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Autore: Dakota Blood    13/05/2017    0 recensioni
Ellie è una ragazza difficile, si droga e la sua famiglia non si preoccupa di lei.
Romanzo liberamente ispirato a Noi i ragazzi dello zoo di Berlino
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SETTIMO Arrivò l’inverno e mentre attraversavo per caso il passaggio a livello della mia città vidi Stella con un pancione più grande di lei. -Stella- le dissi, ma non mi sentì affatto. Lasciai perdere, ma non mi sfuggì il lividio enorme che aveva sullo zigomo destro. Cosa mai le sarebbe potuto accadere se il bambino si fosse fatto male? E se il padre fosse uno zoticone quanto lo era suo padre tre anni fa, quando la conobbi? Me ne andai piena di dubbi e di isteria e per il sicuro mi feci prescrivere dieci gocce di Valium contro l’ansia, giusto per starmene tranquilla nella mia comfort zone. Tornai a casa tranquilla e beata, accesi la tv, sintonizzandomi sul cinque. Non c’era un cazzo di niente. Il gatto mi guardò impassibile. Lo chiamai perché volevo dargli da mangiare, magari qualche piccola crocchetta, qualche caramellina di quelle commesitibili per i gatti, ma lui iniziò a ronfare e socchiudere gli occhi. Con quello sinistro sbirciò l’atrio, e solo dopo capii il perché, mentre con quello destro abbracciava l’idea che Morfeo gli stesse alle calcagna. La porta si aprì ed entrò Carlo, il mio coinquilino con cui facevo sesso disperato da tre anni, e mi prese con forza per le braccia, io urlai oin un moto nervoso e agitato e lui mi strinse più forte il collo, lasciando poco spazio all’ossigeno. Sto morendo pensai, ma solo poco dopo, circa cinque secondi dopom notai che in mano aveva un mazzo di fiori e che la presa si stava allentando. E soprattutto capii che nel calendario era segnato primo Aprile, il giorno degli scherzi. -Bello da parte tua fingerti un serial killer, non ti basta già che quando ci siamo conosciuti sembrava volessi rapinare una banca?- gli dico, accarezzandomi il collo doorante. La sindrome di Stendhal non mi passerà mai più. Lui ride e accarezza Bicio, il gatto arancione che va a spasso con Morfeo, e mi guarda fisso, per poi baciarmi sonoramente e promettermi che non lo farà mai più. Uomini, come potergli credere? - Ho fame- gli dico, stravaccandomi sul divano letto. Lui mi porta qualcosa di cinese, sushi con salmone raffermo, e faccio la faccia un po’ schifata. - Non hai qualcosa di più buono? Che ne so, una fiorentina?- - -No, mi spiace- wow finalmente ha parlato. L’uomo del silenzio si è espressamente concordato con la solitudine affinché non dicesse mai una sillaba o una vocale ed ora invece l’incantesimo si è rotto, come una siringa. Spezzato come un dolore al cuore. - Lo abbraccio ma con poca forza, mangio qualcosa al volo e mi cambio. Chiamo mia sorella, quella troia, e sento che non è raggiungibile. Spargo qualche libro qua e là, vedo Margaret Mazzantini mentre vola fra Khaled Hosseini e Stephen King, il mio autore preferito, e spolvero un po’ in giro, dove capita, tanto c’è sempre tempo per la casa. Casa è dove abbiamo il nostro cuore. - Lui si è addormentato sul divano e non lascia spazio all’immaginazione. Proprio carino mentre sonnecchia come un bambino che vuole il suo bel ciuccio. - La tv decido di spegnerla, e mentre cambio canale, proprio sul più bello, mi suonano alla porta. - Vado ad aprire e trovo Stella con un fagottino in braccio. - -Posso?- mi chiede, con una faccia distrutta. - Vorrei dirle che l’altro giorno è stata molto maleducata a non rispondere e non avermi salutata, ma lascio perdere. Do’ una sbirciatina al mio maritino, ma dorme come un ghiro e potrei benissimo evitare di svegliarlo facendo meno rumore possibile, invitando emtrambi al silenzio e a togliere le scarpe per non lasciar tracce in giro. Ho una bellissima camera per ospiti proprio accanto alla tv, quindi alla cucina. - -Prego, entrate- - Stella mi sorride, ma i suoi occhi piangono. - Mentre li faccio entrare il mio maritino si rigira tre volte verso destra e mi incute il raro timore che possa farci del male. Chissà perché a volte ho paura che possa sclerare e mandarci tutti al diavolo, me compresa, o puntarmi un coltello alla gola e mandarmi al creatore. Invece non succede nulla di tutto questo e li accompagno in camera da letto. Lei appoggia il piccolo sul letto e scoppia a piangere silenziosamente, abbracciandomi. - -Se non avessi te!, se non avessi te!- mi ripete, quasi come un mantra. - -Shh, è tutto aposto, calmati, che succede?- - - Lui, mi hai picchiata e mi ha mandata via di casa. L’altro giorno ti ho vista ma non potevo fermarmi da te, luimi stava seguendo e avrei potuto mettere in pericoo te e i tuoi familiari. Lui è molto potente e pericoloso, conosce i più ricchi del paese, sa benissimo a chi rivolgersi se vuole la mia testa su un piatto d’argento e sa bene come mettere ko tutti i miei amici più cari. Non vorrei mai che lui facesse ciò che ha fatto a me. Guarda- - Mi mostra il lato del viso meno consumato dall’avidità umana, dalla rabbia feroce di un mostro che non ha bisogno nemmeno di essere presentato: suo marito. - -Lurido bastardo!- dico io, trafelata e stanca morta. - -Possiamo rimanere un po’ di tempo qua da te?- - Cerco di non impazzire, metto a posto i circuiti della mia mente, i neuroni e poi le dico spazientita: - -Certo, ma non pensare di essere al sicuro qua- e glielo dico con estrema sincerità. - Lei guarda il divano e poi quasi sviene. - La sola presenza di un uomo in casa la destabilizza a tal punto che inizia a ricordarmi quanto siano stronzi gli uomini e quanto usino le donne solo per fare i loro comodi.- Gli attacchi di panico,- mi dice, -sono causati dalla loro presenza, perché esendo così meschini, scatenano in noi uno stato emotivo talmente sconcertante che noi nemmeno ce ne rendiamo conto e cosa possiamo fare? Nulla, se non denunciare- - Mi rendo conto che sta alzando un po’ troppo la voce e le chiedo gentilmente di abbassare i toni. - -Scusami, sono abituata al registro che tengo in casa mia- - Il bambino dorme come un angioletto e decido di preparare qualcosa che non sia la solita merda che prendo quando mi trovo in situazioni catastrofiche e solo ora mi rendo conto che l’unica cosa che davvero mi riesce bene è dorgarmi. Eroina pura. - -Tu ti droghi ancora Ellie?- ecco che la ragazza non si fa i cazzi suoi. Sembra avermi letto nel pensiero e nonostante le voglia un gran bene dell’anima la guardo un po’ storta, accorgendomi del suo rifiuto nel comprendere il mio atteggiamento. - -Si. Sono una grandissima e beatissima drogata. Ho un uomo che non si droga ma che sta con una che si fa’ dal giorno alla notte. Contenta?- - -Non era mia intenzione… se vuoi andiamo via- Prende il bambino in braccio e la fermo con un colpo leggero. - -No, voglio che stiate qua al sicuro. Lui è un po’ manesco, è vero, io sono una tossicodipendente, ma non siamo assassini come tuo marito- - Mi sorride e guarda suo figlio, chiedensoi in quale posto l’abbia mai portato. - Andiamo in cucina a sorseggiare un po’ di the alla menta e a ricordare i tempi passati. - -Ti ricordi quella volta che mi sei letteralmente caduta addosso davanti al prof?- - Rido sbrodolando. - -Veramente il mio ricordo personale sta piuttosto nella mancanzan dei termosifoni accesi. Faceva talmente tanto freddo che pur di scaldarmi mi sono finta lesbica.- Ridiamo ininterrottamente e sento lo sbdiglio del mio maritino arrivare dal salotto. - Stella sembra un po’ agitata e guarda il bambino che ciuccia beato il biberon come se fosse il seno della mamma. - -Non è nulla, vedrai. Non preoccuparti. Don’t worry be happy. Te lo ricordi il motto degli hippie?- E quando mettevamo le coroncine? Bellissime. Sono passati solo tre anni ma siamo cambiate tante. L’unica differenza sta nel fatto che tu hai avuto un figlio e io invece sono ancora una tremenda ragazzaccia- Mi meto in mostra di malavoglia pur di farla ridere e constato che ci sono riuscita fin troppo bene, tanto che versa il the sul linoleum nuovo. - -Oh scusa- mi fa’, realmente dispiaciuta. - -Ma di che?- le dico, raccogliendo tutto con uno straccio Vileda. - Il bambino ride, con gli occhietti chiusi, mentre Bicio soffia e sembra irritato. - Basta che si tratti di maschi, i rompicoglioni sono sempre al primo posto. - Il mio maritino si alza, si fa un goccio e torna da noi, accogliendo Stella con un saluto forzato. - Lei si immobilizza, ansiosa e preoccupata. Le stringo la mano e il the le scivola giù lungo la camicetta, freddo e sensibile al calo di energia del suo corpo. Il maritino vede la scena e si incazza. Volano piatti che non erano mai volati, e tutto per cosa? Perché anziché mettere il pavimento normale c’è questa merda di linoleum a cui tiene moltissimo. Stella urla, piange, il bambino vuole scappare, è piccolo ma sembra abbia già capito il sapore del malcontento, tutto va’ a rotoli e il gatto graffia la mia spalla, come se c’entrasse qualcosa in tutta questa scena. - Vedo Stella che apre la porta, azni la spalanca ed esce furtiva come se avesse visto l’angelo della morte, mi abbandona per sempre, mi allontana dalla sua vita. - -FanculFanculo troia!- le fa’ il mio maritino, appesantito dal sonno del pomeriggio. - Serataccia per tutti, ma che ci si può fare? - Mi vien quasi da piangere, poi mi ricordo dei bambini in Africa, che stanno mille volte peggio di me, e allora smetto e mi rialzo moralmente, rimettendo a posto i cocci di tutta una vita. Mi squilla il telefono, è mia madre. - Giornata di merda.
   
 
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