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Autore: CrazyAF_    11/05/2017    0 recensioni
Simile alla mini serie "Lost in Austen".
Samanta Masini, una ragazza italiana di 23 anni e appassionata della letteratura, viene catapultata nel 1811. Lì farà nuove amicizie, conoscerà gentiluomini e parteciperà a balli pubblici e privati. Ma dovrà anche fare una scelta: 1811 o 2017?
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Time travel is such a magic concept ~ Matt Smith

 

 

Amante della letteratura com'era, Samanta Masini andava sempre di buon umore alle lezioni della sua facoltà. Le piaceva poter approfondire le conoscenze che già aveva appreso in passato, al liceo; le piaceva ascoltare attentamente i suoi professori e prendere appunti, dare il meglio di sé agli esami e comprare classici della letteratura inglese e italiana.

Quella mattina, come tutte le altre del resto, Samanta si svegliò col sorriso sulle labbra. L'appartamento che divideva con i suoi tre amici era avvolto nel silenzio. Probabilmente Mirko e Irma dormivano ancora – dato che il martedì avevano entrambi la mattina libera –, mentre Olivia era uscita prima per fare colazione con alcune compagne di corso. Samanta si mise a sedere sul suo letto, si stiracchiò un poco e infine poggiò i piedi nudi sul tappeto nero che aveva nella sua camera.

Raggiunse lentamente la cucina, si fece un caffé e mangiò una brioches alla marmellata. Poi andò in bagno per prepararsi e, dopo circa un quarto d'ora di doccia calda – per far si che i muscoli si ammorbidissero –, tornò in camera sua per prepararsi ad andare in università; pronta e carica come sempre. Infatti aprì il suo armadio con un sorriso e si mise a studiare i vestiti che aveva, lanciando di tanto in tanto delle occhiate fuori dalla finestra: il cielo era azzurro e limpido, qualche nuvola bianca si muoveva lentamente in un mare infinito e il sole sembrava abbastanza caldo; tirò fuori, quindi, un paio di jeans scuri e una camicia azzurra con sotto una canottiera bianca.

Poco prima di uscire, mentre sistemava la sua borsa nel piccolo salotto dell'appartamento, vide Irma uscire dalla sua camera – che divideva con Mirko, il fidanzato – sbadigliando e a passo lento. Non era affatto una ragazza a cui piaceva svegliarsi preso, e si vedeva subito. Samanta salutò allegramente l'amica, sistemando poi la borsa su una spalla e spostando i capelli castani, lunghi e mossi, sulla spalla sinistra.

«Buongiorno Samy» ricambiò il saluto Irma, infilandosi direttamente in cucina per bere la sua tazza di caffé. «Buona lezione.»

Samanta ringraziò ed uscì dall'appartamento, avvisando però che avrebbe fatto tardi per via del lavoro. La ragazza aveva trovato un impiego come cameriera in un ristorante vicino all'università che frequentava; lo stipendio non era di certo alto, ma le permetteva di pagare la sua parte d'affitto, compare ciò che serviva in casa e, qualche volta, libri, libri e ancora libri. Quello che le dava fastidio era la scortesia di alcuni clienti: le era capitato di dover servire ai tavoli di gente che si credeva superiore al resto del mondo, oppure qualche uomo di mezza età che, con poca gentilezza, aveva fatto apprezzamenti su di lei, disgustandola. Ma ormai, dopo tanto tempo, si era abituata e non ci faceva neanche più caso.

A metà giornata, dopo parecchie ore di lezione e alcune passate in biblioteca per lo studio, incontrò Olivia nel bar in cui andavano sempre a prendere per staccare. Parlarono del più e del meno, degli argomenti trattati in aula, degli esami che si avvicinavano e di Mirko che era un dormiglione.

«Irma è proprio la sua anima gemella!» commentò Olivia, ridacchiando. «Quei due dormirebbero tutto il giorno se non ci fosse l'università di mezzo, te lo dico io.»

«E invece tu resteresti attaccata al cellulare, evitando tutti.» replicò Samanta, dando poi un morso al suo muffin al cioccolato.

«Non vorrai farmi la predica adesso, vero Samy?» domandò l'amica, alzando gli occhi al cielo e rimettendo quasi inconsciamente il cellulare nella tasca dei jeans.

«No di certo» rispose immediatamente Samanta. «Il punto è che tutti passeremmo la giornata in modi diversi, se non fossimo iscritti all'università e se si potesse vivere senza dover lavorare: io, ad esempio--»

Samanta non fece in tempo a finire la frase, che subito Olivia la concluse: «La passeresti a leggere.»

Samanta sorrise, concordando su ciò che diceva l'amica. Ricordò infatti il momento in cui, quando aveva diciassette anni, aveva ripreso a leggere e si era ritrovata immersa nella lettura dei classici scritti da Jane Austen – quella che poi divenne la sua scrittrice preferita. Samanta immaginava spesso se stessa, prima di addormentarsi, di essere catapultata nell'epoca in cui aveva vissuto Jane. Era una sua fan accanita. Per giorni, infatti, dopo aver letto il famoso romanzo "Orgoglio e pregiudizio", la ragazza ne era rimasta così affascinata che aveva scaricato una marea di fan art di Elizabeth e Darcy, aveva visto il film del 2005 con Keira Knightley e Matthew Macfadyen, la serie tv del 1995 con il famoso Colin Firth e persino quella del 1980.

La lettura l'aveva poi spinta fra le braccia della facoltà che seguiva adesso all'università, così interessante e adatta a lei. All'inizio si era un po' spaventata nel leggere "frequenza: fortemente consigliata", ma alla fine aveva subito ingranato la quarta e lo studio era filato liscio proprio come gli esami; Samanta era, infatti, una delle migliori del suo corso.

«Credo sia ora che vada, ho lezione e non voglio far tardi» disse infine Olivia.

Samanta controllò l'orologio sul polso sinistro, poi annuì all'amica e la salutò, guardandola poi uscire dal bar. A quel punto la ragazza non sapeva cosa fare: aveva un buco di due ore prima che la sua ultima lezione della giornata iniziasse, e di certo non voleva rimaner seduta lì in quel bar senza far nulla. Quindi si decise: «Magari posso leggere qualcosa in biblioteca o iniziare a studiare le cose che mi mancano»

La biblioteca dell'università era enorme, c'erano scaffali enormi e pieni di libri ordinati con cura, era silenziosa – anche se ogni tanto qualche bisbiglio si sentiva – ed era straordinaria. Vi erano molti computer che gli studenti potevano usare, connessi ad internet ovviamente, oppure erano stati installati dei banconi con le prese: se uno si portava dietro il portatile, poteva facilmente trovare il posto dove attaccare l'alimentatore e un cavo Ethernet, fornito dalla biblioteca, per accedere ad internet e studiare. Inoltre vi era anche una piccola sala lettura: lì regnava la pace e il silenzio, la regola fondamentale era non aprir bocca.

Samanta, una volta dentro, si infilò direttamente fra gli scaffali, sfiorando con l'indice destro le copertine ruvide dei libri. Sorrise quando, seduti ad un tavolo distante una decina di metri dalla sua posizione, vide Mirko e Irma intenti a studiare.

«Avrei giurato che avreste passato l'intera giornata a casa, magari sul divano a sfogliare distrattamente i film e le serie tv su Netflix» commentò Samanta a bassa voce, prendendo posto accanto a Irma e facendo sobbalzare entrambi gli amici.

«Settimana prossima ho un esame, tra un'ora ho lezione» spiegò Mirko, riportando immediatamente i suoi occhi scuri sui libri e i fogli che aveva davanti.

«Io sono qui perché mi piace disturbarlo ogni tanto» spiegò Irma, ridacchiando.

«Ed è insopportabile. Quindi Samy fammi un favore: portatela via» replicò Mirko, scrivendo qualcosa fra i suoi appunti.

«Perché dovrei?» domandò Samanta con indifferenza, nascondendo un sorrisetto divertito. «Ho voglia di divertirmi un po': potrei osservarvi, far passare il tempo aiutando Irma a romperti le scatole e ridere insieme a lei»

«Arpie» sbuffò Mirko, scuotendo leggermente il capo ma con un sorriso sulle labbra.

Le due ragazze, per quasi un'ora, parlottarono tra loro e, ogni tanto, ponevano domande al ragazzo sia per disturbarlo sia per sapere quali opinioni avesse su un determinato argomento. Nel primo caso, Mirko sbuffava ed evitava di assecondarle, nel secondo alzava il capo dai libri e rifletteva un poco prima di tirare fuori le sue risposte intelligenti. Quando mancava più o meno mezz'ora all'inizio della lezione, Samanta si alzò e salutò i suoi amici; fece un ultimo giro per la biblioteca per ammirare i libri e poi si decise ad uscire. Ma poi qualcosa catturò la sua attenzione: uno degli scaffali posti proprio al centro dello stabile aveva un pomello. Samanta lo guardò con curiosità.

Ieri questo non c'era, come ci è fenito qui?, pensò avvicinandosi.

Il legno dello scaffale era un pezzo unico, di un marrone intenso e scuro. Era sicura che quel pomello fosse fuori posto, ma chi poteva averlo messo lì? Si guardò intorno e osservò gli studenti tutti col capo chinato sui libri, alcuni scrivevano e altri sottolineavano. Spinta dalla curiosità, Samanta si sitemò meglio la borsa sulla spalla e poi allungò la mano, afferrando saldamente il pomello. Come se quello scaffale avesse sempre avuto una porta, si aprì e Samanta cadde in avanti, venendo a contatto con una pozza di fango.

«Ma che diavolo?!» esclamò, rimettendosi in piedi e spostandosi i capelli castani dal viso.

La camicia azzurra e la canottiera bianca erano completamente sporche, per non parlare dei jeans. Si tirò fuori dalla pozzanghera e controllò immediatamente la borsa, sperando che i libri e gli appunti non si fossero inzuppati.

«Maledizione!» esclamò nuovamente Samanta, notando alcuni schizzi di fango che erano finiti sulla borsa – per fortuna il contenuto era sano e salvo.

Poi realizzò cosa era appena successo: la biblioteca, il misterioso pomello, la caduta nel fango. Si guardò intorno e, davanti ai suoi occhi, vide una grossa casa a due piani. Era vecchia, lo si poteva notare dai rampicanti che, qua e là, salivano lungo la facciata; la porta era chiusa e sembrava avere almeno cent'anni, inoltre il legno delle finestre era pieno di buchi. Dov'era capitata? Come era finita lì?

Si girò immediatamente, pensando di poter ritrovare quella porta che, in chissà quale modo, l'aveva portata in quel posto così diverso e – molto probabilmente – lontano da casa. Ma la porta non c'era più, era sparita.

 

~

 

Lorain Thomas stava finendo di abbellire il suo ultimo acquisto, un grazioso cappellino col nastro azzurro cielo, quando sentì una voce femminile fuori dalla casa. Era nel salotto, aveva appena finito di bere il suo té, ma si alzò velocemente dalla sua sedia e adagiò il cappellino sul tavolo accanto a lei. La lingua che aveva appena sentito non era la sua, questo la preoccupò molto.

Chi potrà mai essere?, si domandò, uscendo dalla porta principale di casa sua.

Ecco che davanti ai suoi occhi color ghiaccio si presentò una fanciulla vestita in modo strano. Sporca di fango, niente vestito e coi capelli sciolti. Quello che la incuriosì di più furono quel pantaloni – capo che usavano solamente gli uomini – così aderente e fuori luogo. E poi c'era quell'indumento sotto la camicia, completamente aperta, che lasciava intravedere anche troppo – sebbene ci fossero signorine del paese che usassero indossare abiti succinti per i balli pubblici.

Per l'amor del cielo! Dove è andato a finire tutto il decoro?

Ma se da una parte Lorain si trovò a guardare la sconosciuta con occhi critici, dall'altra ne fu affascinata: sembrava una donna libera, indipendente e di certo non aveva paura di osare. Quindi si avvicinò con cautela alla ragazza, la osservò mentre portava all'orecchio un aggeggio strano e si incuriosì molto di più quando sempre lei iniziò a parlare con un tono nervoso, rivolgendosi a chissà chi.

«Irma, rispondi ti prego!» esclamò nuovamente la sconosciuta, guardando in alto.

«Se posso, con chi sta parlando? E cos'è quell'aggeggio che porta all'orecchio?» domandò Lorain, ora a qualche metro dalla sconosciuta.

La ragazza dai capelli scuri incrociò gli occhi di ghiaccio di Lorain – che fece un leggero inchino –, spalancò la bocca e poi scoppiò a ridere, quasi avesse colto qualcosa che solo lei era in grado di fare. Infatti, non appena si fu ricomposta, guardò nuovamente Lorain e disse: «Ho capito: è uno scherzo»

Lorain corrugò la fronte e sostenne il suo sguardo. Non aveva assolutamente idea di ciò che stesse accadendo, inoltre non capiva nemmeno la ragazza. Era raro che un forestiere si presentasse nel bel mezzo dell'Hertfordshire, ed era ancora più raro che questo non parlasse inglese.

«Andiamo, ho capito che è uno scherzo!» affermò la sconosciuta, ma questa volta in inglese. «Dove solo le telecamere?»

«Tele-cosa?» domandò Lorain, ancora più incuriosita da quell'incontro che aveva movimentato il suo pomeriggio.

«Quelle che si usano per riprendere le persone, sai. Poi si fanno i montaggi e si carica il video online e su YouTube» spiegò la straniera, mettendo lo strano aggeggio che prima teneva all'orecchio in una tasca dei pantaloni.

«Mi spiace,» disse Lorain. «ma non ho la minima idea di cosa lei stia parlando»

«Lorain!» la chiamò una famigliare voce alle sue spalle. «Lorain! Ho delle notizie incredibili da raccontarti! Rientra in casa, bambina mia!»

Lorain si girò un secondo, guardò la madre e le fece cenno che l'avrebbe raggiunta subito. Poi tornò a fissare la sconosciuta: aveva spalancato la bocca per la seconda volta, gli occhi erano così aperti che Lorain si spaventò all'idea che, da un momento all'altro, le orbite le sarebbero cadute nel fango.

«Gentilemente, potrei sapere in che anno siamo?» domandò allora la ragazza.

Prima di rispondere Lorain sorrise. «E' l'8 maggio 1811, Miss...?»

«Masini, Samanta Masini» rispose Samanta, sbattendo velocemente le ciglia e dandosi un pizzicotto sul braccio.

«Bene, Miss Masini. Io sono Lorain Thomas, ma potete chiamarmi Lorain» si presentò Lorain, facendo un inchino leggero. «Benvenuta nell'Hertfordshire»

Anche Samanta si inchinò, sebbene non capisse come ci fosse finita nell'Hertforshire. Qualche minuto prima era in Italia, a Milano, e subito dopo era in Inghilterra. Forse stava sognando, ma il pizzicotto che si era data le confermava il contrario; forse aveva sbattuto la testa così forte che era finita in coma; forse... forse era morta.

Lasciò andare quegli orribili pensieri quando si accorse che Lorain si stava allontanando, allora si affrettò a seguirla: «Lorain, ho bisogno del vostro aiuto»

«In cosa posso esserle aiuto Miss Masini?» domandò Lorain, senza fermarsi.

Samanta le spiegò brevemente cosa le era capitato, sapendo benissimo che la ragazza non le avrebbe mai creduto. Eppure tentò. Le spiegò di come fosse arrivata e caduta nella pozza di fango, le disse da dove veniva e in che anno viveva – il 2017 –, e infine le disse di come era rimasta sconvolta nel vedere Lorain e il suo delicato vestito di mussola color crema, così diversa dal modo in cui si vestiva Samanta e così identica a come vestivano le attrici nei film ambientati negli anni di fine '700 e inizio '800.

Penserà che sono pazza, o forse lo sono davvero, pensò Samanta.

Lorain, che l'aveva ascoltata dall'inizio alla fine, le fece cenno di seguirla in casa sua. Voleva credere alla sua nuova conoscenza, voleva sperare che quello che avessero udito le sue orecchie fosse tutto vero; quindi avvisò la madre – che la aspettava nel salotto di casa per dirle le notizie che aveva appreso in città – di aspettarla un poco ancora. Portò in camera sua Samanta e le disse di restare lì finché non fosse tornata.

Quando rimase sola, Samanta tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e controllò lo schermo: in alto a destra erano sparite le quattro tacche bianche, ciò stava a significare che non c'era campo. Tentò comunque di mandare un messaggio ai suoi amici, poi li chiamò, ma nulla ebbe successo.

Era bloccata nel 1811 e non aveva idea di come tornare a casa sua, nel 2017. 


NOTA AUTRICE

Quando ti metti a rileggere per l'ennesima volta "Orgoglio e pregiudizio" e la tua mente viaggia e crea questo tipo di storie.
Che dire? Spero vi piaccia!

 

   
 
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