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Autore: Akemichan    15/04/2005    7 recensioni
Non c'è nulla da fare... Dovunque vada, con chiunque stia, qualunque aspetto abbia... Le sue mani saranno sempre sporche di sangue... Le abbiamo sporcate noi... E lei sa bene che questa è la sua realtà. la sua vita, il suo destino... Non è forse vero, Sherry...?
Genere: Azione, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole allo zenit risplendeva per il chiaro cielo terso segnato solamente da qualche nuvoletta bianca, che non impensieriva l

 

Il sole allo zenit risplendeva per il chiaro cielo, segnato solamente da qualche nuvoletta bianca, che non impensieriva la fiumana di ragazzi che uscivano da scuola. Volti sorridenti e ignari, a cui la vita aveva già consegnato tutto, anche se loro credevano che dovesse ancora offrire altro, e altro ancora. Forse per alcuni fu davvero così. Il caos che facevano urlando, o anche semplicemente chiacchierando l’uno accanto all’altro, era quasi paragonabile ai rumori su una pista di Formula 1. A certe ragazze che si bisbigliavano segreti nelle orecchie, questa confusione era utile, una sorta di protezione naturale. E il vialetto risuonava dei loro passi svelti.

 

In mezzo a quella confusione che portava all’uscita di scuola camminava a passi precisi e delicati anche una bambina, coi corti capelli biondi legati da un nastro. Anche se non si sarebbe detto, lei frequentava quella scuola, nonostante fosse di parecchi anni più piccola del resto degli studenti. Questi le passavano accanto senza degnarla di uno sguardo, fosse anche d’invidia. In quei momenti si sentiva veramente invisibile. Avrebbe desiderato esserlo, così sarebbe potuta sfuggire dall’Organizzazione, la stessa che l’aveva costretta a frequentare quella scuola, in America, lontana dalle uniche persone che riuscivano a vederla e ad accettarla. Ma era il suo destino, il suo destino di bambina cresciuta all’interno di una yakuza.

 

«Sherry»

 

A quella chiamata alzò lo sguardo, individuando tra le gambe lunghe degli altri ragazzi una bambina come lei stessa, che sorrideva, con quegli occhi verdi e luminosi che le ricordavano i grandi prati dell’Hokkaido dov’era nata e cresciuta, prima di essere sballottata via, da sola, in un posto sconosciuto, da persone che non sapevano nulla di lei. Le si avvicinò. «Non chiamarmi così quando siamo in giro» la avvertì. Nonostante avessero la stessa età, lei era almeno cinque centimetri più alta e poteva permettersi di farle da sorella maggiore, visto anche il suo quoziente superiore alla media. «Che ci fai qui?»

 

«Dai, non fare la scontrosa, Shihochan» rispose lei non smettendo di sorridere. «Sono passata a trovarti»

 

«Loro lo sanno?» Shiho la superò e iniziò ad avviarsi verso la fermata dell’autobus. Nel laboratorio dove era costretta ad abitare si sarebbero arrabbiati, se non fosse tornata in orario. Ripensandoci, non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di trovarsi delle altre amiche, oltre alle persone dell’Organizzazione. E poi, come poteva mettere in pericolo ragazze innocenti? Represse il pensiero che le suggeriva che lei stessa ERA una bambina innocente. Già, era. Tanto tempo prima.

 

«Ovvio» rispose l’altra seguendola. «Non potevo venire qui dal Giappone da sola. Anche se sono BloodyMary, ho pur sempre otto anni» Le passò un braccio intorno al collo. «Dev’essere dura frequentare le superiori alla nostra età, vero?»

 

«Seccante, più che altro» rispose tranquilla Shiho, un po’ imbarazzata da quell’abbraccio. «Quelli vorrebbero che mi prostrassi davanti a loro, anche per il semplice fatto di essere giapponese»

 

«Pearl Harbor, eh?» La bambina scosse la testa. «Lascia che loro si divertano, noi abbiamo di meglio da fare» La lasciò e la anticipò di qualche passo. «Noi siamo l’Organizzazione»

 

«Eh già…» acconsentì Shiho in tono molto meno entusiasta.

 

«Sai, ho deciso di farmi crescere i capelli» continuò l’altra. «Come Akemi-neechan. A proposito, ho qualcosa da parte sua» Si fermò, frugando nella sacca blu notte che portava appesa alle spalle. «Perché non lo fai anche tu? Staresti veramente bene, con una cascata dorata come la tua. Così, avremo la stessa pettinat-»

 

«Nacchan» la interruppe Shiho. «Cosa c’è che non va?» Troppo spesso le cascate di parole servono a nascondere la grotta oscura dell’anima.

 

La rossa deglutì, spostando lo sguardo da un’altra parte. «Mio padre è un traditore» Lasciò cadere la borsa a terra. «Lo ammazzeranno»

 

Shiho fece un passo in avanti. Cosa poteva fare per consolarla? Lei aveva perso entrambi i genitori per motivi analoghi, perciò nessuno poteva conoscere questa sensazione meglio di lei. Anzi, no. Akemi conosceva quella situazione. Quando suo padre e sua madre erano morti, lei era ancora troppo piccola per ricordarsene. Non poteva sentire una perdita che non aveva vissuto. Tuttavia, poteva sentirne la mancanza. E faceva male. Molto, molto male.

 

«Che schifo!» continuò Nacchan. «Proprio mio padre! Non me lo sarei mai aspettato…» Respirò a fondo. «Avrei voluto ucciderlo personalmente, ma Gin-senpaisai, il biondo? – non ha voluto. Nonostante la mia precisione nel tiro, ha detto che sono ancora troppo piccola» Scosse la testa. «Ne ho una voglia… L’unica cosa che mi rende felice è che sarà oniichan a rendere giustizia»

 

Giustizia? Shiho spalancò gli occhi. «Che cosa stai dicendo?» mormorò così debolmente che non riuscì a farsi sentire. Era convinta che Nacchan soffrisse per la morte del genitore, invece soffriva per il tradimento dell’Organizzazione. In quel momento, quello che aveva sempre chiamato “oba-san”, le poche volte che le era concesso vederlo, le fece una pena infinita. Lui stesso, permettendo ai suoi figli di entrare nell’Organizzazione, li aveva allontanati da lui. Ed adesso, sarebbe stato ucciso dal figlio che aveva cresciuto con affetto. E la figlia avrebbe guardato in silenzio, e gioito della sua morte.

 

Era troppo. Shiho si avvicinò e di scatto gettò a terra tutto il contenuto della sacca blu. Individuato il pacchetto avvolto in una sottile carta velina, tipica dei regali di Akemi, lo afferrò e fece per andarsene.

 

«Shihochan!» La bambina dagli occhi dell’Hokkaido la guardava sconvolta, stupita da quel repentino cambio di atteggiamento.

 

«Buon funerale, BloodyMary» disse atona la bionda, accingendosi a salire sull’autobus giunto in quel momento. «Spero di rivederti quando starai un po’ meglio»

 

«Ma posso chiamarti? Shiho! Shiho!» L’autobus partì e ovviamente lei non riuscì a seguirlo di corsa. Rimase ferma lì, sul marciapiede, accanto alla sua roba rovesciata, con le lacrime che illuminavano i suoi occhi verde scuro. «Non lasciarmi sola…» Ma Shiho non si guardava indietro dal finestrino dell’autobus.

 

***

 

L’uomo si tolse di bocca la sigaretta e la gettò a terra, sul lungo corridoio nero. La calpestò per spegnerla, quindi, in tono molto noncurante, proseguì il suo cammino. Il rumore che le sue scarpe in cuoio facevano risuonare tra le spesse pareti venne presto affiancato da un altro suono, il suono delle scarpe col tacco di una scienziata. Non di una scienziata qualunque, ma della scienziata che aveva creato l’APTX4896. L’uomo sorrise.

 

«Dov’è Oneechan?» Il rumore dei tacchi si fermò improvvisamente. La scienziata era ferma davanti a lui. Lo stava guardando con i suoi occhi verde acqua, sempre seri, come se non stesse guardando un essere umano, ma una delle sue provette. All’uomo piaceva quello sguardo, perciò non rispose, limitandosi a godere di quello spettacolo. «Ho detto: dov’è Oneechan?» Lei fece un passo in avanti, premendo il tacco sul pavimento in modo che risuonasse più forte, agitando il camice bianco che era solita indossare. Era bianco immacolato, eppure sia lui che lei riuscivano a vederci rapprese numerose macchie di sangue. Il sangue versato dall’APTX4896. Lei, però, lo interpretava in maniera differente.

 

L’uomo frugò in tasca ed estrasse un pacchetto di sigarette, infilandosene una in bocca. «E’ morta» disse semplicemente, come se stesse parlando delle previsioni meteo. Tuttavia lo sguardo freddo era attento, pronto a captare qualsiasi reazione.

 

Il volto della donna rimase imperturbabile. «Perché? La rapina era giunta a buon fine»

 

«Queste sono cose di cui tu non ti devi occupare» Rimise il pacchetto in tasca e si accese la sigaretta. Lei gliela strappò di bocca e la gettò a terra, pestandola con la punta delle sue scarpe nere. «Dimmi perché, Gin»

 

All’uomo piaceva quel visino arrabbiato, che cercava con tutte le sue forze di controllare. Non farlo, Sherry, non reprimere la tua rabbia, sfogala… «Era una traditrice»

 

«Bugiardo!»

 

Gin, con uno scatto rapido, le afferrò il mento con la mano sinistra, sempre coperta da un guanto. «E’ la verità» disse stringendo la presa. «Voleva portarti via, Sherry… Lei, che non era altro che una semplice pedina… Voleva che TU te ne andassi con lei…» Lentamente, lasciò scivolare la mano lungo il collo, fino alla scollatura del vestito rosso, e poi più giù, fino a palparle il seno. «Lei non serviva più. Invece tu…» Sherry represse un brivido di disgusto. Scansati! Levati! Respingilo! Ordinava la sua voce interiore. Invece, gamba e braccia erano paralizzate e lei non riusciva a muoversi di lì. L’unica cosa che riusciva a fare era guardalo freddamente, dimostrandogli, almeno all’apparenza, che i suoi trucchi non la scalfivano minimamente. In fondo, non c’era più nulla da scalfire, perché non era rimasto nulla. Avevano già distrutto tutto tempo prima, quando era ancora una bambina. Ripensò alla morte di Akemi e si accorse di sbagliare. C’era ancora qualcosa che poteva scalfirla. Si morse l’interno della guancia per non piangere. Non poteva dargli questa soddisfazione.

 

«Sei proprio un bastardo» Dietro di lui era arrivata una donna, coi passi felpati di una pantera, perché non avevano sentito un risuonare di scarpe lungo il corridoio. Chissà da quanto tempo era ferma ad ascoltarli. Sherry se n’era accorta solamente ora. La donna si avvicinò e staccò il braccio di Gin, restituendoglielo. «Perché non te lo ficchi su per il culo

 

Gin la guardò amabilmente, mentre Sherry lasciava che lo stupore invadesse, anche solo per un attimo, il suo viso. Non l’aveva mai vista parlare così al suo “adorato senpai”. «Non sono cose per te, BloodyMary»

 

«Nemmeno per te» replicò acida, afferrando Sherry per un braccio e trascinandola via. Lei non oppose resistenza, poiché desiderava andarsene, e si lasciò condurre fino al suo laboratorio.

 

Solo dopo che la porta automatica si fu chiusa dietro di loro BloodyMary la lasciò, avvicinandosi al tavolo. Vi appoggiò le mani sopra, tremando.

 

«Cosa c’è?» Anche la voce di Sherry tremava.

 

BloodyMary trasse un profondo respiro, quindi, con un gesto rapido, scaraventò a terra tutte le provette che erano ordinatamente appoggiate sul tavolo. Il vetro si infranse sul pavimento bianco con una serie di cacofonici tintinnii, mentre i vari liquidi uscivano, mescolandosi assieme in una miscela dall’odore terribile.

 

«Che fai?!» esclamò Sherry. Non che le importasse molto di vedere il suo lavoro sprecato così, tuttavia non era una mossa saggia rischiare in quel modo con i composti chimici. Potevano essere letali, lo sapeva molto, molto bene. L’altra donna non la ascoltò, vagando per il laboratorio e gettando a terra ciò che trovava. I topini bianchi, nelle loro gabbiette, squittivano spaventati.

 

«Nagisa!» urlò Sherry, facendola finalmente fermare. «E’ pericoloso. Si può sapere cos’hai?» Non era da BloodyMary comportarsi in maniera sconsiderato, come non era da Sherry lasciarsi trasportare dai sentimenti. Era chiaramente successo qualcosa, o la sua amica non avrebbe reagito alle provocazioni con Gin. Da quanto si ricordava, quand’era piccola lei lo osannava…

 

Nagisa si voltò a fissarla con i suoi occhi verdi, che crescendo erano solo diventati più grandi. Il verde dell’Hokkaido era rimasto lo stesso. «Questa è pericolosa?» Teneva in mano una provetta vuota.

 

«Si, lo è» ribattè secca Sherry. «Rimettila a posto»

 

«Akemi-neechan non era una traditrice» mormorò lentamente BloodyMary ignorandola. «Nemmeno Oniichan! E probabilmente, nemmeno mio padre»

 

«Lo so» Sherry si avvicinò cautamente, ma decisa.

 

«Lo hanno ucciso loro, capisci?!» BloodyMary strinse forte la provetta, mentre le ciocche dei suoi capelli le scendevano davanti, disordinate. «Non è stata la polizia, durante la sparatoria dopo che lui aveva ucciso papà! È stato Gin!» Si voltò di lato, respirando pesantemente per riprendere fiato. «Non so perchè, ma volevano sbarazzarsi di loro, così! Potrebbero anche averlo fatto perché li temevano» Alzò le spalle. «Non m’importa, so solo che li hanno uccisi. E anche Akemi-neechan» La provetta di vetro sottile si spaccò fra le sue dita.

 

Sherry aprì un cassetto sotto il tavolino e ne estrasse una pinza e della garza. Mise la seconda nella tasca della giacca. «Te ne sorprendi davvero?» Le prese la mano e la aprì, con il palmo rivolto verso l’altro. Il sangue usciva a sottili torrenti dagli spazi aperti dalle schegge di vetro. «Per l’Organizzazione i subordinati come noi non sono altro che cavie da laboratorio» Scoccò uno sguardo ai topini, suoi unici compagni delle lunghe ore passate in quel laboratorio. «Quando si stufano di utilizzarli li sopprimono»

 

«Appunto!» sbottò BloodyMary, facendo sobbalzare la mano mentre Sherry le toglieva delicatamente le schegge. «Come se fossero migliori di noi! Guardiamoci, Shihochan» Lei non alzò gli occhi dal suo lavoro. «Tu sei sicuramente più intelligente della maggior parte dei tuoi superiori, mentre non c’è nessuno che riesca a sparare bene quanto me» Prese fiato. «Dovremo fare una rivoluzione proletaria!» E queste erano le belle idee che BloodyMary imparava dalla storia del socialismo e del comunismo. Non avrebbe mai dovuto farle leggere Marx.

 

Sherry scosse la testa. BloodyMary era ancora così immatura! Se suo padre e suo fratello fossero stati veramente dei traditori, lei non avrebbe fatto una piega sul loro omicidio. Amava ancora l’Organizzazione, nonostante l’affetto che provava nei suoi confronti.

 

«Io voglio solo andarmene» mormorò Sherry. Un decisione presa in quel preciso momento, eppure maturata per anni e anni, come i cactus del deserto che aspettano tutta una vita prima di far sbocciarle il loro meraviglioso fiore, apice di tutta l’esistenza, prima di morire.

 

A quelle parole, BloodyMary sottrasse la mano alla sua presa, stringendo il pugno e permettendo alle schegge di penetrare ancora di più in profondità. Per la prima volta i suoi occhi non ricordavano più i prati dell’Hokkaido. E con quegli occhi divenuti spaventosi stava guardando quella che per lei era solo una traditrice. «Io sono un’assassina» disse superandola. «E’ così che voglio vivere, è così che voglio morire»

 

«Allora vai»

 

***

 

«Ahi!» gemette leggermente Shiho, mentre veniva spinta duramente contro una gelida parete. L’uomo quindi le afferrò il braccio e la ammanettò a un tubo che scendeva dal soffitto.

 

«Così va bene, capo?» disse l’uomo rivolto a quello che stava dietro ad osservare la scena.

 

«Si…» Gin annuì, avvicinandosi. Appoggiò una mano sulla parete e abbassando lo guardo ad osservarla. Shiho se ne stava seduta, calma, una mano infilata nella tasca del grembiule che le proteggeva anche le lunghe gambe. Non era preoccupata. Non era spaventata. Era solo seria, come sempre. «Certo, sarebbe un peccato perdere un’intelligenza come la tua…»

 

«Perché non la smetti con questa farsa, Gin?» Shiho prese la catena delle manette e vi si appoggiò completamente. «Hanno già deciso di uccidermi, perché perdere altro tempo?»

 

Gin abbassò la mano e le afferrò il collo, tirandola su fino alla sua altezza. «Non avere fretta di morire…» Spinse duramente la labbra contro le sue, premendo per far entrare la lingua. Con lo stomaco che si contraeva per il disgusto, glielo permise, salvo poi morderlo, accompagnando questo gesto con una spinta con la mano libera.

 

Gin si staccò, sorridendo e leccandosi le labbra su cui era rimasta la sua saliva. L’espressione di Shiho, prima disgustata, divenne via via più stupita. Infatti, stava osservando, sopra la sua spalla, la porta. Sulla soglia, BloodyMary, ferma con le braccia incrociate sul petto, la stava guardando. Non era uno sguardo d’odio o di preoccupazione. Era più annoiato, o rassegnato. Scosse leggermente la testa, muovendo le sue morbide ciocche rosse, e uscì, scoccandole un’ultima compassionevole occhiata. I suoi occhi sembravano profonde paludi. Sporcati. I suoi occhi erano stati sporcati di sangue, come il resto della sua anima.

 

«Andiamocene» ordinò Gin e uscì seguito dal suo scagnozzo, sbattendo la porta dietro di lui. Shiho rimase sola in quella stanza buia. Per qualche minuto restò in piedi, infine si lasciò scivolare dolcemente a terra. Rimise la mano in tasca, sentendo il freddo contatto con la capsula di ATPX4896. Che cos’aveva da perdere? Le avevano rubato tutto. Ciò che era rimasto era macchiato di sangue. Avrebbe permesso loro di prenderle anche la vita?

 

***

 

«Ai-kun? Dormi?» Un signore anziano iniziò a scuotere la bambina bionda che sonnecchiava con il viso appoggiato sulla tastiera del computer, nella penombra di uno studio disordinato e pesante. Lei sbattè le palpebre leggermente, quindi alzò la testa, guardandosi attorno per abituare gli occhi alla luce, seppur tenue, che veniva dallo schermo.

 

«Ah, è lei, Dottor Agasa…»

 

Lui scosse la testa. «Non dovresti lavorare tutta la notte» le disse. «Io vado all’ospedale con gli altri, ma forse è meglio se ti riposi»

 

«No, vengo» rispose lei, guardando il suo riflesso da bambina nel computer. Ci teneva ad andare a trovare il bambino che si era ferito, perché lui era sempre così gentile con lei. «Sto bene» Annuì, vedendo lo sguardo poco convinto di Agasa. «Sistemo un attimo e mi preparo»

 

«Va bene» acconsentì alla fine lui, uscendo dallo studio.

 

Ai guardò il desktop, che rifletteva il suo viso leggermente segnato dai tasti. Si era addormentata ancora prima di iniziare a lavorare. Chissà per quale motivo aveva fatto quei sogni. Nonostante non le facesse affatto piacere, ovviamente, le capitava spesso di sognare l’Organizzazione, ma mai in toni così nitidi e chiari. In questo caso si trattava addirittura di ricordi, sebbene non fossero dei più allegri. Come se ce ne fossero di più allegri, pensò malinconicamente. L’unica volta che era successa una cosa del genere, aveva veramente incontrato Gin all’angolo della strada. Spense il computer, scuotendo la testa. Era improbabile che capitasse una seconda volta.

 

 

 

Note di Akemichan:

 

Ho provato a scrivere questa storia dopo l’episodio “il dirottamento dell’autobus”, cercando di trovare una Ai un po’ più combattiva rispetto a come si comporta normalmente. Detto questo, tuttavia, spero vivamente di non averla fatta troppo OOC. Se così fosse, fatemelo notare. Non vi garantisco però di riuscire a cambiare la storia, perché evidentemente Ai non può essere più “attiva” se non OOC. Detto questo, spero che la storia vi piaccia lo stesso.

 

Saranno solo sei capitoli. Il prossimo, se qualcuno fosse interessato, lo pubblicherò con ogni probabilità sabato 23. Grazie a tutti coloro che leggeranno la mia storia.

 

 

Mini dizionario:

 

Oniichan = Fratello maggiore proprio

Oneechan = Sorella maggiore propria

Obasan = Zio proprio

 

 

Preview:

 

«Puoi scrivere qualcosa anche tu, Ai…»

 

«Questo posto mi fa paura»

 

«Chi era quella?»

 

«Perché questa BloodyMary sarebbe pericolosa per gli uomini in nero?»

 

«Nagisa…»

 

   
 
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