Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Dakota Blood    15/05/2017    0 recensioni
Un uomo che non riesce a dimenticare il suo passato. Il suo migliore amico e suo figlio gli fanno continuamente visita ricordandogli gli orrori del campo di concentramento in cui avrebbe dovuto lavorare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La campanella sulla mia testa produce il suo delizioso suono metallico e attira l’attenzione del signor Greg, come al solito chino sulle sue parole crociate. Poggia la penna risucchiata per metà e mi fa un cenno sorridendomi. Non ho molta voglia di parlare, per cui saluto educatamente e mi dirigo a passo svelto verso il bancone dei surgelati, dove trovo sempre qualcosa di delizioso da preparare in cinque minuti. In momenti come questi mi rendo conto di quanto sia diversa la vita di un uomo quando condivide la casa con una donna e quando invece rimane da solo per parecchio tempo. Se qualcuno ora venisse a farmi visita troverebbe calzini e mutande sparsi ovunque per la casa, stoviglie da lavare e ferme lì chissà da quanti giorni, per non parlare delle confezioni di pop-corn e di patatine che devo schivare ogni volta che decido di guardare la tv. Noi uomini siamo così diversi dalle donne, ed è anche per questo motivo che ora sto guardando delle confezioni di pasta surgelata e non mi sono concentrato su un pacco di spaghetti da buttare nella pentola e da mangiare con un ottimo sugo. Dopo un po’ di indecisione compro quella che costa meno e mi avvio verso la cassa, dove il signor Greg ha pensato bene di piazzare una sorta di macchinetta in cui basta premere un pulsante per avere tutte le caramelle e le gomme che si desiderano- Questa cosa riesce a strapparmi un sorriso, forse l’unico davvero sincero negli ultimi due mesi, e mi sento un po’ strano, come se non dovessi rallegrarmi di nulla. Maledetti sensi di colpa che ti inseguono ovunque, persino nei market vicino casa. Il volto del signor Greg è più o meno quello di sempre, solcato da qualche ruga agli angola della bocca e vicino agli occhi e la sua abbronzatura lo rende molto simpatico. Non so perché, forse è proprio quella sua aria da turista disperso in un piccolo paesino, ma mi rende felice e nel guardarlo attentamente mi rendo conto di quanto sia buffo, proprio come un clown che diverte i bambini più piccoli al circo. -Signor Wennel, era un po’ che non ci vedevamo- mi dice, grattandosi la testa con la punta della penna e sbadigliando. -è vero, non passo più molto tempo in giro come quando ero ragazzo, però oggi ho voluto trasgredire la regola- Ride e passa il prodotto che ho scelto sul bancone, emettendo quel bip che tanto odiavo da bambino e che mi ricordava un suono che spesso avevo sentito all’ospedale quando attendevo il mio turno abbracciato alla mamma e con il cuore in gola. -Sono due euro e cinquanta. Oggi mangia tardi? Certo, un uomo che vive da sol…- Abbassa la testa e nonostante il suo colore naturale sia una sorta di marrone chiaro vedo chiaramente le sue guance dipingersi di rosse, come due fragole mature. -Non fa’ niente, d’altronde come si può pretendere che i propri fattacci rimangano un segreto quando si vive da soldati?- Abbozza un leggero sorriso e sposta lo sguardo sullo scaffale vuoto. Poveretto, non da proprio dove guardare. -Non è che mi darebbe una busta?- -O certo mi scusi, forse oggi non è proprio giornata- Gli sorrido giusto per non farlo rimanere troppo male ma non appena mi rendo conto che non può vedermi ridivento serio e apatico. Voglio tornare a casa, ora. Mi da’ una piccola busta di carta dicendomi che le altre le ha terminate e butto la confezione dentro, salutando e sbattendo forte la porta. -Dio che pazienza- Lo dico a voce alta e vedo che una signora bionda di circa sessant’anni, che sicuramente mi ha sentito, sorride mentre nasconde bene le mani sotto le maniche del pesante cappotto che indosso. Fa’ molto freddo e nonostante il termometro segni due gradi a me sembra di vivre al polo sud. Mi copro come posso con la mia sciarpa e attraverso di corsa la strada, per paura di dover attendere dieci minuti fermo come un ghiacciolo davanti al semaforo rosso. Finalmente si torna a casa. In questi ultimi mesi, soprattutto dopo aver ricevuto la telefonato di Michael e aver avuto le lettere di Frank, non ho molta voglia di uscire di casa e quando lo faccio non guardo mai nessuno in faccia, tendo a nascondermi come fanno gli struzzi che infilano la testa sotto terra. Credo che il mio sia un atteggiamento piuttosto normale nella mia situazione ma non lo è per chi mi sta accanto e sento di essermi lentamente e inconsciamente isolato a causa dei miei pensieri. Un uomo che pensa troppo non è forse già di per sé un uomo troppo solo? La mia casa non parla, è muta come una statua dimenticata in un museo antico dove nessuno andrà mai ad ammirarla o desiderare la sua copia. Butto il cappotto sul divano e guardo verso l’orologio a muro. È tardi, accidenti! Apparecchio velocemente e accendo, sintonizzandomi su un canale a caso, forse il quattro, e sento una musica dolce che conosco benissimo. Il Tg delle 14 e 30. Le notizie sono le stesse di ogni giorno, in primo piano la politica, qualche nuova legge che attende di essere approvata e in seguito qualche servizio di cronaca, due ragazzi sono morti dopo una lunga malattia a soli ventisei e ventotto anni e una signora di ottanta è caduta dal decimo piano. Mi vengono i brividi solo a pensarci, come se essere bellissima e allo stesso tremenda la vita! Nel frattempo la pasta è già pronta e con un mestolo trovato per caso nell’ultimo cassetto la rigiro un poco in modo da darle più sapore e amalgamare bene il condimento. Non aspettavo altro che questo momenti di beatitudine con il mio pranzo, la tv accesa e una bottiglia di buon vino rosso. Mi sembra quasi di aver ritrovato un po’ d’equilibrio e la casa non mi appare così tanto silenziosa e desolata. All’improvviso, proprio mentre avvicino la forchetta alla bocca soffiandoci sopra perché scotta, alla tv iniziano a trasmettere un servizio dove scorrono delle immagini molto strane e spaventose. In un secondo solo il cuore inizia a battermi velocemente, per poi perdere colpi e quasi fermarsi. Alzo il volume e sento la giornalista che parla di due suicidi avvenuti il giorno prima nell’ufficio del signor Hans Werder. Vedo degli uomini che giacciono per terra, con gli occhi spalancati e fissi sul muro bianco di fronte a loro, solo che non sono uomini come tanti altri, no, quelli sono i miei amici e solo ora mi rendo conto che non li rivedrò mai più. Adesso capisco veramente che cosa è successo ieri in quell’ufficio mentre io ero lontano mille miglia da quel luogo, perso nei miei pensieri. La ragazza mora che presenta il telegiornale continua a parlare mentre altre immagini scorrono al rallentatore, foto in cui si vedono altri uomini, stavolta vivi, che guardano altrove con delle espressioni che gelerebbero il sangue anche ai più duri di cuore. Io sono proprio uno di quegli uomini, soo che vedere la realtà davanti ad uno schermo è tutt’altra cos e non posso continuare a fare finta di nulla, non posso ingoiare più nemmeno un piccolo morso e non voglio nemmeno guardare la tv. Le lacrime mi scivolano lungo le guance finendo a terra e inzuppano uno dei cuscini con le rose disegnate sopra, lo stesso che usavo quando vivevo assieme ad Helen. Non ho mai pensato di cambiare quei cuscini, e in questo momento mi viene una gran voglia di buttarli e strapparli via, lanciarli in un luogo dimenticato da Dio. Dieci minuti fa mi sembrava che il mondo stesse iniziando a sorridermi o perlomeno non ce l’avesse con me, ma ora sento tutto il suo peso enorme cadermi addosso e schiacciarmi come se fossi una formica. Guardare quelle immagini mi ha fatto sentire nell’ufficio di Hans, di fronte a quel mostro che ride davanti a dei corpi privi di vita e ad un disastro che vedrà milioni di poveri innocenti trattati come se fossero belve disumane. Mi alzo di scatto, violentemente, e per un attimo vedo tutta la stanza girarmi attorno, la tv non è più al suo posto accanto alla credenza ma si trova accanto al frigo e quando cerco di avanzare di qualche passo sono costretto a reggermi a qualunque appoggio finendo per buttarmi di peso sul divano bianco. Non oso aprire gli occhi per una seconda volta, li tengo ben stretti per non dover vedere la camera sottosopra o la televisione da tutta’altra parte rispetto a dove l’ho posizionata io. Non voglio vedere, eppure le immagini arrivano da sole, nel buio ipnotico della mia mente. Prima vedo un campo desolato e bianco, c’è neve ovunque ed è bellissima mentre scende silenziosa e si posa sul terreno fangoso, assomigliando ad una sposa che lascia scivolar via il suo lungo velo. Non c’è nessuno con me ma sento delle voci in lontananza, seguite dalle grida disumane di alcune donne e poi degli spari. Sono sicuro siano dei fucili che hanno appena mietuto giovani vittime. L’impulso è quello di correre, scappare il più lontano possibile da quel posto che sa di morte ma i miei piedi sono fissi nel terreno, come se dei grossi paletti stessero bloccando i miei movimenti. Guardo in basso verso le caviglie e non riesco a credere a ciò che vedo. Due bambini, molto simili tra loro se fosse per il loro abbigliamento differente, mi stringono forte aggrappandosi alle mie gambe. Non li riconosco subito perché i loro visi sono nascosto ma quando mi inchino per rivelare la loro identità spostando grosse ciocche di capelli, mi manca quasi l’aria. Frank mi sorride mentre tiene per mano Gregory, quello che sarebbe dovuto essere il mio amato figliuolo. Lo posso dire con certezza perché è identico a me e ha lo stesso dolci di Hellen, lo stesso che mi fece innamorare perdutamente di lei. I due bambini si guardano e ridono, nonostante siano molto tristi. Poi, il più grande Frank, si alza e nonostante mi abbia liberato dalla sua stretta mi rendo conto di non potermi muovere e capisco subito il perché: mio figlio non vuole lasciarmi andare mi stritola come se fosse un serpente pericoloso e inizia a piangere pregandomi di non abbandonarlo, di non andare via un’altra volta. Frank mi da’ la sua mano e mi parla accennando un dolce sorriso. -Non avere paura, Daniel, non vogliamo spaventarti, però devi fare delle cose per noi, solo tu sei in grado di fermare tutto questo dolore e tutto quello che sta per accadere, ricordi questo posto? Ricordi come scendeva la neve, come fuggivamo mentre i nazisti ci seguivano minacciando che se avessimo fatto un altro passo ci avrebbero sparato senza pensarci due volte! Eppure, nonostante tutto, nonostante la paura che provavamo entrambi, non mi ha mai lasciato solo, hai sempre cercato di difendermi e proteggermi in qualunque modo o circostanza. I bambini morivano davanti ai nostri occhi eppure non ci siamo mai fermati e quante volte, con il cuore che ci scoppiava nel petto e il fiato corto, abbiamo continuato a correre tra la neve e il freddo che trasformava i nostri visi in ghiaccioli, mentre i carri armati ci seguivano setacciando tutta la zona. Hai fatto di tutto per salvarmi e anche se alla fine non ci sei riuscito, ti sarò sempre grato per la tua bontà- Non riesco a rispondergli, sono cosciente eppure non riesco a distinguere il sogno dalla realtà, sono paralizzato ed è come se la mia lingua si sia immobilizzata o anestetizzata. È una sensazione che non avevo mai provato prima e mi fa molta paura anche perché mi è impossibile spalancare gli occhi, che sono bloccati da una sorta di energia mille volte più forte di tutto il mio corpo. Riesco a vedere i bambini e il campo di concentramento di fronte a me, solo tramite l’immaginazione e il buio assoluti. Credo sia una sorta di trance, è un po’ come aver oltrepassato la linea sottilissima di demarcazione che separa il nostro mondo con quello dei morti, immergendoci completamente. Greg mi guarda con insistenza, come se in me trovasse qualcosa di assolutamente divertente o curioso e poi mi sorride, nonostante i suoi occhi rivelino un animo molto triste e spaventato. Si alza e finalmente sento le mie gambe libere da quell’enorme peso, posso agitarle e il sangue riprende a scorrere normalmente. Qualcuno mi stringe il braccio e istintivamente mi ritraggo, come se mi avesse sfiorato un fantasma. Mi volto verso il bambino e vedo la sua mano che presa su di me, bloccandomi ancora. Lui accenna un lieve sorriso mentre Frank guarda da un’altra parte, verso il cancello che si separa dal lager, come se avesse deciso di lasciarci soli per un po’. Ora se c’è qualcuno che si sente come un fantasma quello sono io, nonostante sia l’unico vivo dei tre. Quello che sarebbe potuto essere mio figlio mi stringe sempre più forte ma nonostante mi faccia male, so che non è cattivo, so che sta cercando di avere un contatto con me. - Tu sei mio padre, ti avrei voluto bene, sai?- Sento che le sue parole sono sincere, che provengono dal centro del suo cuore, e questo mi rende felice e triste allo stesso tempo. Ho paura di rispondergli perché temo che possa andare via o svanire da un momento all’altro, quindi mi limito a fissarlo in quegli occhi che conosco molto bene, e speso possa capire il mio silenzio. Mi prende una mano e la bacia dolcemente tenendo gli occhi chiusi. È così dolce e fragile, come un piccolo cerbiatto. -Non sono arrabbiato con me e nemmeno con la mamma, so quanto mi avreste amato. Anche se non vi ho potuti conoscere o stringere forte. Qui con me c’è sempre Frank, giochiamo a rincorrerci nel grande prato verde con tutti i fiori colorati che profumano l’aria delicata. È un bel posto sai? Non ci manda via nessuno e non esistono uomini cattivi. Possiamo volerci tutti bene e non ci sono fucili o persone che urlano spaventate. È il posto più bello del mondo, non è vero Frank?- Lui si gira a guardarlo e sono felice di vedere che nei suoi occhi non appare alcuno velo di tristezza e finalmente sono sicuro che stia davvero bene in quel magico luogo di cui mi ha parlato Greg. -Si, è il posto più bello che io abbia mai visto, ci sono tanti bambini che giocano con degli animali molto graziosi, cani, gatti, tanti insetti colorati, ci sono anche le coccinelle che corrono tra le foglie- Ride e in quell’attimo sento che il sogno o la realtà in cui so fluttuano, diventano sempre più profondi e intensi, pieni di emozioni e flashback. Rivedo me stesso mentre lo aiuto a proteggersi dagli attacchi dei soldati tedeschi e lo prego affinché non faccia alcun rumore, tappandogli la bocca premendo sopra il palmo della mano soffocando le sue risate. Riusciva a trovare sempre qualcosa su cui ridere, anche nei momenti più difficili, e non ho mai capito dove trovasse questa forza d’animo, come facesse a divertirsi nonostante tutto quello che passava ogni giorno nel campo. Quel giorno, tra i suoi capelli si era infilato un piccolo ragno e lui trovava questo fatto molto divertente, sia per la situazione e sia perché le zampe, poggiando sulla cute, gli facevano solletico. Se non ci fossi stato io in quel momento, credo fermamente che lo avrebbero preso e fucilato senza chiedergli spiegazioni. Lui era fatto così, amava fare ciò che lo avrebbe potuto mettere in pericolo e questo ai miei occhi lo rendeva un bambino coraggioso e straordinario. Non dice niente ora, guarda la neve mentre scende con una lentezza incredibile e si mischia con il fango che gli ha sporcato le scarpe e l’abito. Sento di volergli un gran bene, allo stesso modo di trent’anni fa’, come quando eravamo solo due bambini e sento di volerlo abbracciare forte come facevo spesso nel lager e nel giorni in cui riuscivamo a vederci di nascosto a casa mia. Ma qualcosa mi trattiene, non credo sia la paura di un suo rifiuto, credo sia la consapevolezza che il passato ha questo nome per un motivo valido, perché le cose prima o poi passano, scivolano via come le stagioni che velocemente si susseguono l’una all’altra e i ricordi di ciascuna, comprese le emozioni stesse, non torneranno mai ad essere quelle di una volta. Devo lasciare ai morti la consapevolezza che essi non vivono più, non posso mischiare la vita con la morte, sarebbe troppo rischioso. Pian piano mentre mi tendono la mano in un gesto di incredibile dolcezza, i loro volti si fanno sempre meno nitidi, diventano evanescenti, aria e neve gelida. Ora, so di essere di nuovo nel mondo dei vivi, ma prima di riemergere completamente dal profondo del mio stato ipnotico, vedo i due bambini indicarmi una stradina deserta dove sono posizionati dei grossi ciottoli e delle erbacce secche. Non vi è alcuna indicazione, non un segnale o un cartello qualunque, si vede solo una luce intensa, quasi celestiale, che conduce in un posto che si trova nella nostra coscienza e a cui è giusto che accedano solo poche persone, quelle che amano davvero. Mi prendono per mano e mi sorridono mentre mi accompagnano nel mio ultimo viaggio, quello che mi condurrà a casa, lontano dal loro mondo incantato. Sento un nodo in gola al solo pensiero di doverli lasciare e capisco che Frank ha avvertito il mio stato d’animo perché mi si fa’ vicino e mi dice qualcosa all’orecchio. -Non saremo mai troppo distanti per non rincontrarci di nuovo. Nevicherà presto e io sarò là con Gregory- Mio figlio sorride e mi asciuga le lacrime accarezzando dolcemente le mie guance arrossate dal freddo. Il suo tocco è quasi impercettibile, come se al mio fianco ci sia una piuma leggera che mi accarezza teneramente. -Ti vorrò sempre bene, ricordalo. E quando vedrai la mamma dille che la proteggo sempre dal mio mondo, dalle sapere che nonostante lei non mi possa vedere, io sono sempre accanto a lei. Addio, per ora. Li vedo svanire, entrambi allo stesso modo, mentre mi tengono per mano stando uno alla mia sinistra e Frank al mio lato destro, percorrendo assieme il lungo viale di ciottoli e sterpaglie, quello che ci separerà e mi porterà a casa. Arriviamo nel punto in cui la luce si fa’ sempre più intensa, ormai è accecante e sono quasi costretto a tapparmi gli occhi per paura di non riuscire più a vedere, ma i due bambini mi sorridono e cercano di tranquillizzarmi con il loro modo gentile affabile. Frank mi guarda per l’ultima volta mentre svanisce davanti ai miei occhi e ciò che mi rimane impresso nella mente è il suo pigiama a righe, lo stesso di trent’anni prima. Anche Greg sparisce dalla mia vista, lasciando dietro di sé una scia di freddo e neve, come un fantasma nella nebbia. Ora sono solo, con la consapevolezza che nel mio lungo cammino ho ritrovato un caro amico e quello che è sempre stato mio figlio. Non so dire se ciò che ho visto è stata la pura realtà o se ho avuto delle allucinazioni incomprensibili, ma di una cosa sono certo e niente potrà farmi cambiare idea, che quando amiamo veramente qualcosa o qualcuno dal più profondo del cuore, essi non ci abbandonano mai e il tempo e la distanza non impediscono loro di venirci a trovare. La luce si spegne e mi ritrovo nella mia stanza, in quella stessa camera soleggiata che on ho mai abbandonato. Mi gira la testa e non riesco ad aprire gli occhi, non faccio altro che pensare ai due bambini e per un attimo mi torna alla mente mia moglie. È assurdo, anche perché sono passati più di tre anni dall’ultima volta che l’ho vista, lei ormai avrà un’altra vita e non sta più in Germani, eppure in questo momento è come se fosse qua vicino a me e anche se mi è difficile ammetterlo mi manca come se non ci fossimo mai allontanati. Un dolore alla testa, fortissimo, mi costringe a premere forte le tempie e a massaggiarle senza risultato alcuno. Riesco a malapena ad aprire gli occhi e ciò che vedo mi spaventa come quando da piccolo credevo di vedere un fantasma tra le tende bianche del salone, solo che ora è un corpo vero, fatto di carne e ossa. Hans Wennel è di fronte a me, con un fucile tra le mani. Vedo la stanza girarmi attorno, proprio come mi è successo quando ho incontrato i bambini, solo che non c’è nessuna luce e la neve non inizia a scendere candidamente. Ora è il buio.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Dakota Blood