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Autore: vittysch    11/05/2017    0 recensioni
Una piccola cittadina nel Kansas ed i suoi segreti, un gruppo di ragazzi che dovrà improvvisarsi salvatore del mondo, una razza dimenticata e nascosta da secoli che riemerge sull'onda di una profezia tanto surreale quanto pericolosa. Uno scontro generazionale che porterà Alex, la protagonista, e coloro che la circondano a cambiare per sempre ed uscire dal loro piccolo mondo adolescenziale fatto di piccoli problemi adolescenziali.
Disclaimer: Si tratta di un vecchio progetto che ho deciso di ritirare fuori, ogni commento costruttivo e critica sono felicemente graditi.
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò in casa calciando la porta, fra le mani un grosso scatolone sigillato con lo scotch, inspirò a pieni polmoni l’odore di mobili nuovi che conosceva piuttosto bene. Era il quinto trasferimento che facevano lei e la madre in pochi anni, un vero e proprio stress ma ormai vi aveva fatto l’abitudine, ogni volta la madre prometteva che era l’ultima volta che avrebbero cambiato casa e poi, puntualmente, l’azienda per cui lavorava la spostava da qualche parte e di nuovo Alex doveva abbandonare gli amici appena fatti, sistemare tutti i suoi averi nelle scatole e cambiare città. Questa volta erano andate ad Olathe, un paesino insignificante disperso nel Kansas a mezz’ora di auto da Kansas City. Ormai aveva anche smesso di aprire la maggior parte delle scatole, abbandonandole in un angolo della stanza e tirando fuori solo il minimo necessario, a scuola non scambiava che un paio di parole evitando di legare con gente con cui poi avrebbe smesso di avere rapporti, incapace di mantenere un’amicizia a distanza. Una cosa di cui la colpa la attribuiva al padre che, dopo il divorzio, aveva tagliato completamente i ponti con la figlia, portandola a detestarlo oltre che ad evitare qualsiasi rapporto a distanza, troppo faticoso da mantenere efficacemente. Il salotto si apriva in maniera luminosa davanti a lei, ampio ed arieggiato di cui le pareti erano colorate di un brillante ed inusuale arancione. Divano color crema, poltrona abbinata, cuscini variopinti ed un tavolino da caffè nero da un lato, la tv e la grossa libreria a muro dall’altro. In un angolo della stanza vi era anche un caminetto mentre dal lato opposto la porta che conduceva alla cucina che riusciva giusto a scorgere. Affianco all’ingresso vi erano le scale che portavano al piano di sopra della casetta, la classica casa a due piani americana con il tetto spiovente.
«Allora, come ti sembra?»
La madre, Martha, era comparsa da dietro, reggendo a sua volta una scatola sigillata con sopra la scritta “soggiorno”, guardava sorridente la figlia, un sorriso bianco che sembrava cancellare i segni del tempo sulla donna quarantatreenne il cui volto era stato rigato dalle preoccupazioni ed i capelli parzialmente ingrigiti dal tempo. Si guardarono a lungo e solo alla fine Alex decise di darle una risposta, stringendosi nelle spalle e commentando con un semplice:
«Carina»
«Di sopra ci stanno le stanze, vuoi dare un’occhiata?»

Le dispiaceva ammazzare così l’entusiasmo della madre, le faceva male risponderle con così poca gioia o coinvolgimento ma aveva imparato a non affezionarsi ad un luogo o delle persone proprio per evitare il dolore dell’addio.
«Ok»
Lapidale, senza trasporto mentre iniziò a salire le scale che portavano di sopra lasciandosi alle spalle una madre che provava con tutte le sue forze a rendere quel trasferimento migliore di quanto non fosse. Il piano superiore si apriva sulle scale con un piccolo corridoio, la prima porta a destra era la camera da letto, seguita da una porta che conduceva al bagno ed una terza porta che si apriva sulla sua nuova stanza. Vi entrò, abbandonando sul pavimento in parquet la scatola e, quindi, girando su sé stessa lentamente per osservare un po’ il luogo. Le pareti dovevano essere riverniciate, i vecchi proprietari avevano provveduto a sistemare solo il piano inferiore lasciando i muri di quella stanza, e presumibilmente le altre su quel piano, bianche e stinte, giallognole in alcuni punti. Delle ante in legno bianco separavano l’armadio a muro dal resto della stanza illuminata da un’enorme finestra che, invece, aveva come vista il giardino sul retro che andava sistemato, pieno di erbacce e delimitato da una grossa ed alta recinzione in legno che separava la loro proprietà da un piccolo campo d’erba prima del bosco scuro e rigoglioso ad una ventina di metri da quella casa. Sbuffò dalle narici, e quindi fece dietrofront per poter scendere nuovamente le scale e finire di scaricare le scatole dal camioncino che avevano affittato. Dopo una cena praticamente spartana salì in camera, andando ad infilarsi nel letto su cui aveva messo le prime lenzuola trovate, il resto della stanza era ancora vuoto meno che per le scatole in un angolo, al solito. Martha bussò delicatamente alla porta, entrando ed andando a sedersi sul letto, affianco alla figlia che scorreva annoiata dei post su facebook di cui non le interessava niente, sentì la mano della madre iniziare a giocare in modo dolce con i riccioli neri che si trovavano sparpagliati sul cuscino, Alex sapeva che quello che stava per venire sarebbe stato un momento commovente, qualcosa da nodo alla gola e lacrime agli occhi, conosceva la madre e conosceva quell’espressione che esprimeva colpa e stanchezza
«Mi piace molto qui mà»
Fece un sorriso flebile, provando a far fare lo stesso alla madre, non sopportava l’idea di ferirla con il suo atteggiamento aggressivo-passivo. Martha annuì un paio di volte in modo silenzioso, a differenza di quando sorrideva ora più che mai il viso era segnato da quelle rughe sottili che ne solcavano la fronte pallida e gli angoli esterni degli occhi, altre rughe si trovavano agli angoli delle labbra sottili di un sano rosa scuro. Si passò la mano che non accarezzava la figlia fra i capelli scuri e ricci ereditati da Alex
«Sono contenta, questa volta davvero è diverso, mi hanno detto che è definitivo»
«Lo so»

Non le volle ricordare che anche le altre volte sarebbe dovuto essere definitivo. Si diedero la buonanotte restando entrambe con un sapore agrodolce in bocca, Alex perché avrebbe voluto dirle tante cose, parlarle come quando era piccola e provare a distruggere quel muro che si era costruito fra di loro, magari raccontarle del solito nervosismo che provava quando doveva presentarsi in una scuola nuova, Martha invece avrebbe voluto rassicurare una volta e per tutte la figlia, credere davvero che quello sarebbe stato l’ultimo trasferimento…la verità, però, era che anche lei aveva perso la speranza di stabilità e con quella la speranza di riavere indietro la sua bimba solare.

Quella notte fu particolarmente agitata per Alex, si svegliava e si riaddormentava, faceva sogni vividi intrisi di sangue che si alternavano con sogni più piacevoli, di gattini o dolciumi. Ad un certo punto però fece il sogno più vivido della sua esistenza. Si trovava davanti ad una scuola, la classica scuola americana color mattone, insignificante e ad un piano, nevicava pesantemente e non vi era nessuno nel raggio di chilometri, il silenzio tombale era rotto solo dal vento che di tanto in tanto ululava furibondo trascinando con sé raffiche di neve candida e fredda. Si guardava attorno, girò su sé stessa e quando ritornò a guardare in direzione della scuola davanti a sé era comparsa una locomotiva lunghissima. Era in metallo scuro, quasi nero, i vagoni erano chiusi, privi di finestre, collegati fra di loro con fili a lei invisibili. Teste animali si trovavano in rilievo su tutti i vagoni che avevano una forma cilindrica a differenza dei soliti treni e, inoltre, fluttuavano a pochi centimetri da terreno. Il vapore sbuffava dal metallo incandescente di cui era composto quell’insolito mezzo di trasporto andando a sciogliere la neve che si trovava sotto per terra, creando pozze d’acqua e gocce di pioggia nell’area che lo circondava. Sembrava uscito direttamente dall’Inferno.
«Infatti viene dall’Inferno»
Qualcuno dietro di lei parlò leggendole letteralmente nel pensiero e nel mentre poggiava lunghe dita ossute sulle sue spalle, stringendole con una forza inumana ed impedendole di girarsi per poterlo guardare in volto. Fece un lieve mugolio di protesta davanti a quella stretta provando a scivolare via da questa, così da potersene andare quanto più lontano possibile ma fu tutto inutile. Quelle dita simili ad artigli ormai l’avevano bloccata e non sembravano intenzionate a farla andare via.
«No no, resta qui un attimo, ssssh, lo senti?»
Era perplessa, non sapeva che cosa avrebbe dovuto sentire, stava anche per aprire la bocca per iniziare a dare addosso all’individuo che finalmente capì di che cosa stesse parlando. Urla, grida disperate e strazianti che provenivano da quei vagoni di quel treno tanto lungo da perdersi all’orizzonte, quegli ululati quasi inumani venivano soffocati dal metallo dei vagoni oblunghi e inusuali
«Ti toccherà scegliere chi salvare fra di loro un giorno, lo sai?»
Apparvero uno accanto all’altro diverse figure, maschi e femmine, tutti terribilmente e giovani e nessuno che avesse mai visto prima…coetanei, strano a dirsi ma stava davvero sognando coetanei. Non le accadeva mai, il più delle volte riadattava film o serie tv, nelle notti particolarmente fantasiose faceva una mescolanza di tutto quello che le era capitato di vedere. Li guardava, le mani ferme che continuavano a tenere nella loro morsa che sembrava incredibilmente reale, poteva sentire il dolore…era lì, era vivo e presente, i ragazzi la guardavano a sua volta spaventati e confusi almeno quanto lei
«Se solo potessi…»
L’ultimo sussurro dello sconosciuto che fece scivolare le mani artigliate sulla sua trachea, iniziando a stringere il collo esile con forza crescente. Alex annaspava alla ricerca d’aria, scalciava, si dimenava ma fu solo la sveglia con i suo rumore squillante a salvarla dal soffocamento, facendole aprire gli occhi nella stanza in cui si era coricata la sera precedente. Aveva le mani strette attorno al collo, fece quasi fatica ad allentare la presa nervosa che stava esercitando su sé stessa. Si rilassò con fatica, riprese il controllo di sé e rabbrividì nel constatare che il cuscino era pregno di sudore di puro terrore, terrore che si trovava ancora annidato in fondo al cuoricino dal battito sempre più regolare. Attese un po’ prima di spegnere la sveglia e quindi alzarsi, trascinandosi in bagno e fissandosi lungamente nello specchio. I riccioli neri erano ancora lì, umidi ed appiccicati alla fronte, la pelle pallida aveva meno colorito del solito, risultato tesa e malsana, quasi come se fosse ammalata…le occhiaie violacee sotto gli occhi grandi ed orlati da folte ciglia nere poi non aiutavano affatto a dare l’impressione che fosse sana. Si tastò il volto stanco con le dita affusolate e sottili, stranamente eleganti, il naso schiacciato, le labbra carnose e gli occhi dalle iridi grigie che la fissavano senza cambiare improvvisamente. Era lei, lei con il corpo slanciato e sottile, le curve femminili appena accentuate che stavano facendo la loro timida comparsa forse un po’ in ritardo considerando i suoi sedici anni, nel complesso era graziosa, non proprio un esempio lampante di sensualità.

Si mise il migliore paio di jeans che possedesse, un paio a vita alta ma piuttosto semplici, delle scarpe da ginnastica ed una maglietta decisamente anonima ma che apprezzava per il bel color bordeaux scuro che metteva in risalto l’incarnato pallido di cui in fondo andava fiera. Salutò la madre andando quindi alla scuola che si trovava a mezz’ora di distanza forse anche quaranta minuti, certo, si sarebbe potuta far accompagnare o prendere il bus ma camminare quel mattino le avrebbe fatto bene, doveva distendere i nervi e riprendersi dalla nottataccia e da quello che riteneva fosse un brutto attacco di sonnambulismo autodistruttivo, non ne aveva idea e non voleva neanche pensarci troppo. Vide altri giovani convogliare verso un punto, segno che stava andando nella direzione giusta e, quando alzò lo sguardo, rimase letteralmente pietrificata. Quell’ammasso di mattoni era la stessa identica scuola che aveva visto nel sogno, mancava solo la neve ed il treno infernale ma l’angolazione, le ombre…tutto era identico. Deglutì a fatica intanto che il cuore iniziò a galoppare nel petto, era quasi tentata di andarsene presa dalla suggestione, ma cominciò a dirsi che la sua mente le stesse giocando solo dei brutti tiri per via della stanchezza, roba da nulla. Probabile che il giorno prima passando con il camion dei traslochi abbia visto la scuola, anzi, era certa che le cose fossero andate così…sì. Quella montagna russa di emozioni stava giungendo al capolinea, Alex ne era convinta, in fondo era di nuovo tranquilla o almeno si stava calmando. I passi che continuarono incerti verso l’edificio…eppure non aveva neanche la più pallida idea che il suo cuore stava per andare ancora una volta in tachicardia. Davanti a lei a diversi metri di distanza vi era lo stesso gruppo di ragazzi del sogno non si poteva sbagliare per nessun motivo al mondo, parlavano fra di loro in modo fitto, gli zaini sulle spalle, gli sguardi adombrati e, alla fine, si accorsero di come li stesse osservando sull’orlo di un attacco di panico. Riusciva quasi a percepire le mani omicida attorno al collo. Il corpo si ribellò in automatico intanto che fece svariati passi indietro, il gruppetto sembrava sconvolto almeno quanto lei ma non potette chiedere il perché, ormai stava già correndo via.

End of chapter one
To be continued...
   
 
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