopportabile. Eppure nella mia testa io sono tranquillo, e indifferente, io e la tipa ci fissiamo a vicenda e sappiamo che stiamo entrambi morendo. Affogati.

   
 
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