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Autore: Dakota Blood    14/05/2017    0 recensioni
Una serie di storie che vi toglierà il sonno.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Contagio ideale C’erano tutti. La signora Dowell e suo marito, il signor Crowell con la nipotina Daisy di appena sei anni e l’uomo che avrebbe raccontato la storia. La storia di tutte le storie. -Volete un’altra fetta di torta?- chiese Patricia Dowell, sfoggiando un sorriso impeccabile da dente d’oro. -No grazie- rispose l’uomo, toccandosi la pancia piuttosto voluminosa, facendo intendere che non era un gesto di timidezza ma il problema era che proprio non ci stava altro. La piccola Daisy arricciò nervosamente una ciocca di capelli attorno alle dita e inseguì una zanzara con lo sguardo. -Non ci sta più niente in questo pancino- disse la bambina, facendo sorridere i più grandi. Il signor Dowell si alzò aiutandosi con il bastone e rifiutò il braccio della moglie con un gesto piuttosto brusco. -Non sono ancora così vecchio da aver bisogno di una balìa- Si mise di fronte alla grande finestra della veranda e da lì ammirò il mare, quell’immensa distesa azzurra che si mischiava al colore dei suoi occhi. Daniel sollevò in alto il bicchiere pieno di birra e lo mandò giù tutto d’un sorso. -Allora signor… come ha detto che si chiama?- gli strizzò l’occhio perché il sole era forte e non riusciva a vederlo con chiarezza. L’uomo lo guardò con difficoltà perché aveva una benda scura che gli copriva la parte sinistra del volto. Si sistemò meglio sulla sedia e si toccò la benda che gli era scivolata di poco, mostrando leggermente un lembo di pelle bruciacchiata. -Non ha importanza come mi chiamo, comunque se questo può essere rilevante per qualcuno, sono Mark Hendoll. Ma state certi che non dimenticherete facilmente il mio viso- Patricia si sedette accanto al marito con ancora il delizioso profumo della torta di limone in entrambe le mani e stette ad ascoltare l’uomo misterioso. Daisy sbadigliò e appoggiò la testa sulla tovaglia a fiori. -Piccola, attenta a non sbattere la testa sul cesto di frutta- le disse il nonno spostandolo verso il centro. Ma orami lei era già sprofondata nel mondo dei sogni. Il signor Dowell rimase in silenzio per qualche minuto. -Bene signor Mark, cosa voleva dirci?- L’uomo sorrise, li guardò tutti fissandoli con attenzione e dopodiché rivolse lo sguardo sull’orologio che segnava le quattro del pomeriggio. -Bene- disse, sistemandosi ancora la benda per coprirsi meglio –abbiamo qualche ora di tempo, suppongo- Incrociò le mani e sospirò. -Signora Patricia?- Lei ebbe un sussulto e balzò dalla sedia, come se avesse preso la scossa, e solo un secondo dopo si riprese e gli sorrise passandosi una mano tra i capelli in modo nervoso. Lui se ne rese conto all’istante. -Non volevo mica spaventarla, vorrei solo un bicchiere d’acqua- -Oh certo, frizzante o naturale?- -Naturale grazie, non mi sono mai piaciute tutte quelle cose modificate dalla mano dell’uomo- Gli sorrise e si avviò in cucina a passo svelto. La piccola si rigirò sul tavolo, mostrando un grosso segno rosso sulla guancia sinistra. -Tesoro- le disse il nonno, -così ti fai male, vai a riposare nel lettone di sopra assieme a Bunny e tutti gli altri pupazzi- L’uomo bendato fece un gesto improvviso, si alzò e diede un leggero bacio alla bambina dicendole di continuare a dormire tranquilla. -è molto meglio se la piccola dorme serenamente, non è un racconto molto appropriato per la sua età- -So bene cosa è meglio per la mia nipotina, sono suo nonno non un uomo qualunque- Mark rise a bassa voce. -A volte chi pensa di essere vicino ad una persona solo per grado di parentela, non conosce neanche una piccola parte di lei o dei pericoli del mondo- Si sedette e in quel momento tornò Patricia con l’acqua. -Grazie signora- -Non c’è di che- Bevve quasi tutto, lasciò pieno solo un terzo del bicchiere e lo guardò attentamente. -Le bollicine che ci sono nell’acqua, non vanno mai da nessuna parte non è vero? Voglio dire, fluttuano e si fanno notare da tutti noi, ma rimangono sempre lì, in quel bicchiere, concentrate in uno piccolo spazio- Michael sbuffò e rise. -E questo cosa dovrebbe farci capire? È forse venuto per farci una lezione di chimica o per dirci che è un analista?- -No- disse lui in modo secco e privo di emozione. -Non di certo. Le bollicine di quest’acqua non possono volare via da qui, sono un piccolo corpicino rotondo privo di sostanza. Cosa le differenzia dal corpo umano?- Patricia si guardò attorno e parlò, sentendosi leggermente in imbarazzo. -Beh io suppongo che la differenza sia evidente. Se uno di noi dovesse immergersi in un recipiente pieno d’acqua, dopo qualche minuto non resisterebbe e sarebbe costretto a riemergere. Quindi la differenza sta in questo, loro vivono nell’acqua, noi no- L’uomo fece un cenno positivo con la testa ma non si sentì compreso del tutto. -La vera differenza sta in un elemento essenziale, tanto utile quanto pericoloso. L’anima. Se ognuna di queste bolle avesse un proprio spirito, potrebbe pensare e quindi vagare con la mente e tramite la forza del pensiero potrebbe addirittura uscire da quel bicchiere, non in senso fisico, ma in quello spirituale. Potrebbe andar via con la mente e raggiungere luoghi che nessuno conosce- Michael sbadigliò e la piccola Daisy parlò nel sonno, raccontò che in un verde prato le margherite le sorridevano e cantavano assieme a lei. -E quindi tutto questo cosa dovrebbe farci capire?- L’uomo si girò verso Michael che lo guardava con la tipica espressione di chi non crede a nulla di ciò che si sta sentendo. -Signor Crowell, ha presente quelle persone che possiedono un dono particolare, quel qualcosa di incomprensibile che lo distacca da noi poveri umani privi di intelletto?- Michael fece spallucce e si rivolse alla moglie che lo imitò. -Non sapete a cosa alludo, come supponevo… Tanti anni fa ho conosciuto una persona che definirei ‘strana’ e non l’ho mai più dimenticata. Non si può scordare un volto del genere, sarebbe impossibile.. Avete mai sentito parlare delle cosiddette voci nella testa o di esperienza extracorporali tra la veglia e il sonno?- Michael rise. -Io quando torno dal lavoro nei campi ho talmente tanta stanchezza addosso che l’unica cosa che sento è la sveglia l’indomani mattina.. quella sì che parla e non la smette più!- Risero tutti a gran voce, tranne Mark. -Signor Hendoll, la prego, non sia così serio avanti… L’abbiamo invitata a pranzo perché ci ha pregati di ascoltarla e ci sta più che bene, ma deve capire che noi siamo gente allegra. Non si prenda troppo sul serio.- L’uomo si alzò e si mise di fronte a lui puntandogli l’indice contro. -Non si azzardi minimamente a prendersi gioco di certe cose, ha capito? Non ha sentito ancora nemmeno l’inizio della mia storia, quindi se poi alla fine avrò ancora la voglia di ridere e scherzare è un conto e ne riparleremo, ma per ora pretendo il massimo rispetto e silenzio. È un discorso serio.- -Va bene, scusi tanto. Ci dica tutto quello che vuole- Si risedette e chiuse gli occhi concentrandosi. -Vi stavo dicendo ciò che vidi due anni fa. Prima di entrare nel vivo della situazione, prima di arrivare al nocciolo del discorso, vorrei parlare delle mie esperienza nel settore per farvi capire meglio. Faccio lo psicologo e mi sono capitate davvero le situazioni più bizzarre in assoluto, un uomo che diceva di vedere sua moglie ogni notte alle tre in punto proprio sopra il suo comodino, vi rendete conto?- Patricia rimase scioccata e si portò una mano alla bocca mostrando il grosso anello che portava all’anulare. -Sul comodino?- -Si, non sto inventando assolutamente nulla. La vedeva ogni singola notte, ricoperta di sangue mentre gli sorrideva e lo guardava dormire. Una volta mi disse addirittura che al mattino aveva trovato un messaggio vicino alla confezione di medicinali, e aveva subito riconosciuto la sua calligrafia, l’inconfondibile scrittura della moglie… quel modo di allungare le curve delle P e delle L e il modo buffo in cui sottolineava alcune parole, come per imprimerle bene a mente. Nel messaggio gli diceva che la colazione era pronta e che era dovuta uscire di fretta per delle commissioni urgenti. Nell’ultima seduta mi disse di averla vista mentre saltava sull’armadio e ballava come una danzatrice delle fiabe arabe, agitando dolcemente il bacino e portando il corpo all’indietro. Mi disse anche di averla desiderata come non gli succedeva più da tanti mesi ma che allo stesso tempo l’aveva temuta, come se stesse ammirando una maledetta sirena…- -Perché quella era stata l’ultima seduta?- chiese Michael incuriosito -Perché quella stessa notte quando tornò a casa si svegliò alle 2:59 del mattino, prese una lametta dall’armadietto dei medicinali ( dove erano conservati innumerevoli flaconcini e pomate per qualsiasi parte del corpo e per ogni tipo di problema, indubbiamente era un ipocondriaco) e si tagliò la gola. Non ebbe paura di morire perché ne aveva troppa per vivere ormai, capite? -Si, ma è orrendo!- disse Patricia abbracciando il proprio corpo come avesse paura che da un momento all’altro, magari quella stessa notte quando si fosse trovata da sola nella sua camera, lo stesso uomo morto suicida sarebbe sbucato da sotto il letto e avrebbe cercato di tagliarle i polsi. -Signora mia, sarà anche orrendo, ma ciò che gli stava capitando lo era mille volte di più.. la cosa più grave è che tutto questo era solo nella sua testa e io non ho potuto fare nulla per salvarlo, non ci sono riuscito..- Patricia e Michael si sedettero meglio, Daisy sbadigliò e poi riprese a dormire beatamente, mentre suo nonno guardò in direzione del mare e vide una fila di barche a vela che sicuramente si preparavano a gareggiare. Spostò l’attenzione su Mark e così non seppe mai quale sarebbe arrivata per prima a quella regata. -Ci dica tutto dal principio, non ometta nulla. Siamo adulti vaccinati e non sarà di certo questa storia a non farci dormire questa notte. La ascoltiamo- -Siete sicuri di voler sentire il racconto completo nei minimi dettagli?- Patricia guardò suo marito che rivolse lo sguardo verso Henry Crowell che si assicurò che la piccola non stesse ascoltando. -Bene dunque, chi tace acconsente- disse l’uomo, guardandosi le mani e ripercorrendo con il pollice i calli lungo le linee della vita. -Sapete, prima di riuscire a laurearmi in psicologia conducevo una vita completamente diversa. Mio padre ha sempre lavorato la terra fin da bambino e vederlo ogni sera distrutto mentre rincasava con la schiena a pezzi mi faceva sentire in colpa, ci stavo davvero malissimo. Abbiamo sempre vissuto in una casa fuori città e così anche il mio lavoro divenne ben presto quello del contadino. Ne porto tutti i segni ancora oggi. Il sole ti brucia le spalle, la verga è pesante da sollevare e tu devi occuparti comunque e sempre dei campi, perché sei un uomo e non puoi tirarti indietro.- -E come è riuscito a mollare tutto e voltare pagina?- chiese Michael accendendosi una sigaretta. -Oops, si può fumare, vero?- -Veramente di fronte ai bambini il vizio del fumo andrebbe regolato, ma per questa volta facciamo un’eccezione- disse Patricia lanciandoli un occhiataccia. -Scusate tanto, davvero… è che non riesco a controllarmi. Ogni volta che sono nervoso per qualcosa o agitato perché ascolto un racconto particolare devo cercare aiuto nella sigaretta, è un supporto di cui non posso fare a meno. – Mark sorrise. -Non si preoccupi, non è facile smettere di fumare da un giorno all’altro soprattutto in certe circostanze. Ha mai letto ‘La coscienza di Zeno?- -No ma credo lo farò.. come potrei far finta di nulla di fronte ad un consiglio di uno bravo psicologo! Caspita, non mi ricapiterà mai più sicuro!- -Grazie davvero. Comunque si tratta di Italo Svevo, autore moderno. Diciamo che Svevo per me è il Freud italiano.- -Caspita! Leggerò sicuramente qualcosa- Aspirò il fumo e i nervi si allentarono magicamente. Sapeva di esserne assolutamente dipendente eppure non poteva farci nulla. La droga non riesce ad evitarti e tu non puoi evitare lei. Nicotina a vita. -… Comunque, come ci sono riuscito è molto semplice. Sa… anzi, mi rivolgo a tutti voi perché non mi sembra educato tralasciare qualcuno… quando un uomo fa per troppo tempo qualcosa che non lo appaga alla fine rischia di impazzire. Io non volevo diventare né pazzo e né arrivare alla soglia della vecchiaia ingobbito e dolorante a causa del mio lavoro, perciò ho deciso di prendere in mano la mia vita e sconvolgerla. Acquistai vari libri di sociologia, psicologia e filosofia a prezzi stracciati aiutandomi con il denaro che riuscivo a racimolare lavorando part time come cameriere nel ristorante di un amico di mio padre e ogni sera, alle dieci in punto, dopo che io e mio padre tornavamo dai campi distrutti e sporchi, mi chiudevo in camera e studiavo da solo fino a mezzanotte. Poi spegnevo la luce e crollavo fino alle sette del mattino. Ho capito che quella era la mia strada fin dalla prima pagina. Ho capito che sarei diventato uno psicologo, non un contadino specializzato- Fece una pausa e riprese in mano il bicchiere. -Qui dentro c’è il destino di queste bollicine, ovvero quello di non trovare pace. Si scontrano tra loro, non vorrebbero vedersi o sfiorarsi, eppure devono farlo perché quella è la loro condizione. E qui, dentro questo bicchiere, la loro vita non riusciamo a viverla appieno, ne scorgiamo solo i tratti meno evidenti e le sfumature meno marcate, quelle leggere. Se queste stesse bollicine si trovassero nella bottiglia e la premessimo forte, vedremmo che salgono e salgono e riescono anche a dividersi prendendo ognuna la propria direzione… facendo una scelta- Bevve l’ultima sorso d’acqua fresca e poggiò il bicchiere sul tavolo, dove Daisy dormiva ciucciandosi un dito proprio di fronte a lui. Evidentemente non aveva sentito nemmeno mezza parola di ciò che stava dicendo. -A dover fare sempre le stesse cose, a ritrovarsi sempre rinchiusi nello stesso posto quando non lo si vuole… ecco tutto questo può portare alla pazzia. Io non volevo diventare come una di quelle bollicine, tutte uguali e senza la possibilità di scegliere il proprio destino. Così due anni dopo mi sono iscritto alla facoltà di Psicologia e in pochi mesi divenni uno degli studenti migliori. Poi, una volta che mi fui laureato in breve tempo, continuai a studiare frequentando un’infinità di corsi e all’età di ventinove anni mi ritrovai un mio vero e proprio studio con tanto di ‘famoso lettino’ e una bella vista sulla vittà…e per finire in bellezza avevo degli orari molto flessibili- Fece una pausa, tossì e riprese. -I primi anni trascorsero in modo abbastanza normale, arrivavo nel mio studio alle otto del mattino e andavo via alle cinque del pomeriggio. Nel tempo libero vedevo alcuni amici dell’università e ogni giovedì ci riunivamo per una partita a carte. Facevo sempre la vita di prima, molto semplice e senza vizi. I primi pazienti, li ricordo ancora come fosse oggi, erano donne frustrate dai propri mariti che le avevano stressate in ogni modo possibile e inimmaginabile. Una sera, mi sembra di ricordare che fosse Novembre o inizi Dicembre, venne da me una ragazza molto giovane, le diedi al massimo trentadue anni. Il suo aspetto era terribile, tanto che ( non posso negarlo) pensai che forse si sarebbe dovuta rivolgere piuttosto ad un nutrizionista perché era quasi scheletrica. Mi espose il suo problema molto velocemente e in maniera non troppo dettagliata, ma mi colpì molto, tanto che la ricordo benissimo, ancora oggi vedo i suoi lunghi capelli lisci e biondi che ricadevano disordinatamente sulle guance magre e ossute. Mi disse che per colpa del suo ex marito non mangiava mai a pranzo, solo a cena. Patricia si alzò e gettò la buccia rossa di una caramella alla menta che si era gettata in bocca, poi si risedette velocemente con le lacrime agli occhi. L’uomo se ne rese subito conto. -Signora, vuole che cambi discorso?- Lei si asciugò il viso con le dita, picchiettando leggermente sugli zigomi e gli sorrise. -No no continui pure. Ho avuto solo un momento di tristezza, mi sono ricordata alcune cose- Mark abbassò lo sguardo e si sistemò la benda sull’occhio. -Non mangiava mai a pranzo perché in quel momento lui condivideva lo stesso tavolo di lei e quindi le si bloccava lo stomaco. Per anni le aveva corroso il cervello dicendole che valeva meno di zero perché come dire… era in sovrappeso. Lei si era messa in testa che lui avesse ragione e che non dovesse assolutamente vederla mangiare. Apparecchiava la tavola, sistemava i tovaglioli mentre canticchiava un brano in francese, metteva piatti e bicchieri con il sorriso stampato sulla faccia, ma quando lui entrava in casa, lei si ammutoliva. Si sedeva e mentre lui soffiava sulla minestra calda e la minacciava che l’avrebbe picchiata se l’indomani l’avesse trovata ancora così bollente ( diamine, d’altronde valevano più le sue labbra di quel corpo obeso e schifoso!) lei subiva tutto in silenzio mentre guardava fissa la tv senza capire nulla di quello che stava guardando, mentre si mangiava le unghie e le pellicine buttandole giù con un sorso d’acqua… ( Solo acqua, perché se si azzardava solo a pensare di aprire il frigorifero e metterei tavola una bottiglia di una qualsiasi bevanda che contenesse anidride carbonica, c’era il rischio che mettesse su qualche grammo di troppo) Poi, mentre lui sonnecchiava a bocca spalancata sul divano del salotto, lei si alzava e andava in bagno ad adempiere al suo compito di brava mogliettina. Vomitava tutto ciò che non aveva mangiato infilandosi due dita in gola per avere la certezza che non ingrassasse durante il pomeriggio. Ogni notte, verso le undici, quando faceva finta di dormire si alzava e si abbuffava di ogni tipo di leccornia…merendine, patatine, torte, caramelle e trangugiava tutto senza sosta, con gli occhi colmi di lacrime. Finalmente si sentiva sazia, ma la voce di suo marito bussava alla porta del suo cervello e allora si metteva un dito in bocca e salutava la cena che le diceva addio dallo scarico del lavandino. Si liberava delle colpe che non aveva. Daisy si svegliò con gli occhi semichiusi e chiese dove si trovasse. Tutti risero e il nonno le mise una mano fresca sulla fronte. -Piccola ha il febbre- La bambina corrugò la fronte arrabbiata e gli spostò la mano. -Daisy no febbre, Daisy spaventata- Mark spalancò gli occhi e fece un cenno a Michael. -La porti al piano di sopra, si ricordi che anche se non lo dimostrano spesso, i bambini capiscono più di quanto sembra- -Va bene. Vieni tesorino, andiamo a fare una bella passeggiata- Gli occhi di lei brillarono incantati e protese le braccine verso di lui. La prese in braccio e lei salutò con la sua piccola manina, aprendola e chiudendola varie volte mentre il suo piccolo bracciale d’argento tintinnava ad ogni minimo movimento. La signora Crowell le diede un bacio sulla fronte e le augurò buon riposo con un filo di voce. -Ciao ciao piccola- -Ciao bambina- le disse l’uomo bendato, sorridendole come un padre affettuoso. Il signor Herry salì lentamente le scale tenendo ben stretto il corpicino della bimba, che sprofondò in un pesante sonno appoggiandosi al suo collo, sentendosi protetta. Era certo che una volta averla messa a letto ed esser ridisceso al piano inferiore assieme a tutti gli altri, si sarebbe ritrovato una bella chiazza di bava sul colletto della camicia, proprio come se lei fosse una lumachina. Sparì dalla loro vista lasciandoli soli. Fu Patricia ad interrompere il silenzio che si era creato nella grande veranda. -Ehm qualcuno per caso vuole qualcosa da bere o da mangiare?- Si alzò di scatto e guardò l’orologio. Era passata solo un’ora da quando avevano finito di pranzare eppure a lei era sembrato che fossero trascorse almeno tre o quattro ore. -No grazie Patricia, ma io sono ancora pieno… se tocco altro cibo credo che scoppierò… e lei Mark, vuole qualcosa? Anche solo un bicchiere di aranciata per caso?- L’uomo allungò la mano agitandola di poco, facendo capire che non aveva bisogno di niente. -Va bene- disse Michael, -credo allora che dovremmo metterci comodi e ascoltare il seguito del suo racconto, prego- -Non ho ancora detto praticamente niente… Comunque, quella ragazza ad un certo punto iniziò a non presentarsi più e non la incontrai mai per le strade di Baltimora o dei paesi vicini, tanto che iniziai a pensare di aver intrattenuto dei colloqui con una fantasma. Qualche settimana dopo lessi sul giornale che un ragazzo di ventinove anni era stato ritrovato morto nelle scale della sua grande casa, con un sacchetto di plastica infilato in testa. Accano all’articolo vi era una foto dove due poliziotti tenevano ben stretta una donna ammanettata e che si supponeva fosse l’unica indiziata. Non solo la donna era obesa ma di vedeva chiaramente che era felice. Capite? Si era ripresa in mano la sua vita togliendola all’unico che non aveva fatto altro che distruggergliela. -è assurdo- disse Patricia, sistemandosi gli occhiali- scusi signor Hendoll, mi piacerebbe molto farle una domanda, sa è da quando ero solo una ragazzina che ci penso e ora che ho di fronte uno psicologo con così tanti anni di esperienza, voglio cogliere l’occasione- -Tutto ciò che vuole- -Mi sono sempre chiesta, come si sente un uomo che fa questo mestiere quando poi torna a casa? Non vi è una sorta di eccessivo trasporto, uno strano coinvolgimento?- L’uomo rise e rispose subito, senza pensarci nemmeno un attimo, come se già attendesse quella domanda così ovvia. -Bella domanda, davvero. È la stessa che si pone uno psicologo nei suoi primi mesi di attività, assieme a tutta una serie di ansie e preoccupazioni. Ce la farò? È davvero il mestiere adatto a me? Riuscirò davvero ad aiutare queste persone o finirò con il peggiorare la loro condizione? Il lavoro che abbiamo scelto è una responsabilità, una continua sfida con noi stessi che ci porta a ritrovare o perdere l’equilibrio se riusciamo a ridarlo o meno ai nostri pazienti. La sua domanda va di pari passi con il racconto che sto per farvi… quando si è al lavoro si ascoltano i pensieri distorti e inquietanti delle persone e nel momento in cui si chiudono i battenti e si varca l’uscio di casa, proprio in quell’istante si sceglie se portarli con noi per tutta la sera o lasciarli fuori dalla porta come facciamo con la bottiglia del latte. Tutto questo non è facile, ma è indispensabile affinché noi che aiutiamo le persone non dovessimo ritrovarci costretti a trovare qualcuno disposto ad aiutare noi. Ma a volte non possiamo proprio evitare che certi eventi che si supponga siano impossibili riescano invece ad impossessarsi di noi… contagiandoci- Si portò le mani in tasca in cerca di qualcosa e ne estrasse un fazzoletto di lino bianco con dei ricami celesti, lo avvicinò alle labbra e se le asciugò educatamente. Poi lo fece sparire come un mago con il suo coniglio e continuò. -Come dicevo all’inizio…- Il signor Michael spense la sigaretta e lo guardò attraverso la nube di fumo che li separava come un muro, facendogli un cenno che lo costrinse a bloccarsi. -Lei ha detto che quando tornava a casa doveva scegliere se portare sulle sue spalle le preoccupazioni dei suoi pazienti o lasciarle fuori, ok. Ma io sarei curioso di sapere come ci riusciva, non ce l’ha spiegato alla perfezione. Dove trovava questo coraggio, questa forza?- -Nel mio animo ovviamente. Ora, immaginate un chirurgo che al mattino si sveglia e sa che dovrò operare una donna e dovrà mettere le mani tra le due budella. Mancano solo tre ore al momento stabilito eppure quell’uomo… perché di uomini e persone si parla prima di tutto e solo successivamente di dottori e psicologi… ha dei figli che entrano nella sua camera e lo buttano giù dal letto a suon di risate e racconti riguardo a ciò che hanno combinato la sera prima durante la partita di basket. Quell’uomo che tra poco indosserà un camice verde e si laverà ripetutamente le mani per assicurarsi che non abbiano nemmeno il più piccolo germe, è lo stesso che ora bacia sua moglie e condivide con lei il letto e la prima colazione. Sembrano due uomini diversi non è vero? Eppure è sempre e solo uno. Andrà in ospedale, berrà dell’acqua e poi non penserà ad altro che alla donna alla quale dovrà salvare la vita. Quando, tre ore dopo, la signora si sveglierà dall’anestesia disorientata e dolorante, lui la rassicurerà dicendole che tra qualche settimana starà molto meglio e non si rivedranno mai più, lui prenderà la macchina e tornerà dalla sua famiglia. Ma una volta varcata la soglia, in quel grande tappeto marrone con su scritto ‘Welcome’ non lascerà scivolar via solo la polvere da sotto le scarpe, ma anche ciò che è successo in ospedale, per ritrovare se stesso. Se lo si vuole davvero, il lavoro non bussa alla tua porta quando non lo vuoi- -Quindi- disse Patricia – non è poi come pensavo… Io ero convinta che un uomo del genere, quando torna nel suo angolo di paradiso, sia fuori di sé, disorientato e spesso sconvolto… ma mi sbagliavo- Sorrise e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mostrando un orecchino di perle bianche. Mark guardò per un attimo il mare, le onde che si stavano innalzando sempre più minacciose colorando l’acqua di un verde spettrale e le barche che sparirono improvvisamente, seguite dai gabbiani che prontamente spiegarono le grandi ali bianche lasciando libere le rocce. Il sole stava iniziando a nascondersi, a giocare con le grandi nuvole birichine. Erano quasi le sei e trenta. -Non sbagliava Patricia, o almeno non del tutto… Alle volte quell’equilibrio che ognuno crea dentro di sé, spesso con tanta fatica e coraggio, un bel giorno viene distrutto, o meglio… viene intaccato da qualcosa di mosto strano, come un virus che attacca il nostro corpo ma per fortuna viene annientato dal nostro sistema immunitario o con l’aiuto degli antibiotici prescritti dal medico. Delle volte però… Non si hanno anticorpi a a sufficienza e il maligno trionfa su di noi, poveri deboli. Vi ricorderete della persona di cui vi parlavo all’inizio…- Patricia e Michael fecero un cenno con la testa e proprio in quel momento dalle scale scese Harry, senza la piccola Daisy. -Immagino di essermi perso la storia, non è così?- Mark gli sorrise. -Insomma, si è perso solo l’introduzione… Non ho ancora parlato del succo della storia- -Benissimo allora!- disse, spalancando gli occhi come un bambino di fronte ad un buffo clown e avvicinò la sedia al tavolo. -Allora sono fortunato, quasi quasi mi preparo i pop corn- Non rise nessuno e Patricia gli rivolse la parola in modo serio, rimproverandolo. -La bambina?- -Sta dormendo come un ghiro sul lettone, ci ho messo più di un ora per farla addormentare. Ha voluto che le leggessi una fiaba, quella di Hansel e Gretel e questa ormai è la terza volta in una settimana- La donna sorrise dolcemente. -Bene visto che ci siamo tutti, direi che il nostro ospite può continuare a parlare altrimenti credo gli si seccherà la bocca e faremo notte oppure qualcuno si addormenterà sul tavolo come la bambina- Rise e si versò un bicchiere di birra porgendo la bottiglia agli altri che rifiutarono. -Meglio cos, vorrà dire che ce ne sarà di più per me- Gli fece l’occhiolino e bevette velocemente accavallando una gamba sopra l’altra, formando una L al contrario. -Non mi è mai piaciuto esagerare con la birra o l’alcool in generale. Bisogna starci piuttosto attenti- Henry fece volteggiare la bottiglia rivolgendo gli occhi verso il soffitto, come un bambino capriccioso e infastidito- -Andiamo, Mark! È una bottiglia di birra con solo il 4,0% di alcool, non dobbiamo mica guidare poi- Se ne versò un altro bicchiere e tutti notarono che le sue guance si stavano accendendo di un bel rosso vermiglio. Patricia si alzò e gli tolse la bottiglia di mano. -Questa la mettiamo a dormire ora, ok?- Henry la guardò con quei suoi occhi lucidi e rimase sconcertato, allungò il braccio destro in direzione della donna ma scivolò giù dalla sedia finendo quasi sotto il tavolo. -Solo un goccetto, promesso!- Mark si alzò e diede una mano alla donna che da sola no riusciva a far star fermo Henry. -Su, non faccia il bambino. Gliel’ho detto prima, mai esagerare con le cose che ci piacciono, soprattutto quando ci piacciono troppo. Esiste la dipendenza da ogni cosa, non solo dalla droga. Dipendenza dall’alcool, dipendenza affettiva, dipendenza dal gioco d’azzardo… E poi il problema non è il momento in cui ci si inietta la dose o ci si mette di fronte ad una slot machine o non si fa altro che stare ventiquattro ore su ventiquattro incollato alla bottiglia, al telefono con la persona che crediamo di amare ma che in realtà è solo un’ossessione.. no, il vero guaio inizia quando non si ha a disposizione tutto questo e allora si inizia a star male, il cuore inizia a battere troppo velocemente, il respiro si fa corto, le mani tremano e iniziano a sudare e si diventa piuttosto nervosi o violenti. Tutto questo prende il nome di ‘crisi di astinenza’ e non è per niente bella anzi…- Lo fece alzare con forza e si ritrovarono faccia a faccia mentre Patricia e Michael rimasero immobili in un angolo senza fiatare. Il buon vecchio Michael per la verità non si era quasi reso conto di nulla perché stava facendo un pisolino poco prima che l’ubriacone si mettesse a gridare che voleva la sua dannata bottiglia. -Certo che lei è veramente preparato, Mark. Sa, all’inizio ho dubitato di lei… mi son detto, forse non è poi così bravo nel suo mestiere, ma ora mi son reso conto che sa approfondire gli argomenti che riguardano il cervello e l’animo della gente e devo dire che è proprio un’eccellente psicologo, complimenti- Battè le mani, mimando un patetico applauso senza alcun tipo di coinvolgimento e dopodiché allungò le braccia prima sulle sue spalle e poi sulla sua benda, spostandola di qualche centimetro. Mark lo spinse a terra e si ritrasse terrorizzato toccandosi il volto e proteggendosi come se avesse a che fare con le fiamme dell’inferno. Guardò Herry con un espressione serissima e si fece scuro in volto, era scioccato e non riusciva nemmeno a parlare. -Che cos’ha fatto eh?? Vada immediatamente a sciacquarsi le mani, oddio mio che cosa ha combinato?? È tutta colpa della birra, della sua sbronza e della sua stupidaggine!!!!!!!- Patricia fu colta da una crisi d’ansia e iniziò a respirare a fatica e ad immergere le sue lunghe dita tra i morbidi capelli che profumavano di cocco, torturandoli ad uno ad uno. -Mi scusi, signora- Mark la guardò e rimase impietrito nel vedere che la donna era completamente assente, era in quella stanza proprio come lo erano gli altri ma allo stesso tempo non era lì, era via in un altro luogo lontano mille miglia. Le si avvicinò e la scosse energicamente alzando la voce. -Patricia!!!!!!- Solo in quel preciso momento l’uomo notò le numerose lentiggini che le ricoprivano sia il petto che le braccia ma ancor di più si rese conto che la pelle d’oca era resa ancor più evidente dal leggero rialzamento di peli biondi così simili a sottili fili elettrici. -Mi scusi, è che… spesso… soffro di attacchi di panico, non so bene come spiegarglielo ma è così… A volte quando qualcuno alza troppo la voce o discute animatamente ecco, non reggo la situazione e mi ammutolisco, inizio a sentir dolori ovunque e mi chiudo in me stesso…il mio ex marito, beveva moltissimo e ogni sera quando tornava a casa non faceva altro che prendere in mano quel maledettissimo cavatappi, posizionarsi di fronte alla tv sul canale di sempre ( il suo programma preferito era un quiz dove potevano partecipare coppie sopra i vent’anni e si chiamava ‘ O vinci tutto o perdi la tua donna’) e pretendere che la cena fosse pronta per le otto. Le scesero le lacrime e si buttò tra le braccia di Mark che la strinse forte. -Immagino- disse lui –che se si azzardare a tardare di qualche minuto gliela facesse pagare- -Oh si esatto- rispose, sorridendo tristemente e cercando un fazzoletto con cui pulirsi il naso che ormai colava come una candela. -Ogni volta erano grida, urla e botte- Si portò le mani al viso e si tappò gli occhi, nascondendosi completamente. Herry si avvicinò barcollando Mark lo respinse spingendolo piano verso un angolo della stanza, il più lontano possibile dalla donna. Michael, silenziosamente, guardò fuori dalla finestra e l’unica cosa che riuscì a vedere, a parte i suoi stesso occhi riflessi sul vetro, furono le luci delle barche che costeggiavano il molo. -Lei non si avvicini mai più a me e la smetta di bere. Non si vergogna di comportarsi in questo modo dopo aver trascorso così tanto tempo con la piccola Daisy?? Comunque ciò che mi preme sapere è se ha lavato le mani. Non menta!- Se le guardò attentamente e in quell’istante gli tornano alla mente ricordi dell’infanzia, avvenimenti che ormai era certo di aver dimenticato ma che ogni tanto spuntano fuori quando meno te lo aspetti, proprio come quei giocattoli a molla che ti saltano addosso spaventandoti e sorridendoti quasi volessero dirti ‘Non devi aver paura di me, non mordo mica, però ti farò gridare’ Ricordò quando suo padre, quella volta che era tornato tardi dopo la festa di fine corso, gli aveva ordinato di dare una controllatina al trattore ( cosa che aveva trascurato durante il pomeriggio perché aveva preferito tenere tra le braccia Lisa Ghernel nel campo dietro casa) e quando era rincasato dopo il duro lavoro aveva trovato la cena fredda che lo attendeva sul grande tavolo di ciliegio accanto a sua madre che gli aveva guardato le mani luride di grasso e gli aveva detto con una faccia schifata di andare a lavarsele per bene. -Non combinerai mai nulla di buono nella vita con quelle mani, Har- gli diceva sempre, e ora a distanza di vent’anni mai frase gli era sembrata più veritiera di quella, con la sola differenza che forse era riuscito a combinare un vero e proprio casino con la C maiuscola e in grassetto. Uno scossone lo fece sobbalzare. Erano le mani di Mark bene aggrappate sulle sue spalle, come un’aquila che stringe forte il tronco di un albero con i suoi artigli. -Mi ha sentito? Ha toccato qualcuno prima di lavarsele o ha anche solo messo le mani su del cibo?- Herry lo fissò a bocca aperta come un pesce dentro una boccia, come se Mark gli stesse dando delle indicazioni per potersi salvare da un’imminente apocalisse Zombie. -Non… Io le ho lavate con acqua corrente e sapone… mi vuole dire cosa diamine succede?? Insomma, io sarei piuttosto stanco cazzo!- I singhiozzi lo travolsero e la stanchezza, unita alla sbronza eccessiva, presero il sopravvento, come accade ai bambini quando hanno affrontato un lungo viaggio in macchina e crollano sui sedili posteriori. Ma quell’uomo steso per terra non era più un bambino e l’unico viaggio che aveva fatto era un trip perverso e malato causato dall’assunzione di troppo alcool che chissà quando gli avrebbe fatto funzionare di nuovo il cervello. Non era certo un bambino stanco dalle troppe fiabe che il padre gli ha letto per farlo addormentare, no… Harry aveva già sostituito da un bel pezzo quelle magiche storie dei fratelli Grimm con le etichette delle Tuborg rubate da qualche 7-eleven della zona. Mark si avvicinò a Patricia che nel frattempo si era ripresa ( a fatica si, ma ce l’aveva fatta quella gran donna forte e coraggiosa!) e cercava di farsi aria con le mani, per cancellare dal volto sia le lacrime che quell’orrendo rossore. -Ho pregato il signor Crowell affinché lavasse bene le mani e credo mi abbia ascoltato per davvero…a modo suo diciamo. Non so se potrà ritornare ad essere l’uomo di prima, guardi cosa mi ha fatto!- La donna avvicinò il suo volto a quello di lui e lo esaminò con cura socchiudendo gli occhi per vedere con chiarezza ogni minimo dettaglio della sua pelle. -Potrebbe togliere la benda almeno per cinque secondi? Non credo di capire bene cosa le è successo.. mi sembra di vedere il suo occhio.. irritato, ma ho bisogno di una sbirciatina in più- Glielo disse allungando le mani. Mark si ritrasse terrorizzato e le fece cenno di non avanzarsi più. -Non mi tocchi! Non mi deve sfiorare neppure con il pensiero, potrebbe essere troppo rischioso, non mi guardi così attentamente la prego.. io non voglio essere la causa di gravi problemi o di morte certa… si allontani subito le ho detto!- Patricia non battè ciglio e non parlò, rimase in piedi di fronte a lui, in quell’immensa veranda dove ormai le ombre si addensavano fino a mostrare il loro vero volto e il mare si mischiava al buio del cielo. Poi, prese una sedia e si sedette tenendosi la testa tra le mani e piangendo in silenzio. -Che cosa diavolo cista succedendo?? Herrrryyyyyyyyyyyyy!!!- In quel momento l’uomo si alzò da terra barcollando e mormorò parole quasi incomprensibili che però giunsero all’orecchio da lince della donna. -Non mi… bene, credo di stare molto ma… andrò a riposare sì, perché meglio una birra oggi che una gallina domani giusto? Oppure no, era meglio un bicchiere oggi che un uovo domani…?- Si avviò verso le scale e mentre cercava di salire mancò l primo scalino per ben tre volte, cadendo sui tre scalini successivi e rischiando di farsi saltar via i denti. -Dove vai?- le chiese Patricia. Si girò verso di lei con un paio di occhi talmente rosso che alla donna sembrò di avere di fronte a sé le fiamme dell’inferno e le ricordarono subito quelli di zia Betty quando non riusciva a mettersi le lenti a contatto e doveva riprovarci almeno tre volte, così che una volta terminata l’operazione aveva le pupille piene di filamenti rosso sangue. Era una cosa disgustosa che l’aveva sempre impressionata e ora ce l’aveva di nuovo di fronte a lei. -Vado a riposare baby, a dormire! Non si può? Vuoi farmi compagnia per caso?- Fece un gestaccio con la mano e le sorrise furbamente, poi sparì al piano superiore come un fantasma. Mark lo guardò andar via e poi si rigirò verso Patricia rendendosi conto che era profondamente scossa e fuori di sé. -Si calmi la prego, faccia un bel respiro lungo e non pensi a nulla. So che è molto difficile ma so anche che è una donna molto forte, glielo leggo negli occhi e lo vedo dalle sue mani. È molto più coraggiosa di quanto non voglia far credere a se stessa.- -La ringrazio davvero, ma la prego…- Si sporse leggermente incurvando la schiena e cercando le mani di lui, per sentirsi davvero compresa. L’uomo indietreggiò bruscamente e non la ricambiò. -Mi spieghi per favore- -Con piacere… ammetto di sentirmi iin imbarazzo, ma non posso farci niente. Merita di sapere tutto quello che mi è successo tanti anni fa, e mi dispiace di non poterlo raccontare anche ai suoi due uomini di casa- Le sorrise piegando la bocca da una lato, in modo molto triste. L’uomo si guardò attorno e cercò Michael con lo sguardo, ma lo trovò steso sul divano, addormentato come un bambino di cinque anni che è stanco di guardare i cartoni animati e crolla davanti alla tv. Poi, si sistemò meglio la benda in modo da tappare completamente l’occhio sinistro e si sedette comodamente di fronte alla donna. -Partiamo dall’inizio, come avevo già detto, il mio animo mi permetteva senza troppa difficoltà di discernere il mio lavoro dalla vita privata e quindi i pensieri negativi e le ansie assurde dei miei pazienti dal mio mondo idilliaco. Ma, a volte, ci capitano delle cose, degli avvenimenti che non avremmo mai immaginato e allora nulla è come prima e non esistono più le linee divisorie che ci proteggono dal male, come quelle che si usano per separare la zona bagnanti dagli squali negli oceani, oppure come il cerchio di sale accanto alla porta della camera che dovrebbe tenere lontani gli spiriti maligni.- Patricia fece un cenno con la testa e continuò ad ascoltare attentamente. -Quel cerchio di sale, o se vogliamo fare un altro esempio possiamo citare quel grazioso acchiappasogni che quasi tutti teniamo in camera vicino al letto e che ci aiuta a tenere lontano gli incubi…ecco a volte queste cose ‘buone’ vengono distrutte da una forza incontrollabile, che si serve di noi e della nostra energia, annientandoci- Si spalancò la finestra e un aria gelida, incomprensibile e improvvisa, invase la stanza. Patricia saltò sulla sedia e lanciò un grido acuto, come quello di una ragazzina che ha appena visto un topolino di campagna rovistare tra l’immondizia in cera di un pezzo di formaggio. Mark si alzò velocemente e senza dire niente la chiuse forte, assicurandosi che niente potesse forzarla. Prima di tornare dalla donna si fermò a guardare il crepuscolo che si addensava davanti a lui e vide la sua stessa immagine riflessa nella vetrata, un uomo bendato per metà che mostrava solo un lato misterioso del volto, una sorta di Dottor Jeckyll e Mister Hide in una rivisitazione moderna. Per la prima volta in ventitré anni ebbe paura di se stesso e rabbrividì. Ripensò a quel lontano 1972, rivide il volto dell’uomo che non avrebbe mai dimenticato, nemmeno tra un milione di anni e gli sembrò di rivederlo non solo nei ricordi ma proprio lì accanto a lui nel riflesso dello specchio. Lo vide sdraiato sul lettino mentre sorrideva al bianco soffitto, con lo sguardo perso nel vuoto o fisso su di un ragno che passava le sue ultime ore a tessere la tela. Guardò il tramonto per la seconda volta, si mischiò a quel rosso sangue come se fosse la sua stessa anima e chiuse gli occhi, immaginando di poter andar via da qualche parte come stava facendo proprio in quel momento il sole, sparire e tornare il giorno dopo, magari sotto un’altra veste, con altri colori ed essendo un uomo nuovo, forse migliore. Patricia lo guardava incuriosita, come capita a quasi tutte le donne quando non riescono a capire cosa mai possa passare nella mente di un uomo che fissa un vetro, immobile. Poi gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla e distogliendolo dai suoi pensieri. -Signor Hendoll, la prego, si sieda e si liberi di questo fardello che la tormenta- Gli prese le mani, sorridendogli come se si conoscessero da chissà quanto tempo o come se fosse sua sorella, e lui si sedette accanto a lei, in silenzio. -Tirava proprio un bel vento eh?- gli disse lei, giocando con le perle bianche della lunga collana, il regalo di compleanno per i suoi cinquant’anni. Mark guardò in direzione della finestra, attraversò le palme e i fiori colorati che davano alla casa quella perfetta atmosfera esotica che avrebbero fatto scordare a qualunque uomo tutti i weekend trascorsi alle isole Fiji, proprio come quelli che aveva passato da ragazzo come premio extra per aver fatto dei turni di 10 ore consecutivi mentre i colleghi sorseggiavano Brandy sdraiati sulle loro amache. Il suo occhio sano, quello destro, scrutò ancora il sole per l’ultima volta,dopodiché quell’immensa arancia scomparve quasi del tutto, riposando beatamente. Buonanotte e sogni d’oro mio caro. Si girò verso la donna, stavolta con un’espressione diversa, come il suo volto, che ora appariva rilassato e quasi ringiovanito. Era giunta l’ora. Lo sapeva, così come sapeva che quella donna non era affatto male. Per niente. -Il vento dice?- Ho saputo che da queste parti il clima è pazzo, così come la temperatura. Cinque minuti prima tutti tace, ti fai un goccetto, mangi un pezzo di torta al cioccolato e poco dopo se guardi fuori dalla finestra ci manca poco che gli alberi finiscano in mare e se tenti di varcare la soglia di casa, rischi di volar via come una piuma. Sarò anche un bel posto dove trascorrere le vacanze ma, signora mia, farebbe paura anche ai marinai.- Lei rise nervosamente torturandosi le mani che le si impigliarono tra le perle. -Ma non è solo il tempo, giusto? C’è qualcos’altro, non è vero?- Si guardarono in silenzio per un lasso di tempo che sembrò infinito e Mark sollevò la testa rivolgendola al piano superiore, dove dormiva la piccola Daisy. Deglutì e guardò l’orologio. Le 8.30 -C’è sempre qualcos’altro Patricia, anche in questa casa che le sembra così buona e in queste persone, compreso me- Lui fiutò la sua paura, come un lupo che capisce quando un coniglio, nascosto dietro un cespuglio, trema con le orecchie ben aperte pronto a darsela a gambe. Si dispiacque di questo. -Non abbia paura, non sono un mostro anche se ammetto di non assomigliare certo a Johnny Depp purtroppo- Lei accennò un sorriso senza sollevare la testa, poi, con il cuore che usciva dal petto, gli strinse forte le mani, cercando di non fargli troppo male. -Racconti tutto, dall’inizio alla fine- Respirò a lungo, come se dovesse tuffarsi in una piscina olimpionica e restare in apnea, poi esaudì il suo desiderio. -Non volevo rovinare la vostra vita, davvero… ma sono stato costretto. Prima che le racconti la mia storia per intero, voglio che lei sappia che non sono una cattiva persona capisce?- -Certo certo, l’avevamo capito tutti, Mark. La prego continui….- -Tutto è iniziato molti anni fa a causa del mio lavoro. Non so se ha mai avuto a che fare con persone strane o pazze, ma nel caso non le sia ancora successo, la avviso di guardarsene bene dallo stare ad ascoltarle. Io ero solo un ragazzo, amavo il mio lavoro, fin da piccolo non avevo desiderato altro che aiutare le persone fragili o che avevano semplicemente bisogno di un supporto e non volevo che andasse a finire così… non l’avrei mai immaginato- Si blocca un istante interrotto da continui rumori al piano di sopra seguiti da forti colpi di tosse. L’uomo e sua nipotina Daisy. La donna sorrise e lo invitò ad andare avanti. -Una sera di Febbraio del 972 venne nel mio studio un uomo di circa cinquant’anni… bendato. All’inizio ammetto che questo fatto mi fece addirittura sorridere perché era la prima volta in cinque anni di lavoro che mi ritrovavo ad avere a che fare con un paziente bendato ad un occhio. Gli dissi che ero ben lieto di aiutare un pirata. Lui non sorrise e questo mi preoccupò molto- -Perché?- -Perché dai suoi atteggiamenti e dal suo sguardo perso, capii subito che tra i due quello in difficoltà ero io- Non avevo mai visto n uomo così afflitto e spento, era come se non avesse nemmeno la forza di camminare, ricordo che dovetti aiutarlo io sdraiarsi perché lui era troppo debole, rimaneva immobile come se fosse scioccato- -E poi, cosa è successo?- -Gli parlai in modo amichevole, come se fosse un mio compagno di liceo o un vecchio conoscente, ricordo che non smettevo nemmeno un attimo di sorridergli, ma solo ora, a distanza di parecchi anni capisco di aver sorriso per timore, per paura che potesse farmi del male. Le è mai capitato di comportarsi in un modo insolito solo perché non sa come uscire da una situazione? Perché teme che, se agisse nella maniera giusta qualcosa potrebbe accanirsi contro di lei, come quando si passa accanto ad un cane rabbioso e invece di lasciarlo dormire lo si chiama sperando che, attirando la sua attenzione, ci lasci in pace?- La donna si sedette meglio accavallando le gambe e sorrise. -Certo, non sa quante volte mi è successo! Sono stata costretta perché spesso il nostro cervello va in una direzione che noi non conosciamo o non riusciamo a seguire e fa quel che gli pare- -Esatto.. Dunque, mi capirà perfettamente. Passarono dieci minuti, io giocavo continuamente con una di quelle palle di vetro con dentro un pesce rosso di plastica e la neve che cade giù, ma non erano le mie mani quelle che agivano, no. Mi sentivo svuotato e debole, come se già sapessi che quell’uomo mi avrebbe causato una disgrazia. Ora so con certezza che mi aveva già infettato- Patricia lo guardò attentamente corrugando la fronte. -Infettato in che senso? C’entra con il suo occhio suppongo…- -Esattamente- Diede un lieve colpetto alla benda, assicurandosi che fosse al suo posto, poi proseguì. -L’uomo non parlava, allora ( a debita distanza) decisi di fargli qualche domanda per rompere il ghiaccio e poi lo ammetto, iniziavo ad innervosirmi, mi sentivo male. Non mi avvicinai, gli parlai stando molto lontano, questa volta lasciando perdere il pesce di plastica che continuava a fissare le alghe che galleggiavano nel suo piccolissimo acquario- -Quale fu la prima domanda?- -Gli chiesi quale fosse il suo nome e perché mai un uomo apparentemente in salute avesse lo sguardo perso. Sa cosa mi rispose?- -Cosa?- -Mi disse che il suo nome non era affar mio, che intanto avrei ricordato per sempre la sua faccia e che dovevo star zitto, lasciarlo parlare senza interromperlo. Voleva togliersi un peso dallo stomaco- La donna deglutì, improvvisamente scossa da un fremito di paura e si voltò verso il marito, che dormiva con la bocca spalancata russando come un ghiro- -Michael? Michael? Ti vuoi svegliare?? Il signor Mark ci sta per raccontare la parte più interessante, non vuoi starlo a sentire- Rise nervosamente agitando le gambe, tanto da formare una X che non sfuggì all’uomo bendato. Le poso una mano sulle ginocchia, bloccandole. Lei si voltò spalancando gli occhi, sgomenta. -Non sono un violentatore, sono sempre e soltanto uno psicologo e lei ora è troppo nervosa. Non voglio spaventarla e non voglio nemmeno che lei finga con se stessa. Su andiamo… nessuno dei due è convinto lei sia davvero interessata a suo marito in questo momento. Ce dell’altro e si chiama Paura. Non deve, mi creda- -Va bene, lascerò stare Michael. Riprenda da dove l’ho interrotta- L’uomo steso sul divano bofonchiò qualcosa di incomprensibile, si rigirò su di un lato coprendosi la faccia con il cuscino a fiori e continuò tranquillamente a russare. Al piano superiore i rumori continuarono, stavolta ancora più forti e insistenti, come se qualcuno si divertisse a spostare il letto e il cassettone. La donna apparve spaventata e si rivolse a Mark con un tono di voce appena udibile. -Non crede anche lei che dovremmo andare a controllare?- Mark ripiegò la testa da un lato, sistemò la benda come fosse un pirata ( un Capitan Uncino poco convincente) e le mostrò tutta la sua disapprovazione. -Non salga la prego. Devo finire questa storia, insomma non vorrei dovermi trattenere ancora per molto. Ho un volo diretto per la Spagna che mi attende all’alba e non intendo perderlo. E poi sa che c’è?- -Che cosa?- rispose lei allarmata. -Quest’aria non mi fa bene per niente, troppa solitudine, il mare, le zanzare che mi stanno mangiando vivo. Non resisterei ancora per molto- Patricia si sforzò di ridere mischiando quel leggero sorriso ad un’eccessiva tosse forzata. Nascose il fazzoletto alla lavanda in tasca e guardò Mark. -Noi ci siamo abituati a quest’aria- -Anch’io mi sono abituato alla mia aria da uomo misterioso eppure abbandonerei il mio corpo anche ora seduta stante, specialmente tutte le volte che mi guardo allo specchio, quindi anche voi se lo voleste potreste andar via- Non gli rispose e cambiò completamente discorso, andando dritta al punto. -Come gli è successo?- Mark si voltò verso la grande vetrata, scrutò le piccole stelle che ormai iniziavano a brillare nel cielo estivo e in lontananza vide un aereo pronto ad atterrare in qualche aeroporto vicino. Quella era la vera libertà. Si rigirò verso la donna, che ora lo scrutava con la bocca semiaperta formando una O di curiosità e timore che lo fecero intenerire. -L’uomo che incontrai tanti anni fa mi guardò in faccia solo una volta, questo glielo avevo detto?- -Mi pare di no- -Non voleva mai incrociare il mio sguardo, continuava a darmi le spalle e a parlarmi lentamente mentre tremava come un uomo sotto shock. Mi raccontò che da bambino era sempre stato molto silenzioso, troppo chiuso e asociale. Sua madre soffriva di disturbi della personalità e urlava anche senza motivo. Mi confessò che quando aveva solo otto anni, in una giornata afosa di fine Agosto, sua madre si mise a cucinare la pasta e iniziò a canticchiare un motivetto snervante sentito in una telenovela spagnola. Poi, di punto in bianco gettò la pentola per terra ustionandosi sia le mani che le gambe. Le grida raggiunsero la casa della vecchia Wilma Welson, che in quel momento ( a detta del signor George Deller che raccoglieva le rose rosse del suo giardino) leggeva un romanzo delle sorelle Bronte mentre con l’altra mano coccolava il suo Maine Coon di 8 kili. Mentre ricordava quell’episodio, iniziò a aprire e chiudere le mani in modo ossessivo e velocemente, come se cercasse di acchiappare qualcosa al volo. -Povero bambino, dev’essere stata una vita dura. E poi, cosa successe?- L’uomo si massaggiò delicatamente il lato sinistro del volto con una smorfia di dolore. -Si, è stato molto sfortunato certo. Successivamente mi disse di essere scappato di casa e di non esserci mai più ritornato, di aver vissuto per cinque mesi sotto un ponte mangiando gli avanzi che trovava per terra e di essersi riparato dal freddo con alcuni scatoloni che divideva con i topi e gli scarafaggi di passaggio.Mi parò dei suoi disturbi frequenti, dei mal di testa che non gli permettevano di dormire bene e dei continui sbalzi d’umore davvero insopportabili. Bastava una giornata di sole per renderlo tranquillo e uno stupido temporale per deprimerlo a tal punto che una sera di febbraio tentò di tagliarsi i polsi con una bottiglia di birra rotta a metà- -Dio mio, è mostruoso! Quest’uomo è stato uno dei suoi pazienti più strani per davvero!- le disse sistemandosi i capelli all’indietro. -Si, indubbiamente- sentì un brivido in tutto il corpo, ma non disse niente. -Non si uccise, ma i tagli che si provocò per cercare di cancellare il dolore che provava nell’animo gli procurarono delle profonde cicatrici che mi fece vedere, ovviamente non mi permise di avvicinarmi troppo, quel tanto che bastasse per allungare le braccia e mostrarmele senza pudore. Erano davvero scioccanti, ricordo di averle toccate lentamente e con una punta di ribrezzo, come se qualcuno mi stesse costringendo ad accarezzare un serpente. Poi, ad un certo punto, si alzò dicendomi che era tardi e che qualcuno lo aspettava a casa. Sbatté la porta e sparì dalla mia vista. -Quando lo rivide?- -Il giorno seguente, secondo appuntamento. Entrò nel mio studio a testa china, come la volta precedente. Gli dissi di sdraiarsi sul lettino e gli chiesi di parlarmi di qualunque cosa, gli diedi carta bianca. Fuori gli usignoli cantavano allegramente e a lui questo diede molto fastidio. Mi pregò, anzi, mi obbligò di chiudere la finestra altrimenti sarebbe accaduto qualcosa di brutto, lui o loro si sarebbero arrabbiati- La donna, sempre più sconcertata, si sedette meglio avvicinando la sedia all’uomo. -Loro chi? A chi era riferito?- -Agli uomini che vivevano nella sua testa. Mi disse che tutti quei suoni e rumori del mondo, lo distraevano e questo li avrebbe fatti imbestialire. Gli chiesi se queste persone gli parlavano per tutto il giorno e mi disse che a volte lo disturbavano al mattino e alla sera, ma era la notte il momento in cui agivano maggiormente. Non lo facevano dormire, gli dicevano delle cose prive di senso, lo imploravano affinché facesse delle cose per loro. Mi raccontò di una voce in particolare che una notte prevalse su tutte le altre e urlò a gran voce nella sua testa, a tal punto che temette di impazzire del tutto- Il suo occhio iniziò a lacrimare e Patricia, che in un primo momento era rimasta con le mani in mano immobile come un fantoccio, si era poi alzata, chiedendogli se voleva per caso un fazzoletto. -No la ringrazio, non è niente. A volte mi capita, ma passa dopo qualche minuto- Lei gli sorrise un po’ turbata e si risedette. -Mi scusi solo un momento, accendo la luce, qui non riusciamo quasi più a vederci in faccia- Fece per alzarsi quando la mano di lui la afferrò saldamente, facendole male. -La prego si sieda e mi faccia finire. Non voglio che ci sia troppa luce, si fidi di me, non conviene a nessuno. Ormai sono quasi arrivato al capolinea- Lei immobile e rigida, lo fissò dalla sua postazione dietro la sedia, dopodiché acconsentì e si rimise al solito posto. -Grazie, lei è una donna che capisce perfettamente. Come dicevo, c’era questa voce che apparteneva ad un uomo di circa sessant’anni, questo me lo giurò perché ne era certo così come lo era del fatto che mi stava raccontando qualcosa di insolito. Ebbene, il tono della sua voce era molto alto e minaccioso, più volte lo invitò ad alzarsi, dirigersi in cucina e prendere il coltello più grande per poi piantarselo dritto nel cuore, e ogni volta che desisteva, quella voce continuava a tormentarlo sempre più, arrivando a denigrarlo e bestemmiarlo in ogni modo, spesso anche in lingue che non conosceva. Quell’uomo stava iniziando a spaventarmi, lo ammetto… E decisi che non lo avrei voluto più vedere. Gli prescrissi dei tranquillanti dicendogli che sicuramente quelle voci cattive erano dovute ad un eccessivo stress o che molto probabilmente soffriva di una leggere forma di schizofrenia. Gridò come un pazzo, dicendo che lui non era folle e che i miei tranquillanti potevo benissimo ficcarmeli nel culo e andò via urlandomi contro e dicendomi che prima o poi sarebbe stato sempre peggio, non solo per lui- Respirò a fondo e si passò la lingua sul labbro superiore, mentre la donna sembrava sempre più curiosa. -Cosa intendeva con quelle ultime parole?- -Ciò che non avrei mai sospettato, signora. Quella sera rimasi nel mio studio fino a tardi con un dolore lancinante alla testa. Aprii il cassetto e trovai una scatola da trenta aspirine, ne tolsi due e le presi assieme a un po’ d’acqua. Grazie a Dio l’effetto desiderato arrivò dopo pochi minuti e decisi di tornarmene a casa, prendendo la strada più lunga per poter fare una passeggiata al parco. Era notte fonda, credo fossero le dieci e trenta o giù di lì e non c’era nessuno nei paraggi. Spinsi leggermente il cancello con sopra scritti gli orari di apertura e chiusura e mi sedetti sulla panchina più vicina. Non ero stanco, ma quella sosta non mi dispiaceva per niente. Distesi le gambe, chiusi gli occhi con il mento rivolto all’insù, verso le innumerevoli stelle. Poi qualcosa si mosse dietro di me, in uno dei grandi cespugli. All’inizio pensai che si trattasse di qualche piccola lucertola o di un cane randagio che stava facendo i bisogni, ma poi, quando i rumori aumentarono e si fecero più insistenti, iniziai ad avere paura- -Che cosa vide?- -Non so bene cosa vidi quella notte, ma quando mi alzai dalla panchina con il cuore in gola, sentii che alle mie spalle c’era qualcosa che mi spiava, qualcosa di molto grosso e… cattivo. Si, cattivo è l’aggettivo che mi venne in mente. Ricordo che iniziai a camminare velocemente e nonostante provassi una certa curiosità, lo ammetto, non mi girai mai per paura di ciò che avrei potuto vedere. Sapevo di essere seguito da qualcosa che ce l’aveva con me- Patricia di sedette più comodamente, cercando di sparire sempre più su quella sedia, guardandosi ossessivamente alle spalle e sorridendo per convincersi che stesse bene. -Non entrerà nessuno da quella vetrata, non c’è bisogno che stia così rigida. Se è così tanto spaventata, allora taglierò questa parte- -No no no, la prego. Continui, è solo che non sono molto coraggiosa. Mi succedeva anche quando da ragazzina mi ritrovavo in campeggio con i miei cugini ad arrostire i Marshmallow e raccontarci storie di fantasmi davanti ad un meraviglioso falò. Io ero sempre l’unica fifona che rimaneva paralizzata dal terrore tutta la notte, immobile e con le gambe tremanti. Un po’ mi vergogno tutt’ora- Sorrise abbassando la testa e spostando nervosamente una ciocca di capelli sul viso, coprendolo per metà. -Non c’è nulla di cui vergognarsi, la paura è normale così come lo è l’amore, l’amicizia.. fanno parte della nostra vita ed è giusto così- -Comunque poi è riuscito a tornare a casa?- -Si, ma con difficoltà. Il freddo si fece sempre più intenso e un forte vento si alzò su di me, quasi strappandomi di dosso il giubbotto pesante. Era incredibile. Sapevo che sarebbe bastato solo un quarto d’ora e poi finalmente avrei visto il tetto spiovente della mia casa, eppure, mi sembrava di essere talmente distante da sentirmi perso. Dietro di me quella ‘cosa’ iniziò a scalciare i piccoli cocci di vetro che io avevo ignorato poco prima, così come i sassolini lungo la via. Non riuscivo a capir se si trattasse di una persona, di un animale strano oppure…- La donna spalancò gli occhi in un misto di terrore e incredibile curiosità. -… oppure della mia immaginazione. Mi veniva da ridere, lo giuro. Mi sentivo un po’ come alcuni dei miei pazienti ( quelli meno gravi s’intende) che mi raccontavano di non riuscire spesso a distinguere la finzione dalla realtà. Aumentai il passo, intorno a me non si sentiva assolutamente nulla, né un rumore, né la voce di qualche ragazzo ubriaco che aveva deciso di tornare a casa tardi, niente di niente. Poi ad un certo punto sentii una risata, non proprio ben definita, ma comunque abbastanza decisa da farmi quasi voltare. A quel punto iniziai a correre, perdetti anche qualche banconota lungo la via e quando iniziai a intravedere la porta della mia casa, saltai come una rana per raggiungerla al più presto. Mi caddero le chiavi di mano più volte, le riacciuffai al volo e mi girò la testa per ben tre volte, avevo la gola secca e il cuore mi scoppiava nel petto. Finalmente riuscii ad infilare le chiavi nella toppa dopo vari tentativi e aprii la porta per poi richiudermela alle spalle con una velocità incredibile. Mi accasciai a terra, convinto che avrei sentito di nuovo quel suono, ma il silenzio fu totale. Mi sentii finalmente al sicuro.- Iniziò a tremare, i ricordi lo terrorizzarono a tal punto che quando Michael sbatté involontariamente la gamba sinistra contro il tavolino, Mark si alzò dalla sedia come se fosse stato appena punto da un cactus. La sua fronte era imperlata di sudore e temette di sentirsi male. -Un bicchier d’acqua la prego- La donna guardò prima a sinistra e poi a destra, un po’ impacciata si alzò e si diresse verso la cucina. -Torno subito. O mio Dio è così pallido, si vuole stendere un po’ mentre aspetta?- L’uomo di massaggiò la fronte e le tempie che gli pulsavano. -No, no. Ho solo bisogno di raccontare la mia storia… manca davvero pochissimo. Vorrei solo bere un bicchiere d’acqua fresca- -Subito- Lei spari, lasciandolo solo. Pensò a quella risata, a quanto era risuonata cruda e maligna, ripensò a mille altre cose che ancora non aveva raccontato e un brivido talmente intenso da fargli male gli attraversò la schiena, facendolo muovere di poco sulla sedia. Sentì lo scroscio dell’acqua che fuoriusciva dal rubinetto e sorrise al pensiero che quella era l’unica donna tra le tante conosciute in tutti quegli anni, che si ricordava quale tipo di acqua preferiva… naturale, please.. Poi, la vide con il bicchiere in una mano e un elastico nero nell’altra, sorridente e malinconica. -Ecco a lei, Mark- Vedo che ha già ripreso un po’ di colore- -Si, sto molto meglio grazie- Prese il bicchiere, quasi facendolo scivolare a terra perché le mani gli tremavano incredibilmente. ll contatto delle labbra sul vetro freddo lo fece star meglio, provò lo stesso sollievo di una bruciatura curata con un po’ di crema all’aloe. Bevve tutti di un sorso e sospirò. -Grazie, davvero- Le sorrise educatamente porgendole il bicchiere vuoto. -Non ho proprio alcuna voglia di rialzarmi e tornare in cucina. Lasciamo qua per ora- Se lo mise accanto ai piedi e rivolse all’uomo uno sguardo tenero. -La prego continui. Eravamo arrivati al punto in cui era riuscito a tornare a casa- -Ah si, mi ricordo bene. Non cenai, non avevo assolutamente voglia di mangiare, andai dritto in bagno a lavarmi i denti e mi misi a letti, spegnendo subito la luce. Non riuscivo a dormire, mi rigiravo di continuo e sudavo come se avessi corso per ore intere. La testa aveva ricominciato a pulsarmi e farmi male ma non avevo voglia di alzarmi per prendere altre medicine. Mi sedetti sul letto e accesi la luce strofinandomi gli occhi. Fu allora che la sentii, nitida e tremenda- -Cosa?- -La risata. Arrivò come un fiume in piena, repentina e maledettamente cattiva. Aprii gli occhi e la cercai ovunque, accanto all’armadio, vicino alla finestra, guardai addirittura per terra come fanno i bambini che hanno paura del mostro sotto al letto, per trovarvi poi solo un mucchietto di polvere e le vecchie babbucce che ti guardano scioccate. Mi sentivo così ridicolo… così stupido. Il mio cuore ebbe un sussulto nel momento in cui mi resi conto che la risata era nella mia testa. Ecco perché non la trovavo da nessuna parte. Poi una voce mi parlò, poco dopo l’incredibile scoperta e trasalii , rabbrividendo come un pulcino.- -E cosa le disse?- - All’inizio parlò troppo velocemente, non riuscii a seguirla. Poi, pian piano iniziò a rallentare e capii le prime parole nitide: ciao mio piccolo bastardo- I rumori al piano di sopra si fecero più violenti e alla donna sembrò addirittura di aver sentito un piccolo grido soffocato, ma non disse niente. Sicuramente Harry dormiva e parlava nel sonno accanto alla nipotina. -Le disse veramente così?- -Certo, non sto inventando assolutamente niente. Cercai di mantenere la calma, ma era più forte di me. Spensi la luce e mi convinsi che fosse tutta colpa dell’eccessiva stanchezza mista alla paura provata quella sera. Schiacciai il cuscino contro la testa, come se volessi soffocare quella voce, ma lei tornò più forte di prima. Mi parlò come se fosse uno bizzarro speaker alla radio, disse che l’umidità quella notte era molto intensa e che sicuramente al mattino la città avrebbe visto una nebbia fortissima. Poi annunciò l’arrivo di un ospite internazionale in studio e di un piccolo break pubblicitario. Patricia lo guardò sgomenta con le lacrime agli occhi. Lo smalto, messo accuratamente il giorno prima, ora era solo un lontano ricordo tinto di un vago blu. Il vizio di mangiucchiarsi le unghie e le pellicine tornò come fanno spesso gli ex. -La pubblicità riguardava un nuovo prodotto per la cura dei piedi, una sorta di deodorante alla lavanda efficace al 100%. Ricordo che la musichetta iniziale era davvero orribile, mi mandava letteralmente fuori di testa. Poi la reclame finì e la voce mi disse che era il momento giusto per un buon pezzo rock. Me lo diceva come se stesse parlando ad un vero e proprio pubblico!- -Ricorda una canzone?- -Certo, era Starway to Heaven dei Led Zeppelin, solo che non la sentii tutta. Ad un certo punto, dopo qualche minuto, mi scaraventai fuori dal letto urlando e dirigendomi verso il bagno. Mi sciacquai il viso con dell’acqua tiepida e poi tornai in camera. Mi sdraiai e cercai di dormire, ci riuscii per qualche ora ma mi svegliai di soprassalto in un bagno di sudore. Ero in uno stato pietoso. Le voci continuarono a parlarmi e dirmi che mi sarei dovuto cercare un’altra casa perché non ero altro che un fannullone, un ladro e che non meritavo nulla. Mi disse che mio padre non mi aveva mai voluto bene per davvero e che anzi per lui ero stato solo un peso. Ero così stanco che alla fine crollai e mi svegliai alle 8 del mattino con il sole che mi baciava delicatamente la pelle e gli usignoli che cinguettavano allegramente. -Andò a lavorare?- Mark ci pensò un attimo, sistemò la benda con una smorfia di dolore e proseguì il discorso. -Certo. Ero troppo professionale per pensare anche solo per un attimo di assentirmi dopo una stupida notte in bianco, seppur tremenda. Rabbrividii al solo pensiero che quella mattina avrei rivisto quell’uomo, che gli avrei dovuto parlare e starlo ad ascoltare. Avrei preferito schiantarmi contro un albero e perdere coscienza anche per qualche settimana. Arrivai al mio studio, aprii un poco la finestra per far circolare l’aria, appoggiai le chiavi sulla scrivania e mi buttai sulla sedia in eco pelle cercando di rilassarmi almeno un po’. Poi qualcuno bussò alla porta. Trasalii con il cuore che mi saltava da un punto all’altro del petto, raschiandolo. Non appena pronunciai la magica parola ‘Avanti’ un po’ come facevano i ladroni con ‘Apriti sesamo’, l’uomo apparve davanti a me come in una visione mistica. Ovviamente la prima cosa che vidi fu la benda che copriva il suo occhio destro e le sue mani che cercavano di nascondere l’intero volto. Abbassai la testa e gli dissi di sdraiarsi sul lettino- -E come andò quell’incontro?- Mark la guardò come una persona che vorrebbe evitare di rispondere a quel genere di domande e iniziò a tremare, deglutendo di continuo. -Non potrò mai dimenticarlo. All’inizio restammo entrambi in silenzio, come succede a due persone che custodiscono lo stesso segreto e non vogliono proprio parlarne, poi lui iniziò a ridere, educatamente, ma comunque mi fece innervosire perché ero certo si stesse burlando di me. Gli chiesi se si sentisse meglio e lui mi rispose che sì, non poteva certo lamentarsi… ‘Almeno adesso le cose si stanno… raddrizzando’- -Raddrizzando? Che cosa intendeva dire?- -Ancora non potevo comprenderlo bene, ma poi in seguito fu tutto così chiaro e… spaventoso. Non chiesi altro riguardo la sua improvvisa felicità e passai ad un altro argomento… quello per cui era venuto da me. Gli chiesi di raccontarmi il resto della storia, si insomma, se gli era capitato di sentire ancora delle cose orribili, gli dissi che io ero lì per aiutarlo e non avrei mai osato ridergli in faccia. Uno psicologo non ti prenderà mai per pazzo. Mi parlò ancora delle sue voci, di una notte in particolare ( aveva ventotto anni e dormiva accanto a sua moglie) in cui una giovane ragazza si fece largo nella sua testa e gli disse di andare in ospedale, ficcarsi un ago nel braccio e tirar via tutto il sangue che aveva in corpo. Era un modo gentile per dirgli di uccidersi una volta per tutte. Lui ovviamente non lo fece, ma questo gli costò due ore di paura e di veglia, in cui combatté sul ring dell’incoscienza cercando di uscirne vincitore. Uscì di senno a tal punto che provò a soffocare sua moglie, dopo aver tentato di morderla sul collo. Ovviamente di lì a qualche giorno si ritrovò scapolo come un tempo e con la fama di essere un semi-vampiro psicopatico. Ma il pezzo forte arrivò dopo qualche mese. Si bloccò per prendere fiato e ammirare le luci del faro che gli facevano l’occhiolino in lontananza. Sembrava quasi un S.O.S. Fu la donna a parlare, cercandolo con lo sguardo. -Che cosa le raccontò?- -Mi disse che non c’era notte in cui non vedesse delle strane figure, non erano ben definite e potevano assumere diverse sembianze. Tutto questo succedeva ogni volta che chiudeva gli occhi e cercava di dormire, senza riuscirci. Una notte vide dei puntini viola che si avvicinavano pericolosamente e poi si allontanavano e si trasformavano in piccole lingue di fuoco. La volta successiva vide un uomo vestito di rosso che lo guardava intensamente e i suoi occhi erano cerchiati di verde, blu e oro. Cercò di ipnotizzarlo e gli disse che lui era il signore del tempo, che lo avrebbe aiutare a fuggire dalla sua epoca e che meritava molto più di quanto gli stesse offrendo la sua gente. Vedeva ogni sorta di colore, sfumatura e forma, dei piccoli vermi grigi che fluttuavano nel buio, delle donne che lo baciavano, bellissime all’apparenza,ma che poi rivelavano il loro aspetto reale… tremendo, come se fossero delle streghe vestite solo di sangue e cenere. Poi mi disse che sarei dovuto stare molto attento, si sistemò la benda che si era leggermente spostata e saltò via dal lettino, andando via senza salutarmi- -Lo rivide?- -Si, dopo due giorni. Ma la notte in cui tornai a casa, dopo il nostro secondo incontro, io.. io vidi migliaia di cose che nessun uomo dovrebbe mai vedere. Non dovrei nemmeno parlarne, per il bene suo, mio, dell’umanità intera. Andai a dormire e le voci cominciarono ad infastidirmi dicendomi che ero un fallito e che mia madre avrebbe fatto bene ad abortire. Decisi di ignorarle, pensai ‘Prima o poi si stancheranno’ ma ci volle un ora prima che mi lasciassero in pace, e nel frattempo mi era venuto un mal di testa incredibile. Cercai di dormire ma le immagini nella mia testa arrivarono all’improvviso, fulminee. All’inizio vidi dei puntini luminosi che segnavano una traiettoria ben precisa, la seguii e raggiunsi una piccola casa dalle pareti azzurre. Poi l’abitazione sparì e intorno a me si materializzarono tanti piccoli folletti con i cappelli a punta. Ha presente i sette nani? -Certo, ricordo ancora adesso tutti i nomi, molto buffi- -Anche io li ricordo. Quelli che vedevo io però non avevano proprio tutta l’aria di essere dei buoni nanerottoli che di lì a pochi minuti avrebbero canticchiato ‘Andiam, andiam, andiamo a lavorar’, nient’affatto. Ricordo che uno di loro mi minacciò con un seghetto e poi tagliò la gola a quello più piccolo, che riposava accanto a lui. Si gettò a terra ridendo e imbrattandosi il viso di sangue. Quelle immagini erano orrende e aprii gli occhi, respirando a fatica. Mi alzai ed andai a fare un giro a piedi, nel buio più assoluto. I cani abbaiavano in lontananza e vidi un gufo che mi spiava da un tronco possente posto di fronte a me, a tre metri di altezza. Poi capii una cosa, molto importante quando sconcertante… Chiusi gli occhi e vidi un uomo che rideva come uno scienziato pazzo, vestito di nero e con un paio di vecchi stivali da cowboy ai piedi. Ad un certo punto mi fece l’occhiolino mentre l’altro occhio, il destro, cadde nel vuoto in quell’incubo surreale, sparendo per sempre da questo mondo. Mi guardò con fare minaccioso, come se fossi io la causa di quella perdita e a quel punto spalancai gli occhi sapendo che quello era l’unico modo per potergli sfuggire. La risata mi ritrovò e la sentii ancora più intensa delle volte precedenti. Non potevo fuggire da me stesso. Iniziai a correre e tornai velocemente a casa. Mi sedetti in un angolo al buio, come un bambino che è stato messo in punizione e piansi tutta la notte. Al mattino, con gli occhi gonfi e rossi mi alzai e andai a lavorare, come se niente fosse, come riescono a fare le donne che dopo aver passato la nottata a piangere per l’amato che le ha appena lasciate, si vestono , si truccano ed escono di casa tranquille e sorridenti- Guardò la donna e dai suoi occhi capì che il discorso calzava a pennello con il suo stato d’animo. Poi gli sorrise e lo pregò di continuare. -Arrivai nel mio studio con un leggero ritardo e quando ruotai il pomolo della porta…- Non riuscì a parlare, guardò il pavimento e poi finalmente riuscì a trovare il coraggio per andare avanti, nonostante si sentisse frastornato. -Che cosa trovò?- -…L’uomo, il mio strano paziente sdraiato sul lettino. Mi prese un colpo e quasi me la feci addosso. Gli chiesi come accidenti avesse fatto ad entrare e mi rispose che non aveva importanza, che dovevo starlo a sentire e niente più. E così feci. Lui iniziò a ridere e a dirmi che non si era mai divertito così tanto in vita sua come in quegli ultimi giorni, da quando mi aveva incontrato.- -Perché le disse così?- -Perché aveva ragione, lui stava guarendo e io mi stavo ammalando, quindi per lui iniziava il vero divertimento. Mi disse di aver visto altre cose la notte precedente e quando mi tappai le orecchie perché non volevo proprio saperne di starlo a sentire, si imbestialì e iniziò a dimenarsi, tanto che temetti di vederlo trasformarsi da un momento all’altro in un licantropo o qualcosa di simile… proprio come nei film horror… ma grazie a Dio non successe niente del genere. Raccontò di aver visto delle luci rosse che lampeggiavano ad intervalli irregolari per poi trasformarsi poco dopo in piccoli punti esclamativi... mi parlò di una strana capra dalle corna lunghissime che cercava di saltare una staccionata fatta di corpi umani smembrati. Era una situazione davvero assurda, ma sa qual’era la cosa più incredibile?- La donna, evidentemente impaurita, si guardò attorno lentamente, per accertarsi che non ci fosse nessuna capra diabolica accanto a lei. -No, quale fu? Sa, mi sta molto spaventando…- Mark sorrise debolmente e fissò le sue mani tremanti. -La cosa più incredibile fu che quella notte stessa quando tornai a casa, dopo aver mangiato una pizza al volo ed essermi messo a letto, non riuscii a chiudere occhio perché quelle stesse lucine rosse mi si presentarono come delle luci natalizie. Erano stupende e scendevano verso di me come un fontana bellissima, anche se ricordo di aver avuto paura ed essermi mosso nel letto come se fossi sul punto di scappare. Poi accadde e quasi non me ne resi conto, fu come la puntura di una piccola ape- Si rese conto dell’ansia e dell’agitazione provate dalla donna e quasi temette di proseguire. -Cosa le è successo?- Spalancò gli occhi e in quel momento la assomigliò in una maniera incredibile ad una bambola in porcellana che aveva visto la settimana prima in un mercatino dell’usato. Inquietante a tal punto da restare sullo stesso scaffale per tutto il tempo necessario, fino a che non si sarebbe ricoperta di polvere e sarebbe sparita dalla faccia della terra. -Uno dei puntini rossi si fece sempre più grande, sempre più vicino… allora arretrai e ricordo di aver cercato anche di saltar giù dal letto con ancora una lucina accesa sul comodino. Sentii un dolore lancinante all’occhio destro quando provai a guardare la stanza attorno a me mi resi conto di non vedere altro che il buio assoluto, ero sommerso da un’oscurità allarmante e claustrofobica. Il battito iniziò ad accelerare e pensai di avere il cuore nelle orecchie, ma la cosa che più mi preoccupava era la mia parziale cecità. Il mio occhio sinistro era quello buono, ma il destro… era andato. Bruciava come se mi avessi involontariamente spruzzato un deodorante per ambienti dritto nella pupilla o uno di quei piccolo tubetti spray al peperoncino che tutti potevamo trovare in commercio contro gli aggressori. Andai a lavarmi il viso. Spalancai bene la pelle attorno all’occhio, tenendo il pollice accanto alla guancia e l’indice poco sotto l’arcata sopraccigliare e mi lasciai sommergere dall’acqua fredda che affogò completamente il mio occhio malato. Poi chiusi il rubinetto e tamponai l’occhio con un vecchio asciugamano bianco. Continuava maledettamente a bruciare, allora presi la macchina come un pazzo correndo per le strade di Baltimora senza guardare nemmeno il semaforo e andai al più vicino studio oculistico della zona. Ricordo ancora oggi ciò che dissi al medico: - mi dia qualcosa per quest’occhio di merda prima che me lo strappi e lo faccia ingoiare ad uno dei suoi pazienti.- Patricia non riuscì a nascondere un’imbarazzante risatina nervosa che le era scivolata via dalle labbra come spesso le capitava con il sapone e si scusò. -Non si preoccupi. Rise perfino il medico, mentre cerca va un collirio e degli antidolorifici efficaci. Li presi e mi chiusi nel suo bagno privato, quasi buttando giù la porta. Solo in un secondo tempo mi resi conto del cartello rosso con su scritto ‘Riservato solo al medico’ e sotto in più piccolo, ‘ Non azzardatevi ad usare il mio bagno per motivi futili o la prossima volta ve la faccio pulire con la lingua’. Sembravano il titolo e l’occhiello di un articolo di giornale, roba da matti. Misi il collirio imprecando un vaffanculo detto con il cuore. I dolori erano assurdi e iniziava a scoppiarmi la testa, sembrava che qualcuno mi stesse colpendo il lato destro della faccia con un piede di porco e pensai ai ladri di cervelli, quelli che scassinavano i crani. Ero uscito completamente di senno. Risi a voce alta e il suono della mia voce mi spaventò a tal punto che gridai e rovesciai le medicine dentro al lavandino, giù nello scarico. Cazzo!! Sbattei la porta, tornai un attimo in bagno e nel guardarmi allo specchio vidi un uomo nuovo, vecchio di almeno quindici anni e con un occhio mezzo chiuso. Cosa avrei dovuto dire al medico? O sa, stanotte non riuscivo proprio a dormire perché dei puntini rossi mi hanno bruciato l’iride e credo che il suo collirio non mi servirà proprio a nulla, è come piscio! Inoltre, ho appena intasato il suo bagno e le dico senza problemi che non intendo coprire le spese per far venire qua un idraulico al più presto e aggiustare la situazione. Addio e occhio alla sua salute… Guardai ( con difficoltà ma guardai) la finestra dietro di me e mi resi conto che forse Dio non si era completamente dimenticato della mia esistenza. Potevo saltar giù senza frantumarmi le ossa. E così feci, correndo come un pazzo verso il mio studio. -Perché non andò da un altro oculista?- Rise e la guardò scuotendo energicamente il capo. -Perché nessuno avrebbe capito. Arrivai sudato e mi gettai sulla mia vecchia poltrona piangendo come un bambino che vuole le caramelle ma nessuno gliele compra. L’uomo rise, quello che avevo cercato di aiutare. Rise e si levò la benda dall’occhio, ora perfettamente guarito. Mi strinse la mano e mi disse che mi avrebbe ringraziato per sempre. Finalmente era libero da quella malattia… Il suo occhio era leggermente rosso ma non era più costretto a coprirlo. Aprii la bocca per dire qualcosa ma lui mi precedette in modo così sfacciato che mi irrita tutt’ora mentre ne parlo. Continuò a ridere e mi augurò una pronta guarigione, ma quel bastardo sapeva benissimo che non ne sarei uscito così facilmente Mi disse che ora finalmente sapevo come aveva perso la vista, poi andò via, sparendo come un fuggiasco. -Lo rivide?- -No, mai più- Il buio ora era totale, Patricia sforzò la vista per poter scorgere i lineamenti dell’uomo che le stava parlando e gli occhi iniziarono a lacrimarle per la forte stanchezza. Mark si alzò e si sgranchì le gambe senza pronunciare una sola parola, mentre la donna accanto a lui sorrideva senza un motivo ben preciso,forse… paura? Un rumore fortissimo la fece sobbalzare sulla sedia, portandosi una mano sul cuore. -Che chiasso che fanno quei due lassù! Conoscendo bene Harry sicuramente con un occhio, starà rovistando tra i cassetti in cerca di qualche maglietta da mettere per cena mentre con l’altro controllerà la nipotina. Sempre il solito- Mark sorrise ma lei non potè saperlo. -Glielo chiederà non appena scenderà con Daisy. Io ora devo proprio andare, sono in ritardo e se non mi do una mossa l’aereo partirà senza di me. È stato un piacere signora mia, saluti il resto della meravigliosa famiglia- Le porse una mano incredibilmente gelata e lei si ritrasse debolmente per non risultare troppo ineducata. -La accompagno alla porta- -No, non si scomodi, ho una buona memoria e al buio un occhio… di falco- Lei sorrise e lo guardò andar via, inghiottito dalle tenebre. -Ma è sicuro di stare bene?- Urlò, per accertarsi che la sentisse. Lui si girò, ormai lontano. Gli rivolse uno splendido sorriso e un occhio destro perfettamente sano, si mise le mani in tasca e sparì nel buio del vialetto. Non si sarebbero mai più rivisti. La donna si coprì le braccia e il collo con un vecchio scialle trovato sul divano ( un po’ come il marito) e accese la luce, dirigendosi in cucina. -Tesoro, cosa c’è per cena?- Michael, dolcemente, le cinse le braccia attorno al collo. -Mi hai spaventato accidenti! Ma tu non eri nel mondo dei sogni?- Lo baciò delicatamente approfittando di quel magico momento per sistemargli all’indietro i capelli. -Mi sono svegliato da poco, ma dove sono Harru e la piccola?- -Al piano di sopra, la piccola aveva sonno e quell’idiota si è ubriacato e non stava per niente bene. Roba da matti.- Lui sorrise e la guardò dritta negli occhi. -Sei bellissima, te l’ho mai detto? Amo i tuoi occhi…- -Oh ma come siamo dolci oggi- Gli sistemò il colletto della camicia e si allontanò per prendere una bottiglia di vino dal frigo. -Oh oh oh! Arriva l’uomo di casa con la sua nipotina preferitaaa, fatevi da una parteeeeeeee!- Harry, paonazzo come una fragola gigante, scese le scale tenendo per mano la piccola Daisy che si liberò prontamente da quella stretta per andare incontro alla donna. -Come tai?- Patricia la abbracciò forte sollevandola in aria e le rassettò la gonna a balze che le si era stropicciata durante il lunghissimo sonnellino. -Sto benone, cosa dovrei avere?- La bambina, ora a terra, si stropicciò gli occhi facendo tintinnare il piccolo bracciale che adorava così tanto. -Daisy incubi, uomo cattivo e luci rosse strane… tanta paura Daisy- La donna sbiancò ed era sicura che sarebbe svenuta da un momento all’altro, era solo una questione di secondi. -No tesoro, tranquilla, va tutto bene- -Allora- disse Harry sorridente – a chi tocca preparare la cena? Michael si accese una sigaretta e guardò fuori dalla finestra, in cerca di qualche buona stella. -Va bene, ho capito. Vuol dire che oggi mi metterò io ai fornelli, bellezze mie- Fece l’occhiolino alle uniche due figure femminili della casa e mandò loro un bacio, soffiando sul palmo della mano. Daisy saltellò felice, tra le braccia di Patricia. -Beh, poi che fine ha fatto quell’uomo… Mark? Ci siamo persi il racconto non è vero?- Disse Michael continuando a fissare gli alberi davanti a se, in lontananza. Aveva appena cominciato a piovere e le goccioline d’acqua si erano gettate sopra il vetro, attaccandosi come ventose. La donna si irrigidì e sorrise, fingendo di sentirsi bene. -è andato via poco fa, aveva un volo per la Spagna. Vi racconterò tutto ciò che mi ha detto. Roba da pazzi…- Michael non disse nulla e fece dei piccoli cerchi grigi con il fumo, perfetti, come quelli degli indiani. -Scusate un attimo, vado al bagno- disse lei, accarezzando dolcemente una guancia paffuta della bambina. Accese la luce, si inumidì il collo con un po’ d’acqua fresca e legò i capelli riordinandoli in una lunga coda di cavallo. Lo specchio di fronte a lei rifletté l’immagine di un’estranea. Si avvicinò impaurita e guardò attentamente…attentamente… il suo occhio destro, rosso. Iniziò a farle male la testa e a bruciarle il lato destro del volto, appena sopra lo zigomo. Spense la luce e anche dentro di lei si spense qualcosa quando capì che forse, per il momento, era meglio coprire l’occhio con una benda. Michael la chiamò mentre Harry canticchiava l’inno di Francia ( era arrivato al punto in cui il giorno della gloria era giunto finalmente! ) e faceva saltare la frittata nella padella. Sarebbe stata una bella vita, nonostante tutto. Entrò in cucina sorridente, nascondendo il forte dolore che provava e mentre le immagini nella sua testa iniziavano a farsi vive e minacciose, ripensò a quello che gli aveva detto Mark a proposito delle bollicine nella bottiglia… Ora si sentiva come loro, senza via d’uscita, stesso identico destino ( Si insomma, sei fottuta baby) e mentre la bambina la chiamava a gran voce, tre parole risuonarono nella sua testa, più potenti che mai… …per il momento, per il momento. Avanzò verso la bimba, ridendo come solo una vera donna sa fare. Nonostante tutto, nonostante tutto.
   
 
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