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Autore: Mertiya    15/05/2017    0 recensioni
Un dolore improvviso che gli trapassa la spalla e il petto lo fa crollare in ginocchio, e poi, curiosamente, la sua guancia giace contro il metallo.
Orson Krennic un istante prima di morire.
{ Orson!centric | One shot | 900 parole | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Galen Erso, Orson Krennic
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): si capisce che amo a dismisura Orson Krennic? Comunque questo è il link alla versione originale di questa fanfiction, che tra parentesi vi consiglio di leggere per godervi appieno la sua bellezza.
 Buona lettura!










Close Range
di Mertiya




È strano come gli occhi della ragazza riescano a fermarlo. Gli occhi di Galen nel viso di lei, che lo scrutano accusatori. In passato, quegli occhi erano sempre l’ultima risorsa a cui faceva ricorso Galen durante un litigio. Prima avevano il potere di placarlo; adesso lo imbestialiscono, e lui si chiede quando tale cambiamento sia avvenuto.

 Forse è per questo che è consapevole che si tratta della sua ultima possibilità. Ha ancora tra le mani questo suo progetto, ma ha l’impressione che gli stia sfuggendo, e si sente perso. Un dolore improvviso che gli trapassa la spalla e il petto lo fa crollare in ginocchio, e poi, curiosamente, la sua guancia giace contro il metallo. Sparo di blaster, distanza ravvicinata gli dice qualcuno con la voce di Galen, tuttavia quando batte le palpebre non vede nessuno, solo il cielo blu all’orizzonte.

 E poi, è impossibile che Galen sia lì. Lui è morto. Lo ha visto morire. Dopo essere atterrato su Eadu, Orson fissando Galen ha saputo, addirittura prima che il suo ex amico si facesse avanti, che gli ultimi tredici anni erano stati una bugia. Uccideteli tutti ha ordinato, o almeno pensa che sia stato quello il suo ordine, dando il segnale con la mano. Ora che contempla una seconda volta i colpi rossi di blaster che hanno trafitto le uniformi bianche degli ingegneri – allora è questo che hanno provato? Interessante –, però, sono tutti sostituiti da una persona, Galen. Da quei dannati occhi color nocciola che lo scrutano sin da quando Orson aveva quindici anni e faceva parte del Programma Futuro su Brentaal.

 Esamina nuovamente gli ingegneri che si accasciano al suolo. Non se ne cura. Non se ne curerà mai. Quando arriverà Galen a capire che non gli importa della massa di estranei ed estranee senza volto? Quando la finirà di aspettarsi che Orson si trasformi in una persona diversa? L’espressione di Galen è sconvolta, ma non delusa; peggio. Disgustata.

Ma noi siamo amici vorrebbe ribattere Orson con una sensazione bizzarra e ignota di disorientamento. Gli ingegneri cadono ancora e ancora. Quando ha smesso di conoscere Galen? E Galen lo ha mai conosciuto? Lo studiava sempre, come se potesse scorgere qualcosa dentro Orson di cui nemmeno Orson era al corrente. Adesso però gli sta guardando attraverso, e Orson vorrebbe urlare e scuoterlo e gridare Sono qui, sono io, siamo amici sin da quando eravamo ragazzini!

 Il colpo rosso di blaster si tramuta in cieli blu e superfici di metallo. Dietro di lui gli stivali della figlia di Galen pestano il pavimento, vacillano, e fanno marcia indietro. Respirare è come ficcare un pugnale nei polmoni. La figlia di Galen con i suoi occhi, ma i capelli e l’odio di Lyra.

 Credeva che le cose fossero tornate come prima. Non era colpa sua se Lyra era morta; lei aveva cercato di ammazzarlo. Come avrebbe dovuto reagire Orson? Lasciandoglielo fare? Ma le cose non erano tornate come prima, no? Da quell’incidente in poi, persino quando progettavano insieme i piani della Morte Nera, persino quando erano commilitoni, tra loro due c’era stata distanza.

 Da bambino Orson conosceva una persona che aveva un uccellino da compagnia. Non si ricorda granché dell’animaletto, tranne il fatto che spesso si ritrovava ad accucciarsi accanto alla sua gabbia e trascorrere i pomeriggi a ritrarlo. Era un esserino dai movimenti più calmi, più cauti rispetto alla sua controparte selvatica. Assomigliava a Galen, riflette Orson con un’improvvisa e bizzarra chiarezza, quando lavorava sulla Morte Nera. Gesti pacati, colori pacati, il suo intero io era pacato. Ma qual era la gabbia? Se avessero accettato di venire, lui gli avrebbe dato Lyra e Jyn. Avrebbe dato a Galen qualsiasi cosa, eppure… eppure…

 Osserva il grigio nel cielo, oltre le nuvole; il grigio di un colosso smisurato e sferico. Maledizione. Be’, è la fine, vero? Sa che l’irritazione non è la reazione emotiva corretta che dovrebbe avere all’idea di morire, ma d’altro canto lui è… in attesa.

 È rimasto in attesa sin dall’impatto che gli ha turbato le ossa quando i ribelli hanno attaccato Eadu, e rivede la fiamma brillante che ha fenduto la notte piovosa e il viso di Galen. E il suo petto. Squarciato, aperto, i bordi neri e bruciati intorno alla carne sanguinante al centro. E non è ancora morto, ma sta morendo. E sarebbe questa la gente per cui mi hai venduto? Ti hanno ucciso! Io non lo avrei mai fatto, Galen, avrei… avrei…

 Il verde sboccia dallo spazio. I suoi uomini lo sollevano dalla terra bagnata di pioggia e lo sollecitano ad entrare nella nave. Lui non vuole andarsene. È congelato, qualcosa dentro di sé si è raffreddato ed è scomparso, perché è tutto andato storto. Gli occhi di Galen lo fissano, non più accusatori, ma vuoti. Solo vuoti. Ha la mente annebbiata, tenta di scrollarsi di dosso le braccia che lo trascinano via, di incespicare verso la piattaforma. Uno strano impulso di raggiungere il corpo di Galen e di restare con lui. Quando volge un secondo sguardo nella sua direzione, scopre che è proprio quello che sta facendo la ragazza.

 Il verde lo riporta insistentemente alla realtà. Il fuoco nei polmoni, nelle nuvole.

Stai per morire. Di nuovo la voce di Galen.

 Annaspa per scegliere le parole giuste. Mi dispiace gli sembra ipocrita e addio da idioti, perché Galen è già morto. Alla fine, con uno sforzo, solleva il mento verso il cielo ardente e sussurra: «Ti avevo detto che sarebbe stato bellissimo».

   
 
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